TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Caccia: spari chi può!...E che poi si dichiari innocente se ne ha il coraggio

Di Lorenzo Baldo

 

 

" Se riuscisse a sentire il dolore che prova un animale ferito, non sparerebbe più..." - Powder -

In una scena del film “Powder”, un cacciatore ferisce mortalmente una femmina di cervo. La cinepresa inquadra lo sguardo della povera creatura negli ultimi istanti di vita, un misto di sofferenza e compassione per il suo ‘carnefice’, che nel frattempo le si avvicina gloriandosi con i suoi colleghi. Proprio nel momento in cui si approssima alla giovane cerva, Powder, ragazzo misterioso proveniente da chissà dove, con una coscienza non terrestre, fa toccare al cacciatore l’animale ferito e in quel preciso istante l’uomo comincia ad avere delle convulsioni come se stesse provando un dolore tremendo. Lo spettatore rimane impietrito. Il cacciatore si dimena, gli occhi sbarrati, la bocca aperta in una smorfia di patimento, sempre con la mano appoggiata sul petto dell’animale… Sono attimi che sembrano un’eternità e che fanno rivivere al cacciatore lo stesso identico dolore che aveva inflitto al povero animale. Dopo quella terribile esperienza, il cacciatore abbandona definitivamente quella sua ‘passione’, non riuscendo a dimenticare ciò che aveva provato. “Se il cacciatore riuscirà a farsi tramite di quello che ha vissuto, allora anche altri comprenderanno il dolore provato dagli animali feriti e non lo faranno mai più…”. Pensando alla caccia e a chi si ostina a definirla come ‘strumento ecologico’ contro il sovrannumero faunistico di certe zone, le immagini di questo film sono la risposta più chiara ed eloquente che si potrebbe dare ad un cacciatore.

CENNI STORICI


Proviamo a guardare al passato, circa 8000 anni fa inizia l’era neolitica. L’uomo, da cacciatore - raccoglitore si avvia verso l’allevamento e la coltivazione. Da questo momento, così lontano nel tempo, ha inizio l’attività modificatrice sull’ambiente naturale: l’uomo interviene alterando i preesistenti equilibri, rapporti e paesaggi naturali. Se invece guardiamo a tempi più vicini a noi, ci rendiamo conto di come ci sia stata una vera e propria ‘escalation’ alla contaminazione dell’ambiente. Nel 1951, in un lago della California vengono avvistati moltissimi uccelli acquatici morti. Se ne ricerca la causa: avvelenamento da DDT, insetticida fino allora impiegato indiscriminatamente e ritenuto una delle più grosse conquiste nel settore della chimica applicata. Negli ultimi due secoli oltre 100 specie di uccelli si sono estinte nel mondo. E ancora si continua a sparare, le lobby armistiche proliferano indisturbate, portando avanti una pericolosa contro informazione. Quando verrà il momento nel quale chi sbandiera ‘armi e ignoranza’ sentirà sulla propria pelle il dolore che è stato capace di infliggere a creature che di aggressivo o pericoloso non avevano niente, forse avremo risolto definitivamente il problema della caccia, nel frattempo ci sono ancora tanti uccelli da salvare e soprattutto ci sono ancora tante generazioni da educare all’amore per la natura e per i nostri piccoli fratelli animali il cui destino dipende dalle nostre scelte e dal nostro impegno.

L'OPINIONE DI FULVIO GRIMALDI

D. Quali sono i danni più gravi della caccia che hai potuto riscontrare?
R. In Italia e non solamente in questo paese, i danni della caccia sono la progressiva eliminazione di una componente dell’eco sistema che è assolutamente indispensabile per l’equilibrio generale dell’ambiente planetario a una successiva perdita di anelli della catena ecologica alimentare, e per quanto ci riguarda, uno smantellamento della biodiversità che è la condizione primaria per la vita della terra.
D. Perché esiste ancora questa ‘cultura’ della caccia? Cosa spinge un uomo ad armarsi e puntare il fucile su un animale?
R. Ci sarebbe da aggiungere alla domanda ‘cosa spinge l’uomo a disintegrare un intero popolo, come è successo a quello jugoslavo e prima a quello iracheno’?! Credo si tratti della stessa volontà di uccidere i ‘diversi’ facendola passare per una manifestazione di ‘giustizia’, di ‘cultura’ e anche purtroppo di ‘divertimento’ e questo nega l’assunto della vita stessa che è quello della ‘cooperazione’, della ‘collaborazione’ tra specie, individui, generi…
D. Ci si scontra con le ‘lobby armistiche’…
R. Queste ‘lobby armistiche’ soffiano sul fuoco della diffusione delle armi perché ne dipende il proprio giro d’affari, che oggi è probabilmente il più grande e fiorente di tutto il mondo. L’industria degli armamenti, sia quella diretta contro gli esseri umani, sia quella destinata all’eliminazione di altre creature viventi è il ‘tesoro’ dell’economia occidentale, in particolare di quella statunitense.
D. Quali sono le responsabilità delle istituzioni per il fallimento dei referendum sulla caccia e per la mancanza di un’adeguata informazione a riguardo?
R. Le responsabilità sono quelle di classi politiche che dipendono in misura sempre maggiore dal potere economico. Il potere economico le condiziona attraverso ‘sovvenzioni’, ‘benevolenze’, ‘sostegni’ di ogni genere, affinché seguano una politica che sia ‘funzionale’ ai profitti di questo stesso potere economico, al cui centro si trova oggi l’industria militare, l’industria delle armi…
D. Come è possibile che i cacciatori abbiano presentato un disegno di legge per prolungare la caccia fino all’ultimo giorno di febbraio, quando è risaputo che in febbraio gli uccelli migratori vivono il periodo più delicato della loro vita dopo l’estenuante viaggio dall’Africa?
R. I cacciatori hanno la presunzione di ‘rappresentare un’ala genuina del mondo ecologico ed ambientale’. Di solito si mascherano dietro la cortina fumogena della propaganda secondo cui ‘soltanto i cacciatori sanno quali sono gli equilibri corretti tra animali - natura - esseri umani’. Purtroppo è radicato nel profondo della psiche di molti uomini il desiderio di uccidere che oggi malauguratamente viene promosso, viene incoraggiato dalle politiche aggressive e guerrafondaie delle ‘classi dirigenti’. L’idea di divertirsi uccidendo, affermando la propria superiorità su coloro che vengono colpiti non ha a che vedere con un bisogno, è qualcosa di atavico, quando la cattura e l’uccisione di animali erano un elemento indispensabile per l’alimentazione di una popolazione che non aveva ancora imparato a coltivare, a sviluppare la pastorizia e che non aveva scoperto altri strumenti per procurarsi gli alimenti. Malauguratamente si tratta di una tradizione che non ha più una corrispondenza effettiva nelle necessità e nei bisogni della popolazione, ma si è ridotta all’unico aspetto, abbastanza degradante per l’uomo, del ‘divertimento a uccidere’. Noi assistiamo ad una ‘involuzione planetaria’ in cui si afferma la ragione del più forte, del più violento, di quello che è più ‘bravo tecnologicamente’ a eliminare concorrenti, popoli recalcitranti e dissidenti, è chiaro che questo si ripercuote in una categoria che usa strumenti di tecnologia avanzatissima contro creature che non hanno altra difesa che le loro piume e che non sanno rispondere. Come dicevo prima, tutto questo ci riconduce a quello che è successo in Jugoslavia, dove gli apparati tecnologicamente perfetti e quindi ‘ammirati’ dalla stampa per induzione propagandistica dei poteri esistenti, sono in grado di spazzare dalla faccia della terra popolazioni che sono ‘invisibili’, indifese; è successo in Jugoslavia; la gente non sapeva neanche da dove arrivasse la morte… più o meno quello che succede a uccelli, cervi, cinghiali, volpi, che non hanno la possibilità di percepire il pericolo e l’origine del pericolo e che non hanno la minima possibilità di reagire, di difendersi. La brutalità della caccia è proprio questa: la sproporzione spaventosa tra chi caccia e chi è cacciato. Si usano fucili avanzatissimi a ripetizione, con pallottole che sono 10 volte il peso dei ‘bersagli’, pensiamo a un fringuello, ad un merlo che pesa un decimo della pallottola che lo disintegra. Ancora una volta l’affermazione di una tecnologia in questo caso assassina che si arroga il diritto, per la sua modernità e per il suo presunto progresso, di poter eliminare tutto quello che è ‘arretrato’, un uccellino che da 3.000 anni, 10.000 anni, 100.000 anni ha gli stessi strumenti di difesa e di preservazione della sua specie di oggi.
D. Quali sono le azioni da intraprendere per contrastare questa situazione?
R. Io sono convinto che la maggioranza degli italiani, oggi, sono disgustati dalla caccia e se si dovesse ripresentare la possibilità di un referendum, come io auspico, probabilmente questa volta si vincerebbe perché i produttori di armi, per quanto potenti e gli stessi cacciatori, sono in minoranza. Oggi in Italia i cacciatori sono scesi dal milione e mezzo di unità di 10/15 anni fa ad appena 800.000. Credo che bisognerebbe, dal punto di vista contingente - tattico, elevare in maniera drastica i costi della pratica della caccia attraverso imposizioni fiscali e l’aumento dei prezzi per quanto riguarda l’acquisto di armi, di munizioni e soprattutto di licenze. Oggi abbiamo una maturità culturale che dovrebbe impedirci definitivamente di uccidere ‘per divertimento’. La mobilitazione delle associazioni ambientaliste, che vanno a disturbare i cacciatori in difesa degli animali è una bella iniziativa per sensibilizzare l’opinione pubblica contro questa pratica. Se dovesse esserci, come a volte asseriscono i sostenitori della caccia, uno ‘squilibrio’ tra presenza eccessiva di animali, in spazi naturali ridotti, la risposta non è lo sterminio di questi animali, la risposta è la riduzione dell’antropizzazione che ne ha invaso gli spazi. Noi, nel mondo, abbiamo praticamente occupato ‘per l’uomo’ il 90% delle terre e delle acque, abbiamo quindi invaso territori altrui, abbiamo costretto al ritiro in riserve minuscole quello che resta della vita animale. Capovolgiamo questa strategia, incominciamo a rispettare spazi e ad allargarli così da permettere la sopravvivenza equilibrata del mondo animale. Inoltre credo che se in qualche raro caso, un eccesso di popolazione animale, come ad esempio i cinghiali in Toscana, in Umbria che minacciano le coltivazioni con la loro presenza, dovrebbe essere risolto esclusivamente con ‘tecnici’ che non uccidono per spasso o per ‘sport’, termine di paragone umiliante per lo sport, ma che fanno un intervento di selezione che sia di salvaguardia per la popolazione animale e che sia puramente scientifica, e che soprattutto non sia basata sulle invasioni di ‘presunti sportivi - liquidatori’. Un altro aspetto che bisognerebbe completamente contrastare e vietare è il ripopolamento finalizzato alla caccia. Abbiamo questa aberrante abitudine di riempire riserve cosiddette di caccia di ‘polli colorati’, questi fagiani vengono allevati e non sono assolutamente in grado di difendersi, perché vengono privati della loro capacità di fuga, di spostamento e sono considerati dei ‘miserabili’ dal punto di vista di abilità dei cacciatori, dei semplici ‘obiettivi’ per i fucilatori… ma fino a quando?

Intervista al Prof. Danilo Mainardi, Presidente della LIPU

D. Qual è stata la ‘strada’ che l’ha portata a diventare Presidente della LIPU?
R. E’ stata una ‘strada interna’, visto che sono partito come semplice socio. Sono una persona interessata sia agli aspetti strettamente ornitologici sia a quelli della conservazione degli uccelli e della fauna in genere. Sono stato per molto tempo membro di giunta nella LIPU. Ero molto vicino a Mario Pastore e quando purtroppo è scomparso, mi sono sentito in dovere di prendere il suo posto, mi sembrava che fosse la cosa giusta da fare e lo sto facendo molto volentieri…
D. Riguardo alla caccia, cosa ha visto in tutti questi anni?
R. La caccia fa vari tipi di danni, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. Qualitativo perché il prelievo che producono i cacciatori non è analogo a quello di qualsiasi altro predatore. Il modo di prelevare è tale per cui al di là di quanti individui vengano prelevati, c’è il fatto che la selettività è diversa. Il predatore preda individui giovani, individui malati, fa di conseguenza un’azione di carattere positivo per mantenere sana una specie, mentre il cacciatore preleva quello che è più ‘evidente’, talora gli individui più belli nel caso dei mammiferi, quelli che hanno i ‘trofei’ più sviluppati… La caccia non è predazione, perché mentre esiste un rapporto numerico molto ben definito tra prede e predatori, i cacciatori possono eccedere come prelievo per cui si creano sempre squilibri. Il più importante consiste nel fatto che il cacciatore utilizza delle tecnologie che si evolvono così rapidamente, per motivi che dipendono dalla cultura umana. Il cacciatore utilizza ad esempio ‘inganni’, mi riferisco alla registrazione di canti, all’utilizzo di fucili a più colpi, si sposta con mezzi che non tengono conto del bilancio energetico, si informa sulla presenza delle prede comunicando con i telefonini che impediscono qualsiasi fenomeno di co-evoluzione da parte delle prede e di conseguenza quel sano equilibrio tra preda e predatore dove ad ogni strategia predatoria corrisponde una strategia anti-predatoria. In questo caso viene a mancare. Quello di cui mi sono convinto è che la caccia non è una forma di predazione, la sarà stata in tempi antichissimi, ma ormai non lo è più…
D. Perché allora nell’uomo c’è ancora questo desiderio di cacciare?
R. C’è da dire che il fenomeno della caccia sta calando molto. Di anno in anno il numero delle licenze è in netto declino, probabilmente è un fatto tradizionale , un’abitudine che viene trasmessa culturalmente da genitori a figli e soprattutto in certe zone c’è questo ‘segno’ di differenziamento maschile, poi probabilmente c’è un antico desiderio di esplorare la natura, il piacere della cattura… Infatti una delle strategie importanti della LIPU è stata proprio quella di sostituire la caccia con qualcosa di analogo: il ‘bird watch’. Vengono conservati il piacere dell’esplorazione e dell’osservazione, però senza portare a casa un carniere pieno di animali, ma stupende immagini, come avviene per la ‘caccia fotografica’ che ha mantenuto il nome.
D. E i venditori di armi?
R. Ci sono grossi interessi di carattere economico… così grandi che questi venditori di armi si possono ‘muovere’ in tanti modi, anche politicamente, purtroppo è normale che accada quando ci sono forti interessi economici… Probabilmente in molte parti del mondo non è la caccia il problema più ‘serio’, ma l’assommarsi di differenti impatti. Quando una popolazione di animali è già messa in crisi per l’inquinamento, andarla a cacciare… si può immaginare quello che provoca. La caccia dovrà scomparire o evolversi, per somigliare sempre di più alla predazione naturale, questo al di là di tutti i problemi di ordine etico, perché è chiaro che per molte persone il ‘divertimento’ di ammazzare gli animali è qualcosa di inaccettabile…
D. Cosa fare per fronteggiare questo problema?
R. Per problemi che riguardano l’impatto dell’uomo sulla natura, credo che il problema educativo sia la questione più importante. Si tratta sempre di fenomeni che hanno una base culturale, è molto più significativo convincere le persone a non fare certe cose, piuttosto che impedirglielo agendo semplicemente attraverso gli aspetti legali e punitivi. Io vedo una grandissima importanza in tutti gli aspetti dell’educazione ambientale, riuscire a far capire alla nostra specie, alle nostre popolazioni e ai singoli individui che determinare squilibri di tipo ambientale significa provocare ripercussioni contro noi stessi. Noi facciamo parte della natura, l’ambiente è nostro, alla lunga siamo noi che ne pagheremo le conseguenze, insieme con le altre specie…
Se c’è una popolazione preparata e acculturata, i nostri politici potranno fare delle scelte diverse. I politici dipendono da un certo tipo di consenso, se la ‘base’ non è preparata, neanche i politici potranno mai fare dei piani a lungo termine con ricadute positive, magari dovendo pagare degli ‘scotti’ sui tempi brevi. Per cui un certo tipo di ‘rivoluzione culturale’ è indispensabile…
D. Tornando alla questione ambientale, pensa che le anomalie dell’asse magnetico, gli scompensi climatici siano in relazione con gli esperimenti nucleari?
R. Io non ho una competenza specifica su questi argomenti, ma penso che esistono forti correlazioni tra i fenomeni. Le deforestazioni determinano grossi cambiamenti climatici, come i fenomeni della desertificazione, ci sono squilibri a tutti i livelli, dalla scomparsa delle singole specie che innescano poi reazioni a catena incalcolabili, anche per un semplice moscerino, visto che tutte le specie sono collegate. Basti pensare all’impollinazione, per cui la scomparsa di un animale può creare gravi ripercussioni da tutte le parti, si tratta quindi di problemi fondamentali.
D. Qual è la Sua opinione sull’informazione ‘controllata’ e censurata?
R. Io credo che ci siano due tipi di ‘occultamento’ dell’informazione quando c’è. Uno è determinato probabilmente da motivi di interessi molto grossi, altre volte però c’è una sorta di ‘autocensura’ dagli stessi ‘fabbricatori’ di notizie. Certo è che l’informazione non sempre fornisce un quadro generale della situazione. Quello che spetta di diritto ai cittadini è essere al corrente dei problemi legati al proprio benessere e alla propria sopravvivenza e quando intendo ‘proprio’, non intendo solo del singolo individuo, ma proprio della popolazione e della specie. Credo che l’informazione dovrebbe essere un diritto in questo nostro mondo; di conseguenza i problemi ambientali dovrebbero avere ampio spazio. Dovrebbe però essere equilibrata e non allarmistica, perché in caso contrario avrebbe l’effetto opposto, come nella storia di ‘Pierino e il lupo’: chi grida sempre ‘allarme’, non allarma più… Malauguratamente, soprattutto nel nostro paese, esiste una sorta di ‘scarsa presenza’ di personaggi competenti in ecologia che hanno lasciato il posto molte volte a ‘divulgatori’ o a ‘ecologisti’ che non hanno una sufficiente base scientifica, per cui certi ‘allarmi’ non sono giustificati. Questi eventi lasciano un segno molto negativo nell’opinione pubblica. Io vedo molto bene quello che sta accadendo negli altri paesi più democratici del nostro, che hanno avuto una cultura antica di democrazia per cui ‘i professori’ non sono chiusi in un linguaggio difficile, ma sentono come loro dovere spendere una parte del loro tempo di lavoro proprio per divulgare un’informazione corretta.
D. Quanto è importante che la scienza vada di pari passo con la spiritualità, con l’etica?
R. E’ sempre più importante, proprio perché la scienza ha un potere sempre più grande per quanto concerne tutti i livelli del benessere della nostra specie e del pianeta. Io credo che la scienza, forse non potrà mai produrre etica… perché probabilmente la scienza va verso uno ‘specialismo’ e di conseguenza le sarebbe molto difficile… ma sarebbe decisamente fondamentale che gli scienziati sentissero il desiderio di confrontarsi con i filosofi, con quelli che fanno dell’etica una propria ‘professione’, in modo da poter fornire tutte le informazioni in un modo interdisciplinare. Un’etica in funzione della sopravvivenza, del benessere e del rispetto per tutte le specie. Penso comunque che sia importante frenare l’incremento demografico, perché questo è uno dei grandi problemi, il genere umano sta crescendo di numero in maniera incontrollata, al di fuori delle possibilità di sostentamento da parte del pianeta. Non possiamo neanche sfruttarlo troppo, occorre un controllo dei numeri delle popolazioni.
D. E quanto inciderebbe una presa di posizione delle grandi religioni in difesa e tutela dell’ambiente?
R. Enormemente, perché ormai abbiamo pochissimi leader di opinione che rappresentano le grandi religioni….
D. In un Suo editoriale su “Ali Notizie”, riferendosi al recente conflitto nei Balcani scriveva che la LIPU non era ‘chiusa’ alla sola occupazione di protezione uccelli, ma che si interessava necessariamente dei problemi legati al genere umano…
R. Tutto questo per me è fondamentale, ma non è niente di speciale per la LIPU visto che è il nostro modo di essere in rispetto di tutte le specie. Noi siamo la ‘specie umana’, di conseguenza io vedo estremamente logico occuparsi prima di tutto della nostra razza. In realtà, quando noi ci occupiamo degli uccelli come specie-bersaglio, lo facciamo per motivi ben più seri che non per il fatto che gli uccelli sono ‘belli e simpatici’. Noi vogliamo vivere in un ambiente in equilibrio nel quale la ‘specie centrale’ è proprio quella umana, sia come responsabilità che come nostro interesse. Lo stile di vita dell’uomo nelle ultime centinaia di anni, con un incremento notevole negli ultimi decenni, si è basato quasi esclusivamente sui ‘benefici a breve termine’. In tutte le scelte economiche e politiche, senza valutare quali sarebbero state le terribili conseguenze a ‘lungo termine’, al di là di quelli che possono essere stati gli interessi di piccoli gruppi consolidati. Si dovrebbe fare un passaggio da un ‘antropocentrismo miope’ a un ‘antropocentrismo illuminato’ il che vuol dire: ‘pensiamo alla nostra specie’ e se vogliamo essere antropocentrici in modo illuminato, noi dobbiamo proteggere l’ambiente, proteggere anche gli equilibri a lungo termine, i rapporti tra le popolazioni lontane, capire il valore della biodiversità, anche la ‘biodiversità culturale’. Il discorso della diversità ci riguarda molto da vicino. Tutti i guai che stanno succedendo adesso, tutte le ‘competizioni’ hanno dietro questa ‘ostilità’ per tutto ciò che è diverso. Dobbiamo riuscire a capire che la diversità è un valore…
D. Cosa si aspetta per il terzo millennio?
R. Il ‘millennio’ mi sembra una quantità di tempo immensa… io sono molto preoccupato per i prossimi vent’anni, perché credo che le grandi scelte per il nostro benessere e per la nostra sopravvivenza riguarderanno proprio i prossimi vent’anni, importantissimi per i prossimi cinquanta e i prossimi cento. I problemi di aggressività all’interno della specie, di cattiva distribuzione delle risorse, di incremento demografico, devono trovare una svolta culturale molto rapidamente… Qui siamo arrivati ad una svolta che deve essere fatta molto rapidamente. Bisogna riuscire a sconfiggere i ‘localismi’, noi siamo in un’epoca di globalizzazione, ma poi continuiamo a vedere tutta una serie di piccole competizioni locali che aumentano, mentre il coordinamento a livello globale sta diventando sempre più necessario. Quindi abbiamo un enorme consumismo da una parte e la gente che muore di fame dall’altra. Anche noi della LIPU abbiamo di questi problemi. La scomparsa della rondine ad esempio non è un problema solamente italiano, bensì coinvolge tutta l’Europa e tutta l’Africa, perché noi eliminiamo un certo tipo di inquinanti in Europa e poi li andiamo a vendere in Africa, dove oltre ai gravissimi problemi che già hanno, fanno morire anche le rondini…
D. Qual è il Suo messaggio alle giovani generazioni?
R. Ci sono così tante cose da fare… fortunatamente però, esiste una ‘carica positiva’ all’interno della gioventù... Ai giovani direi di rispettare il ‘diverso’, la parola rispetto e la parola diversità devono essere viste come due ‘valori forti’ da difendere… E per il futuro bisogna sempre avere la speranza… cercare di bloccare le intolleranze che stanno crescendo all’interno della nostra popolazione sia a livello individuale che di gruppo e soprattutto essere ‘operativi’ a tutti i livelli…

ARMANDO GARIBOLDI

Abbiamo chiesto ad Armando Gariboldi, dal 1997 Direttore generale della LIPU la sua opinione sull’Ekoclub, un’associazione dichiaratasi ‘ambientalista’, nonostante le mille contraddizioni.
D. Come è possibile che esista l’Ekoclub?
R. Si tratta di un’operazione veramente scorretta. Risulta possibile, perché Ekoclub è un’associazione che è nata da un’emanazione della FederCaccia ed è stata riconosciuta tempo fa dal Ministero per l’Ambiente come ‘associazione ambientalista’ e quindi inserita nel Consiglio Nazionale delle associazioni ambientaliste. Come tale oggi si propone chiedendo di avere i propri rappresentanti nei comitati di gestione degli ambiti territoriali di caccia, nei parchi e in tutte le situazioni dove gli ambientalisti hanno degli spazi. E’ una operazione politica, fatta in maniera molto intelligente, perché utilizza gli iscritti alla FederCaccia spacciandoli come ambientalisti con una forma di reclutamento su cui ci sarebbe molto da dire, visto che alcuni si ritrovano iscritti alla Ekoclub semplicemente per essersi iscritti ad altre federazioni che partecipano al CONI, per un accordo fatto tra queste federazioni. E’ quindi un’operazione molto negativa che tra l’altro toglie spazio alla dialettica tra mondo venatorio e mondo ambientalista. Le componenti più serie di entrambi i settori in cui la distinzione dei ruoli potrebbe portare a costruire qualcosa di serio. In questo modo invece si mira solamente a occupare degli spazi per non avere opposizione. E’ un’operazione strumentale molto negativa per tutti.
D. Cosa bisogna fare per salvaguardare le specie animali?
R. L’importanza di avere un legge quadro resta il punto cardine anche per quanto riguarda il problema della pesca. La grande immissione di specie esotiche nei nostri fiumi porta via spazio alle specie autoctone. Vanno poi individuati i ruoli propri delle varie associazioni e comprese quelle venatorie che possono svolgere un ruolo importante nell’educazione e nella formazione dei propri iscritti così come le associazioni ambientaliste. Ci vuole un’assunzione di responsabilità da parte degli enti locali, in particolare i competenti assessorati delle province e delle regioni che devono affrontare in maniera seria e non solo pensando alle tessere. Questo tema che è estremamente importante nella gestione del territorio, perché gestendo gli animali, gestendo l’interesse venatorio e le specie protette, si gestisce l’ambiente e si entra poi nei temi caldi della questione ambientale. Occorre una maggiore consapevolezza da parte delle amministrazioni locali.
D. Come vede il futuro per gli animali e per il pianeta stesso?
R. Da un lato c’è l’ottimismo del sentimento, dall’altro il pessimismo che ci viene dalla ragione, dall’analisi razionale di quello che sta succedendo. Dobbiamo assolutamente essere consapevoli che siamo ormai giunti a dei livelli non sostenibili di degrado e di sfruttamento del nostro pianeta e del nostro territorio. Gli italiani ne devono essere sempre più consapevoli. Non c’è solo l’Amazzonia o il buco dell’ozono in Antartide, bisogna sapere che in prima linea c’è anche l’Italia: alcune risorse diventeranno sempre più preziose come l’acqua. Pensiamo che oggi noi laviamo le nostre macchine o sciacquiamo le stoviglie o i bagni con l’acqua potabile, sono risorse che non possono essere più sprecate. E’ possibile un’inversione di tendenza, di questa situazione che è fortemente degradata, ma solo se c’è unità di intenti e un cambiamento di atteggiamenti diffuso. Non è solo un discorso di governi che sicuramente sono i primi a dover intervenire, ma anche il comportamento del singolo, sommato ad altri, può produrre dei mutamenti sostanziali. Bisogna cominciare subito, non abbiamo più tempo per rimandare…
D. Come uomo cosa teme e cosa spera per il futuro?
R. Temo che continui questo atteggiamento molto consumistico, molto deresponsabilizzante sulle tematiche dell’ambiente, però sono anche convinto che ci siano sempre più persone che magari in maniera non appariscente si stanno impegnando in questo senso e chiedono a chi li governa di impegnarsi. Credo che la ‘flessione’ dei Verdi nel nostro paese sia dovuta proprio perché non si sono più occupati come prima di ambiente. Questo evidenzia una richiesta da parte dei cittadini ad essere più tutelati e quindi mi auguro che questa consapevolezza aumenti così da farci rendere conto che il problema ambientale non può essere un argomento di questo o di quel partito. E’ un tema, come la salute pubblica, assolutamente trasversale. Spero ci sia questo ‘salto di coscienza’ da parte del maggior numero di individui e che porti poi ad avere degli amministratori altrettanto consapevoli, indipendentemente dallo schieramento politico o dall’area culturale. Questa è proprio una sfida all’ultimo sangue; il Papa ha recentemente fatto un discorso ecologista, ambientalista, anche se credo che la Chiesa dovrebbe schierarsi con maggior forza su questi argomenti che sono propri dell’uomo a cui tra l’altro si collegano anche aspetti spirituali di evoluzione umana che vanno oltre la protezione di un fiore o di uno scoiattolo…

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Fulvio Grimaldi - Firenze 12/5/1934, oltre ad essere un giornalista riconosciuto a livello mondiale, inviato di guerra negli ultimi conflitti, è stato e continua ad essere un ambientalista preparato e determinato. Le sue battaglie in difesa dei diritti degli animali sono state riportate da tutti i mezzi di informazione. Attualmente sul quotidiano “Liberazione” cura una rubrica intitolata “Mondocane”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Danilo Mainardi (Milano 1933) è professore di Conservazione della natura nell’Università Ca’ Foscari di Venezia, direttore della Scuola Internazionale di Etologia del Centro Ettore Majorana di Erice e presidente nazionale della LIPU. Precedentemente ha insegnato biologia generale, zoologia e etologia presso l’Università di Parma. La sua ricerca è incentrata sugli aspetti evolutivi e adattativi del comportamento. Si occupa anche di divulgazione scientifica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Armando Gariboldi dal 1987 oltre all’attività di ricerca universitaria si occupa, in qualità di libero professionista, di indagini finalizzate alla gestione faunistica, di aree protette, studi di impatto ambientale e di interventi di ingegneria naturalistica. Negli anni ‘90 si specializza nella gestione di grandi progetti ambientali. Dal 1997 è Direttore Generale della LIPU.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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