GIOVANNI E FRANCESCA

CORTO

GIOVANNI LO ZOPPO, GIANCIOTTO

Rive dell’Acheronte, tormenta infernale.
Io Gianciotto, lo sciancato, ho punito il loro talento, li ho scannati. Sono qui nel loro sangue, ai miei piedi.
Con lei c’è Paolo mio fratello, il bello. Negli occhi delle sue amanti solo passione, negli sguardi delle mie il disgusto. Lui a poetar cortese, io a sventrare donne e bambini. Lui condottiero d’amore. Io condottiero d’assassini. Si è affrettato a ritornar da Firenze: grandi, vari e delicati impegni da assolvere di persona. Non gli bastava montare il cavallo di Capitano del Popolo, voleva cavalcare la mia puledra, l’incestuoso. Ho sofferto per la sua bellezza. Ho sofferto per la mia storpiatura. Ma non quanto a vederlo sopra di lei, aperta, spalancata, affidata.
Gli ho riservato lo spadone. Non doveva restar nulla del suo fascino. Doveva essere apprezzato solo da un beccaio, che avrebbe saputo come agganciarne i pezzi.
Certo, il gelo di Caina m’attende, ma il piacere di essermi bagnato del suo sangue non me lo toglierà neanche Dio, o la sua punizione.
A far il paio con il drudo, la mia signora, Francesca di Ravenna. Suo padre Guido me l’ha venduta quando aveva quindici anni, ma non ha mai attizzato fuoco con me. Sempre cenere il suo corpo, sempre afflitto il suo respiro. Eppure il mio tizzone ardeva senza fine per lei. Leggeva di Lancillotto e di Ginevra e mi chiedeva di Galehaut. Ma come si fa a discorrere di simili chimere con un capo di cento fanti? Lo storpio poteva raddrizzar la sua gamba solo prendendo rocche.
A lei ho riservato l’acciaio sottile, una misericordia. Le ho fatto baciare la lama, leccarla, assaggiarla e poi l’ho spinta in gola, fin nel profondo, fino a raggiungerle l’anima e cavargliela. Finalmente mia.
Rive dell’Acheronte, tormenta infernale.
Mi assilla un pensiero.
Ho creduto di punire il loro talento e li ho scannati. Ma li ho uniti per l’eternità.
Amanti e innamorati.
Per sempre.

KAREN

FRANCESCA LA DANNATA

Fu gioco, trasgressione o fu passione
a farmi poi cadere in tentazione?
Non so.
Io so soltanto che padre e fatal sorte
mi fecer al primogenito triste consorte;
costui, ebbro di stizza pel malanno,
solèa poi consolarsi in altrui danno.
Sicchè a lungo andar le sue fattezze
luceàn se rapportate a nefandezze
che questi architettava a bella posta
per chi, senza saperlo, a lui s'accosta.
Così, leggendo di galanti imprese,
il cuore del Cadetto a me s'apprese,
e il fremito d'un bacio di passione
segnò l'inizio della perdizione.
Ma qual sorpresa serbava poi destino
a sconsolar l'impresa del meschino,
che volle poi lavare col prezzo della pelle
la colpa d'una vita senza stelle...!
Credette il tristo di mondar vergogna
e invece della pena e della gogna
mi condannò a trascorrere l'eterno
unita a suo fratello nell'inferno.
Così, la mia vendetta è completata;
non sol costui di me non dirà mai amata,
ma sempre, finchè il tempo non cesserà,
del sol mio amor per Paolo si canterà.

E adesso, lieta , io varco il fronte, affidata in cure al maledetto nocchiero Caronte,
che segna il guado di quell'Acheronte
che sì pena mi porta, ma non la morte.