S. Luigi Gonzaga

La vita di questo santo può essere riassunta con poche parole.

Primogenito di una famiglia nobile, non esitò a rinunciare al potere per diventare gesuita e a sacrificare - a ventitré anni - la sua debolissima salute per assistere malati e moribondi di un’epidemia di tifo: per questo motivo è diventato patrono della gioventù e degli studenti.

Proprio come patrono della gioventù, conobbe grandissima fama nei nostri oratori: penso che alcuni uomini ricorderanno ancora  i “tre giorni di preparazione alla festa di S. Luigi”, con la predicazione straordinaria (spesso al mattino prestissimo prima di andare a lavorare in fabbrica o nei campi), fino alla Confessione e Comunione solenne nel giorno della festa.

Quasi tutte le nostre chiese conservano una statua o un quadro di S. Luigi: in genere ha un’espressione un po' dolciastra e viene rappresentato con un giglio in mano, simbolo della purezza, il libro delle preghiere, un teschio e il flagello a ricordo della sua vita ascetica.

Possiamo ben capire come questo santo, negli ultimi anni, abbia visto “diminuire” la sua popolarità: purezza, preghiera e sacrificio non sono più termini “di moda” per la gente del nostro tempo, e non solo per i giovani.

Eppure Luigi Gonzaga, primogenito di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione delle Stiviere, e da Marta, contessa Tana di Santena, nato il 9 marzo 1568, era dotato di forte temperamento. Le dure penitenze, alle quali si assoggettò, sono il segno evidente di una determinazione non comune verso una meta che si era lucidamente prefissa fin dalla prima adolescenza.

Avviato fin da bambino alla vita militare, all’età di cinque anni Luigi indossava già una mini-corazza, con elmo sormontato dal pennacchio e cinturone con spada, e sgambettava in coda all’esercito paterno, imparando dai rudi soldati l’uso delle armi e il loro colorito vocabolario.

Un giorno approfittò persino della distrazione di una sentinella per dar fuoco alle polveri di un piccolo pezzo d’artiglieria, ustionandosi, per fortuna lievemente, mani e guance.

All’età di 8 anni il padre, di ritorno da una campagna militare, notò che il ragazzo era cambiato: aveva perso molto della sua aria “militaresca” e si era fatto più introverso. Più tardi, Luigi stesso avrebbe spiegato che proprio in quegli anni aveva sentito un’attrazione irresistibile verso la preghiera: era l’inizio di quella “conversione dal mondo a Dio” che fu il suo itinerario fino alla morte precoce.

All’età di 10 anni, venne a Castiglione il cardinale Carlo Borromeo per una visita pastorale. Il ragazzo non soltanto ascoltò la sua lunga predica, ma volle conoscerlo. Quando il Borromeo scoprì che Luigi non aveva ancora ricevuto la Prima Comunione, nonostante che si confessasse già da tre anni, volle amministrargliela personalmente.  

Con la famiglia dovette trasferirsi a Madrid e fu proprio la vita di corte di Madrid che lo convinse definitivamente a una scelta radicale: il ragazzo si orientò verso la Compagnia di Gesù, un ordine giovanissimo il cui fondatore - S. Ignazio di Lodola - era morto da poco: aveva conosciuto molti padri, condividendone l’entusiasmo, l’energia, la capacità di scendere tra la gente, di dedicarsi ai più poveri, ai più deboli.

Nel 1584, di ritorno in Italia, Luigi “strappa” al padre il permesso di entrare nella Compagnia di Gesù, lascia i diritti di primogenitura al fratello più giovane Rodolfo e nel novembre del 1585 entra nel noviziato a Roma, all’età di 17 anni, sotto la direzione di San Roberto Bellarmino.

Ma qualcosa stava già incrinandosi nel fisico gracile di Luigi: gli diagnosticarono una tubercolosi e lo mandarono a curarsi a Napoli, dove si trattenne fino al maggio del 1587, quando parve guarito.

Nel 1591, a Roma, scoppiò un’epidemia di tifo esantematico: con i piedi scalzi, Luigi raccoglieva i malati, li assisteva, bussava ai palazzi dei signori per raccogliere elemosine. Il suo superiore, preoccupato per la debole costituzione di Luigi, lo trasferì in una zona dove non c’erano malati infetti. Ma il giovane aveva già contratto il tifo, trasportando probabilmente, come si raccontava, un uomo stremato dal male che aveva raccolto a un angolo di strada. Il 3 marzo si mise a letto con febbri altissime: i più erano convinti che sarebbe morto prestissimo. La sua agonia, con molte sofferenze, durò fino alla notte del 21 giugno 1591.

don Davide