TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

 Un brivido lungo la schiena

di Gian Piero Abbate

 

 

Evitata la catastrofe nucleare con il sacrificio di 18 volontari.

Tre lavoratori stanno spostando del materiale da un deposito a dei contenitori. Sanno che il materiale è pericoloso, sanno che è radioattivo, ma forse non sanno che potrebbe “esplodere”: “L’uranio non esplode, non è mica dinamite!”.
Occupa poco spazio, ma pesa abbastanza, però è facilmente maneggevole; le procedure direbbero di utilizzare l’apposita attrezzatura, ma perché perdere così tanto tempo, a mano si fa prima.
Bisogna caricare il materiale in un contenitore dove sarà immesso successivamente dell’esfloruro di uranio, un gas fortemente radioattivo, per ottenere dell’uranio altamente arricchito, in polvere, sotto forma di diossido, da utilizzare nelle centrali nucleari come combustibile.
“Questo è già fatto?”
“Ma no, vedi che è quasi vuoto.”
Un malinteso, una distrazione, un attimo, un forte lampo blu.
Dove al massimo dovevano esserci 2,3 Kg di materiale ne sono finiti 16 Kg.
In così poco spazio l’uranio si è autoinnescato: la reazione a catena è partita.
L’uranio è “esploso”, non era mai successo prima, questo materiale può “esplodere” se ce n’è troppo in poco spazio, ma chi mai l’avrebbe detto!
Non si può certo caricare sulle spalle dei tre poveri operai di Tokai tutta la responsabilità di quello che è successo, ma è importante capire per imparare la lezione.
L’uranio è un materiale altamente pericoloso perché se raggiunge la massa “critica” autoinnesca la reazione a catena, che continua a crescere.
In un reattore questa reazione è tenuta sotto controllo con materiali, come la grafite, che assorbono le particelle in eccesso e non permettono che la reazione cresca in modo incontrollato.
Ma qui la reazione è in ambiente libero, e cresce, e cresce, e continuerà a crescere, e bisogna far presto per fermarla, altrimenti ……
Intanto la popolazione viene segregata in casa, i più vicini all’impianto evacuati altrove, ma sono tutti rimedi temporanei, non serviranno se la reazione continuerà a crescere.
100 volte, 1.000, 4.000, 15.000, 40.000 volte il livello di base: bisogna fare presto!
Arrivano le forze speciali, con le apposite tute e tutto l’occorrente, ma non riescono neppure ad avvicinarsi agl’impianti, dato l’elevato livello di radioattività.
Ed intanto siamo quasi arrivati ai livelli dove la reazione non può più essere fermata in alcun modo.
Bisogna che qualcuno si sacrifichi.
Ormai la radiazione è troppo alta, ci vogliono nove squadre di due persone, perché nonostante le tute protettive non si può rimanere in quell’inferno per oltre tre minuti.
Ed in ogni caso queste persone rimarranno contaminate, per sempre.
Ma non c’è alternativa, non c’è scampo, i diciotto volontari saltano fuori, e come se fossero dei pompieri si alternano nell’impianto a spandere sull’uranio impazzito quei prodotti chimici che assorbono le particelle, che “spengono” la reazione a catena.
La radioattività si stabilizza, poi inizia a calare, poi decresce velocemente: è fatta, il circolo vizioso è stato interrotto.
Ora inizierà la solita caccia alle streghe, la ricerca dei colpevoli, ma questo interessa solo ai politici, che devono salvare la faccia.
Quanto è successo, in un paese come il Giappone, dove l’ordine e la disciplina sembrano regnare sovrani, dove i treni spaccano il secondo, dove la tecnologia è un mito, è un monito per tutto il mondo.
Non si può, non si devono creare le condizioni per arrivare a queste situazioni estreme: il progresso, che in fin dei conti è solo economico, visto che i soldi condizionano la scienza, la tecnologia e la politica, non può essere una motivazione valida per accettare qualsiasi compromesso.
In Giappone è successo un evento che poteva capitare in USA, o in Francia, o in Germania, o in Russia, o in qualsiasi altro paese dove si usa l’uranio.
La revisione delle procedure di sicurezza, immediatamente chiesta da Clinton per le aziende americane, è solo un atto dovuto, di facciata.
Nessuna procedura è in grado di garantire la sicurezza quando si maneggia un materiale come l’uranio arricchito, che non esiste in natura, che si sa come innescare ma non come controllare, se non in ambienti ben definiti e limitati, che continua ad essere trasportato con mezzi implicitamente non sicuri al cento per cento, come navi e treni, le cui conseguenze in termini di contaminazione, sia ambientale sia degl’impianti, sono al di là delle nostre attuali conoscenze.
Nessuno al mondo sa come dismettere una centrale nucleare. Nessuno al mondo sa come realmente evitare che si ripeta ciò che è successo in Giappone.
Resta solo, in coloro che hanno capito, un brivido lungo la schiena.

INCIDENTE NUCLEARE IN GIAPPONE

Ancora una volta la causa principale, come a Chernobyl, è l’ignoranza di coloro che maneggiano materiali pericolosi.
COSA E’ SUCCESSO?
L’uranio è un materiale altamente pericoloso perché se raggiunge la massa “critica” autoinnesca la reazione a catena, che continua a crescere.
In un reattore questa reazione viene tenuta sotto controllo con materiali, come la grafite, che assorbono le particelle in eccesso e non permettono che la reazione cresca in modo incontrollato.
In questo incidente era in atto una lavorazione per la preparazione del “combustibile” nucleare: in un contenitore viene aggiunto uranio in forma gassosa altamente arricchito (UF6 Esafloruro di Uranio) per trasformarlo in polvere di uranio arricchito (UO2 Diossido di Uranio) e quindi fare le famose barre di uranio che saranno utilizzate nel reattore.
L’uranio massimo consentito è di 2,3 Kg per ogni processo, proprio per non raggiungere la massa critica; gli addetti, forse per far prima, hanno invece messo 16 Kg di uranio, che a questo punto è esploso, innescando la reazione.
DOVE E’ SUCCESSO? (località)
A Tokai, dove sono stato più volte, è una cittadina di circa 34mila persone, nella prefettura di Ibaraki, ma attorno ne vivono circa mezzo milione. Qui ci sono due grandi complessi nucleari (reattori) ed altri 13 impianti di lavorazione dell’uranio, che servono per questi due reattori.

Se non si ferma la reazione, questa potrebbe propagarsi ad altri impianti, con conseguenze imprevedibili.
Questa è la mappa della zona “calda”.

Reattore n.1
1 Locale Reattore
2 Locale Turbine
3 Centro di controllo

Reattore n.2
4 Locale Reattore
5 Locale Turbine
6 Centro di controllo

7 Deposito materiali di risulta
(es. uranio impoverito)
8 Cisterna
9 Uffici di Tokai, con incluso

parco giochi per i bambini
e mostra sull’energia nucleare
e la sua sicurezza !!!!!!!

DOVE E’ SUCCESSO (nell’impianto)
Non sappiamo esattamente dove, ma è successo al di fuori dei reattori, probabilmente nell’edificio segnato con il n.8.
Quindi dove è successo non c’è alcuna protezione contro una reazione nucleare.

COSA SUCCEDE ORA
Dopo una prima esplosione d’innesco (la luce bluastra riportata dai testimoni) la reazione continua a crescere, e con essa cresce anche la temperatura del nocciolo di uranio, le cui dimensioni progrediscono. All’inizio si parlava di radiazioni 100 volte il normale, poi 1.000, poi 4.000, poi 15.000, poi 40.000, quindi oltre 100.000 volte. Al momento in cui scriviamo (ore 23 del 30 set.) si può ipotizzare che la reazione abbia già superato il milione di volte, visto che le ultime notizie dicono che le forze speciali inviate, nonostante le apposite tute, non riescono neppure ad avvicinarsi agl’impianti, dato l’elevato livello di radioattività.
L’unico limite a questa reazione è la quantità di uranio coinvolto nella stessa, ma questa non è nota a nessuno.

COSA SUCCEDERA’?
Dipende dalla quantità di uranio: se questa è piccola, allora la reazione può stabilizzarsi e poi decrescere per autoestinzione, ma se questa è sufficiente a far crescere la reazione oltre certi limiti si aprono almeno due scenari possibili:
1 la reazione raggiunge livelli tali da innescare analoghe reazioni in altri depositi di uranio, per cui tutto l’impianto inizia ad essere un’enorme bomba nucleare in attività;
2 la reazione da luogo ad un’esplosione nucleare
Nella seconda ipotesi si aprono ancora due possibili scenari:
1 l’esplosione non causa danni ai contenitori d’uranio
2 l’esplosione rompe dei contenitori di uranio, innescando ulteriori esplosioni a catena.

QUALI CONSEGUENZE?
Le prime conseguenze, già in atto, sono la contaminazione della stessa regione: oltre ai tre lavoratori direttamente colpiti, ci sono 310.000 persone nel raggio di 12 Km che sono già esposte alle radiazioni. Le autorità hanno detto di non uscire da casa, e alle insegnanti di trattenere i bambini in classe, ma una simile situazione non può protrarsi a lungo.
Tra l’altro il chiudere le finestre serve solo se queste hanno infissi stagni, e semplicemente rallenta il processo, non permettendo al pulviscolo di entrare, ma le radiazioni passano anche i muri.
Nei prossimi giorni si vedrà come evolve la situazione, ma se il trend in atto verrà confermato, il numero di colpiti in modo grave da radiazioni è destinato a crescere velocemente.
Ovviamente in questo scenario non si tiene conto dei numerosi impianti e depositi di uranio esistenti in zona, che se venissero coinvolti hanno un potenziale complessivo ben superiore a Chernobyl, e potrebbero provocare una nube radioattiva in grado di coprire l’intero Giappone.

COME FERMARE LA REAZIONE?
Non esiste mezzo conosciuto per farlo.
In un ambiente chiuso, come un reattore, la reazione viene spenta immettendo masse di materiale assorbente le particelle, percui queste calano di numero e non riescono più a mantenere viva la reazione in atto, che si spegne.
A Chernobyl, dove era saltato il tetto, fu sparso del materiale da un elicottero, il cui pilota è diventato un eroe, e poi si fecero colate di cemento. Inoltre con ruspe e macchine movimento terra telecomandate, prodotte in Italia (che è l’unico paese al mondo a possedere simili prodotti) si fece una gettata di cemento armato sotto il reattore: nonostante ciò il nocciolo è ancora acceso e la reazione, anche se non cresce, continua tuttora.
Qui siamo in ambiente completamente libero, quindi nessuno sa cosa fare: una reazione nucleare all’aperto, aldilà delle bombe, è un caso completamente nuovo e inaspettato.

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