P O E S I E

 

...........QUESTA MORTE


Questa morte che respira
che spinge l’ossa a ostentar movimento
il muscolo a simular plasticità
e carne e pelle esposte all’ingiuria
ad avvolgere vitalità d’organi
cuore in lento solenne battito
polmoni in ritmico ondeggiare
cervello a volar pensieri e sogni

Questa morte ricorrente
che torna a visitar mio mondo
quasi memoria d’un passato ignoto
o monito dolente di futuro ignorato
a spaventar vane certezze d’immortalità
e gettar via l’eterno come dado in gioco
sia faccia il sei sia faccia il tre
numero vuoto d’istante ormai vissuto

Questa morte bastarda
che spezza il mio sentire
diviene dialogo il silenzio
e tacer d’anima il parlare
si fa grigio il cielo all’occhio
convinto ancora di percepir l’azzurro
piange la nostalgia nell’angolo remoto
nascosto dove lacrima ristagna

Questa morte senza gesti
che carica mattoni sulle spalle
e in spatola raccoglie il cementare
d’un alto muro a chiuder spazi all’altro
presenza che si sparge sulla pelle
come al mattino rugiada sulle foglie
e bagna - quale sensazione amata -
eppur lontana… distante come pioggia

Questa morte in vibrazione lieve
a ricordar che tutto cade presto
come se avesse senso il ricordare
quasi fosse diverso il non sapere
inverno d’una vita forse spesa male
a inventar fiabe ed allegria di gnomi
nell’aureo luccicar d’un alba nuova
questa vita a svanir magia…
questo dispetto antico

TACCIONO GLI DEI


Tacciono gli dei
stanchi di osservare
il nostro fluire scomposto
su terre senza nome

Tacciono simulando
piacere e risa
mentre vaghiamo - orfani
di battaglie perdute -
afferrati dal nulla
abbassando le palpebre
all'ultimo raggio di sole

Tacciono versando
lacrime di luna
cristalli di dolore
ombre di silenzi
frantumi di ali
sul nostro assente vivere

Altrove volgono lo sguardo

VOCE IN PAESAGGIO

Dal fondo di perlacea coperta
avvolgente coltre nebbiosa
da queste tempere d’autunno
su tavolozza invernale
- freddo che punge il naso
e umor rugiada nei capelli -
Dal cader di foglie
in carnevalesche giravolte
gialli coriandoli a posarsi
sul piano orizzontale del mondo
Dallo stupore nudo
d’interiorità riflessa in paesaggi
- specchio dell’apparenza -
Dalle mute preghiere
di scarni alberi spogli
dal nostalgico canto
di ventosi sempreverdi
Dalle siringhe usate
tra vuoti di bottiglia
giunga a te la mia voce ovattata
e – sommessa – una richiesta
“Son io - io dietro la voce -
io la nebbia e il finir d’ottobre
ascolta il tuo silenzio
luogo del mio parlare
ascolta… e riconoscimi”

Storia ubriaca

Stravolto galleggiare sul fondo
d’un anima caduta
magmatica compassione
per la mia parte morta altrove
tra le alghe di uno sguardo
sepolto dal mio amare
sul volto del mio amore
favola sciocca d’un sogno
abortito nel reale

Annego lentamente
in vortici di vino
negli occhi oppiata sabbia
a dilatar sentire
e stringere pupille
minuscole fessure
su sterminate grotte
antri di conoscenza
nell’incosciente ebbrezza

Trasparente cristallo
macchia vermiglia
d’un limpido fuggire
da grigia catena d’ottusa povertà
a rosso tramonto di lucida ricchezza
viaggio incerto sul bordo d’un bicchiere
nebbioso inganno
fatuo rifugio a dar forma
a fantasie di nascondigli nuovi
dove celare fragile frammento
d’un io disperso in devastante corsa
a rinviare incontro a Samarcanda

Eppure vita ha già lasciato
la stanza spoglia e piena
dove fatica d’essere soggiorna
tra carta di pareti
inchiostro in pavimento
soffitto in falso coprire
bara d’inafferrabile dolore
navi tra flutti d’ubriaco mare
spiaggia di lacrime in granelli

Stanco descrivere
vissuti già scordati
tra vesti mosse al vento
e spettinar di chiome
capelli o alberi non so
l’immagine s’offusca
pioggia a bagnare gli occhi
e disvelar di mostri
a galoppar su corpo
disteso nel torpore
conchiglia d’anima spossata
da lotte e da sconfitte

Palpebre incapaci
misura del mio nulla
si chiudono allo scrivere
tenue svanisce il foglio
lenta scivola penna
è notte o forse è alba
cado nell’ieri… e dormo