TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia
Giordano Bruno e l'arte della memoria Di Guido Tanchi
 

 

Sincretismo e tradizione ermetica nella cultura europea del Rinascimento

I migliori discorsi - afferma Socrate nel Fedro - non fanno che suscitare il ricordo in coloro che già sanno”.
Secondo la maieutica socratica, un’idea non ci giunge dall’esterno ma deve germogliare nel nostro intimo perché il pensiero, da cui le idee scaturiscono, vive da sempre nella profondità della nostra coscienza.
La necessaria differenziazione tra significante e significato, è alla base della filosofia socratica dell’esperienza conoscitiva.
Per discoprire gradualmente il proprio sé e fornire allo spirito il nutrimento di cui necessita, è indispensabile che l’espressione del significante, attraverso i vari tipi di linguaggio, discorsivo e scritto, faccia sempre riferimento all’istanza decisiva, rappresentata nell’esperienza interiore e segreta del significato. Le scuole ateniesi ebbero, dunque, questa finalità: mantenere salda nell’essere la consapevolezza dell’unità del creato e della possibilità che tutte le creature possono comprendere interiormente, al di là delle apparenze e dei significanti, la comune matrice unitaria e il tutto che il significato simboleggia, perché ne posseggono il codice nella scintilla primigenia.
Le basi dettate dall’accademia platonica, saranno riprese ed elaborate, nel Rinascimento, dai sincretisti, per i quali “le verità parziali delle filosofie e delle religioni finiscono col coincidere, come le linee dei quadri tutte confluiscono prospetticamente nel punto di fuga, chiave di volta dello spazio” (da “Verità segrete esposte in evidenza”, E. Zolla, Marsilio editore 1990).
Il sincretismo, allora, esprime la tendenza evolutiva che riunifica in sè i significanti, espressioni umane alla ricerca dell’Uno. A questo proposito è utile meditare un passo di Pico della Mirandola tratto dal “De Hominis Dignitate”, Firenze 1487, che è considerato il manifesto del Rinascimento italiano. Afferma Pico: “E’ da mente angusta restringersi ad una sola scuola, al Portico o all’Accademia… in ciascun gruppo c’è qualcosa di insigne, di non comune ad altri… e se esiste setta che accusi i dogmi e dileggi le buone cause dell’ingegno, essa afferma, non inferma la verità, ne eccita la fiamma squassata dal moto, non la estingue. Spinto da questo motivo, ho voluto portare innanzi i pareri non di una sola scuola (come a taluni piacerebbe), bensì della dottrina universale, affinché con la riunione di più sette e dalla discussione della molteplice filosofia, rifulgesse il bagliore della verità che le epistole platoniche ricordano come unica fonte dall’alto… Perciò non contento d’aver aggiunto, aldilà delle comuni dottrine, molta antica teologia di Mercurio Trismegisto, delle discipline caldee, di Pitagora, ho aggiunto i misteri ebraici più segreti e molti da me inventati e meditati ho proposto alla disputa”.
La scuola fiorentina di Careggi, soprattutto con Marsilio Ficino e con Pico, cercò di coniugare l’antica filosofia sincretica ed ermetica con la tradizione alchemica, ponendo le basi di una filosofia unificante che troverà in Giordano Bruno il suo massimo esponente.
“Temete forse più voi nel pronunciare la sentenza che io nel riceverla”. Sono passati quattro secoli dal rogo di Campo dei Fiori (17 febbraio 1600) e nella frase che Bruno pronunciò alla lettura della sentenza, che lo condannava a morte, c’è come scritto un testamento che insieme alla forza del suo pensiero intuitivo, permea sempre più la coscienza degli spiriti, che dagli insegnamenti di Ermete Trismegisto hanno tratto, nella storia dell’umana evoluzione, i nutrimenti essenziali allo sviluppo dell’interiorità.
Sulle tracce dell’ Asclepius e del Corpus Hermeticum (testi guida dell’ermetismo) Bruno riaffermò con forza e dedizione un sincretismo che rovesciando i concetti dogmatici e dottrinali dell’epoca, rinnovasse il mondo. Attraverso il metodo intuitivo dell’Ars Memoriae il filosofo nolano ha lasciato in eredità al pianeta uno strumento “magico” ed incredibilmente efficace per trascendere i limiti della dimensione spazio - temporale, fino a percepire, osservare e immaginare… l’impercepibile, l’inosservabile, l’inimmaginabile. Platone affermava che l’uomo vive come in una caverna, nella quale può solo osservare delle ombre proiettate sulle pareti. Bruno nel De Umbris Idearum riprende il concetto platonico e parla della “realtà umbratile” che gli uomini tendono a dogmatizzare, ma che rappresenta solo l’ombra di quelle idee che non possono essere osservate ma solo “intuite” e vissute alla luce della soggettività interiore. Il Nolano stimola gli esseri verso il proprio autogoverno attraverso l’intuito e la mnemonica, per prendere coscienza di un idea che apra orizzonti prima sconosciuti. Oggi, purtroppo, vediamo espresse al massimo le conflittualità dei vari significanti, disancorati e schiavi dei dogmi religiosi e pseudo scientifici: solo l’applicazione di una nuova metodologia della conoscenza aiuterà a risolvere i molti conflitti irrisolti degli individui. Giuliana Conforto nell’introduzione al suo libro “Scienza intuitiva” ci offre un interessante chiave di lettura del problema: “E’ questa la trasformazione in atto della cultura planetaria: dalla dimostrazione logica o sperimentale alla fede in sè, nella propria intuizione, nella nostra propria capacità di conoscere interiormente e di creare ‘realtà’ attraverso il processo di conoscenza. È un cambiamento di metodo, conseguente alla presa di conoscenza che l’Universo non è un insieme di oggetti ma la manifestazione strabiliante, multiforme, poliedrica e dinamica dei soggetti, che alla radice sono Uno”.
La traccia che Bruno ha lasciato all’uomo moderno è di inestimabile valore perché c’è in essa un codice per districarsi dall’oceano delle apparenze, dalle inquietudini e dai facili giudizi in cui cade vittima la mente umana. Il velo di Maya, cioè l’insieme delle misure della dimensione materiale, segna solo il primo approccio conoscitivo dell’essere nè l’unico, nè l’ultimo. La scienza moderna analizza e scompone la materia con la pretesa di essere “oggettiva”, facendosi scudo in questo con il metodo scientifico, ma la supposta oggettività non esiste nella dimensione duale, che divide oggetto e soggetto, ma solo nell’unità della consapevolezza interiore che scaccia i “demoni” della divisione, e permette all’individuo di riappacificarsi con la personalità “fatta ad immagine e somiglianza di Dio”, che non confonde più gli effetti con la causa prima. In questa ottica tutto il pensiero e l’opera di Giordano Bruno acquistano la dignità di una missione divina al servizio dell’umanità, per aiutarla ad uscire da un dualismo interiore, dalla cui mancata comprensione e superamento, deriva il dramma straziante dell’Homo Sapiens. Il Nolano nel libro “De la causa, principio et uno” parla dell’universo come di un grande mare che genera altri mondi e vibra in infiniti modi, attraverso infiniti universi paralleli. Nell’unità del cosmo, visto come un’insieme di “modi vibrazionali”, il modo fisico, come espressione energetica, è comprensibile alla luce degli universi paralleli, che “vivono” contemporaneamente ma su onde vibrazionali diverse; ogni spazio - tempo è solo la porzione di una particolare frequenza energetica, che può assumere il pensiero cosmico. Giordano Bruno è dunque un messaggero che ha preferito morire, piuttosto che rinunciare a discutere e a divulgare le sue idee e le sue teorie filosofiche e scientifiche. La sua era una scienza che vedeva nella teoria copernicana il ritorno di una religione magica e naturalista, secondo la tradizione dell’ Asclepius ermetico.
Durante il lungo processo cui fu sottoposto Bruno, emerse l’anima dogmatica della Chiesa, poco duttile di fronte all’inquietante, per Lei, visione dell’infinita estensione del divino attraverso le varie espressioni energetiche e vibrazionali della natura, che l’Ars memoriae bruniana prospettava. Le persecuzioni messe in atto dalla Chiesa, nei confronti di spiriti come Cecco d’Ascoli, Savonarola, Bruno, Galileo, Campanella ed altri, determinarono la nascita di una scienza, che superate le dispute rinascimentali con il contributo dell’Inquisizione, occulterà la tradizione magico - ermetica usando il metodo galileiano come emblema della propria forza. La falsa e parziale scienza umana proietta, oggi, un film di improbabili realtà virtuali, in un universo di “mostri” che rappresentano i cloni di una stupidità, che è il frutto di un ingenuo baratto. Abbiamo trascurato, volutamente, il processo di Giordano Bruno perché sarà argomento di un prossimo articolo, ma una riflessione che sia anche uno stimolo per il lettore appassionato di queste tematiche, appare doverosa: perché l’Inquisizione cattolica attenderà otto lunghi anni prima di uccidere Giordano Bruno?
Nella Chiesa del tempo c’erano molti prelati che non volevano il Nolano sul rogo, ma in tutti serpeggiava un’inquietudine profonda, determinata dai progetti di riforma della cristianità che erano insiti nel pensiero bruniano. Infatti il De Magia è un’opera che fa paura alla Chiesa, perché Bruno sta preparando una grande riforma della religione cattolica, ormai oscurata dal materialismo e dalle lotte intestine per il potere temporale. Quindi il Bruno mago e divulgatore di arti divinatorie è inviso alle alte sfere vaticane perché propaganda una dottrina di conciliazione filosofica dei contrasti, che dovrebbe svilupparsi all’interno della Chiesa. Il filosofo opponeva ai dogmi e all’ortodossia cattolica, un pensiero superiore, permeato del sapere dell’antica conoscenza egiziano - ebraica, che vide in Mosè lo spirito ispirato da Ermete ad esprimere nella Genesi alcuni concetti del Corpus Hermeticum. Rimane oggi la consapevolezza che tra l’Inquisizione e Bruno ci fu alla fine una profonda incomprensione perché tra i suoi progetti e il pensiero di una Chiesa, schierata su un ottica del mondo nettamente più razionale e limitante, si era ormai scavato un solco profondissimo che porterà il Nolano al rogo e la Chiesa verso un Giubileo eccezionale, segnato da ulteriori strumentalizzazioni delle coscienze.
Attraverso quel rogo, Bruno impressionò nella memoria collettiva del pianeta terra e dei suoi abitanti, un messaggio chiaro e inequivocabile:
l’arte della memoria aiuterà la coscienza assopita degli uomini di buona volontà ad accogliere la luce ristoratrice e purificante del Cristo cosmico, che si manifestò con umiltà e sacrificio in Gesù di Nazareth. Dall’ascolto ritrovato della propria voce interiore, l’entità uomo risolverà i conflitti insiti nella materia (vista come strumento e veicolo evolutivo) per divenire coscienza del Tutto e cittadino del cosmo abitato e infinito.

Dal “Poimandres” di Ermete Trismegisto, Marsilio editore, Venezia 1987

“... Cominciai allora la mia missione tra gli uomini, annunciando loro la bellezza della pietà e della conoscenza: ‘Popoli, uomini nati dalla terra, che vi siete abbandonati all’ubriachezza, al sonno e all’ignoranza di Dio, fatevi sobri, ponete fine alle vostre gozzoviglie, voi, che siete accecati da un sonno senza ragione’. Ed essi, come udiron le mie parole, mi si fecero accanto, spinti tutti dallo stesso sentimento. Io allora continuai: ‘Uomini nati dalla terra, perché vi siete consegnati alla morte, mentre avete facoltà di partecipare all’immortalità? Pentitevi, voi, che avete camminato assieme all’errore e che nell’ignoranza avete trovato la vostra compagna. Allontanatevi dalla luce delle tenebre, partecipate all’immortalità, abbandonate una volta per tutte la perdizione’. Alcuni di essi, che si erano ormai lasciati andare lungo la strada della morte e che avevano ripreso il loro vuoto cicaleccio, si allontanarono. Altri invece si gettavano ai miei piedi e mi pregavano d’istruirli. Io allora li feci alzare e divenni guida del genere umano, insegnando loro le parole divine, come e in che modo si sarebbero salvati. Seminai in loro le parole della sapienza ed essi crebbero grazie all’acqua dell’ambrosia. Quando venne la sera e la luce del sole se n’andava dileguando poco a poco, li invitai a rendere grazie a Dio. Quindi, portato a termine il ringraziamento, ciascuno di essi si avviò al proprio giaciglio.
Io poi scolpii nel mio animo il beneficio di Poimandres e, ricolmo di ciò a cui aspiravo, provai una gioia senza confini. Il sonno del corpo era divenuto attenta lucidità dell’anima, lo stare con gli occhi chiusi era a sua volta diventato un vero e proprio vedere; il mio silenzio si fece pregno di bene e la divulgazione della parola, da parte sua, produsse cose buone e virtuose. E questo accadde a me, che dal mio Nous, cioè da Poimandres, il Logos del dominio assoluto, avevo ottenuto di apprendere. Ed ecco, sono venuto, spinto dal divino soffio della verità. Perciò, dal profondo dell’anima e con tutte le mie forze, offro a Dio Padre questo canto di lode:
‘Santo è Dio, Padre di tutte le cose.
Santo è Dio, la cui volontà tutte le sue potenze eseguono.
Santo è Dio, che vuole essere conosciuto e che si fa conoscere da chi gli appartiene.
Santo sei tu, che hai creato gli esseri con la parola.
Santo sei tu, del quale la natura intera è l’immagine.
Santo sei tu, non formato dalla natura.
Santo sei tu, che sei più forte di ogni potenza.
Santo sei tu, che sei al di sopra di tutto ciò che eccelle.
Santo sei tu, che superi ‘ogni’ lode.
Accogli la pura offerta sacrificale della parola, che viene da un anima e da un cuore protesi verso di te,
tu, ineffabile, indicibile, tu, il cui nome è pronunziato solo dal silenzio.
Ti prego, fa che io non sia privato di quel tanto di conoscenza, concessa entro i limiti del nostro essere, e investimi della potenza. Allora io porterò la luce di questa grazia agli uomini che vivono nell’ignoranza, miei fratelli, tuoi figli. Io credo e rendo testimonianza: io avanzo verso la vita e verso la luce. Padre, tu sei benedetto. L’uomo che ti appartiene vuole procedere insieme a te nell’opera di santificazione del mondo, secondo che tu gliene hai trasmesso ogni potere”.

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