E’ una busta.
Banale, se si vuole. Ordinaria. Marchio pretenzioso, sciatto, anonimo.
Destinatario scritto a mano. Una volgare fattura commerciale, normalmente, trova
abito più acconcio.
Una busta, dunque. E’ fredda nel suo inerte mostrarsi, eppure ventila mefitiche
incandescenze. Repelle, orripila, eppure magnetizza, assoggetta il mio gesto! Ha
una sorta di potere ipnotico. Non potrò fuggirle ancora per molto. Prima o poi
contenderò con essa. E dovrò cercarvi parole.
Stupefacente come l’inseguirsi, l’intrecciarsi casuale di vocali e consonanti
possa suscitare sentimenti, emozioni. Mi son sempre divertito a cercar parole
che eccedono il loro stesso scopo primario.
Conciòssiacosacché è comico. Penfigo evoca membri particolarmente attraenti.
Apotropaico intimorisce. Ministeriabile ha dell’acrobatico. Rinfornare stimola
l’eros.
E carcinoma ?
Poteva esistere una combinazione diversa per definire quell’informe coacervo di
carne infetta?
Certo non poteva essere margherita. Lo immaginate un malato di margherita
terminale?
Una busta, dicevo.
Semplice busta? No: è utero o bara. Scrigno di vita o teca di morte.
Va bene. Apriamola.
LA MORTE
Era stata
completamente assente dal mio esistere.
Mai presa in considerazione.
Neanche per un istante.
Chissà, anche se non lo affermavo, anche se seppellivo la spocchiosa convinzione
nel profondo dell’incoscienza, nella mia presunzione mi ritenevo immortale.
Poi si è fatta conoscere.
E da allora la morte è diventata il mio punto di riferimento.
Attraverso essa misuro tutto quanto faccio e m’accade.
Forse mi ha risparmiato perché le piace accompagnarmi.
Non per simpatia.
Per un atto di compiacente crudeltà.