Il testo come evento  
Il gusto per la lettura. Testo come evento o pre-testo?

Non crediamo a chi dice che i ragazzi di oggi non amano più leggere. Anche gli alunni meno motivati e più distratti, quelli che quando “ è il loro turno” di leggere addirittura ancora “sillabano”, quelli che perdono il segno sulla pagina quando sono gli altri compagni a leggere, anche questi sanno rimanere a bocca aperta, lo sguardo perso davanti a sé, perché evidentemente presi nel mondo affascinante della fiction, se ad esempio è il loro insegnante a leggere/raccontare una storia. Soprattutto poi se l’insegnante non trascura di porre attenzione al tono e al registro della “voce”; voce che diventa determinante per il fascino del testo, soprattutto in quelli, come la fiaba, che appartengono alla tradizione orale.

Semmai poco gratificante, o motivante, per l’insegnante e per l’alunno, risulta, al termine della lettura/ascolto, cercare di spiegare o far spiegare perché una storia sia stata appassionante o un testo interessante e ricco di spunti: è a quel punto che l’incanto della storia termina e la preoccupazione di risolvere gli esercizi didattici di analisi (linguaggio, struttura, contenuto) riduce il testo al suo significato referenziale.

Questa riduzione accade per una serie di motivi:

·   l’alunno non sa (deve essere educato a farlo, è necessario un cammino) perché una storia gli è piaciuta tanto, infatti non ha la consapevolezza di avere fatto un’esperienza;

·   come ha detto Bettelheim, “alla perdita del potere di incantare si accompagna anche una perdita del potere della storia di aiutare il lettore a lottare da solo e a dominare unicamente con le proprie forze il problema che ha reso la storia importante innanzitutto per lui” (1);

·   se non si pone sufficiente attenzione all’atto stesso della lettura, al cammino del leggere, il testo viene usato come pre-testo per esercizi di comprensione, per una verifica delle capacità d’indagine linguistica, tutt’al più per ricavare insegnamenti e modelli di comportamento;

·   non vengono date le ragioni per cui leggere presenta le stesse modalità dell’incontro e della conoscenza con il reale, ciò che appunto rende interessante leggere;

·   insegnante e alunno non sono disposti ad assumersi i rischi di una lettura coinvolgente, cioè soggettiva, empatica e ci si accontenta dei compromessi di una lettura corretta, cioè che preveda risposte accettate come corrette (2).

È possibile invece comunicare il valore e il gusto per la lettura, creando nel lettore un atteggiamento di attesa nei confronti del testo, l’attesa di chi sente che sta per scoprire un tesoro all’interno del testo, cioè la possibilità di stabilire con la determinatezza dei suoi elementi, linguistici e formali, una forma di rapporto che lo rende inesauribile. (3)

Vogliamo qui descrivere, anche attraverso delle esemplificazioni, le scoperte e le riflessioni scaturite dalla nostra esperienza didattica (4), da quando abbiamo incominciato a comprendere e considerare “il testo come un evento”, un evento sempre nuovo che “attiva l’esperienza del lettore” (5) e provoca la sua libertà. (Questa esperienza ha coinvolto, oltre alle nostre classi di scuola media, anche classi di quarta e quinta elementare. Un primo passo verso un curricolo integrato.)

Considerare il testo come “altro” che, in maniera anche misteriosa, è intenzionato a dirci qualcosa, anche nel suo ostinato mutismo ha significato per noi insegnanti e per i nostri alunni un cambiamento di prospettiva: un diverso interesse per la lettura e stimoli in più per un serio e indispensabile approccio didattico.

1 - La realtà e il testo

Un evento è un fatto, qualcosa di concreto, tangibile e intelleggibile che si para davanti agli occhi e col quale non è possibile non fare i conti. In quel momento, quando cioè si presenta in rapporto con quello che noi siamo (la nostra storia, le nostre conoscenze, le informazioni che abbiamo ...), cioè quando entra in rapporto con il nostro sistema di relazioni cessa di essere solo esistente e diventa reale per noi, perché è come se lo investissimo di segni.

Ogni volta che entriamo in relazione con un dato di realtà avviene una trasformazione: qualunque sia la nostra visione del mondo, qualunque sia il nostro atteggiamento, di un qualunque oggetto noi ci facciamo una rappresentazione alla quale diamo un segno. Il segno è la traccia di questa trasformazione che colloca il dato in un orizzonte personale.

Non diverso è il rapporto che si stabilisce tra il lettore e il testo. Durante l’atto della lettura il testo, da semplice sistema di dati esistenti, diventa reale per il lettore: in maniera originale e secondo modalità storiche, diventa il luogo di un gioco continuo di rimandi tra il modo in cui la realtà viene presentata e le parole di cui il lettore dispone per definirla. Nell’atto di lettura diventa implicito quello che uno ha vissuto. Il destinatario del testo non è mai un lettore generico, un semplice ricettore passivo, ma un soggetto dinamico che, coinvolgendosi a livello cognitivo e affettivo nell’avventura del leggere, permette che le cose accadano.

Questo “gioco di rimandi tra le parole e le cose è praticamente un vortice infinito. (...) In questo gioco di rimandi il lettore esercita la propria razionalità” (6). E’ questo l’aspetto più affascinante e misterioso della lettura.

Come si crea questo vortice infinito? E come rendere consapevole l’alunno che ogni volta che legge mette in atto la sua razionalità?

2 - Il gioco dei rimandi

Questo vortice infinito si crea innanzitutto a causa dell’inadeguatezza dell’autore e del lettore.

Da una parte cioè sta l’inadeguatezza della parola dello scrittore a descrivere il reale. Infatti scrivere un testo per uno scrittore comporta una continua ricerca di un segno adeguato che possa manifestare ciò che è lui e ciò che intende dire. La parola, la forma, la lingua rappresentano in fondo un ostacolo all’intenzione comunicativa di chi scrive e cercare di definire, rappresentare, nominare la realtà nella sua totalità è praticamente impossibile. In più la produzione di testi porta in sé la memoria di tutte le opere precedenti.

Dall’altra parte sta l’inadeguatezza del lettore che non può “pretendere di esaurire il dato costituito dalla materialità del testo, ma che nello stesso tempo, si deve ritenere doverosamente impegnato in un lavoro di interpretazione che è in realtà un’approssimazione infinita verso il dato” (7). Le parole infatti dicono di più di quanto sembrano dire.

Se ad esempio leggiamo la parola “mare” non immaginiamo solo un’immensa distesa d’acqua, ma vediamo anche i colori, le barche che si muovono all’orizzonte, la spiaggia, la sabbia e un’infinità di altre cose che, in un modo o nell’altro, appartengono alla nostra personale esperienza, a ciò che ognuno di noi ha già visto, sentito o desiderato.

A questo proposito, Italo Calvino ha scritto: “ Se un libro mi interessa veramente, non riesco a seguirlo per più di poche righe senza che la mia mente non rimbalzi di pensiero in pensiero, d’immagine in immagine, in un itinerario di ragionamenti e fantasie che sento il bisogno di percorrere fino in fondo, allontanandomi dal libro fino a perderlo di vista. Quelle poche pagine racchiudono per me interi universi, cui non riesco a dar fondo.”

Esemplificazioni (Testi ed esercitazioni da proporre agli alunni) (8)

A - Sull’inadeguatezza  

I. Calvino, Dal terrazzo, in Palomar, Einaudi

Il signor Palomar, protagonista del racconto di Calvino, può sembrare un tipo strano: infatti passa la maggior parte del suo tempo a “osservare” le cose che gli capitano. Il suo, però, non è un semplice “guardare” le cose. Egli le scruta nei minimi particolari, ne mette a fuoco ogni dettaglio, le osserva da differenti punti di vista, quasi volesse leggere, nella realtà, segnali e messaggi segreti. Ma ecco che, più circoscrive il campo della sua esperienza, più scopre che esso si moltiplica al proprio interno, aprendo prospettive vertiginose come se in ogni punto fosse contenuto l’infinito. Egli tenta di dare un nome alle cose, ma si accorge che per definire anche un piccolo particolare della realtà non gli bastano tutte le parole del mondo.

[Testo]

Le domande

1 - Quale dei cinque sensi in particolare utilizza il signor Palomar per la sua descrizione?

2 - Dove si trova il suo punto di osservazione?

3 - Il signor Palomar “fa scorrere uno sguardo da uccello. Cerca di pensare il mondo com’è visto dai volatili.” Che cosa ci fa capire Calvino presentandoci questo suo personaggio che osserva la realtà da un insolito punto di vista?

4 - La descrizione è ricchissima di elementi: un lunghissimo elenco, tanto lungo che sembra esaurire ciò che si può vedere stando in una certa posizione. A quale conclusione però arriva il signor Palomar?

5 - Il signor Palomar, per descrivere la realtà, fa il magazzino delle parole, cioè cerca di fare una raccolta di tutto ciò che si può dire sull’elemento scelto per la descrizione in base alla forma, alla dimensione, al colore, alla posizione nello spazio e rispetto al punto di osservazione. Imparare a costruire il magazzino degli elementi della descrizione è molto utile, perché spinge chi scrive a osservare la realtà in maniera più consapevole e a ricercare parole che “nominano” la realtà in modo sempre più preciso.

Proponiamo alla classe un esercizio simile a quello del signor Palomar: preparare il magazzino delle parole, ad esempio, intorno a quanto si può osservare dalla finestra dell’aula.

Il lavoro può essere svolto a gruppi, anche secondo le modalità del gioco: vince il gruppo che ha realizzato il magazzino più ricco di parole.  

B - Sul gioco dei rimandi

Max Frisch, Il gioco del come, in Homo faber, Feltrinelli

[Testo]

Le parole hanno un potere strumentale ed evocativo, permettono di incontrare la realtà, aprono una finestra sui sensi nascosti. I due protagonisti del racconto fanno a gara per trovare paragoni e similitudini tra le cose che vedono e ciò che esse richiamano alla loro immaginazione: il gioco è un esercizio piacevole, che ravviva la realtà e accresce la loro sensibilità. Gli alunni scopriranno l’importanza del racconto quando a loro volta saranno chiamati a rivivere lo stesso gioco.

Le domande

1 - Sottolinea nel testo le similitudini create dal narratore e quelle create da Sabeth, distinguendole con colori diversi.

2 - Scegli 5 similitudini e individua di volta in volta la caratteristica comune ai due termini di paragone.

3 - Alla fine del racconto Sabeth abbraccia il compagno di cammino come se questi le avesse regalato tutte le meraviglie di quella notte. Perché la donna prova questo sentimento?

4 - Fai con un tuo compagno lo stesso gioco descritto nel testo. Scegliete un momento della giornata ( a scuola, a casa, per la strada...) pensate ad almeno cinque cose che vedete, create delle similitudini poi scrivetele sul quaderno.

5 - C’è mai stato un momento della tua vita in cui le cose che ti circondavano ti sono apparse nuove e più belle? Magari è stato un amico, un libro, un film o un semplice fatto quotidiano, ma qualcuno - qualcosa - ti ha fatto guardare la realtà di tutti i giorni in modo diverso, tanto che questa ti è sembrata come trasformata. Rifletti ed esprimi ciò che provi.

C - Il testo infinito, ovvero le infinite possibilità di relazione con il segno

Le parole del testo subiscono sempre una trasformazione in chi ascolta. Come di fronte alla realtà il rapporto del lettore con il testo è di tipo metonimico, e questa metonimia è quel che trasforma il dato in segno, ossia l’esistente in reale. Occorre offrire all’alunno l’infinita possibilità di approfondire, assieme alla natura del segno che ha davanti, l’insieme delle relazioni che potrebbero farglielo ritenere significativo, poiché le modalità di percezione di un dato possono essere molto più numerose e qualitativamente molto diverse da quelle che ciascuno può istintivamente immaginare.

Nel brano che segue l’autore usa parole da lui stesso inventate: l’alunno/lettore le può sostituire con altre esistenti, scegliendole in base al suo modo personale di leggere e interpretare il racconto. E’ proprio questo gioco d’invenzione di parole sconosciute che dà significato al racconto. In sintesi potremmo dire che “le parole non definiscono l’esistente, ma dichiarano il nostro rapporto con il reale”.

S.Benni, Shimizè, in Il bar sotto il mare, Feltrinelli

[brano]

3 - Leggere è interpretare

Per comprendere un testo non basta semplicemente sommare i significati di tutte le parole scritte, ma è qualcosa di più, che va scoperto attraverso il lavoro creativo del lettore.

Nel corso della lettura noi selezioniamo sempre dettagli specifici dalla massa dei dati disponibili, una selezione governata dalle nostre aspettative.

Ha scritto Iser: “Capire è interpretare, e interpretare è esporre in termini diversi il fenomeno, più esattamente trovargli un equivalente. L’interpretazione dunque non è un valore assoluto (come i più ritengono), ma deve essere valutata nell’ambito di una visione storica della percezione umana”.

Per far comprendere questo agli alunni abbiamo utilizzato la metafora di W. Scott: il lettore assomiglia ad un viaggiatore in uno scompartimento che deve compiere il suo viaggio attraverso il romanzo e guarda fuori dal finestrino, quindi dal suo punto di vista mobile. Egli potrà combinare tutto ciò che vede nella sua memoria solo secondo un proprio modello di coerenza, perché in nessun momento può avere una visione totale del viaggio, inoltre l’attendibilità del suo modello dipenderà molto dalla capacità di attenzione che egli ha impiegato in ogni periodo del viaggio.

Iser addirittura paragona i libri ad un pic-nic in cui l’autore porta le parole e il lettore il significato.

“Non si può più pretendere - scrive ancora Iser - di insegnare al lettore il significato del testo, poiché senza un contributo e un contesto soggettivo non si dà nulla. Di gran lunga più istruttiva sarà un’analisi di ciò che realmente accade quando si legge un testo, poiché è allora che il testo comincia a dischiudere il suo potenziale; è nel lettore che il testo comincia a dischiudere il suo potenziale; è nel lettore che il testo prende vita. Nella lettura noi diventiamo capaci di sperimentare cose che non esistono più e di comprendere cose che ci sono totalmente estranee. “

Nel suo testo Brasioli spiega che è impossibile catalogare, una volta per tutte, un oggetto, così come conoscere, cogliere il significato una volta per tutte di un testo. Ogni oggetto infatti “ è carico di tensione, ogni parola sempre sul punto di esplodere”; l’incontro con un fatto, con una parola procura nel soggetto/lettore sempre inaspettati slittamenti semantici, perché è l’investimento segnico operato dal lettore che conferisce realtà all’oggetto, realtà impensabili anche allo stesso autore.

Esemplificazioni  

A - G. Rodari, La strada che non porta in nessun posto

All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto.

Martino lo sapeva perché l’aveva chiesto un po’ a tutti, e da tutti aveva avuto la stessa risposta: «Quella strada lì? Non va in nessun posto. È inutile camminarci».

«E fin dove arriva? .»

«Non arriva da nessuna parte.» «Ma allora perché l’hanno fatta?» «Non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì.» «Ma nessuno è mai andato a vedere?» «Sei una bella testa dura: se ti diciamo che non c’è niente da vedere ... »

«Non potete saperlo, se non ci siete stati mai.»

Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo Martino Testadura, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto.

Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce, ma per fortuna non pioveva da un pezzo, così non c’erano pozzanghere. A destra e a sinistra si allungava una siepe, ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca, nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di sole a far da fanale.

Cammina e cammina, la galleria non finiva mai, la strada non finiva mai, a Martino dolevano i piedi, e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane.

“Dove c’è un cane c’è una casa,” rifletté Martino, “o per lo meno un uomo. “

Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani, poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora.

«Vengo, vengo,» diceva Martino, incuriosito. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate, e il fumo usciva da tutti i comignoli, e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente: «Avanti, avanti, Martino Testadura!»

“Toh,” si rallegrò Martino, “io non sapevo che sarei arrivato, ma lei sì.” -

Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l’inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era bella, e vestita anche meglio delle fate e delle principesse, e in più era proprio allegra e rideva:

«Allora non ci hai creduto».

«A che cosa?»

«Alla storia della strada che non andava in nessun posto. » «Era troppo stupida. E secondo me ci sono anche più posti che strade.»

«Certo, basta aver voglia di muoversi. Ora vieni, ti farò visitare il castello.»

C’erano più di cento saloni, zeppi di tesori d’ogni genere. come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le loro ricchezze. C’erano diamanti, pietre preziose, oro, argento, e ogni momento la bella signora diceva: «Prendi, prendi quello che vuoi. Ti presterò un carretto per portare il peso».

Figuratevi se Martino si fece pregare. Il carretto era ben pieno quando egli ripartì. A cassetta sedeva il cane, che era un cane ammaestrato, e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada.

In paese, dove l’avevano già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda in segno di saluto, rimontò a cassetta e via, in una nuvola di polvere. Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici, e dovette raccontare cento volte la sua avventura, e ogni volta che finiva qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto.

Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro, con la faccia lunga così per il dispetto: la strada, per loro, finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d’alberi, in un mare di spine. Non c’era più né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura.

Da G. Rodari, Favole al telefono, Einaudi

Nell’antologia per la scuola media La bottega del lettore questo racconto di Rodari è interpretato e proposto come una fiaba moderna che parla dell’anticonformismo: questo tipo di lettura, per altro autorizzato e indubbiamente legittimato dallo stesso autore nelle righe finali, nella cosiddetta morale, a noi, e ai nostri alunni, è sembrata riduttiva rispetto alle suggestioni che dal testo derivano e ad altre possibili letture.

L’anticonformismo non è di per sè automaticamente un atteggiamento intelligente se non si appoggia a ragioni adeguate: se uno vuole semplicemente essere diverso, comportarsi altrimenti da ciò che fa la maggioranza, senza interrogarsi sulla verità del suo comportamento, rischia d’essere solo un presuntuoso e superficiale: se invece uno decide diversamente perché ha capito che il comportamento degli altri è menzognero o che essi hanno trascurato elementi importanti della realtà, allora egli dimostra forza di carattere.

Il personaggio di Martino ci pare rappresentare questa seconda posizione, ma la morale di Rodari non la valorizza adeguatamente.

Ma può un testo dire altro rispetto a ciò che l’autore stesso intendeva fare? Noi diciamo di sì, riteniamo che il testo sappia qualcosa in più di cui neppure l’autore è consapevole.

Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo qualsiasi lettura arbitraria diventa legittima e il testo si può piegare a qualsiasi interpretazione.

In realtà è legittima qualsiasi interpretazione che rispetti gli indizi del testo.

Vediamo appunto questa fiaba e soffermiamoci sul dialogo iniziale tra Martino e gli abitanti del paese.

Martino è un ragazzino intelligentemente curioso: ha gli occhi spalancati su ciò che lo circonda, osserva la realtà e vede una strada: giustamente comincia a fare domande più che legittime sulla sua presenza e sulla sua funzione e altrettanto giustamente resta insoddisfatto dalle risposte che gli vengono date dagli abitanti del villaggio.

Tali risposte non sono ragionevoli, non offrono ragioni adeguate: “non va in nessun posto” gli dicono a proposito della strada. Come fa una strada a non andare in nessun posto e a non andare da nessuna parte?

E’ illogico: una strada può non arrivare ad un’altra casa, ad un paese, può essere chiusa e sbarrata, ma non può non portare da nessuna parte: porterà semmai a qualcosa di diverso da cui si è soliti pensare debba portare una strada.

Allo stesso modo dire che non l’ha fatta nessuno contrasta con l’esperienza: le strade sono normalmente un segnale di intervento dell’uomo su un ambiente.

Ma il dato decisivo che rende inaccettabili le risposte degli abitanti è che a tanta sicurezza delle risposte non corrisponde nessuna diretta esperienza. Essi cercano di nascondere la loro pigrizia con una supposta saggezza.

Martino si dimostra un ragazzino tenace, che vuole fare i conti con la realtà, conoscerla, sperimentarla prima di affidarsi a giudizi così poco ragionevoli. Il nomignolo Testadura, che gli abitanti gli affibbiano ironicamente, al lettore che condivida i presupposti detti, non può non apparire il riconoscimento di una qualità che essi non possiedono.

Martino inizia così il suo cammino nel bosco che a questo punto ci può apparire una specie di cammino della conoscenza e dell’avventura: c’è la foresta fitta e scura, il luogo del mistero, c’è la difficoltà e la tentazione a lasciar perdere, superate con l’attenzione ai segni in cui ci si imbatte. Quando entra il cane ecco che Martino pensa:

- Dove c’è un cane c’è una casa o per lo meno un uomo -

La testardaggine del ragazzino riceve un premio inaspettato: trova la bella signora che gli offre ricchezze.

Si potrebbe dire che chi ha il coraggio di affrontare un’esperienza ragionevole riceve molto di più di quanto non pensasse di trovare.

Proprio per questo gli altri che si precipitano fino al castello non trovano nulla. Puntano solo a guadagnare la ricchezza, ma il loro modo di affrontare la realtà non è minimamente cambiato. Sono i soliti di sempre. E allora la morale, se proprio si dovesse aggiungere, a noi verrebbe da scriverla diversamente:

“ Non c’era più né cancello, né castello, né bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi sa scoprire i segni della realtà e, presentendo in essi qualcosa di vero, li prende sul serio, se ne fa carico, comincia a camminare per scoprire il mistero che essi lasciano trasparire”.

Se letta così, la fiaba (ma qualcuno potrebbe trovare altri richiami, altre letture convincenti appoggiandosi al testo) è chiaro che anche l’apparato didattico cambia. Ci sembra questo un dato interessante: le domande che si fanno ad un testo non sono mai neutre o indifferenti perché partono da una ipotesi interpretativa, da cui parte chi le pone, consapevole o no che ne sia, e il testo parla a partire da questa chiave.

Quali domande allora abbiamo proposto ai nostri alunni per aiutarli a leggere questo racconto?

- Perché Martino vuole provare a seguire la strada che non andava da nessuna parte?

() vuole fare il bastian contrario

() vuole andarsene dal paese

() desidera conoscere quello a cui la strada potrebbe condurlo

() sa già che troverà un tesoro

- L’ostinazione di Martino ti sembra un difetto o un pregio? Spiega la tua risposta.

- Le risposte che gli abitanti danno a Martino sono o no ragionevoli?

Prima di rispondere rifletti: può essere vero che una strada non l’ha fatta nessuno? E che una strada non porta da nessuna parte? Sulla base di cosa gli abitanti poggiano la loro sicurezza?

- Gli abitanti danno quelle risposte perché:

() hanno già seguito quella strada e quindi parlano per esperienza

() sono saggi e sanno che rischiare in quel caso è una cosa sciocca e pericolosa

() sono pigri e pieni di pregiudizi nei confronti della realtà

Spiega la tua scelta.

- Lungo il cammino, proprio mentre è tentato di tornare indietro, Martino incontra un cane. Come vive questo incontro?

() è contento perché non si sente più solo

() la cosa gli è del tutto indifferente

() lo spinge a continuare

Spiega la tua scelta.

- Martino trova il castello con la bella signora che gli offre tutte le ricchezze che desidera. Questo fatto a tuo giudizio:

() è inevitabile: siccome è una fiaba deve per forza esserci un lieto fine

() è la conclusione logica del ragionamento di Martino: grazie alla sua intelligenza egli aveva già capito in anticipo quello che avrebbe trovato

() è imprevedibile: è un dono gratuito, più grande rispetto alla fatica fatta

- Quando gli abitanti del villaggio ripercorrono lo stesso cammino di Martino non trovano più il castello e la signora. Perché?

Quali tra questi due finali ti sembra il più adatto:

() Non c’era più cancello, castello, bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova, e il primo era stato Martino Testadura.

() Non c’era più cancello, castello, bella signora. Perché certi tesori esistono soltanto per chi è attento alla realtà e, laddove intuisce qualcosa di vero, si dà da fare per scoprire il mistero che quel segno intravisto lascia trasparire.

B - Un’altra esemplificazione, divertente ed efficace per la sua immediatezza, è stato questo testo proposto da una maestra elementare alla sua classe:

- Chi ha puffato la torta?- chiese quel giorno Puffo Brontolone.

Tutti si guardarono perplessi: puffare una torta, in quel villaggio, era una cosa piuttosto puffosa!

- L’avrà puffata Puffetta! - rispose Puffo Baby.

- No, non l’ho puffata io! Ho trascorso la giornata in giardino a raccogliere le rose, come avrei potuto avere anche il tempo di puffare una torta!?-

- E allora chi l’ha puffata!? - si domandò perplesso Puffo Brontolone.

- Forse è stato Puffo Inventore, lui è tipo da puffare torte - aggiunse convinto Quattr’occhi.

- No, io ero impegnato in laboratorio; la mia macchina del tempo è più importante che puffare torte - rispose deciso Puffo Inventore.

- Che l’abbia puffata Puffo Vanitoso!? - si chiese Puffetta.

- No! - rispose seccato lui. - Io sono un artista, non ho tempo per puffare torte.

Intervenne allora Grande Puffo che, con la sua saggezza, concluse:

- Beh! Puffare una torta non è di sicuro un gioco da ragazzi. Non potete certo essere stati voi piccoli puffi inesperti... qui c’è lo zampino di Gargamella ...

Come appare evidente dal testo, l’ambiguità del termine “puffare” può alludere a differenti interpretazioni. Infatti il termine puffare usato qui può voler dire “mangiare” o “preparare” oppure ancora “rubare”. Solo considerando attentamente il contesto si potrebbe propendere per una interpretazione piuttosto che l’altra. Nella discussione che è seguita alla lettura, dapprima gli alunni si sono stupiti che, sostituendo a “puffare” uno qualunque dei tre termini, il testo risultasse comunque coerente. In un secondo momento, invitati a prendere in considerazione tutti gli elementi della realtà/testo, in particolare i personaggi e la funzione che svolgono nel mondo/contesto dei puffi, hanno incominciato a considerare che qualche termine non poteva “funzionare”. Si sono così accorti che, come si fa per comprendere la realtà, per comprendere un testo è necessario prendere in considerazione tutti gli elementi del testo.

4 - Anticipazioni e attese

Uno dei meccanismi che il lettore mette in atto quando legge, o ascolta, un testo è quello di costruirsi delle attese su quello che il testo dirà o su come il testo proseguirà.

Le attese si creano a partire dalle parole e dalle frasi che via via recepisce: esse suscitano la sua fantasia, si collegano al mondo immaginario che si porta dietro o a letture precedenti, lo incuriosiscono e lo spingono ad andare oltre. Continuando nella lettura, il testo mostrerà se le sue attese sono state soddisfatte. In caso contrario è necessario modificarle, quindi non dovrà fare altro che disporsi ad accogliere “l’inatteso”.

Anche in questo caso per spiegare il concetto agli alunni abbiamo utilizzato una metafora, quella di Eco del bosco, metafora per il testo narrativo: “ anche quando in un bosco non ci sono sentieri tracciati, ciascuno può tracciare il proprio percorso decidendo di procedere a destra o a sinistra di un certo albero e così via, facendo una scelta a ogni albero che incontra. In un testo narrativo il lettore è costretto a ogni momento a compiere una scelta... mentre il parlante si accinge a terminare la frase noi, sia pure inconsciamente, facciamo una scommessa, anticipiamo la sua scelta, ci chiediamo angosciati quale scelta farà” .

Come esemplificazioni abbiamo proposto agli alunni alcuni testi di genere fiabesco e del genere avventura interrotti, specie nei momenti topici della storia, da alcune osservazioni e domande su come, ad esempio, sarebbero proseguiti gli avvenimenti o sulle cause che spiegano il comportamento dei personaggi: la sospensione della lettura ha dato il tempo e il modo agli alunni per fare delle ipotesi e per riflettere sulle attese che essi nutrivano nei confronti del testo e sui meccanismi legati alle loro anticipazioni.

Al termine abbiamo svolto queste considerazioni: questo tipo di domande non sempre ha una risposta unica, uguale per tutti, prevedibile in partenza. Ciò non vuol dire, però, che ogni risposta data sia accettabile. Ogni testo infatti ci dà degli elementi concreti, ben individuabili, gli indizi, che ci fanno prevedere come “andrà a finire” la storia, che ci permettono di ricavare informazioni che nel testo non sono presentate esplicitamente, ma sono date per scontate. E’ a partire da questi elementi, da questi indizi, che il lettore potrà dare le risposte corrette. Sono gli indizi che garantiscono della sensatezza delle risposte.

Anticipare non è indovinare, ma trovare nel testo stesso gli indizi che ci permettono di andare avanti con le nostre previsioni.

Proprio il fatto che la risposta non è sempre prevedibile in anticipo, né unica, ma deve basarsi sull’osservazione di quanto è segnalato dal testo, impone che in classe le diverse soluzioni proposte dagli alunni siano discusse da tutti, per ragionare su di esse, vedere quali sono motivate e quali date a caso, quali accettabili e quali più adeguate di altre. Anche in questo modo si rafforza, riflettendo, la consapevolezza dei meccanismi che si mettono in atto quando si recepisce, o si produce, un testo.

5 - Il testo incompleto

Una proprietà fondamentale dei testi è l’incompletezza. Essi ci offrono un itinerario di informazioni con molti vuoti, che il lettore deve saper riempire.

I vuoti si riferiscono essenzialmente a conoscenze culturali che non vengono svolte e che debbono essere associate agli indizi o richiami che compaiono nel testo. In un testo ci possono essere buchi nell’informazione, ossia passaggi saltati, cose non dette o dette solo in parte. Spesso può capitare che l’informazione risulta insufficiente perché apparentemente non si giustifica: non sono chiare le ragioni per cui si può verificare quel certo evento o si può fare quella certa affermazione. Allora si va alla ricerca di queste ragioni. Oppure, ancora, l’informazione espressa nel testo risulta in contrasto con il senso generale del discorso, o con la logica comune, o con ciò che ci aspettiamo, data la situazione.

Come si possono riempire questi vuoti?

M. Della Casa (9) spiega che si possono ottenere indicazioni orientative attraverso un esame attento del contesto, oppure assumendo informazioni dalle persone che ne sanno più di noi, dalle note, dai giornali, dal patrimonio di conoscenze del lettore, dalla propria esperienza, operando integrazioni, cercando corrispondenze, magari attraverso continui aggiustamenti e inferenze.

Per completare il significato del discorso, è necessario ricostruire ciò che manca partendo dagli elementi che ci sono forniti e ragionandoci sopra. Ci si può appoggiare a qualche informazione detta in precedenza, che precede logicamente l’informazione nascosta, oppure a qualche altra informazione che segue, e che dell’informazione nascosta è lo sbocco.

Le inferenze permettono di dare completezza e senso a quanto di noto noi stiamo leggendo. Le inferenze sono indispensabili perché la comprensione letterale non è sufficiente a comprendere l’organizzazione dei contenuti e dei concetti di un testo. Evidenziare in classe i processi inferenziali che gli alunni necessariamente e anche inconsapevolmente svolgono è un’ulteriore occasione di riflessione sul ruolo creativo degli alunni nella lettura. 

Esemplificazione

R. Matheson, regola per sopravvivere

[Testo]

Il racconto che abbiamo proposto agli alunni di una classe terza presenta una storia che, ad una prima lettura, sembra inconcludente, proprio perché è incompleto. Per comprendere appieno il suo senso diventa indispensabile la collaborazione del lettore. I nostri alunni infatti, in una seconda lettura, sono stati invitati ad associare tra loro i numerosi richiami presenti nel testo (quelli evidenziati con i colori diversi). Il risultato alla fine è stato... sorprendente.

6 - Il testo come evento sempre nuovo. L’esperienza della rilettura

Una delle conseguenze più rilevanti del considerare il testo come un evento che provoca ad un coinvolgimento creativo il lettore è il fatto che quando lo leggiamo la seconda, la terza o la quarta volta esso non è più lo stesso della prima volta.

Poiché non può esistere un testo puro, slegato da un incontro storico, ovvero dalla sua relazione col lettore, la variabile “tempo” - spiega Brasioli - da un parte modifica il quadro di relazioni entro cui i dati del testo vengono recepiti dal lettore, dall’altra modifica il lettore stesso, cioè colui che stabilisce le relazioni che denomina.

La possibilità, insomma, di aggiungere sempre nuovi significati non si esaurisce una volta per tutte, ma si ripresenta in maniera sempre nuova ad ogni lettura, perché nel frattempo è mutata l’esperienza del lettore. Per un testo già letto non si tratta mai di una rilettura, ma di una nuova lettura.

Come esemplificazione ai nostri alunni abbiamo proposto all’inizio dell’anno scolastico la lettura di alcuni testi (la fiaba de “Il brutto anatroccolo” di Andersen e l’episodio del naufragio sull’isola di Robinson Crusoe), li abbiamo invitati a riconoscere gli indizi e a cercare di interpretarli seguendo la traccia delle esercitazioni. Al termine dell’anno scolastico li abbiamo invitati a leggere di nuovo quegli stessi testi. La sfida che avevamo lanciato all’inizio dell’anno era che da soli avrebbero trovato altri indizi, cioè altre parole, situazioni, personaggi capaci di suggerire altre suggestioni, riflessioni, sensazioni; eravamo certi infatti che i testi ri-letti avrebbero parlato a loro in maniera inaspettata, certi che vi avrebbero trovato quella parte di loro stessi che all’inizio dell’anno non c’era ancora.

Conclusioni 

In questo nostro lavoro abbiamo scoperto ancora una volta che ogni esperienza di conoscenza, come in questo caso quella della lettura, richiede una risposta/adesione da parte di un soggetto. Senza la libertà e la presenza di un lettore-in-azione non esiste un’esperienza significativa di lettura.

Inoltre ci siamo resi di nuovo conto che il nostro compito di educatori è pro-vocare la libertà dei nostri alunni, non tanto insegnando, nello specifico del nostro lavoro, tecniche (anche accattivanti)  per leggere, capire e interpretare i testi, ma introducendo nel segno, cioè mostrando il modo con cui rendere significativa la realtà/testo. Questa nostra esperienza didattica ci ha permesso infatti di far cogliere agli alunni che esistono infinite possibilità con cui è possibile stabilire e cogliere le relazioni che permettono alla realtà di diventare significativa per loro.

 

A cura di:

 

Tiziano Viganò  
Alessandra Isola  
Fiorella Barzaghi


(1) B.Bettelheim, Il mondo incantato, Feltrinelli

(2) R. Mazzeo, Insegnare un metodo di studio, Il Capitello

(3) La linguistica e la semiotica hanno già ampiamente messo in luce questa caratteristica dei testi, vale a dire la loro inesauribilità.

Es. U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani : “la massa di informazioni trasmissibili in un testo è sempre numericamente più elevata dei segni che le hanno trasmesse”. M. Gennari, Pedagogia e semiotica, La Scuola: “Solo dall’intersezione, anche empatica, tra lettore e testo, si genera senso”. Infatti anche se l’oggetto della narrazione è identico, ogni lettore usa proprie decodificazioni espressive o interpretative, usa approcci personali.

(4) Di queste scoperte e di questo gusto che ci è nato per la lettura e la didattica della lettura siamo grati ad Alberto Brasioli che durante i suoi corsi e attraverso i suoi testi ci ha aperto bellissimi orizzonti. I presupposti culturali di questa nostra esperienza didattica li abbiamo ricavati dalla lettura dei suoi testi, in particolare Nomi segni cose, Libreria Editrice.

(5) W. Iser, L’atto della lettura, Il Mulino.

(6) A. Brasioli, Nomi, segni, cose, Libreria Editrice

(7) A. Brasioli, Ibidem

(8) Alcune esercitazioni si possono trovare nell’ antologia di Alvaro-Viganò, Sulle orme del testo, De Agostini.

(9) M. Della Casa, Italiano insieme, La Scuola