TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Intervista al Senatore Sergio Flamigni

Di Lorenzo Baldo in colaborazione con Paolo Ciavarrano
 

 

25.05.1999 - ORIOLO ROMANO

D. Qual è la sua opinione sull’attentato D’Antona?
R. La mia opinione è che tutto è possibile, anche perché ci sono sia elementi che portano ad ingerenze dei servizi segreti nella storia delle BR sia precedenti che risalgono alla nascita delle Brigate Rosse. Infatti Franceschini e Curcio, i “fondatori”, ci hanno riferito che proprio loro ricevettero, da parte dei Servizi Segreti Israeliani, proposte di un piano comune. Gli stessi Servizi Segreti Israeliani gli avrebbero consentito di svolgere addestramenti in campi situati nel loro paese ; avrebbero poi fornito loro denaro, armi e informazioni. Per mettere alla prova la loro buona volontà consegnarono alle BR un’informazione preziosa. Gli dissero che due persone stavano per infiltrarsi e la cosa risultò essere veritiera. Dopo aver esaminato questa proposta, i brigatisti decisero però di rifiutare, poiché avevano timore di cadere in un gioco troppo grande: un “gioco internazionale”. Gli Israeliani dicevano di avere tutto l’interesse affinché loro facessero la rivoluzione, e questo perché più la situazione politico-militare in Italia si destabilizzava, più gli americani erano costretti ad appoggiarsi su Israele, nell’area mediterranea. Avevano quindi rivelato esplicitamente la ragione di questa proposta. Stando a quanto da loro dichiarato, in seguito al rifiuto, furono arrestati sia Curcio che Franceschini. La Cagol ( moglie di Curcio, ndr.) venne uccisa. Nella seconda generazione, non si sa se hanno mantenuta ferma la loro autonomia e la loro indipendenza, non lo sappiamo. Ci sono state altre ingerenze più avanti quando è avvenuto il sequestro Dozier.
Nel corso dell’inchiesta, infatti, sono emerse tracce di un collegamento tra BR e Servizi Segreti bulgari. Esiste inoltre una connessione tra BR e la RAF, l’Organizzazione Terroristica Tedesca, a sua volta collegata con l’Est. Dopo la caduta del muro di Berlino altri elementi ci hanno fatto capire che la RAF aveva ricevuto protezione da parte della STASI, i Servizi Segreti della Germania.
Io possiedo un documento con cui le BR unitamente alla RAF rivendicano l’attacco a un sottosegretario tedesco alle finanze avvenuto nel marzo ‘89 in Germania.
Ciononostante noi, all’infuori di questi indizi, non siamo mai riusciti a provare questo legame con i servizi segreti per sapere quali servizi effettivamente abbiano “inzuppato il pane” nell’attività delle Brigate Rosse; ci arriviamo indirettamente... Non è mai avvenuto che il Governo italiano o i servizi segreti italiani abbiano fornito alla commissione di inchiesta parlamentare o alla magistratura, un elemento concreto a supporto di questa teoria. Per cui, se non ci siamo riusciti prima, immaginiamoci adesso che c’è la guerra e tutto è “corazzato”...
D. E per quanto riguarda una vera e propria strumentalizzazione delle Brigate Rosse?
R. Tenga presente che quel documento può essere la “facciata”, la maschera per nascondere una realtà. “Loro” usano tutte le categorie di linguaggio che sono proprie delle Brigate Rosse. In una “lettera” di quel documento, si ritrovano formulazioni lessicali già usate dalle precedenti risoluzioni delle direzioni strategiche. Il linguaggio è lo stesso. Bisogna scoprire se sono le stesse persone che hanno scritto i precedenti documenti o se invece il gergo viene usato e strumentalizzato. Si tratta di una nuova realtà rispetto al passato? Questo è uno dei grandi interrogativi che ho visto riproporre continuamente nei giornali anche da parte degli analisti. Non mi risulta che ci sia stato ancora un analista che sia riuscito ad individuare dei termini concreti per dire: questo è uguale a quello. Le ipotesi sono varie. Il fatto è che la parola d’ordine in questo documento, è la stessa presente in precedenti documenti: “Guerra alla guerra”. Loro la pronunciavano già quando la guerra non c’era. Se andate a leggere la prima risoluzione della direzione strategica del Partito Comunista Combattente, cioè BR PCC (vale a dire quella del dicembre del 1981, quando c’è stata la scissione tra il Partito guerriglia di Senzari e PCC di Moretti, Balzarani, Gallinari, Seghetti e Piccioni), vedrete che il primo capitolo di quella risoluzione è proprio questo: la crisi della borghesia imperialista genera la guerra e poi c’è guerra alla guerra: c’è tutto. E’ un libro! Adesso che la guerra c’è, le dico la verità: “Io me l’aspettavo”! Mi è capitato svariate volte di arrivare a questa conclusione. Tutta la storia delle BR e del terrorismo in Italia è stata usata per impedire che la Sinistra arrivasse al governo. Adesso che è arrivata al governo è possibile che non succeda niente? I terroristi sono morti? Quando è scoppiata la guerra, ho pensato che fossero morti sul serio, altrimenti sarebbero saltati fuori... eccoli qui. Considerata poi la situazione internazionale di questo momento, devo pormi il problema anche dei servizi segreti...
Bisogna essere molto prudenti, stare ai fatti. Non possiamo non prendere in considerazione anche l’ organizzazione terroristica greca, “ 27 novembre”, che il sabato o la domenica precedente al delitto D’Antona ha colpito il consolato tedesco con un bazooka: eravamo alla vigilia dell’incontro Schroeder-D’Alema.
Questo è un attacco che si produce in un momento in cui l’Italia è impegnata a risolvere il problema del Kosovo e dei Balcani attraverso una via diplomatica. Ecco che ritorniamo alla solita strategia brigatista, perché per “loro” la guerra è un’occasione e la guerra deve durare se si vogliono tirare fuori i frutti! Questa è un’azione per “parlare durante la guerra” e non per farla smettere. Poi c’è da notare che loro si schierano con Milosevic, perché nella risoluzione è chiarissimo il riferimento alla Serbia, alla guerra folle da parte dello Stato italiano, alla Nato e via di seguito. E’ chiaro che ci sono delle potenze che hanno interesse affinché la guerra duri. All’interno degli stessi stati non c’è una politica omogenea come non c’è all’interno dei servizi segreti. Entriamo in un “mare aperto” e lo affermo alla luce dell’esperienza che ho io degli stessi servizi segreti americani. Basti pensare che c’è ancora da chiarire chi ha ammazzato Kennedy.
D. Cosa pensa dell’ipotesi che Moretti possa essere stato un infliltrato dei Servizi Segreti all’interno delle Brigate Rosse?
R. Io non sono di quest’opinione sul caso Moretti. Credo che sia stato il classico brigatista collegato a delle “menti”, che ha creduto magari di fare la rivoluzione mentre, invece, è stato favorito nella sua azione perché erano informati di quello che stava facendo. Però non ho nessun elemento e non è mai emerso che lui potesse essere una spia, un infiltrato. Io credo piuttosto all’intera direzione delle BR nella fase del delitto Moro. Nel mio libro “Convergenze Parallele” ho spiegato alcuni elementi a sostegno di questa convinzione; chi sapeva, anziché far arrestare, ha favorito. I nostri Servizi Segreti erano in mano a quelli della Loggia Massonica P2 la quale aveva un programma politico diametralmente opposto a quello di Moro. E’ abbastanza chiaro che quando si presta un giuramento ad una loggia, dopo si è vincolati. Questo loro lo sapevano. Li hanno incanalati, hanno lasciato loro lo spazio quando avevano già compiuto il “Caso Moro” e dando in mano a Dalla Chiesa l’anti-terrorismo, li hanno debellati.
D. Moro diceva che il nostro paese era un paese libero, indipendente, nonostante grandi alleati come l’America e con questo firmò la sua condanna a morte. Quale fu la fase più importante che portò a questo delitto?
R. Innanzitutto c’è un periodo relativo alla sua politica estera: il suo contrasto a livello internazionale con gli americani, con Kissinger in particolare. Kissinger poi non è stato soltanto il capo della politica estera, non è stato solo il segretario di stato, ma è stato responsabile anche della sicurezza, quindi ha avuto il controllo totale e questo, naturalmente, prima del delitto Moro. Era quindi informatissimo su tutto, anche sul fatto che Moro era un filo-palestinese; di fatto Moro strinse l’accordo con Arafat con il quale i palestinesi si impegnavano a lasciare il territorio italiano al di fuori dalla loro area di azione militare contro gli israeliani e questo in cambio di un “riconoscimento”. Non a caso l’Italia fu il primo paese europeo a riconoscere l’OLP.
Secondo me la cosa risale a molto prima del ‘78. Tra l’altro c’era il fatto che Moro aveva aperto la sua politica ai socialisti con il primo Governo di Centro sinistra. Già all’epoca ci fu Pecorelli che scrisse un articolo sulla rivista “Mondo di oggi”, nel quale sosteneva che Moro doveva essere rapito già durante il Golpe di “De Lorenzo”. Doveva essere rapito, sequestrato e poi ucciso nel 1964.
Guarda caso, Moro stava lavorando per trovare un accordo di Centro Sinistra. Kennedy si interessò al suo operato, e dopo aver chiamato i suoi consiglieri, avallò le scelte di Moro.
Il presidente americano venne poi ucciso... Non sono stati ancora pubblicati documenti che possano spiegarci gli eventi di quel periodo storico, però questa è stata la prima tappa. La seconda è invece quella del Medio Oriente. Durante la “Guerra del Kipur” nell’ottobre del 1973, Moro, sotto la spinta della sinistra di Berlinguer, rifiutò l’uso delle basi agli americani nella missione in aiuto agli israeliani.
Il Medio Oriente era fuori della zona di influenza europea della NATO e lo statuto della NATO non prevedeva una cosa del genere, Moro si faceva forte di quella che doveva essere la funzione originaria della NATO. Moro usò questo argomento. Quello è stato l’elemento di maggiore frizione. Non a caso Moro lo scrisse da prigioniero delle BR. Lo mise in rilievo nei suoi scritti. Nel libro “Il mio sangue ricadrà su di loro”, riporto tutti questi scritti. La crisi di Governo si aprì proprio con la richiesta del PCI di entrare al Governo. Dopo tutta una serie di trattative abilmente dirette da Moro, arrivarono all’accordo di maggioranza programmatica. Un esempio è il famoso articolo che Moro ha indirizzato sia agli americani sia ai sovietici. La contestazione infatti non fu solo americana, ma anche sovietica rispetto alla politica dell’Euro-comunismo. La figura di Moro, poi, non è stata adeguatamente considerata, così come la sua prigionia, sotto il profilo spirituale, perché si era presi dalla vicenda politica: trattativa non trattativa, scambio, prigionieri ecc. Uno studio accurato degli aspetti della sua condizione fa capire come lui abbia avuto la forza spirituale di resistere ad una vicenda del genere..
D. Quanto ha influito la presenza di Cossiga come coordinatore alle indagini sul caso Moro?
R. Parecchio e negativamente, perché Cossiga è un personaggio che non ha molte attitudini organizzative, mentre per dirigere un ministero, come quello degli Interni, occorre concretezza. Lui aveva la responsabilità del coordinamento e non ha coordinato niente. Certo, si è dimesso quando ha avuto la consapevolezza del suo fallimento, ma poi ha preso le difese dei suoi subordinati dirigenti dei Servizi Segreti assumendosi tutte le responsabilità. Con quel gesto non ha aiutato il procedere delle indagini, perché si poteva subito aprire un’inchiesta, anche di tipo amministrativo per individuare le responsabilità che ci sono state, ad esempio dei capi dei servizi segreti iscritti alla P2. Quando la commissione d’inchiesta parlamentare della quale ha fatto parte ha concluso la sua relazione, sul punto del coordinamento ha fatto una critica severa e pesante.
D. La figura di Andreotti in tutto questo?
R. Anche Andreotti ha avuto delle responsabilità. Due sono i maggiori responsabili della questione. Uno è Cossiga, Ministro degli interni, e l’altro è Andreotti, il Presidente del Consiglio. Fra l’altro è da notare che il Presidente del Consiglio si fece dare una specie di delega perché il Consiglio dei Ministri, l’organo collegiale istituzionale che si sarebbe dovuto occupare di questo grande caso, venne praticamente espropriato interessandosene pochissime volte. Ci siamo fatti dare i verbali delle riunioni dei ministri di quei 55 giorni, ma chi doveva, se ne è occupato assai poco e molto sommariamente. Invece la effettiva gestione dal punto di vista politico, venne diretta da un comitato interministeriale presieduto da Andreotti e del quale facevano parte Cossiga, Malfatti, allora Ministro delle Finanze, Ruffini, il Ministro della Difesa e i capi dei servizi, i generali piduisti, Grassini, Santovito. Il Ministro Morlino aveva il compito di tenere i collegamenti con la famiglia Moro ecc. Non si capisce il perché, visto che era un “comitato” che doveva prendere decisioni politiche, ne facessero parte i dirigenti dei servizi segreti. Ecco una anomalia! Comunque l’aspetto politico doveva essere diretto da questo comitato, mentre l’aspetto operativo doveva essere diretto da Cossiga. Al Ministero degli interni, dove lui costituì tutta una serie di comitati di cui poi si perderanno i verbali, non si sa cosa effettivamente abbiano fatto. Quindi dal punto di vista politico-operativo, certamente i due maggiori responsabili sono Andreotti e Cossiga.
D. Mi viene da pensare a uno dei tanti misteri della morte di Moro. Alla permanenza in via Montalcini e al fatto che non sia stata l’unica sede dove lui sia stato. Visto anche che hanno trovato della sabbia nei pantaloni, sulla pelle come se fosse stato trasportato...
R. Sono diversi i pareri e sono parecchi i misteri. Se dovessimo ammettere che la prigione di via Montalcini sia stata l’effettiva e unica prigione, allora è tanto più grave. E’ un episodio che capitò ad un certo momento delle ricerche, io denunciai questo fatto, lo rivelai già nella prima edizione della “Tela del Ragno” nella quale si parla delle perquisizioni. La polizia arrivò in via Montalcini, nella casa del n° 8, dove sarebbe stata la prigione di Moro e si ritirarono. Arrivano sino alla soglia e non fanno l’ispezione!?
Io mi sono meravigliato leggendo un libro di Nicotri, un giornalista dell’Espresso, “La verità nel confessionale”.
Nicotri viene a sapere da un sacerdote che un suo allievo, un poliziotto, appartenente a un reparto adibito a queste perquisizioni gli aveva riferito che gli agenti arrivarono proprio alla soglia della casa dove ci sarebbe stato Moro e ricevettero l’ordine di ritirarsi. Strana coincidenza... Come commissione Moro noi chiedemmo di aver l’elenco delle perquisizioni fatte giorno per giorno. Constatai che un certo giorno si verificò quanto segue: raggiunsero la casa nella quale Moro era tenuto prigioniero e non la perquisirono. Perché?
D. Alla magistratura non fu data la possibilità di avere a disposizione il cadavere di Moro. C’è il riscontro che i fori sul suo cadavere siano stati coperti con dei fazzolettini...
R. Esatto e questo perché dalle carte processuali che io ho esaminato, viene fuori il caso dei fazzolettini. C’è una perizia autoptica nella quale vengono descritte le condizioni del cadavere. Questo è importantissimo perché i brigatisti dicono le bugie. Anche Maccari durante gli interrogatori mente perché dai rilievi risulta che Moro è stato ucciso tra le 9 e le 10 del mattino. Loro, invece, dicono di averlo ucciso intorno alle 6 e mezza 7. Quindi i conti non tornano. E’ un dato matematico misurato con la temperatura dell’ambiente e la temperatura del corpo di Moro.
D. Quale può essere l’interesse a coprire tutto ciò?
R. Tutta una materia da indagare, da scoprire. Loro hanno nascosto qualcosa di grosso.
D. Loro...?
R. I brigatisti, perché hanno parlato proprio loro. Noi li conosciamo. Poi c’è un altro dato oggettivo molto importante. Loro dicono di averlo ammazzato in via Montalcini, invece, quando i periti arrivarono in via Caetani cominciarono ad esaminare la situazione e notarono la precisa corrispondenza dei fori che hanno oltrepassato la coperta, i vestiti e il corpo di Moro. Si possono fare 12 Km. (la distanza tra via Montalcini a via Caetani) senza che una vibrazione sposti qualcosa? A me fa pensare che chi l’ha ammazzato lo ha ammazzato vicino, in via Caetani.
D. Qual è la verità intorno a quella famosa seduta spiritica, alla quale prese parte anche Prodi?
R. E’ ancora da scoprire, non so se ci sia stata effettivamente una seduta spiritica o se è stato un modo per coprire un’informazione. In quella circostanza è emerso il nome di Gradoli. Il giorno dopo Prodi si recò alla Democrazia Cristiana e parlò con Cavina, nel biglietto, che poi viene dato al capo della polizia, si parla della casa e della cantina di Gradoli che si trova vicino al lago di Bolsena. Se il nome Gradoli si voleva trasmettere, doveva essere fatto in maniera ‘spiritica’. Quindi non lo so.... Mi ricordo che quando abbiamo interrogato i presenti, erano tutti imbarazzati. Bisogna però ricordare che erano tutti professori universitari cattolici di sinistra, quindi amici di Moro e quindi interessati a salvarlo.
D. Può darsi che fosse un’occasione per dare un indizio...
R. Probabilmente. Io fra l’altro, nella stesura de “ La tela del Ragno” l’ho scritto per cercare di capirne di più. Mi sono occupato di parapsicologia perché durante i lavori della commissione, il presidente continuava a chiedere se fra i partecipanti alla seduta spiritica ci fosse un medium, ma questo medium non veniva fuori. Allora mi sono rivolto al centro Italiano di parapsicologia di Napoli.
Mi hanno spiegato che i partecipanti ad una seduta spiritica ne condizionano il risultato a livello di inconscio. Quindi quel nome era già stato sentito da qualcuno, magari negli ambienti universitari.
All’università di Bologna, per esempio, si era fatta l’ipotesi di ‘autonomia bolognese’.
D. Perché quando la moglie di Moro telefonò le dissero che via Grandoli non esisteva? Quando una settimana prima erano già stati in via Grandoli? Si sa chi fu a rispondere?
R. La moglie di Moro ce ne parlò, anche una delle figlie ce lo disse, ma non è stato individuato colui che lo avrebbe detto. Probabilmente una delle guardie del corpo che era in servizio, a cui la Signora Moro si era rivolta, le rispose che aveva già consultato le pagine gialle. So di preciso che non si è individuata la persona che ha pronunciato quella parola. Per cui Cossiga ha avuto buon gioco a dire che questa era un’invenzione della moglie di Moro.
D. Cosa può fare la gente per esigere chiarezza, per esigere qualcosa che finora non si è fatto?
R. E’ difficile a dirsi perché la gente si è distaccata dalla vita politica, c’è una minore partecipazione rispetto al passato.
D. Secondo lei a livello politico-militare di organizzazione sul territorio, in questo ‘nuovo terrorismo’ è possibile il contatto con i vecchi reduci e le nuove reclute?
R. Sì, io penso che sia possibile, perché essendo stato un terrorismo sostenuto dall’ideologia e avendo molti dei suoi membri assunto una posizione da irriducibili, potrebbe rinascere...
Non è stato fatto un ‘processo autocritico’ che li poteva portare ad una consapevolezza effettiva del ‘superamento’.
Oggi uno degli irriducibili con il carisma che potrebbe esercitare sui giovani, potrebbe riproporsi. Molti di loro sono in stato di semi-libertà o hanno già scontato la pena.
Bisogna stare attenti. Non va confuso il disagio sociale che esiste in certe sacche, ma non va nemmeno sottovalutata la possibilità di reclutamento.
Stiamo vivendo la teorizzazione del terrorismo per il terrorismo, e questa era una caratteristica della RAF. C’è sempre stata una polemica tra la RAF (da come mi hanno raccontato loro perché io ho avuto tutto un periodo in cui visitavo le carceri da parlamentare) e le BR. In quest’ultimo documento a firma BR c’è questa frase che è molto precisa che dice:
“La guerriglia antimperialista, non può costruire basi rosse stabili, non può avere retroterra logistico perché lo scontro rivoluzionario nei centri imperialisti è una guerra senza fronti...”, mentre invece bisogna ricordarsi che le Brigate Rosse ci tenevano ad ‘avere la fabbrica’ come base rossa stabile. Hanno cominciato con la fabbrica, loro volevano essere i rappresentanti degli emarginati, dei proletari, facevano i sequestri del capo-fabbrica, incendiavano le macchine dei capi reparto, ecc...
‘Loro’ invece non teorizzano niente di tutto questo, quindi vuol dire che vogliono essere terroristi puri. Era più facile quando si appoggiavano sul consenso, bastava colpirli nel loro punto di riferimento, oggi invece il terrorismo è fine a sé stesso, quindi è più facilmente strumentalizzabile.
D. Quindi forse anche senza consenso loro andrebbero avanti lo stesso?
R. Anzi, per loro il consenso è secondario. A loro basta essere terroristi. Questo è un elemento preciso di differenza con le prime BR. Questa impostazione comincia a prevalere nell’ultima fase degli anni ‘80.
D. Di cosa ha timore per il futuro e in cosa spera?
R. Spero che questo fenomeno non abbia a crescere. Mi vorrei augurare che si riesca a trovare una soluzione politica alla guerra in atto. Al tempo stesso i timori ci sono, la situazione è quella che è. Abbiamo la guerra e proprio perché il passato ci dimostra che c’è chi vuole “inzuppare il pane” in questa situazione per interessi ben precisi. Vorrei che la speranza fosse sempre quella a prevalere... Però a mente fredda, è un brutto fatto quello che è successo e mi suscita preoccupazione...

MORO: LO STATISTA, L’INIZIATO, IL MARTIRE
“...il nostro è un paese libero ed indipendente, nonostante i grandi alleati americani”. Non è azzardato ritenere che proprio con queste parole, il leader politico della D.C. Aldo Moro avesse firmato la propria condanna a morte. E’ infatti in seguito a tale dichiarazione, la quale presupponeva precise scelte politiche, che le superpotenze cercarono un suo “ravvedimento” attraverso le dichiarazioni pubbliche di Henry Kissinger, il segretario di stato nordamericano. La goccia che fece traboccare il vaso fu poi l’inizio di un rapporto di collaborazione instaurato con Berlinguer in seguito alla definitiva dissociazione di quest’ultimo dalla linea politica adottata in sede di congresso del partito Comunista Sovietico, svoltosi nel 1976. Berlinguer, che non era di fede occidentalista, appoggiò inconsciamente, gli Stati Uniti d’America sul delitto Moro e per la prima volta nella storia della nostra repubblica, la sinistra ebbe accesso al governo. Tutti complici quindi: gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e anche l’Inghilterra; tutti pedine di un potere occulto, quello economico, che rende palese a tutti la sua supremazia sul mondo. Colpevole, naturalmente, anche il governo italiano che si prodigò con ogni mezzo per coprire l’eccidio della scorta e l’assassinio del politico. La responsabilità della gestione tecnico-pratica del caso venne infatti affidata a magistratura, polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza, servizi segreti, consiglieri esterni ed esercito mentre la supervisione spettò ai servizi di “intelligence” americani. Tutti i capi di queste strutture appartenevano alla loggia massonica P2, coordinata da Licio Gelli e ancora oggi paravento dei servizi segreti americani nella gestione della politica italiana. La P2 coordinò a sua volta il potere rappresentato dalla mafia. Altro importante anello di questa interminabile catena fu Giulio Andreotti, che costituì il terminale di Gelli in Vaticano, e che, guarda caso, all’epoca dell’uccisione di Moro era presidente del consiglio nonché acerrimo nemico del politico democristiano. Infine, l’allora ministro degli interni, Francesco Cossiga, gestiva ufficialmente le indagini sul caso Moro mentre Licio Gelli, per conto degli americani, lo faceva in modo occulto. E così, una volta trovato il capro espiatorio, le Brigate Rosse, si è compiuta la tremenda esecuzione a quell’uomo che godeva di un forte ascendente nell’elettorato italiano. Chi lo ha conosciuto parla di lui come di una persona altamente spirituale e ricorda quel giorno in cui Padre Pio, lo stimmatizzato d Pietralcina, gli sussurrò all’orecchio il suo destino e lo aiutò a riscoprire in sé la forza di ergersi contro il mondo intero per amore della giustizia e in ricordo del sacrificio di Cristo.

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