1. PREMESSA
Dopo quasi dieci anni di
studi, una Commissione storica mista, nominata dai
governi delle Repubbliche italiana e slovena, nel
luglio del 2000 ha presentato al nostro Ministero degli
Affari Esteri, una relazione congiunta "su i rapporti italo-sloveni
dal 1880 al 1956".
Gli uffici della
Farnesina non hanno ritenuto opportuno pubblicare questo lavoro
(negandogli così i crismi del riconoscimento ufficiale), cosicché dopo
complesse vicende giornalistiche, esso è stato
pubblicato, in forma semiclandestina, il 4/4/2001, dai quotidiani
triestini "II Piccolo" e "Primorski Dnevnik".
Il documento è stato
oggetto di diverse vantazioni tra le quali hanno prevalso
quelle negative, e tra esse la più dura è stata
quella del professor Antonio Sema, apparsa nel supplemento al n°9 del
periodico semestrale "Tempi e Cultura" edito
dall'Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata.
Il professore ha concluso
il suo intervento lamentando che, contrariamente ai
suoi auspici, i membri italiani della Commissione,
"sfortunatamente, non hanno operato
nè da storici italiani nè da storici competenti."
Dopo un periodo d'oblio
in cui il lavoro pareva definitivamente sepolto nel dimenticatoio delle
cose mal riuscite, ultimamente si sono avute, tra alcune Associazioni
storico-culturali triestine, delle riunioni informali e riservate, nelle
quali è stata esaminata, peraltro senza successo,
la possibil'ità di coagulare un consenso,
evidentemente più politico che scientifico, sulla ricostruzione storica
proposta dal documento.
Il 12 aprile di
quest'anno, l'Istituto per gli incontri mitteleuropei di Gorizia, ha
organizzato a Gradisca "un convegno a carattere
seminariale" allo scopo di dibattere il citato documento, nato dai
lavori della Commissione mista. In
pieno contrasto con i principi del metodo della ricerca scientifica,
principi
dai quali la ricerca storica non può di certo
prescindere, gli invitati al dibattito sono
stati oculatamente scelti in modo da evitare la presenza di studiosi che
avessero già affrontato il tema o, peggio, avessero
dato sulla relazione della Commissione mista, un
giudizio non positivo. Infatti gli organizzatori si sono
ben guardati dall'invitare il professor Antonio
Sema.
Infine, nel mese di
maggio di quest'anno, è uscita nelle librerie l'opera dell'Assessore alla
Cultura della Provincia di Torino, Gianni Oliva, intitolata "Foibe.
Le
stragi negate degli Italiani" che tratta
proprio degli avvenimenti della Venezia Giulia
nel XX secolo. In questo libro, a parte
una serie di incredibili affermazioni tragicamente esilaranti come Pola,
Parenzo e Capodistria che fino al 1925 si sarebbero chiamate
Pula, Porek(!) e Koper, detta relazione, benché non
riconosciuta dal Ministero degli Esteri italiano e
fieramente contestata da più parti, viene citata ripetutamente, come se i
suoi contenuti avessero ormai assunto la dignità di dogmi.
Evidentemente è in atto un ambiguo tentativo di
dare surrettiziamente dignità scientifica ad un lavoro
nato, cresciuto e concluso allo scopo di piegare la verità storica ad
esigenze politiche.
Pertanto questa nota
intende proporre una serie di elaborazioni demografiche
e di informazioni ricavate dalla storiografia
accademica, le quali dimostrano come non poche
affermazioni sottoscritte dai membri italiani della Commissione, prof.
Giorgio Conetti, giurista; prof.ssa Maria Paola Pagnini, geografa:
sen. Lucio Toth, magistrato: prof. Fulvio Salimbeni,
prof. Giorgio Ara, prof. Raoul
Pupo e prof. Marina Cattaruzza, storici, siano palesemente infondate.
Le affermazioni che
saranno esaminate e confutate sono:
1) La "espansione
demografica", asserita ma in realtà inesistente, che nel periodo
1880 -1910 si sarebbe verificata tra la popolazione slovena della Venezia
Giulia;
2) La conquista, asserita
ma del tutto immaginaria, da parte degli sloveni della maggioranza della
popolazione, nella città di Gorizia (definita imminente)
ed in quella di Trieste (definita inevitabile,
seppur in tempi più lunghi) ove non ci fosse stata la
Grande Guerra;
3) L'esistenza, asserita
ma del tutto smentita dai dati demografici, nella città
di Trieste, di una popolazione slovena numericamente
superiore a quella di Lubiana
ed il "ruolo centrale" che, in conseguenza di tale dato
immaginario
il capoluogo giuliano avrebbe avuto per lo sviluppo
dei programmi economici degli sloveni.
4) La "pulizia
etnica", asserita ma in realtà mai avvenuta, che sarebbe stata
operata dall' Italia ai danni degli slavi negli anni 1919-21, il cui
collegamento
con le persecuzioni politiche del fascismo sarebbe
"bene evidente".
5) La definizione,
assolutamente errata, dell'incendio dell'Hotel Balkan di Trieste come
"primo atto di una lunga sequenza di violenze" interetniche
nella regione.
6) Le richieste di
"autonomia culturale" avanzate dagli sloveni allo Stato italiano
prima di porsi, verso la metà degli anni Trenta,
l'obiettivo del distacco da esso dei territori considerati etnicamente
slavi.
7) La riduttiva
quantificazione della violenza dell'occupazione iugoslava della
Venezia Giulia, che avrebbe trovato
"espressione in centinaia di esecuzioni sommarie
immediate le cui vittime vennero in genere gettate nelle foibe".
8) Le generiche ed
ovattate motivazioni dell'Esodo istriano ed i "numerosi episodi di
violenza", le "intimidazioni e gli arresti" che sarebbero
stati operati dalla Repubblica italiana
a Gorizia e nella Slavia veneta, contro "gli sloveni le
persone favorevoli alla Jugoslavia" e le
"difficoltà" che il clero sloveno avrebbe incontrato nei
rapporti con le autorità civili e religiose italiane.
Come correttezza vuole,
molte di queste osservazioni sono state inoltrate circa un anno fa, ai due
più autorevoli membri italiani della Commissione. Non si e avuto alcun cenno di risposta.
La risposta, invece, è
giunta da un illustre cattedratico al quale dette osservazioni erano state
inviate anche per ottenere una critica sulle metodologie
statistico-demografiche usate nell'analisi dell'evoluzione della
popolazione slovena della Venezia Giulia nel
periodo 1880-1910.
Detta risposta non solo
ha confermato la sostanziale correttezza delle elaborazioni
statistico-demografiche presentate in questa nota, ma anche la piena
condivisione del giudizio negativo sulla relazione presentata dalla Commissione mista italo-slovena.
L' ESPANSIONE DEMOGRAFICA
DELLA POPOLAZIONE SLOVENA DELLA
VENEZIA GIULIA NEL
TRENTENNIO 1880-1910
Nella prima parte della
relazione intitolata "Periodo 1880-1918", in merito alla composizione etnica della
regione e dei suoi centri, si sostiene che:
"..etnicamente mista
era solo la città di Gorizia, dove il numero degli sloveni era però
crescente, tanto da far ritenere ad autori politici sloveni alla vigilia
del 1915
che il raggiungimento di una maggioranza slovena nella città isontina
fosse ormai imminente.
Trieste era maggioranza
italiana, ma il suo circondario era sloveno.
Anche in questo caso la
popolazione slovena appariva in ascesa."
I dati numerici dei
censimenti austro-ungarici, ricavati dalle opere di Sator ("Le popolazioni della Venezia
Giulia", editore Darsena, Roma, 1946) e di
Guerrino Perselli ("I censimenti della popolazione
dell'Istria, con Fiume e Trieste e di alcune città della Dalmazia tra il
1880 e il 1936", editori, il Centro di Ricerche Storiche di Rovigno e
l'Università Popolare di Trieste, 1993), ci consentono di ricostruire con
precisione la composizione etnica della regione e la sua evoluzione nel tempo.
La
tabella N° 1 ed il relativo diagramma, illustrano, ripartita nei diversi
distretti componenti
la regione, come la popolazione slovena sia variata quantitativamente e
percentualmente, rispetto al decennio precedente, nel trentennio in esame.
Dai dati esposti emerge:
- nel
periodo 1880-1890, una "espansione demografica" pari al 3,4 ;
- nel
periodo 1890-1900, una "espansione demografica" pari al 2,7 ;
- nel periodo 1900-1910,
una "espansione demografica" pari al 20,8.
Si
osserva inoltre, per tutto il periodo, ma nel decennio 1900-1910 in
particolare, che questa "espansione demografica" si verifica
solamente in alcuni distretti, mentre in altri essa proprio non si
manifesta o addirittura, come nel caso del distretto di Tarvisio, si ha
una diminuzione significativa (-29 rispetto
al 1900 e - 37
rispetto al 1880).
I
distretti in cui questa "espansione demografica" si manifesta
maggiormente nel
trentennio 1880-1910, sono:
- Trieste
"espansione demografica" di 30.653 unità (+ 116,7 )
- Gorizia
"espansione demografica" di 22.352 unità (+ 36,3 )
- Volosca/Abbazia
"espansione demografica" di 6.922 unità (+ 67,9)
- Capodistria
"espansione demografica" di 3.544 unità (+
12,5)
- Pola
"espansione demografica" di 2.392 unità (+ 178,9)
In
questi cinque distretti si manifesta il 91,6%
( 65.863 su 71.924) di tutta la "espansione demografica" riscontrata nel
trentennio 1880 - 1910 . Per chiarire la natura di questa "espansione
demografica", è stato applicato il metodo che consente di ripartire l'aumento totale
della popolazione nella quota dovuta al saldo attivo tra natalità e
mortalità ed in quella dovuta all'immigrazione. Si è operato come segue;
nella tabella N°2.:
Il numero totale di
sloveni censiti in regione nel 1880 (254.870 unità), è stato moltipllcato per il
coefficiente di variazione demografica naturale del decennio 1880-1890 (Saldo tra
natalità e mortalità, pari ali' 1,350%) e si è ottenuto così il totale teorico della
popolazione slovena derivante dal solo incremento naturale, pari a 258.311
unità, corrispondente ad un aumento di 3.411 unità.
Poiché
la popolazione
slovena effettivamente censita nel
1890 risulta
essere di
263.463 unità, appare evidente
come l'incremento reale registrato di 8.539 unita sia dovuto alle già
indicate 3.411 unità conseguenti al saldo attivo tra natalità
e mortalità ed a 5.152 unità immigrate dalle altre
regioni dell'Impero.
Considerando il decennio 1890 -
1900 ed applicandovi lo stesso calcolo si ottiene:
' -
la popolazione slovena teorica, per effetto della sola differenza tra
natalità e mortalità, avrebbe dovuto
attestarsi su un totale di 261.728 unità mentre la popolazione slovena
realmente censita raggiunge le 270.557 unità con un'aumento di 7.094
persone.
- questo aumento risulta dovuto per 3.417 unità
all'effetto della differenza tra natalità
e mortalità, mentre per 3.677 unità è ancora dovuto all'immigrazione
dalle altre regioni slave dell'Impero.
Infine considerando il decennio
1900 - 1910 ed applicandovi lo stesso metodo di
calcolo, si ottiene:
- la popolazione slovena teorica, per effetto della
sola differenza tra natalità e mortalità, avrebbe
dovuto attestarsi su un totale di 266.445 unità mentre la popolazione
slovena realmente censita raggiunge le 326.794 unità con un aumento di
56.247 persone.
-questo aumento risulta dovuto per 4.717 unità
all'effetto della differenza tra natalità
e mortalità, mentre per le restanti 51.530 unità è ancora dovuto
all'immigrazione dalle altre regioni slave dell'Impero.
Considerando tutto il trentennio
1880 - 1910, ne! quale appunto si sarebbe verificata la cosidetta
"espansione demografica" degli sloveni, si ottiene che:
-la popolazione slovena della Venezia Giulia, per
effetto della sola differenza tra natalità e mortalità,
è aumentata di 11.575 unità;
-la stessa popolazione, per effetto
dell'immigrazione dalle altre regioni slovene dello Impero, e aumentata di 60.359 unità;
-l'incremento della popolazione slovena per effetto
dell'immigrazione rappresenta l'84% dell'incremento
totale.
'
Questi dati dimostrano, senza ombra di dubbio che.
nel trentennio in esame non si venficò alcuna
"espansione demografica" della popolazione slovena ma
che la Venezia Giulia fu sottoposta ad una vera e
propria invasione pianificata e realizzata
dail'imperial-regio governo al fine di sovvertire la sua composizione
etnica, aumentando le popolazioni slave,
PERCIO’ LA DEFINIZIONE
DI "ESPANSIONE DEMOGRAFICA" DATA A QUESTA
OPERAZIONE DI IMPORTAZIONE DI SLOVENI NELLA VENEZIA
GIULIA E' INDISCUTIBILMENTE ERRATA E FUORVIANTE, PERCHE' TENDE A CREARE
UN INESISTENTE "DIRITTO NATURALE" DI ESSI SULLA REGIONE
L’ACCETTAZIONE Dl TALE DEFINIZIONE DA PARTE DEGLI
STORICI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA,
CONFERMA IL GIUDIZIO DEL PROF SEMA ESSI
NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI. NE' DA STORICI
COMPETENTI.
LA CONQUISTA DELLA
MAGGIORANZA DELLA POPOLAZIONE, DA PARTE
DEGLI SLOVENI, NELLE CITTA' DI GORIZIA E DI TRIESTE.
Continuando
nella sua esposizione, la relazione, ad un certo punto afferma:
"La
loro espansione demografica (cioè degli sloveni nds) li portava a
ritenere
imminente
il momento della conquista della maggioranza della popolazione a
Gorizia
e, inevitabile, sia pure in tempi più lunghi, un risultato analogo a
Trieste."
Per
valutare con serietà la fondatezza di queste affermazioni sulla
conquista, da parte degli
sloveni,della maggioranza della popolazione a Gorizia ed a Trieste, è
necessario ricorrere nuovamente ai metodi di studio scientifici,
ancorandoci a dati quantitativi e rifuggendo dalle suggestioni letterarie.
Nella
città di Gorizia, nel 1880, gli sloveni erano 3.420 su una popolazione
totale di 20.920 abitanti. Costituivano il 16,3% degli abitanti.
Dopo
trent'anni, nel 1910, essi erano diventati 10.868 con un non disprezzabile aumento del 218%
e costituivano il 35,1%
della
popolazione totale che intanto era salita a 30.995 unità.
Come
risulta dall'analisi dell'effetto immigrazione sulla popolazione slovena
di Gorizia, illustrato nella
tabella-diagramma n.3, nel trentennio 1880 -1910, gli sloveni di questa città
aumentarono, per effetto del saldo attivo tra natalità e mortalità, di 46 unità
nel decennio 1880-1890, di altre 46 unità nel decennio 1890-1900 e di 63 unità
nel decennio 1900-1910.
Per
effetto dell'immigrazione da altre regioni slave dell'Impero, essi
aumentarono di 101 unità tra il 1880 ed il 1890, di 1.218 unità tra il
1890 ed il 1900, ed infine di ben 5.974 unità
tra il 1900 ed il 1910.
Complessivamente,
nel trentennio, essi aumentarono quindi di 155 unità per effetto del saldo attivo
tra natalità e mortalità, mentre altri 7.293 di essi (pari al 98% dell'aumento totale
della popolazione slovena) immigrarono in Gorizia dalle altre regioni
slave dell'Impero e costituirorono il dato numerico rilevante della
asserita "espansione demografica" degli sloveni.
Chiarito
quindi che a Gorizia tale "espansione demografica" altro non fu
che un'immigrazione tendendo
a snazionalizzare la città, appare evidente che a causa del solo effetto
del saldo attivo tra natalità e mortalità, valutabile sulle 200 unità al decennio
(10.868 abitanti X 1,802) gli sloveni avrebbero dovuto attendere più di
210 anni per conquistare la maggioranza della popolazione a Gorizia,
sempre nell'ipotesi di crescita naturale nulla della popolazione italiana.
Appare
ancora evidente che questa conquista della maggioranza della popolazione
di Gorizia, ritenuta imminente dagli sloveni, avrebbe potuto realizzarsi solamente continuando ad
importare sloveni dalla Carniola ad un ritmo ancora più elevato di quello
del decennio 1900-1910.
Infatti,
ove nel decennio 1910-1920, ovviamente in assenza del primo conflitto mondiale, fosse
continuata l'importazione di sloveni dalle altre regioni dell'Impero al
ritmo di 6,000 unità in dieci anni, la popolazione totale di Gorizia
avrebbe raggiunto quota 40.000 mentre gli sloveni non avrebbero superato
quota 17.000, rimanendo ancora
al di sotto del 50% della
popolazione totale. Sorge
il sospetto che, per raggiungere il loro obiettivo, gli sloveni avessero
in mente di ricorrere ad
altri mezzi. Mezzi, tanto per intenderci, del tipo di quelli usati nei confronti delle popolazioni italiane di
Capodistria, Isola e Pirano che come vedremo, furono
letteralmente cancellate da queste città dopo la seconda guerra mondiale.
Il sospetto che l'uso di
tali mezzi nei confronti degli italiani, mezzi peraltro già efficacemente
usati dai croati contro la nostra gente della Dalmazia fino dalla
conclusione della terza guerra per l'indipendenza
del 1866, si consolida passando ad analizzare la situazione di Trieste,
esposta nella tabella n.4..
In questa città, nel
1880, gli sloveni erano 2.817 su una popolazione totale di
74.544 abitanti. Costituivano il 3,8% degli abitanti
totali.
Dopo trent'anni, nel
1910, essi erano diventati 20.358 (+17 541 persone) con
un non disprezzabile aumento del 623% e costituivano
il 12,6% della popolazione
totale che intanto era salita a 160.933 unità.
Come risulta dall'analisi
dell'effetto immigrazione sulla popolazione slovena di
Trieste, nel trentennio dal 1880 al 1910, questo
gruppo etnico era aumentato per Io incremento
demografico naturale, cioè per il saldo attivo tra la natalità e
la mortalità, di sole 206 unità, mentre per
effetto dell'immigrazione in città di sloveni provenienti dalle
altre regioni slave dell'Impero, era aumentato di ben
17.335 unita.
Insomma, anche a Trieste,
era stata applicata la solita ed ormai collaudata
politica del governo imperial regio di spostare i
sudditi delle etnie fedeli all'Augusto Sovrano, in questo caso gli
sloveni, nelle terre abitate da etnie riottose ed
insofferenti al fine di ridurle alla ragione snazionalizzandole.
Chiarito quindi che anche
a Trieste la asserita "espansione demografica" degli
sloveni altro non era che una immigrazione tendente
a snazionalizzare la città ai danni dei suoi abitanti
italiani, l'affermazione secondo cui, da parte degli sloveni, sarebbe
stata "inevitabile, seppure in tempi più lunghi" la conquista
della
maggioranza della popolazione, appare in tutta la
sua demenzialità.
Per effetto del solo
saldo attivo tra natalità e mortalità, gli sloveni di Trieste
sarebbero aumentati di circa 370 unità ogni
decennio (20 358 x 1 802/100) per cui,
in assenza di ogni altra perturbazione e nell'ipotesi di crescita zero per
la
popolazione italiana, detti sloveni avrebbero
raggiunto la maggioranza della popolazione di Trieste
non prima dell'anno 3.900 !!!!
Continuando, invece, ad
importare sloveni al ritmo di 15.000 al decennio ci
sarebbero voluti ben 70 ANNI per raggiungere e
superare la soglia delle 118.000 unità su cui erano attestati gli italiani,
sudditi A.U. e "regnicoli" di Trieste nel 1910.
Pertanto, come è stato
dimostrato, le affermazioni sulla conquista da parte
degli sloveni, della maggioranza della popolazione
nelle città di Gorizia e di Trieste,
"imminente" la prima ed " inevitabile, seppur in tempi più
lunghi" la seconda, sono
completamente errate, gravemente fuorvianti e danno solo la
prova delle mai riposte mire imperialistiche ed
espansionistiche deqli sloveni verso i territori
italiani.
LA LORO ACCETTAZIONE DA PARTE
DE! MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA
CONFERMA IL GIUDIZIO DEL PROF. SEMA. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA
STORICI COMPETENTI.
TRIESTE E GLI SLOVENI. CONFRONTO
QUANTITATIVO TRA LA MINORANZA
SLOVENA DELLA CITTA' E GLI
ABITANTI DI LUBIANA. RUOLO CENTRALE DI TRIESTE NEI PROGRAMMI ECONOMICI
DELLA MINORANZA SLOVENA
Continuando nella sua
esposizione, la relazione afferma:
"Gli sloveni perseguono l'idea di una Trieste capace
di alimentare l'attuazione dei
loro programmi economici e sottolineano il ruolo centrale per il loro
sviluppo di questa città, la cui popolazione slovena sebbene minoritaria
era superiore
a
quella della stessa Lubiana, in ragione della diversa consistenza
demografica
delle
due città."
L'affermazione secondo
cui la popolazione slovena di Trieste sarebbe stata
superiore a quella della stessa Lubiana, pur
basandosi su un presupposto esatto (cioè la diversa
consistenza demografica delle due citta) è completamente sbagliata.
Essa dimostra come sia facile,
quando non si lavori su dati quantitativi ma ci si abbandoni a deduzioni ed induzioni
letterario-filosofiche, incappare in clamorosi errori, assolutamente
ingiustificati ed ingiustificabili.
Nelle tabella n.5, è
esposto il confronto tra la popolazione slovena di Trieste
e quella di Lubiana (questa ultima ricavata dal
libro "Razvoj prebivalstva na obmocju Ljubljane", di Igor
Vrizer, edito dal Knjiznica Kronike nel 1956 e donato alla Biblioteca Civica di Trieste dal Mestni Arhiv
di Lubiana nel 1957).
Osservando i dati di
confronto tra i due centri si vede che, nel 1880 gli abitanti
di Lubiana (22.105) superavano gli sloveni di
Trieste (2.817) di 19.288 unità.
Nel 1890, c'era ancora
una differenza di 16.333 (24.897 contro 8.568) unità a
favore degli abitanti di Lubiana, che nel 1900.
diventava di 19 779 (25 942 contro 6.163) unità.
Nel 1910, dopo
l'immigrazione nel centro urbano di Trieste di ben 14.195 sloveni a
partire dal 1900, la differenza tra gli abitanti di Lubiana e gli sloveni
della
nostra città, pur riducendosi sensibilmente,
rimaneva ancora di 14.141 unità.
L'opera del Vrizer non
indica la quota di cittadini non sloveni sicuramente esistente tra i suoi
abitanti e ciò, apparentemente, costituisce un limite all'attendibilita
del confronto esposto.
Il limite, invece, è
solo apparente perché, ove si voglia accettare per vero il
dogma della popolazione slovena di Trieste superiore
alla popolazione slovena di
Lubiana, bisogna riconoscere che gli sloveni di Lubiana non potevano
superare, nel 1880, le 2.816 unità; nel 1890, le 8.563 unità; nel 1900,
le 6 163 unità
ed infine, nel 1910, le 20.357 unità.
Ciò però significa
ammettere che, rispetto alla popolazione totale della loro
attuale capitale, gli sloveni di Lubiana
rappresentavano, nel 1880 una quota inferiore
al 13%; nel 1890, una quota inferiore al 35% ; nel 1900 una quota
inferiore al 24%
e nel 1910 una quota inferiore al 60%.
Ciò significherebbe
avallare l'immagine del popolo sloveno come quella di un
popolo di villici, pastori e bifolchi, senza storia
e senza città. In ogni caso una presenza slovena cosi
minoritaria in Lubiana toglierebbe evidentemente ogni
valore alle rivendicazioni degli sloveni su Trieste
Smentita
inoppugnabilmente l'affermazione secondo cui gli sloveni abitanti nella
nostra città sarebbero stati superiori come numero a quelli residenti a
Lubiana, ci sono da fare delle altre considerazioni quantitative per
confutare la tesi
del "ruolo centrale" che Trieste avrebbe
esercitato per il loro sviluppo economico, in ragione dell'elevato numero
di sloveni che la abitavano.
Abbiamo visto come il
decennio in cui si manifestò l'invasione immigratoria
slava nella Venezia Giulia fu quello compreso tra il
1900 ed il 1910.
Orbene, considerando i
dati del censimento austro-ungarico del 1900 esposti
nella tabella n.6, emerge chiaramente che i centri
della nostra regione con maggior numero di
abitanti sloveni erano:
-Idrìa
con 8.515 abitanti sloveni pari al 98,7
della popolazione totale;
-Trieste
con 6.163 abitanti sloveni pari al 4, 6
della popolazione totale;
-Chirchina
con 5.808 abitanti sloveni pari al 99,9
della popolazione totale;
-Gorizia
con 4.754 abitanti sloveni pari al 18,7
della popolazione totale,
-S. Martino Q. con 4.351
abitanti sloveni pari al 99,7 della
popolazione totale;
-Tolmino con 4.265
abitanti sloveni pari al 98,9 della
popolazione totale.
Quindi Trieste, oltre a non
avere più abitanti sloveni di Lubiana, non era nemmeno la località della
Venezia Giulia in cui abitava il maggior numero di sloveni.
Quindi, se, come sostiene
la relazione, fosse stato l'elevato numero di abitanti
sloveni a svolgere il ruolo centrale per
l'attuazione dei loro programmi economici, nel 1900, Idria sarebbe stata
ben più idonea, a questo scopo, di Trieste, cosi
come Chirchina lo sarebbe stata maggiormente di Gorizia e S. Martino di
Quisca e Tolmino avrebbero dovuto esercitare un
richiamo pari a quello del capoluogo isontino.
Invece, dai dati dei
censimenti si rileva che, al termine del decennio, nel 1910,
la fiumana dell'immigrazione di oltre 20.000 sloveni
non si era diretta verso Idria,
Chirchina, San Martino di Quisca e Tolmino, ma si era riversata verso le
grandi città italiane della regione.
Infatti:
-Idria
aumentò di 520 unità raggiungendo i 9.035 abitanti sloveni;
-Chirchina
aumentò di 228 unità raggiungendo i 6.036 abitanti sloveni
-S. Martino Q
aumentò di 247 unità raggiungendo i 4.598 abitanti sloveni
-Tolmino
aumentò di 321 unità raggiungendo i 4.586 abitanti sloveni
-Trieste
aumentò di 14.195 emigrati sloveni, portando il loro totale a
20.358
-Gorizia
aumentò di 6.036 emigrati sloveni; portando il loro totale a
10.790
In realtà gli interessi
convergenti degli Asburgo (contrastare l'irredentismo
italiano nella Venezia Giulia) e degli sloveni
(scendere dalle montagne inospitali e spingersi verso le
pianure fertili ed il mare) si fusero e diedero origine alla
calata del popolo senza storia e senza città, verso
Trieste e Gorizia.
Quindi
l'affermazione, secondo cui Trieste aveva una popolazione slovena
superiore a quella della stessa Lubiana, è palesemente contraria al vero
ed errata. Altrettanto contraria al vero ed errata è la tesi, sostenuta
dalla relazione, secondo cui Trieste avrebbe esercitato un ruolo centrale
per lo sviluppo economico degli sloveni in funzione della loro asserita,
ma non vera. elevata presenza tra la sua popolazione
L'ACCETTAZIONE DI TALI
TESI DA PARTE DEI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA CONFERMA IL
GIUDIZIO DEL PROF. SEMA. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA
STORICI ITALIANI NE' DA STORICI COMPETENTI.
L'INIZIO DELLA VIOLENZE INTERETNICHE NELLA VENEZIA GIULIA.
Trattando le vicende che
vanno del 1918 al 1941, la relazione sostiene che:.
"Nel luglio del 1920, l'incendio del Narodni
Dom, la sede delle organizzazioni slovene
di Trieste - che trasse pretesto dagli incidenti di Spalato e che
provocarono vittime sia italiane sia Jugoslave - non fu così che il
primo, clamoroso atto
di
una lunga sequela di violenze."
Se i membri italiani
della Commissione mista fossero stati dei lettori del quotidiano triestino
"II Piccolo", dalla copia del 24 maggio 1995 (cinquantesimo
anniversario dell' entrata in guerra dell'Italia contro ('Impero
Asburgico) avrebbero appreso che in tale occasione scoppiarono "moti
popolari" contro l'ex alleato triplicista, in quanto la dichiarazione
di guerra scatenò i "gruppi anti italiani" i quali
incendiarono la sede de II Piccolo, devastarono i focali della Società
Ginnastica Triestina, della Lega Nazionale e saccheggiarono caffè e negozi
gestiti da italiani.
Ciò forse avrebbe
riportato alla loro memoria che le violenza contro i giornali
contro le associazioni sportive e culturali italiane
e contro gli esercizi commerciali dei nostri connazionali, nel periodo
intercorso tra la terza guerra dell'indipendenza e la prima guerra
mondiale, furono una costante che si verificò ripetutamente
Quando l'anarchico
italiano Lucheni assassinò vilmente la consorte dell' Imperatore
Francesco Giuseppe, benché i circoli liberal-nazionali italiani fossero
assolutamente agli antipodi dei principii anarchici, i cosidetti
"gruppi anti italiani" di Trieste non badarono a
queste differenze e si scatenarono contro di essi in
quanto espressione dell'anima italiana della città.
Comunque fu nel mese di
luglio 1868, cioè quasi 52 anni prima dell'incendio
delIo Hotel Balkan, che, come scrive la studiosa
Tullia Catalan dell'istituto regionale per la storia del movimento di
liberazione nel Friuli-Venezia Giulia nell'opera collettanea "Storia
del 900": "iniziarono i primi scontri tra italiani e sloveni."
E non furono incidenti di
poco conto, anche se la studiosa dell'Istituto storico
resistenziale di Trieste afferma che "l'esito
tragico dello scontro tra i liberali ed i
territoriali sloveni fu la morte accidentale di Rodolfo Parisi figlio di
Giuseppe Parisi, proprietario di
una rinomata casa di spedizioni cittadina."
Non furono scontri di
poco conto perché in essi non morì solamente Rodolfo
Parisi (e la sua morte non fu accidentale come
sostiene la Catalan perché l'autopsia rilevò sul suo cadavere ben 26
colpi di baionetta!!!), ma altri due italiani Francesco
Sussa ed Emifio Bernardini, perirono nei giorni seguenti a causa
delle ferite ricevute.
Inoltre furono feriti, più
o meno gravemente, Ignazio Puppi, Giobatta Lucchini
Giovanni Krammer, Pietro Bellafronte, Antonio
Rustia. Emiiio Rupnik, Edoardo Offacio, Giulio
Cazzatura, Giacomo Katteri, Giuseppe Santinelli, Pietro Mosettig. Giovanni
Stancich, Giuseppe Benporath della Comunità Ebraica cittadina,
Teodoro Damillo. Nicolo Modretzky, Gaspare Hans
cittadino svizzero Giovanni Schmutz, Edgardo Rascovich, Angelo Crosato,
Luigi Grusovin ed Ernesto Ehrenfreund,
QUINDI L'AFFERMAZIONE CHE
L'INCENDIO DELL'HOTEL BALKAN FU IL PRIMO
ATTO DI UNA LUNGA SEQUELA DI VIOLENZE INTERETNICHE NELLA
VENEZIA GIULIA E' PALESEMENTE CONTRARIA AL VERO. IL
FATTO CHE I MEMBRI ITALIANI DELLA
COMMISSIONE L'ABBIANO ACCETTATA COME VERA CONFERMA IL GIUDIZIO EMESSO DAL
PROF. SEMA. SOTTOSCRIVENDOLA ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI
ITALIANI, NE' DA STORICI COMPETENTI.
IL PRESUNTO ESODO DEGLI
SLOVENA E DEI CROATI DALLA VENEZIA GIULIA
ALLA FINE DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE.
Continuando
nell'esposizione dei fatti, ad un certo punto la relazione afferma:
"Secondo stime Jugoslave emigrarono complessivamente
105.000 sloveni e croati; e se nei casi di emigrazione transoceanica è più
difficile tracciare un confine fra motivazioni economiche e politiche, nel
caso di espatrii in Jugoslavia, che coinvolsero soprattutto giovani e
intellettuali, il collegamento diretto con le persecuzioni del fascismo è
ben evidente."
Ancora una volta è
necessario verificare la fondatezza di queste enunciazioni,
ed ancora una volta, per chiarire la loro
attendibilità, ci vengono in aiuto i dati quantitativi
dei censimenti che sono esposti nella tabella N° 7 che confronta le
variazioni della popolazione slovena della Venezia
Giulia, suddivisa nei relativi distretti di
appartenenza, nei periodi che vanno dal 1880 al 1910 e dal 1910 al
1921,
Per tutta la durata del
primo periodo, la regione fu soggetta all'amministrazione austroungarica,
mentre al termine del secondo periodo, ad essa era subentrata, da tre
anni, l'amministrazione italiana, cosicché, dalla differenza tra la
popolazione slovena censita nel 1910 e quella censita nel 1921, si può
ricavare
un'indicazione quantitativa dell'asserito esodo cui
sarebbero stati obbligati gli sloveni, nei tre anni
immediatamente successivi alla fine della prima guerra
mondiale.
Si vede dai dati esposti
come la popolazione slovena della Venezia Giulia, che
nel 1910 era composta da 326.794 unità, nel 1921
fosse passata a 258.927,con una diminuzione di 67.867
unità pari al 26,6% del totale originario del 1910.
Non si può però
trascurare il fatto che tra il 1880 ed il 1910, detta popolazione
avesse registrato un incremento di 71,924 unità,
pari al 28,2 del totale
originario del 1880, per cui, considerando il saldo tra gli sloveni
presenti in regione
al 31/12/1880 e quelli presenti al 31/12/1921, si
deve prendere atto che il loro totale, in questo
periodo, era comunque aumentato di 4.057 unità.
A livello dei singoli
distretti si nota che, come nel trentennio 1880 -1910, ben l'
81% dell'immigrazione
slovena nella Venezia Giulia si era verificata nel distretti di Trieste, di Gorizia e
di Pola, così, nel 1921, da questi stessi distretti, partì il
79% del totale dell'emigrazione slovena dalla
regione.
E' già stato dimostrato
come l'incremento del trentennio 1880-1910 (surrettiziamente definito
"espansione demografica" dalla relazione), altro non sia stato
che un'importazione selvaggia di sloveni nella
nostra regione, per cui dall'analisi attenta dei dati quantitativi forniti
dai censimenti, si ricava che questo asserito esodo degli sloveni fu solo
il rimpatrio di tutta la moltitudine di funzionari, impiegati e manovalanza sloveni che il governo
imperial-regio aveva fatto calare nella nostra regione.
Ma non basta.
Gli studiosi della
Commissione storica mista italo slovena, che automaticamente hanno
trasformato la differenza totale tra gli sloveni censiti nella Venezia
Giulia nel 1910 e quelli censiti nel 1921,
nell'ammontare delle vittime dell'asserita violenza dello stato italiano
nei confronti della popolazione slovena, evidentemente non hanno tenuto
conto del fatto che, tra le due date di confronto, ci fu
la Prima Guerra Mondiale con i suoi 8,5 milioni di soldati caduti, tra i
quali
ben 1,2 milioni dell'Esercito Austro-ungarico, cui
si aggiunsero, nel 1919, gli effetti devastanti della
"febbre spagnola", che costò alla sola popolazione italiana,
ben 300,000 morti in un anno.
In ogni caso, anche non
volendo considerare questi due eventi, il richiamo al
presunto "esodo" degli sloveni alla fine
della Prima Guerra Mondiale per con controbilanciare
la reale pulizia etnica subita dagli italiani dell'Istria, come vedremo
nella tabella N° 7 è vergognosamente insultante e derisorio.
I diagrammi ed i dati di
questa tabella non hanno bisogno di alcun commento
in quanto danno chiaramente ed inequivocabilmente la
rappresentazione di come non ci sia stato alcun esodo da parte degli
sloveni alla fine della Prima Guerra Mondiale (la loro
percentuale sul totale della popolazione della Venezia
giulia si ridusse di 6,5 punti percentuali) e di
quale invece sia stata l’ampiezza della
brutale pulizia etnica esercitata dagli sloveni sulla popolazione italiana
delle cittadine rivierasche dell’lstria
occidentale (la percentuale degli abitanti italiani sul totale della
popolazione si ridusse di 80 punti percentuali).
Vale ancora la pena di
ricordare che il Partito Nazionale Fascista ottenne la
guida di un governo di coalizione solo dopo la
cosidetta "marcia su Roma" (28 ottobre
1922) che si avviò a diventare una dittatura dopo la promulgazione
della legge elettorale maggioritaria del 23/12/1923
e lo divenne dopo il discorso pronunciato da Mussulini alla Camera il 3
gennaio 1925.
Non si comprende come un
partito che alle elezioni del mese di novembre del
1919 non riuscì ad ottenere nemmeno un seggio per
insediare il suo "Duce" al Parlamento,
e che in quelle del giugno 1921, ne ottenne appena 35. abbia potuto
realizzare, senza aver alcun potere, al di fuori di quello delle
manifestazioni di piazza, una politica di persecuzione etnica verso gli
slavi, tale da farne
fuggire ben 105.000 dalla Venezia Giulia.
Parlare quindi di esodo
degli slavi in genere e degli sloveni
in particolare per effetto delle
persecuzioni del regime avrebbe significato solo se esistessero
dei dati dai quali risulti che dopo il rimpatrio dei
105.000 slavi registrato col censimento
del 31/12/1921, altri 105.000 slavi abbiano lasciato la nostra regione.
In realtà i dati non
esistono ed alcuni Autori accennano ad un censimento
riservato del 1939 (condotto dai segretari e dagli
impiegati comunali sulla base della diretta conoscenza delle famiglie
delle città e delle zone rurali) che avrebbe rivelato una
presenza proporzionale di sloveni e croati ancora molto
alta rispetto al totale della popolazione italiana.
"Da questo punto di vista (cioè della
snazionalizzazione nds), conclude un'Autrice gravitante nell'orbita deqli
istituti storici resistenziali, dunque si registra
un fallimento."
Non è quindi affatto evidente quale sìa iI collegamento diretto tra il
rimpatrio dei 105.000 sloveni e
croati, avvenuto tra il 1919 ed il 1921, e le persecuzioni
del fascismo, proprio perché il regime si instaurò
ben 4 anni dopo il 31/12/ 1921, data entro la quale
il rimpatrio di sloveni e croati era già avvenuto.
FUORVIANTE ED ERRATA QUINDI
L'ATTRIBUZIONE DELLE CAUSE DEL RIMPATRIO DEGLI SLAVI DOPO LAPRIMA GUERRA
MONDALE, ALLE VIOENZE DELLO STATO
ITALIANO. L' ACCETTAZIONE SUPINA DI QUESTA TESI, DA PARTE
DEI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA,
CONFERMA IL GIUDIZIO DEL PROF.SEMA. FIRMANDOLA, ESSI NON SI SONO
COMPORTATI
NE’ DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI
COMPETENTI.
L'
AUTONOMIA CULTURALE RIVENDICATA DAGLI SLOVENI.
Proseguendo nella lettura della
relazione si apprende che:
"Di fronte alla durezza della repressione fascista, le
organizzazioni clandestine slovene,
assieme a quella dei fuoriusciti in Jugoslavia, decisero, verso la metà
degli
anni Trenta, di abbandonare le rivendicazioni di autonomia culturale
nell’
ambito
dello stato italiano per porsi invece come obiettivo il distacco
dall'Italia
dei
territori considerati etnicamente sloveni e croati.
Come risposta a tale attività di resistenza, il Tribunale
speciale per la difesa dello stato comminò molte
condanne a pene detentive e 14 condanne capitali,
10
delle quali eseguite."
Tali affermazioni sono
assolutamente contrarie al vero.
Infatti le mire
imperialistiche slave sulla Venezia Giulia, manifestate attraverso
la formulazione del confine etnico all'Isonzo e
perfino al Tagliamento, risalgono al
1843, quando da Zagabria vennero diffuse in tutta l'Europa le carte
etnografiche di F. Drog-Seijan.
Erano passati appena 35
anni da quando il Kopitar aveva scritto la prima grammatica della lingua slovena e poco meno da
quando Ljudevit Gay aveva fissato i fondamenti
della lingua letteraria croata e gli intellettuali di questi due
popoli slavi avevano già avanzato le loro
rivendicazioni espansionistiche verso terre
dove essi, particolarmente sulla costa, erano un'infima minoranza.
Infatti, mentre Matija
Ban, sul giornale croato di Ragusa "L'Avvenire" scriveva
che l'Adriatico era per eccellenza un mare slavo
dall'Isonzo all'Albania, la situazione demografica dei centri costieri, da
Trieste a Pirano, tanto per riferirsi alte sole
pretese slovene, era quella esposta nella tabella N° 8.
Da essa, appare di
un'evidenza solare che nei centri urbani bagnati da quello
che Matija Ban, definisce un "mare slavo",
gli slavi tutti, cioè sloveni, serbi e
croati, rappresentavano solo il 3,5 della
popolazione totale!
Considerando non solo i
centri urbani rivieraschi, ma anche i loro circondari,
evidentemente abitati da contadini e non certo da
pescatori e marinai la situazione, sempre nel 1880, è quella esposta
nella tabella N° 9.
Gli sloveni non
rappresentano più numericamente la terza minoranza come nei
centri urbani (cioè dopo gli italiani sudditi del
Regno e dopo i tedeschi), e passano ad essere numericamente la prima
minoranza che supera appena il 18% della popolazione. I serbo-croati, invece, rimangono sempre la quarta
minoranza attestata sullo 0,4%
della popolazione.
Ciò però, non impedì
al croato Eugen Kvaternik di scrivere sul suo diario, nel
1859, questa frase che è illuminante sulle pretese
imperialistiche ed espansionistiche degli slavi:
"I porci italiani sono bramosi di possedere
l'Istria litoranea. Per Dio. non avverrà almeno finché ha vita un solo
croato!"
Un altro esempio delle
cosidette "rivendicazioni di autonomia culturale" degli
sloveni, è fornito dal loro quotidiano
"Edinost" di Trieste, che, nel gennaio 1911, scrisse:
"la nostra lotta è per il dominio....Non la
abbandoneremo mai fino a quando non avremo
sotto i piedi, ridotta in polvere, l'italianità di Trieste...che si trova
agli
sgoccioli
e festeggia la sua ultima orgia prima della morte. Noi sloveni inviteremo,
domani, questi votati alla morte a recitare il confiteor."
Come si vede nella
tabella N° 10, dopo la rilevante importazione di sloveni avvenuta nel
trentennio 1880-1910, essi avevano raggiunto il 12,6% nel centro urbano
(dove nel 1880 erano il 3,8%), il 31,5% nei sobborghi (dove nel 1880 erano
il 21,9%) ed il 91,4% sull'altopiano (dove nel 1880 erano l'89,9%).
Nel totale del comune di
Trieste (dove nel 1880 erano il 18,1%) essi avevano
raggiunto il 24,8% contro il 68,6%
degli italiani, rimanendo comunque largamente minoritari.
Ciononostante gli
intellettuali slavi avevano stabilito, e proclamavano apertamente, il
loro programma per la "soluzione finale" del problema italiano.
I VOTATI ALLA MORTE (cioè gli
italiani della Venezia Giulia) SAREBBERO STATI INVITATI A RECITARE IL
CONFITEOR !
E si badi bene che
l'enunciazione del genocidio degli italiani, realizzato in seguito ma già
pianificato allora, avvenne quando la Venezia Giulia era sotto la
amministrazione austro-ungarica, Benito Mussolini
era un capo socialista e non aveva ancora fondato
il Fascismo, alle cui persecuzioni gli slavi, mentendo, attribuiscono la
responsabilità dei conflitti interetnici nella nostra regione.
Interessante anche
l'intervento del dottor Giuseppe Wilfan, tenuto il 31 maggio
1918 all'Hotel Balkan di Trieste. Su di esso così
scrisse, una settimana dopo, il "Lavoratore",
organo dei socialisti triestini:
"L'avvocato Wilfan è stato di una limpidità
sorprendente: Trieste e tutto il litorale appartengono alla madre
jugoslava, ed in ciò NON CONOSCIAMO COMPROMESSO DI SORTA CON ALCUNO
.'...se vogliamo incorporare Trieste nella futura Jugoslavia non lo
facciamo per sradicare gli italiani da queste terre,ma perché
consideriamo questi paesi come terra jugoslava...Dalle foci dell’Isonzo
sino
all'ultima cittadella dalmata E' SLAVO IL MARE CHE VI SI ESTENDE !"
Dimostrato quindi che gli
slavi, da sempre considerarono e pretesero come
loro anche delle terre in cui erano un'infima
minoranza, resta da vedere quali furono
le modalità con cui richiesero la loro "autonomia" all'interno
dello Stato italiano.
Tralasciando gli
assassini del maresciallo della Guardia di Finanza, Postiglione, della
guardia regia Giuffrida, del finanziere Plutino, del carabiniere Cecchin,
della guardia regia Poldu, del tenente Spanò e del
sergente Sessa, avvenuti a Trieste; quello del
finanziere Stanganelli avvenuto a Postumia, del brigadiere
dei Carabinieri Ferrara avvenuto a Pola e quello del
soldato Palmerindo avvenuto a Carnizza, che, per la loro collocazione
negli anni 1920-1922 possono essere attribuibili sia
ad una matrice di scontro politico che interetnico, non si
può ignorare ciò che avvenne nella Venezia Giulia,
a partire dall'estate del '24, quando, risolto il
contenzioso con il governo di Belgrado, si passò alla delimitazione del
confine da parte di una delegazione italo-jugoslava,
Nelle notti tra il 25 ed
il 26 maggio e tra il 22 ed il 23 giugno furono attaccati,
fortunatamente senza vittime, i posti della Guardia
di Finanza di Coterdasnizza e di Molini.
La notte succcessiva
all'assalto del posto di guardia di Molini, una banda di
una ventina di armati, provenienti da oltre confine,
attaccarono il corpo di guardia
del valico confinario di Unez, uccidendone il comandante, il
sottobrigadiere Lorenzo Greco.
Nell'aprile del 1926 fu
attaccata a scopo di rapina la stazione ferroviaria di
Prestrane. Nel
vero e proprio combattimento sviluppatesi, furono uccisi il ferroviere Ugo
Dal Fiume e la guardia di finanza Domenico Tempesta.
Nel mese di luglio 1926
fu appiccato il fuoco al bosco del Littorio a Trieste,
mentre in novembre ci fu un attentato dinamitardo
alla caserma di San Pietro del Carso, nel quale,
orrendamente dilaniato, trovò la morte Antonio Chersevan, e rimasero
gravemente feriti Francesco Caucich ed Emilio Crali.
Nella notte del 10
febbraio 1927, presso il castello di Raunach ci fu un'imboscata ad una
pattuglia di militi e nella sparatoria rimasero feriti Andrea Sluga e
Francesco Rovina.
Nel maggio 1927 fu tesa,
sulla strada tra Postumia e San Pietro del Carso, un'altra imboscata ad una di queste pattuglie, ed in
essa rimase ferito il milite Cicimbri e, il 29
dicembre di quell'anno fu incendiato il Ricreatorio di Prosecco.
Nell'aprile del 1928,
ancora a Prosecco, fu incendiata la scuola elementare,
nel maggio dello stesso anno fu incendiata quella di
Cattinara e fu tentato l'incendio dell'asilo infantile dell'Opera
Nazionale Italia Redenta di Tolmino.
Il 3 agosto 1928, fu
assassinata a tradimento la guardia municipale di San
Canziano, Giuseppe Cerquenik.
Alla fine dello stesso
mese fu incendiato il ricreatorio della Lega Nazionale di
Prosecco, e, dopo pochi giorni, ai primi di
settembre, fu incendiata la scuola di
Storie
Infine, il 22 settembre,
a Gorizia, furono uccisi lo studente Coghelli (che aveva
abbandonato le organizzazioni irredentistiche
slovene) ed il milite Ventin che aveva cercato di fermare l'assassino del
Coghelli.
Nel 1929, le violenze
slave si manifestarono, in gennaio, con la devastazione
dell'asilo infantile di Fontana del Conte, mentre
nel marzo ci fu l'assassinio, a Vermo, di Francesco
Tuchtan. Il responsabile
dell'omicidio, tale Vladimiro Gortan, reo confesso, fu processato e
giustiziato, come sarebbe avvenuto in qualsiasi altro stato del mondo,
a chi si fosse macchiato di un omicidio.
Nel giugno 1929, si ebbe
l'incendio della scuola di Smogliani, nel luglio l'attentato alla
polveriera di Prosecco, in novembre la rapina all'ufficio postale di
Ranziano ed in dicembre, i tentati omicidi
dell'agente Curet a S. Dorligo della Valle
e della guardia Francesco Fonda.
L'inizio del 1930 non si
rivelò meno tragico: in gennaio ci fu l'attentato al Faro
della Vittoria a Trieste, in febbraio fu incendiato
l'asilo infantile di Corgnale e fu assassinato
a Cruscevie il messo comunale Goffredo Blasina.
Il 10 febbraio ci fu
l'attentato dinamitardo al Popolo di Trieste, in cui perse la
vita lo stenografo Guido Neri e furono feriti
gravemente i correttori di bozze Dante
Apollonio, Giuseppe Missori ed il fattorino Marcelle Bolle.
I quattro responsabili dell'attentato, rei confessi,
furono processati e giustiziati, come sarebbe avvenuto, in quell'epoca, in
qualsiasi altro Stato del mondo.
Nel maggio del 1930,
vennero uccisi a San Dorligo della Valle, oggi Dolina, i
coniugi Marangoni ed infine, nei primi giorni di
settembre, in uno scontro a fuoco con dei terroristi
sloveni che cercavano d'introdursi in regione, fu uccisa
la guardia alla frontiera Romano Moise e il suo
commilitone, Giuseppe Caminada, rimase gravemente ferito.
Questo
lungo elenco di attentati e di assassini, in parte realizzati ed in parte
tentati, è stato ricostruito dalla stampa
dell'epoca ed è certamente incompleto.
Tuttavia
esso dimostra inequivocabilmente come una parte degli sloveni della
regione non avesse alcuna rivendicazione di
"autonomia culturale" da presentare al Regno d'Italia, ma
perseguisse, con l'arma del terrorismo indiscriminato,
già dal 1924, una prospettiva di guerra civile
nella regione al fine di sottrarla alla sovranità italiana, col pretesto
di considerare "etnicamente sloveni e croati"
dei territori nei quali, in realtà, sloveni e
croati erano larghissimamente minoritari. Alla
luce di tutto ciò si confermano assolutamente contrarie al vero, sia l'affermazione secondo cui:
-
"le organizzazioni clandestine slovene decisero, verso la metà
degli anni Trenta, di abbandonare le rivendicazioni di autonomia culturale
per porsi invece come obiettivo il distacco dall'Italia dei territori
considerati etnicamente sloveni e croati."
sia quella secondo cui:
-"II
Tribunale speciale per la difesa dello stato comminò....,14 condanne
capitali, 10 delle quali eseguite.
Le
condanne capitali pronunciate contro gli appartenenti alle organizzazioni
terroristiche nazionaliste iugoslave, TIGR e Borba,
furono cinque (Vladimiro Gortan, Luigi Valencic,
Francesco Marusic, Zvonimiro Milos e Ferdinando Bidovec) e furono tutte
eseguite entro il settembre 1930.
Altre
nove condanne alla pena capitale, furono pronunciate nel dicembre 1941,
e cinque furono eseguite, in un contesto
completamente diverso. Era già iniziata la
seconda guerra mondiale, la Jugoslavia era smembrata e gli
imputati facevano parte, non di organizzazioni
nazionaliste slave ma di organizzazioni comuniste slave.
Particolare
forse secondario, ma certamente curioso, è che uno dei quattro
condannati cui il Tribunale speciale fascista
concesse la grazia nel dicembre 1941, l'agronomo Antonio
Schuka, nel maggio 1945 fu prelevato dagli stessi titini, e, dopo un breve soggiorno nel campo di
concentramento di Prestranek, fu fatto sparire per
sempre in qualche foiba sconosciuta.
QUINDI, L'ACCETTAZIONE DI
QUESTE AFFERMAZIONI, DA PARTE DEI MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA,
CONFERMA PIENAMENTE IL GIUDIZIO DEL PROF. SEMA. ESSI NON SI SONO
COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA STORICI
COMPETENTI.
L'OCCUPAZIONE JUGOSLAVA (1945)
DI TRIESTE DI GORIZIA E DELL'ISTRIA
Come conclusione della parte
intitolata "Periodo 1941-1945, la relazione dice;
". .i giuliani favorevoli all'Italia considerarono
l'occupazione jugoslava come il momento
più buio della loro storia, anche perché essa si accompagnò nella zona
di
Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano ad un'ondata di violenza che
trovò
espressione
nell'arresto di migliala di persone, parte delle quali venne in più
riprese rilasciata -in larga maggioranza italiani, ma anche sloveni
contrari al progetto politico comunista jugoslavo- in centinaia di
esecuzioni sommarie immediate -le cui vittime vennero in genere gettate
nelle foibe- e nella deportazione di un gran numero di militari e
civili, parte dei quali perì di stenti o venne liquidata nel corso dei
trasferimenti nelle carceri o nei campi di concentramento creati
in
diverse zone della Jugoslavia."
L'affermazione secondo
cui l'ondata di violenza abbattutasi alla fine della guerra sulla Venezia
Giulia in seguito all'occupazione iugoslava avrebbe trovato espressione in
centinaia di esecuzioni sommarie, le cui vittime sarebbero state
gettate nelle foibe, ci dà la conferma che i membri
italiani della Commissione mista, sull'argomento
"foibe", ignorano perfino le notizie giornalistiche degli ultimi
anni. Essi, ad esempio, sono
all'oscuro del recupero di 400 chili di ossa umane, effettuato da
speleologi capodistriani da alcune grotte dei dintorni di quella città,
annunciato il 22 luglio 1992 dal quotidiano locale
nella pagina "Istria, Litorale e Quarnero".
L'11 settembre dello
stesso anno, in occasione del rinvenimento di una quindicina di corpi
umani in una grotta a San Daniele del Carso, lo stesso quotidiano confermò
la notizia dei ritrovamenti di Capodistria, scrivendo:"C'é il sospetto che la
Slovenia pulluli di grotte che nascondono resti d'infoibati. In luglio una
commissione
di speleologi sloveni ha concluso un'operazione di recupero dei
resti
umani nel Capodistriano portando alla luce oltre quattro quintali di
ossa."
L'argomento ritornò alla
ribalta della cronaca nella primavera del 2000, quando la stampa locale
riprese l'accorato appello lanciato al Convegno regionale di Speleologia del Friuli-Venezia Giulia, dal capo
degli speleologi sloveni che avevano effettuato i
recuperi. Tra l'altro, nella sua
relazione, l'uomo dichiarò pure che i 400 chili di ossa recuperati erano
solo la "punta dell'iceberg" di quelli ancora giacenti.
La semplice lettura dei
quotidiani avrebbe dovuto far dubitare i membri italiani
della Commissione sulla esiguità della
quantificazione delle vittime degli infoibamenti espressa in
"centinaia" di persone.
Tuttavia, anche in
assenza di tale informazione, non si comprende come mai
nemmeno uno dei componenti italiani della
Commissione sia stato a conoscenza di quanto scritto sull'argomento, non
da un giornalista qualsiasi, ma da uno studioso
delle vicende giuliane quale il professor Diego de Castro, allora
professore ordinario nell'Università di Torino, nonché consigliere
politico del governo italiano a Trieste.
Già nel settembre 1945,
egli aveva steso una serie di rapporti sull'argomento
intitolati "Italian prisoners in Yugoslav
camps", "Yugoslav atrocities and abuses in Venezia Giulia, Fiume and Zara" e "The
ravines of death". Proprio in questo ultimo
rapporto vi è la denuncia, chiara ed incontestabile, degli infoibamenti
al
Pozzo della Miniera di Basovizza e dei recuperi di
grandi quantità di resti umani effettuati da tale tragico sito, dagli
Alleati sino dall'estate 1945.
Il
professore, in ogni sua opera, ha sempre ribadito questa denuncia, talché
essa appare sia in "Il problema di
Trieste", Cappelli, Bologna, 1952, sia in "Trieste. Cenni riassuntivi sul problema
giuliano nell'ultimo decennio", Cappelli, Bologna, 1953.
In
particolare, nel volume "II problema di Trieste", con pazienza
certosina, il professore espone nella nota N.1
delle pagine N.171 e 172 del quinto capitolo intitolato "L'occupazione iugoslava nella
Venezia Giulia", una lunga serie di riesumazioni desunte dalle
cronache giornalistiche dell'epoca.
Egli
inizia dicendo: "Nella Zona A della Venezia Giulia, nel novembre
1945, cominciarono, da parte di squadre di giovani, le
esplorazioni delle foibe. L'elenco che segue non è completo. Altre foibe
furono trovate ed altre vittime riesumate. Quella di Basovizza era stata,
già in precedenza, esplorata dagli Alleati che nel luglio ed agosto 1945,
avevano tratto fuori, mediante una benna, 450
metri
cubi di resti umani."
E
l'anno successivo, lo stesso professore, nel suo "Trieste. Cenni
riassuntivi sul problema giuliano
nello ultimo decennio", ribadisce sia i recuperi di 450
metri cubi di resti umani dalla foiba di Basovizza,
sia gli altri recuperi, dicendo:
"Altre foibe,
innumerevoli, furono trovate col loro raccapricciante contenuto di
resti
umani tormentati o semplicemente uccisi; un elenco spaventosamente lungo e
abbastanza preciso, se non completo, si trova nel mio volume "II
problema di Trieste" da cui sono tratte queste note."
Anche
ammettendo che tutti i membri italiani che hanno firmato il documento
della Commissione fossero all'oscuro di quanto
scritto dal professor Diego de Castro, è necessario far
notare un'altra circostanza che rende veramente inesplicabile la
quantificazione delle vittime degli infoibamenti in "centinaia".
Ai
lavori della Commissione, infatti, ha partecipato per un non breve periodo
di tempo, il professor Elio Apih, docente di Storia
all'Università di Trieste, al quale va il merito di
aver reperito per primo, al Public Record Office di Londra,
una serie di documenti di fonte anglo-americana e di
averne pubblicato il più significativo, anche se
dopo avervi apportato alcune censure, a pagina 163 del
suo "Trieste. La storia economica e
sociale" edito nel 1988 da Laterza.
Il
documento in questione (PRO, FO 371/48953,r. 1085) che fa parte degli atti
di un'inchiesta disposta dal Quartier Generale delle
forze alleate in Italia, riferisce che:
- "E" stato stabilito,
al di la di ogni dubbio, che durante l'occupazione jugoslava
di
Trieste e del territorio, molte migliala di persone sono state gettate
nelle foibe locali. A Trieste tutti i mèmbri della
Questura, della Pubblica Sicurezza, della Guardia
di
Finanza, dei Carabinieri, della Guardia Civica e combattenti e patrioti
del
CLN
che sono stati presi dagli Iugoslavi, sono stati arrestati e gettati
nelle foibe
(...)
Basovizza. E' stato riferito che vi sono state gettate circa 800
persone."
-
"II 2 maggio egli (il testimone, un sacerdote sloveno nds) andò a
Basovizza (...) vide in un campo vicino circa 150
civili (......). Tutti i 150 vennero fucilati in
massa
(...) e, in seguito, in quanto non c'erano bare, vennero gettati nella
foiba." -"Il 3 maggio (...) vide
nello stesso posto circa 250-300 persone. La maggior parte erano civili.
C'erano soltanto circa 40 soldati tedeschi (...) Queste persone
vennero
uccise dopo un processo sommario. Nella maggior parte erano civili
arrestati
a Trieste."
Poiché
appare estrememente improbabile che nemmeno uno dei componenti italiani della
Commissione abbia letto le opere dei professori de Castro ed Apih, e
comunque, anche se ciò fosse avvenuto, è assolutamente da escludersi
che quest'ultimo, nel corso dei lavori, abbia
taciuto i risultati delle sue riceche, non
si comprende come essi abbiano potuto accettare una quantificazione delle
vittime così riduttiva.
Com'é
errato e fuorviante quantificare le vittime delle foibe in centinaia,
altrettanto errato e fuorviante è l'inciso riguardante gli sloveni,
contrari al regime comunista, che avrebbero
trovato la morte assieme agli italiani. Nella
zona di Gorizia e di Trieste, tra migliaia e migliaia di scomparsi, le
vittime slovene delle foibe non superano, quantitativamente qualche decina
di persone. Tra esse, oltre al già citato Antonio Schuka, vanno ricordati
Stana Bardule e Mario Cech-Cecchi di Basovizza, Mario Baus, Danilo
Mackiewycz di Trieste, Dora Ciok di Longera, Francesco Jazbar di Idria,
Stanislava Kravos di Gorizia ed Errich Sprinar di Montespino.
In
realtà, gli sloveni ed anche i croati contrari al regime comunista
assassinati
alla fine della seconda guerra mondiale furono
centinaia di migliaia, ma la loro tragedia
si compì in zone ben lontane dalla Venezia Giulia.
Come testimoniato dagli articoli della "Voce
del Popolo" di Fiume sulla messa funebre
celebrata l' 8 luglio 1990 dall'arcivescovo di Lubiana, Alojz Sustar alla
presenza dell'attuale presidente della Repubblica di
Slovenia, negli abissi della foresta di Kocevje furono
infoibati sicuramente 11.000 militari sloveni, 2.400
serbi, 4.500 russi e 18.000 croati, tutti
anticomunisti.
Essi
si erano arresi agli inglesi in Carinzia e furono da questi consegnati ai
titini, come quasi tutti coloro che fuggivano dalla Jugoslavia per
sottrarsi al terrore comunista. Come testimoniato
dall'articolo "Foibe, rivelazioni dei responsabili", apparso
sul Piccolo del 30 novembre 1994, l'abisso di
Podutik, nei dintorni di Lubiana, fu
la tomba per un migliaio di esseri umani. La decomposizione dei corpi, però,
portò all'inquinamento delle fonti d'acqua e costrinse gli stessi
assassini,
dopo qualche settimana, a recuperare le salme e
sotterrarle nella vallata vicina.
Nell'
estate del 1999, dopo che nell'inverno precedente la televisione italiana
aveva mostrato le immagini del fondo della foiba di
Montenero d'Idria ricoperto da cumuli di ossa umane, e sul
"Piccolo" erano apparse delle fotografie dalle quali anche il
fondo della foiba di Casali Nemci, presso Tarnova, appariva
in tali condizioni, la "Voce del Popolo"
di Fiume diede la notizia che, nei lavori di
costruzione della tangenziale di Maribor, erano stati ritrovati dei resti
umani.
Per la
precisione, in settanta metri di scavi eseguiti dove durante la guerra
c'era una fossa anticarro lunga dai 2,5 ai 3
chilometri, erano riemersi ben 700 scheletri.
Avevano così drammatica ed incontestabile conferma, le denunce,
rilasciate sin dall'immediato dopoguerra, dalla
stampa dei fuoriusciti jugoslavi in
cui, oltre al massacro di decine di migliaia di prigionieri a Rajenburg,
Kamnik e nei pozzi abbandonati delia miniera di Brastnik, si citava
esplicitamente
che ben "40.000 cadaveri giacciono nelle fosse
comuni intorno a Maribor."
L'AVER ACCETTATO LA TESI
SECONDO CUI LE VITTIME ITALIANE DEI MASSACRI AVVENUTI A FINE GUERRA,
SOMMARIAMENTE PRECIPITATE NELLE FOIBE, SAREBBERO
QUANTIFICABILI IN CENTINAIA, E L'AVER TACIUTO IL DRAMMATICO AMMONTARE DELLE VITTIME NON ITALIANE CHE
SUBIRONO LA STESSA TREMENDA,
INUMANA SORTE, CONFERMA PIENAMENTE IL GIUDIZIO DEL PROFESSOR SEMA SUI
MEMBRI ITALIANI DELLA COMMISSIONE MISTA ITALO-SLOVENA. ESSI
NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI,
NE' DA STORICI COMPETENTI.
CAUSE DELL'ESODO ISTRIANO
E PERSECUZIONI ITALIANE SUGLI SLOVENI DOPO LA SECONDA GUERRA
MONDIALE
In
conclusione, la relazione non può esimersi dall'accennare all'esodo degli
istriani schiacciati sotto le efferate violenze del regime comunista
tifino. In merito a ciò, essa afferma: "Complessivamente nel corso del
dopoguerra l'esodo dai territori istriani oggi soggetti alla sovranità
slovena coinvolse più di 27.000 persone vale a dire la quasi totalità
della popolazione italiana ivi residente..."
Esponendo
le ragioni di questo esodo la relazione usa delle espressioni molto
ovattate quali: "l'impedimento della libera espressione dell'identità
nazionale", "il rigetto dei mutamenti nell'egemonia nazionale e
sociale nell'area","la ripulsa nei confronti delle radicali
trasformazioni introdotte nell'economia", non mancando di accennare,
di sfuggita "all'azione propagandistica di agenzie locali
filoitaliane, anche in assenza di sollecitazioni del governo
italiano.."
Parlando
invece, del ritorno dell'Italia a Gorizia, la relazione denuncia che il
reinserimento della città nello stato italiano "fu
accompagnato da numerosi episodi di violenza contro gli sloveni e contro
le persone favorevoli alla Jugoslavia."
Riferendosi
poi alla posizione degli sloveni abitanti nelle valli del Natisone e del
Resiano e dalla Val Canale, la relazione dice che gli assertori degli
orientamenti politici filo-jugoslavi "furono fatti oggetto di
intimidazioni ed arresti, e in alcuni casi di atti di violenza da parte di
gruppi estremisti e formazioni paramilitari."
Ed
essa aggiunge ancora: "Anche il clero sloveno incontrò difficoltà sia con
le autorità civili sia con quelle religiose diocesane nel riaffermare il
proprio ruolo di riferimento per l'identità degli sloveni."
Non si
capisce come la relazione abbia ritenuto doveroso sottolineare queste
asserite "violenze" ai danni degli sloveni ed abbia sottaciuto
invece l'azione terroristica svolta dalle cosidette "autorità
popolari" (che si giovarono persino di italiani ideologicamente loro
affini) e che portò alla eliminazione fisica di centinaia e centinaia di
italiani di Capodistria, Isola e Pirano nel maggio-giugno 1945,
Eppure,
è certo che:
- nei primi giorni dell'
ottobre 1945 a Berlocchi, una banda di sloveni titini massacrò quattro
persone della famiglia Pizziga:
- il 30 ottobre 1945, ci
fu a Capodistria uno sciopero contro il furto legalizzato costituito
dall'introduzione della jugolira, e che detto sciopero fu selvaggiamente
represso dagli sloveni con la devastazione dei negozi italiani del centro
della cittadina e con il bestiale linciaggio pubblico di Angelo Zardi e
Francesco Reichstein.
Altrettanto
certi sono i rapimenti con relativa scomparsa che dura a tutt'oggi,
operati dagli sloveni, ai danni dei seguenti italiani della Venezia
Giulia:
-
Mario Marcosig, nato a Mossa di Capriva nel 1922. di professione
muratore, rapimento avvenuto a Gorizia il 18 agosto 1945:
-
Andrea Margarita, nato a Piedimonte del Calvario nel 1899.
possidente, prelevato in via Diaz a Gorizia il 20 settembre 1945:
-
Luigi Tracanelli, nato a Codroipo nel 1926, studente, prelevamento
avvenuto nel febbraio 1946 a Osppo:
-
Giovanni Carta, nato a Fiume nel 1925, agente della Polizia Civile,
rapimento avvenuto al posto di blocco di Albaro Vescovà il 24 marzo 1946;
-
Domenico Passalacqua, nato a Partinico (PA) nel 1901, medico
condotto di
San Dorligo della Valle, rapito dall'O.Z.N.A. il 4
giugno 1946;
- Luigi Maffezzoni; nato a
Piubega (MN) nel 1895, impiegato del comune di San
Dorligo della Valle,
rapito il 13 luglio 1946;
-
Edoardo Devetach, già internato in Germania, impiegato presso
l'amministrazione alleata a Comeno, rapimento ivi avvenuto il 25 agosto
1946;
-
Vincenzo Meo, nato in provincia di Chieti nel 1898, prelevato a
Gorizia il 3 settembre 1946.
Non meno tragica sorte toccò,
nell'Istria amministrata dagli sloveni, a:
-
Mario Musizza, da Isola d'Istria, arrestatodalla polizia segreta
UDBA e "trovato" impiccato nella sua cella delle carceri di
Capodistria il 29 marzo 1948;
-
Piero Minca, nato a Capodistria nel 1898, di professione tipografo,
arrestato il
5 marzo 1951 per aver avuto un diverbio con un "druze" della
Difesa Popolare, consegnato cadavere ai suoi famigliari, tre giorni dopo,
perché pure lui "si era impiccato".
Passando alle valli del
Natisone, dove, secondo la relazione si era instaurato
un clima di intimidazione e di violenze ai danni
degli sloveni, la Commissione ha taciuto nel settembre
del 1945, furono assassinati il dr. Giuseppe Penasa,
medico condotto e sindaco di S. Leonardo del
Natisone e sua moglie Giuseppina, nata Cepparo. L'uomo aveva ripetutamente
denunciato i delitti commessi dagli "assertori
degli orientamenti politici filo iugoslavi", cioè di quella banda di
criminali slavocomunisti, denominata Beneska Ceta,
comandata dal ben noto Mario Sdraulig, che aveva
terrorizzato la zona con omicidi e rapine durante e
dopo la guerra.
Sempre restando nella
cosiddetta Benecia dove secondo la relazione, la minoranza slovena veniva
brutalmente vessata dalla Repubblica Italiana,
-
la bambina decenne Ludmilla Mauri, il 4 dicembre del 1947, fu
uccisa a raffiche di mitra da un soldato sloveno, sulla sponda dello
Judrio, "perché tentava di espatriare";
-
Silvio Buttolo nato ad Uccesa di Resia (Gorizia) nel 1925, l'11
settembre 1950
fu ucciso a fucilate dai gendarmi sloveni mentre,
munito di regolare permesso, stava raccogliendo legna in un bosco nei
pressi del confine.
Sul Carso triestino, a
Draga Sant' Elia, due gitanti triestini, Pierina Panicari e
Vittorio Di Pompeo, che la domenica 3 settembre 1951
avevano inavvertitamente sconfinato di pochi metri nel territorio della
Zona B, furono uccisi entrambi a raffiche di mitra dai
gendarmi sloveni.
La relazione, come
abbiamo visto, asserisce ancora che il clero sloveno avrebbe incontrato
delle difficoltà nei rapporti con le autorità civili italiane.
Benché dette
"difficoltà" non siano state chiaramente esplicitate,
difficilmente
esse furono superiori o paragonabili a quelle
incontrate dal parroco di San Daniele del Carso, don
Antonio Satej, assassinato dai partigiani sloveni il 26
settembre 1943; dal parroco di Poggio S. Valentino
(Gorizia), don Luigi Obid, prelevato dai partigiani
sloveni il 2 gennaio 1944: dal diacono della diocesi di
Gorizia. Rodolfo Trcek, assassinato a Montenero
d'Idria il primo settembre 1944: dai sacerdoti di
Chirchina, don Ladislao Piscanc e don Lodovico Sluga,
assassinati a Chirchina il 5 febbraio 1945; dal
parroco di Brja (Gorizia), don Ernesto Bandelj
assassinato il 18 aprile 1945: dal parroco di San Giovanni di
Sterna, don Casimiro Paich, assassinato a S. Croce
di Gorizia il 29 aprile 1945 o dal parroco di Goregna
di Salona (Gorizia), don Isidoro Zavadiav, assassinato dai partigiani
sloveni il 17 settembre 1946,
Quelli furono tempi molto
duri per il clero slavo, ma solo per la parte di esso
che rimase soggetta alla sovranità degli sloveni e
dei croati, federati nella Repubblica comunista di Jugoslavia.
Infatti da mano
titino-croata, furono assassinati, solo nel dopoguerra, il parroco di
Elsane, don Vittorio Perkan, (ucciso il 9 maggio 1945 mentre si trovava
al cimitero ad officiare un servizio funebre); il
curato di Villa Gardossi, don Francesco Bonifacio,
prelevato e fatto sparire 1'11 settembre 1946 ed il parroco di Mompaderno,
don Miroslavo Bulesic, che fu assassinato a Lanischie il
24 agosto 1947. Nella stessa occasione, Monsignor
Ukmar, si salvò solo perché ritenuto già morto.
Ad ogni buon conto, anche
Mons. Ukmar fu successivamente processato e condannato ad un mese di prigione per gli incidenti
avvenuti quando i titini gli impedirono di cresimare i
giovani di Lanischie.
E' incredibile che, da un
lato la Commissione mista parli di generiche "difficoltà"
incontrate dal clero sloveno nei rapporti con le autorità della
Repubblica
italiana, e dall'altro nessuno dei suoi membri
italiani, a proposito di rapporti tra
clero italiano ed autorità slovene, si sia ricordato di ciò che avvenne
a Capodistria, il 19 giugno 1947.
Per ricordarlo a questi
immemori, citiamo ciò che ne scrive il professor Diego
de Castro nel suo "La questione di
Trieste" a pagina 592:
"Un terzo episodio, che ebbe grandissima
risonanza, per la personalità che ne fu
coinvolta, è costituito dall'aggressione al Vescovo di Trieste e di
Capodistria, Mons. Antonio Santin, che si era recato nella sua diocesi,
cioè a Capodistria per la festa patrono, San Nazario. il 19 giugno
1947, dopo aver chiesto ufficialmente il permesso alle autorità
Jugoslave.
Riporto dal libro del Vescovo: Mi trovarono, mi
insultarono, gridando che dovevo andarmene. E mi trascinarono
violentemente giù per le scale percotendomi con pugni, calci e con legni
sulla testa. Arrivai in cortile perdendo mozzetta, rocchetto,
croce e scarpe. Ero tutto insanguinato. Mi spinsero e trascinarono,
mentre
sui muri esterni del cortile gente arrampicata urlava improperii...
Il Vescovo si salvò perché i
capodistriani corsero a chiamare la polizia, che
intervenne
tardi ad arginare la folla, proprio quando un energumeno entrato in
cucina
aveva preso dal tavolo un gran coltello con cui le suore tagliavano la
carne.
E si salvò anche perché una donna del popolo lo avvertì
che gli avrebbero offerto di riportarlo in barca a
Trieste, allo scopo di gettarlo in mare in mezzo
al
golfo con una pietra al collo. E la barca gli fu effettivamente offerta.
Il Vescovo era stato informato dell'aggressione prima di partire da
Trieste: tuttavia
era
andato a Capodistria da solo per non mettere in pericolo la vita di altre
persone
che l'accompagnassero."
AVER SOTTACIUTO TUTTE LE
PERSECUZIONI. LE VIOLENZE, LE RAPINE E GLI
OMICIDI CHE GLI SLOVENI INFLISSERO AGLI ITALIANI DELL'ISTRIA, CAMUFFANDOLE
COME L'IMPEDIMENTO ALLA LIBERA MANIFESTAZIONE DELL'IDENTITÀ' NAZIONALE, E
NEL CONTEMPO L' AVER ACCREDITATO PER VERA UNA PRESUNTA, MA MAI AVVENUTA
PERSECUZIONE DEGLI SLOVENI IN ITALIA NEL SECONDO
DOPOGUERRA, SOSTENENDO PERFINO DELLE MAI AVVENUTE
PERSECUZIONI RELIGIOSE E DIMENTICANDO LA BRUTALE AGGRESSIONE SLOVENA AL
VESCOVO DI TRIESTE E CAPODISTRIA, SONO CONFERME DIRETTE ED
INCONTESTABILI AL GIUDIZIO DATO DAL PROF. SEMA SUI MEMBRI ITALIANI DELLA
COMMISSIONE. ESSI NON SI SONO COMPORTATI NE' DA STORICI ITALIANI, NE' DA
STORICI COMPETENTI.
CONCLUSIONI E PROPOSTE
E'
stato dimostrato che la relazione della Commissione mista è inficiata da
una serie di errori clamorosi. Ciò è particolarmente grave in un lavoro
che, secondo la coopresidente slovena Milica Kazin Wohinz, dovrebbe
rappresentare
"il punto di partenza per il dialogo e la
riconciliazione" tra i due popoli vicini.
La
relazione, invece,contrariamente alle dichiarate buone intenzioni della
Kazin,
raggiunge lo scopo diametralmente opposto. Essa pare
scritta apposta per alimentare il
risentimento e l'odio reciproco tra gli sloveni e gli italiani.
Ad
esempio, essa, sostenendo contro ogni evidenza storico-demografica,che
Gorizia e Trieste, senza la Grande Guerra, sarebbero
diventate "naturalmente" due
città slovene, alimenta il risentimento e l'odio degli sloveni verso gli
italiani "usurpatori" di
due loro città. Analogamente, tutte le
affermazioni della relazione demolite con il presente
studio, convincono il lettore sloveno che il suo
popolo è stato una vittima degli italiani
e lo inducono ad odiarli almeno fino a quando essi non avranno pagato
il loro debito morale.
E'
vero che un lettore italiano, ignorante delle vicende della Venezia Giulia
e
credulone come i componenti italiani della
Commissione, potrebbe, leggendola, convincersi dell'esistenza di un
"debito morale" dell'Italia verso gli slavi. Ciò
potrebbe anche indurlo a riconoscere le "giuste
rivendicazioni" slovene su Trieeste e Gorizia, ed a giustificare la
feroce pulizia etnica fatta Pirano, Capodistria
ed Isola d'Istria e via discorrendo.
Ma non tutti gli italiani
sono dei perfetti ignoranti sulle nostre vicende e non
tutti sono dei creduloni come i già citati mèmbri
italiani di questa Commissione. A parte i dati dei censimenti
austroungarici, a smentire le affermazioni della relazione, c'è un'ampia
letteratura scritta da storiografi quali Tamborra, Valiani,
de Castro, Salvemini, Valussi, che sono studiosi ben
più autorevoli ed importanti dei quattro docenti di storia, del giurista,
del senatore e della geografa che, con scelta veramente
infelice, i passati Governi italiani, hanno incaricato di
confrontarsi con i membri sloveni.
Così, il lettore
italiano del documento della Commissione mista che andasse a
verificare sui testi dei citati studiosi quale fu il
vero svolgersi e concatenarsi degli
avvenimenti, troverebbe confermato che gli sloveni, oggi come cento e
più anni fa, non hanno riposto le loro mire
espansionistiche sui territori italiani e
che per loro, l'assassinio terroristico e l'attentato dinamitardo rivolti
contro gli italiani, altro non
sono che delle legittime manifestazioni di autonomia culturale.
Insomma, questo documento
"storico", anziché indurre nei lettori quel processo
psicologico, così mirabilmente descritto dal Manzoni nei personaggi della
"festa del perdono", altro non fa che
aizzare all'odio entrambe le parti.
Perciò esso non deve
rimanere "congelato" alla Farnesina com'é adesso, ma
deve venire pubblicamente sconfessato dal Governo
italiano.
Allo scopo di raggiungere
questo obiettivo, cui dovrebbe far seguito una onesta ricostruzione delle
vicende della nostra terra (ricostruzione basta sui fatti e
non su interpretazioni letterario-filosofiche o
peggio, sui desideri personali nati da
inclinazioni politiche), il gruppo di studio sottopone i risultati di
questa ricerca al giudizio di Enti pubblici, di associazioni
socioculturali, di studiosi e di tutti coloro cui sta a
cuore la pace e la pacifica convivenza tra i popoli, pronto
ad accettare ogni critica fondata ed a discutere
ogni punto esposto.
ALLEGATI
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