1972 - ACCADEMIA NAVALE - 48°
CORSO AUCL DELLA MARINA MILITARE
2012 - RADUNO IN ACCADEMIA PER
IL 40° ANNIVERSARIO DEL CORSO
Il Corriere della Sera 26 e 27-1-2012
La lunga notte del naufragio. Ecco chi dice la
verità (26-1-2012)
Tutte le bugie di Schettino nel racconto degli
ufficiali. (27-1-2012)
Simone Innocenti
Antonella Mollica
A tredici giorni dalla tragedia della Costa Concordia abbiamo ricostruito
l’ultima notte della nave. Con tutti i dubbi e le versioni contrastanti.
A tredici giorni dalla tragedia della Costa Concordia abbiamo
ricostruito l’ultima notte della nave. Dal momento della partenza dal porto di
Civitavecchia all’inabissamento nelle acque davanti all’isola del Giglio. Con
il ritardo nell’allarme, le telefonate alla capitaneria di porto, il ruolo del
comandante Schettino accusato di aver abbandonato nave e passeggeri. In corsivo
abbiamo sottolineato i dubbi della ricostruzione e le versioni contrastanti.
Nodi fondamentali sui quali l’inchiesta dovrà fare luce.
L’avevano chiamata «profumo di agrumi» quella crociera
della nave Concordia, giovane ammiraglia della Costa. Partenza da
Civitavecchia, con tappe a Savona, Marsiglia, Barcellona, Palma de Maiorca,
Cagliari e Palermo. Ma la nave dei sogni arriva al capolinea sugli scogli
davanti all’isola del Giglio, due ore e 45 minuti dopo la partenza dal porto,
portandosi nei fondali un carico di 16 morti e almeno 16 dispersi. Era venerdì
quando affondò il Titanic, cento anni fa, ed è venerdì 13 gennaio quando nelle
acque dell’Argentario s’inabissa il gigante del mare nato sotto il segno della
sfortuna. La profezia nel battesimo della nave: il 2 settembre 2005 la
bottiglia di champagne lanciata contro la fiancata, rito marinaro scaramantico,
rimbalzò e rimase intatta. Mentre la banda suonava, tra l’imbarazzo generale,
la bottiglia venne recuperata e rotta a mano. Sei anni e quattro mesi dopo quel
varo infelice il funerale della Concordia: ad accompagnarla nell’ultimo viaggio
ci sono oltre 3 mila passeggeri e 1200 membri dell’equipaggio.
La nave salpò da Civitavecchia con un ritardo di due
ore. La difesa di Schettino parla di una possibile avaria ma uno dei membri
dell’equipaggio sostiene che prima di partire fu fatto un check
a tutta la strumentazione di bordo che risultava perfettamente funzionante.
Alle 21.30 il maitre del ristorante Milano, Antonio Tievoli, sale sulla plancia di comando: il comandante
Francesco Schettino non c’è e l’imbarcazione procede col pilota automatico. Il
racconto di Tievoli viene confermato ai magistrati
anche dagli altri ufficiali che in quel momento si trovavano nella plancia di
comando. Alle 21.35 arriva il comandante Schettino. Fa disattivare il pilota di
comando per navigare a vista. Alle 21.35 Schettino si avvicina alla costa del
Giglio per fare un inchino in omaggio a Mario Palombo, ex comandante della
Costa in pensione (che quel giorno però non era al Giglio ma nella sua
abitazione a Grosseto), e al maitre Antonello Tievoli,
originario dell’isola.
Schettino spiega ai magistrati che di quella manovra
la Costa Crociere fosse informata, sostiene di aver preannunciato la sua
manovra a Palombo facendolo chiamare al telefono proprio da Tievoli.
In questo caso le ricostruzioni differiscono: Palombo sostiene di fronte ai pm
di averlo consigliato di tenersi alla larga dalla Costa e Tievoli
spiega, sempre ai pm, di non essere lui l’uomo omaggiato con l’inchino. Nella
caserma dei carabinieri di Orbetello, dove Schettino viene portato il giorno
dopo la sciagura, viene piazzata una microspia: l’uomo, al telefono con un
amico, sostiene di aver fatto l’inchino su pressione di un «manager» che aveva
insistito moltissimo: «Qualcun altro al posto mio non sarebbe stato così
benevolo da passare là sotto perché mi hanno rotto il c...: passa di là, la
secca c’era ma non era segnalata dagli strumenti che avevo e ci sono passato
per dare retta al manager, passa da lì, passa da lì...». Poi in un’altra
telefonata a un amico dice: «Mi ha rotto il c... andiamo a salutare il Giglio.
Stava uno scoglio sporgente e non l’abbiamo visto e ci siamo saliti su. Mi sono
fidato delle carte nautiche e del Palombo che mi ha chiamato». Davanti
all’interrogatorio davanti al gip aveva detto che «la manovra del Giglio era
stata pianificata alla partenza, anche perché avremmo dovuto farla la settimana
prima, ma non fu possibile per il cattivo tempo. Ci fu insistenza, dissero:
perché facciamo navigazione turistica, ci facciamo vedere, facciamo pubblicità
e salutiamo l’isola». Costa Crociera sostiene invece di non aver autorizzato
una sola volta un inchino sotto costa, nel 2010 a Procida. Schettino corregge:
«Gli inchini li facciamo in tutto il mondo. Anche nella penisola sorrentina, a Capri, tanto che gli annunci vengono stampati
la mattina a bordo delle navi». «Nel giornalino di bordo era scritto che
saremmo passati a 5 miglia dalla costa», ribatte l’ad della Costa Pierluigi
Foschi. Il comandante in seconda Roberto Bosio ha
detto «che la navigazione ravvicinata era programmata fin dalla partenza della
nave da Civitavecchia».
Ore 21,42: la Concordia si incaglia, come risulta dal
tracciato Ais della Capitaneria di Porto, a 150 metri
dall’isola. Un membro dell’equipaggio racconta di aver sentito un tremolio: si
recò in plancia a capire cosa stesse accadendo, l’atmosfera era tranquilla: che
alle 21,48 esatte ancora nessuno si era reso conto di quanto stava accadendo.
Schettino ai pm ha invece detto che si informò
immediatamente con la sala macchine: da sotto gli spiegarono che c’erano
problemi seri. Schettino si assume la responsabilità della manovra e chiama in
causa i suoi ufficiali, colpevoli di non averlo avvertito. Sentiti dai pm, i
secondi di Schettino dicono invece di averlo sollecitato su quanto stava
accadendo.
L’allarme scatterà con un ritardo di un’ora e quindici
minuti. Alle 22 la capitaneria di porto registra «traffico marittimo regolare».
Sei minuti dopo i carabinieri di Prato ricevono una telefonata di soccorso: una
signora viene chiamata dalla madre che si trova a bordo della Concordia e
racconta che è crollato parte del soffitto del ristorante e che è arrivato
l’ordine di indossare i giubbotti di salvataggio. Alle 22,12 la capitaneria,
tramite l’Ais (automatic identification system), individua la Concordia e chiama la
nave per sapere se ci sono problemi. Schettino dice che c’è solo un problema di
black out e che tutto si sarebbe risolto in pochi
minuti. In realtà i passeggeri hanno già indossato i giubbotti salvagente.
Nell’interrogatorio Schettino dice che fervono le operazioni per riportare la
situazione alla normalità. I tecnici dei motori, sentiti dai pm, dicono che in
pochi minuti si erano già allagati quattro comparti: nessuno aveva più il
controllo sulla nave. Alle 22.34 la Concordia parla di sbandamento con il
capitano Gregorio De Falco. Dagli altoparlanti si invita alla calma e si spiega
che la situazione è sotto controllo, come risulta dai video diffusi dai
passeggeri. Alle 22.44 la motovedetta della Guardia di Finanza che intercetta
la comunicazione, viene dirottata in zona e riferisce alla Capitaneria che «la
Concordia è appoggiata sul fondo lato dritto». Alle 22,45 Schettino racconta
alla capitaneria che la nave ancora galleggia e che sta andando sottocosta. La
Capitaneria chiede se non sia il caso di ordinare l’abbandono della nave. Sono
le 22.58 quando viene ordinato l’abbandono della nave. Schettino dirà durante
l’interrogatorio che non si era accorto, per un’errata percezione del tempo,
che dall’emergenza alla tragedia fosse passata oltre un’ora e quaranta minuti.
Un video della Guardia di Finanza documenta il ritardo. «Non volevo creare il
panico», dirà poi spiegando che «la nave era ingovernabile e che aveva deciso
di farla adagiare sulla secca, con la leggera brezza da Est ci saremmo
avvicinati alla costa e poi arenati e saremmo potuti scendere ordinatamente».
Alle 23.37 la Concordia spiega che a bordo restano ancora 300 passeggeri da
sbarcare. Per questo motivo la procura accusa Schettino di abbandono della
nave. Secondo i magistrati l’uomo è fuggito a bordo di una lancia. Schettino ai
pm dirà che è caduto sul mezzo di soccorso a causa di un’inclinazione della
nave. In realtà dalle intercettazioni dei carabinieri prima del fermo il
comandante parlando con un amico gli confida che «appena la nave ha cominciato
a inclinarsi ho preso e sono sceso». «Se fosse stato dato l’allarme in tempo
saremmo scesi tutti senza neppure bagnarci i piedi», ha detto un ufficiale di
bordo. A mezzanotte e cinque minuti la capitaneria prova a contattare
inutilmente la plancia di comando. Ore 00,34: Schettino spiega di trovarsi a
bordo di una scialuppa e spiega a De Falco che non riesce a risalire a causa
del buio e della nave che è troppo inclinata. Quarantadue minuti dopo
mezzanotte De Falco ordina a Schettino di ritornare sulla nave per coordinare
lo sbarco dei passeggeri. Mezzanotte e quarantanove: i finanzieri vedono
Schettino sulla scialuppa che si sta dirigendo verso la riva. Ore 1,46: De
Falco ordina a Schettino di risalire a bordo ma Schettino arriverà sull’isola
del Giglio, ultimo approdo prima del carcere di Grosseto.
Resta da chiarire il ruolo della Costa in quella
notte: dalle 21.57 alle 2 di notte ci sono 18 telefonate tra Schettino e
Alberto Ferrarini, responsabile dell’unità di crisi
della Costa. Dodici minuti dopo l’impatto Schettino dice alla Costa: «Ho fatto
un guaio, sono passato troppo sotto al Giglio — dice Schettino — mandatemi un
rimorchiatore». «Chiese anche una «versione da fornire alle autorità», racconta
Ferrarini che sostiene anche che nessun altro
ufficiale a bordo lo informò della gravità della situazione. Perché se la
società era informata di quello accaduto non ha cercato di convincere il
comandante ad accelerare le procedure di evacuazione, partite solo un’ora dopo?
26 gennaio 2012
Simone Innocenti
GROSSETO — Che cosa è successo in quella plancia di comando? E soprattutto:
cosa si sono detti Francesco Schettino e i vertici della Costa durante
quella notte? Sono questi, adesso, i nodi cardini dell’inchiesta del
procuratore capo Francesco Verusio che sta indagando
sulla notte del naufragio della Costa Concordia. Per rispondere a queste
domande bisogna consultare gli atti dell’indagine, finiti al tribunale del
Riesame di Firenze. Fu Schettino a sottovalutare la situazione e a non tenere
conto delle «pressioni» degli ufficiali di coperta al momento dell’incidente e
del personale che poi si ritrovò nella cabina di regia, minimizzando la
situazione con Roberto Ferrarini, responsabile
dell’Unità di crisi della Costa, durante le 17 telefonate di quella notte.
Prima del fermo, il comandante della Costa Concordia, intervistato da Tgcom, aveva detto che la colpa di quanto accaduto era
dovuta alla carta nautica che non segnalava lo scoglio. Poi ha raccontato al
gip e ai quattro pm di aver avuto poche indicazioni da parte del suo staff.
Ma tredici testimoni diretti di quella notte, che ricoprivano ruoli essenziali nella vita della
nave e che sono stati poi sentiti personalmente dal comandante della
Capitaneria Gregorio De Falco (quello che invitò Schettino a ritornare a bordo
della nave), raccontano un’altra storia. Mario Pellegrini, ufficiale della
Concordia, mette a verbale che « io, Bongiovanni e Canessa eravamo concordi di dichiarare lo stato di
emergenza generale, ma il comandante pareva non comprendere la gravità della
situazione e insisteva a contattare Ferrarini». Ferrarini non è stato ancora sentito ma ha mandato una
memoria di tre pagine al Senato, spiegando le sue 17 telefonate con Schettino,
spiegando che il comandante ha di fatto sottovalutato quei momenti fornendogli
informazioni fuorvianti. Soprattutto Ferrarini lascia
intendere una cosa: una volta che sarà analizzata la scatola nera della
Concordia, vedrete come sono andate le cose. Dice sempre Pellegrini: «Mi hanno
riferito che quando Ciro Ambrosio (il vicecomandante indagato, ndr) si è
accorto di essere troppo vicino alla costa, ha ordinato di virare a dritta. Ma
Schettino lo ha sollevato dalle responsabilità ordinando di mantenere la
rotta». Quella rotta fu decisa solo ed esclusivamente da Schettino, dicono
tutti. Da un uomo che ha sì «un’innata arte marinaresca» ma che però «non ha
consapevolezza e rispetto dei limiti estremi», sostiene il primo ufficiale di
coperta Mario Iaccarino, che pure racconta di come
qualcuno suggerì a Schettino di decretare l’abbandono nave. Lo descrive bene
l’ufficiale Alessandro Di Lena: «Tutti noi eravamo convinti di far partire
speditamente l’abbandono della nave. Glielo abbiamo chiesto a Schettino che
però era al telefono con Ferrarini. E penso che il
comandante avrebbe dovuto semplicemente informarlo della situazione in atto, ma
era lento nel valutare e non sembrava in grado di gestire la situazione. Ogni
volta che l’ufficiale radio chiedeva di dare il may day, Schettino gli ordinava di aspettare».
Un passo indietro. Schettino
sostiene anche di fronte alla Capitaneria di Porto, informata di quanto stava
accadendo dai passeggeri e non dal personale della nave, che c’è un black out. E di black out parla
sempre Schettino con Ferrarini. Almeno fino a quando,
come racconta il primo ufficiale di coperta, il comandante chiede al manager di
Costa: «Come è possibile che la macchina non mi sappia dire se posso utilizzare
i generatori 4-5-6?». A quel punto «il comandante mi ha guardato dicendomi: la
mia carriera è finita. Mi sembra sia questo cronologicamente ma lo si potrà
ascoltare dalla scatola nera». Sarà Ferrarini, ora, a
raccontare cosa si sono detti con Schettino quando sarà ascoltato dai pm. Ma
una cosa è certa: Andrea Bongiovanni, altro membro
dell’equipaggio, descrive cosa succede quella sera: «Schettino parla con Ferrarini e dal suo comportamento ho dedotto che per lui la
situazione fosse sotto controllo: non voleva dare l’allarme del segnale
generale come invece noi ufficiali volevamo». Che qualcosa di anomalo sia
successo dopo la sbandata lo ha capito immediatamente anche Diego Scarpato. Il terzo ufficiale di coperta, dopo l’incaglio,
sale in plancia e nota «che sul ponte di comando i due escoscandagli
erano spenti e ho provveduto a riattivarli». E quando spiegano a Schettino,
dopo un giro di ricognizione, che c’erano in avaria diversi sistemi «il
comandante era al telefono con Ferrarini e non
sembrava avesse compreso l’informazione». C’è voluta la Capitaneria di Porto a
far smuovere Schettino che era «poco lucido. Ricordo che il militare ha chiesto
a un certo punto in modo deciso: "Chiedete il may
day?". Il cartografo a quel punto ha guardato il
comandante, ha fatto un cenno affermativo con la testa e ha chiesto a sua
volta: "Comandante, chiediamo il may day?". Alla fine Schettino ha detto: "da questo
momento siamo in distress”» mette a verbale l’uomo.
Che pure rivela un altro particolare: «Ursino mi ha
detto, quasi imprecando, che Ciro Ambrosio prima dell’impatto aveva detto
chiaramente al comandante che bisognava accostare a dritta, ma che Schettino ha
ignorato questa richiesta facendo mantenere la rotta».
Navigava a vista, Schettino, in quel momento su una rotta che «probabilmente, per motivi economici, era stata
pianificata dalla compagnia», spiega il cartografo Simone Canessa.
Una rotta decisa da Schettino che però, assicurano tutti, non era mai stata
così vicina come quella volta. Prima sicuro di sé, dopo l’incidente un uomo
incapace di governare e di rendersi conto del minimo, come quando «gli comunico
uno sbandamento rilevato dal radar e il comandante mi disse che "non era
vero". Glielo ribadisce anche il primo ufficiale Bongiovanni»,
spiega Canessa. Che va oltre: «Quando abbiamo detto
che la situazione era di un black out a bordo e che
tutto era sotto controllo, non riportavamo la situazione veritiera. Ma ce lo
aveva ordinato Schettino». Sarà pure un caso, ma il comandante generale delle
Capitanerie di Porto, l’ammiraglio Marco Brusco, ha detto una cosa ben precisa
ieri in Senato: la responsabilità del naufragio della Costa Concordia al Giglio
«è sicuramente del comandante» Francesco Schettino ma c’è da chiedersi «perché
gli ufficiali che erano con lui, gli stessi che poi sono "scivolati"
con il comandante sulla scialuppa, siano rimasti zitti» senza cercare di fermarlo.
È anche su questo punto che la Procura indaga, senza tralasciare eventuali
coinvolgimenti della Costa. A questo punto una cosa è certa: tutta l’inchiesta
passa attraverso la lettura della scatola nera.
Simone Innocenti
27
gennaio 2012