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Un mite settembre.
Donne silenziose, avvolgono di lacrime i tre uomini della loro vita.
Il primo, il vecchio, snervato in poltrona, tormenta i suoi mustacchi.
Non ricorre allo sputo come è solito fare, ma tenta l’arriccio a secco, provando
e riprovando invano, lo sguardo perso nell’oscuro pensiero.
Il secondo, suo figlio, non cura i suoi baffi. Non può. E’ nel letto di morte e
il rantolo rimbomba nel silenzio gelido.
Legato dalla catena del sangue agli altri due, sono il terzo degli uomini, il
figlio del figlio, l’ultimo.
Barba lunga sul volto consumato da un insonne tormento.
Mi guardo allo specchio, armo il rasoio e insapono.
Penso alle distanze, non solo fisiche, agli sguardi macchiati dall’ira, alle
sorde rivolte, mute e feroci. Osservo il mio labbro indenne dal pelo: il segno
della protesta, della rottura della tradizione. In famiglia, i primi maschi di
ogni generazione hanno sempre portato i baffi, da quando si poteva reggerne il
peso. Ed io, volutamente insensibile ai richiami della consuetudine, alfiere del
nuovo, ribelle, ho sempre rasato l’intero volto.
Il candore della crema mi rende più simile a loro due e con rabbia comincio a
tagliare il segno dell’adulta coscienza. Così, con il viso purificato dal nero
ispido, cerco il ritorno a tempi e luoghi esistiti solo nella nostalgia, a
momenti in cui i legami non conoscevano nodi.
Si attende il tacere dell’inutile respiro, il discreto passaggio, come discreta
è stata la sua vita, opposta alla mia, sempre eccessiva; orgogliose entrambe.
Lo specchio mi avverte. La rasatura è agli sgoccioli, il volto non è del tutto
pulito, il bianco ghiaccia il mio labbro. Abbandono il rasoio e porto via il
residuo sapone.
Con le dita.
E’ alfine libero il taciuto del tempo spartito
mio padre non era
marinaio
eppure sulla terrazza infinita
dove sguardi finiti si confondono nel desiderio di eterno
lui c'era
ignorava il dogma teutonico
non conosceva l'assoluto della storia
ma il suo genio
schivo d’eccessi
implicito
ha fruttato la stoltezza della genialità estrema
assurda
mio padre non era un marinaio
ha attrezzato una navicella
e l’ha affidata a me
dalla terrazza
di villa cimbrone
alla linea di confine del pensare
mi sono visto