TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Il lungo cammino verso la libertà

Di Mara Testasecca
 

 

“DIREI CHE LA SUA INTERA VITA SPINGE OGNI AFRICANO PENSANTE IN UN CONFLITTO CONTINUO TRA LA SUA COSCIENZA E LA LEGGE... IN OGNI NAZIONE DEL MONDO GLI UOMINI DI COSCIENZA, GLI UOMINI CHE PENSANO, CHE PROVANO SENTIMENTI PROFONDI VIVONO QUESTO MEDESIMO CONFLITTO...”

CITTA’ DEL CAPO. Notizia Ansa.

Thabo Mbeki è stato eletto ieri, il 2/6/99 a Città del Capo presidente del Sud Africa. Il secondo democratico dopo la caduta dell’apartheid. Mbeki, 57 anni, succede a Nelson Mandela che ha traghettato il passaggio quasi indolore dall’apartheid alla democrazia, e gestito la pacificazione. Ad eseguire i canti africani durante la cerimonia non era un coro, ma i 400 deputati, tutti in piedi. In apertura, sul soglio più alto del Parlamento riunito per la prima volta dopo il voto del 2 giugno, Mbeki è stato subito proclamato presidente. Poi tutti i leader dei partiti presenti hanno rapidamente sfilato per rendere grandissimo omaggio a Mandela, e per garantire lealtà a Mbeki, che nel suo tranquillo discorso ha chiesto la cooperazione “di tutti i Sudafricani”. Mandela non ha parlato, ma era visibilmente emozionato.

Come di solito succede a questo mondo chi legge un trafiletto come questo in un quotidiano qualsiasi non può assolutamente comprendere, né farsi un’idea del “combattente della libertà” più famoso del mondo: Nelson Mandela. Si tratta di un insulto alla storia, alle migliaia di persone che la tessono, al sangue versato... Il passaggio dall’apartheid alla democrazia è stato tutt’altro che indolore: non c’è cosa peggiore che privare un individuo della sua dignità e questo in SudAfrica è stato fatto sistematicamente. Protagonisti: tutti, dai membri del governo ai magistrati, dai funzionari più alti ai secondini delle immonde carceri, dove centinaia di persone sono state avvilite, spersonalizzate, torturate, barbaramente seviziate e uccise. Per Nelson Mandela il lungo cammino verso la libertà è stato il lungo cammino del popolo nero verso la libertà politica. Ha programmato e deciso di vivere tutta la sua vita per questo obiettivo; ciò è innegabile sia per l’ateo-umanista, sia per chi, cerca di leggere le scelte e i fatti con un codice diverso: quello della scienza dello spirito. La sua autobiografia e l’esclusiva intervista di John Carlin permettono a chiunque di accedere nel suo interno più profondo. E’ possibile cogliere una parte della storia del SudAfrica sin dalle radici, il valore del servizio per i suoi compagni, amici e compatrioti e le fonti di ispirazione che lo hanno motivato fin da ragazzo. Nelson è dotato di un’impressionante capacità descrittiva, e quando si arriva a pag. 579 e si chiude il libro, si medita e si valuta che questo individuo ha speso tutte le energie di cui disponeva per opporsi:
alla “crescita senza pietà” del suo popolo e di tutte le altre minoranze del SudAfrica; alla “crescita senza futuro” di quel contesto sociale a causa della gestione elitaria della razza bianca che, con l’apartheid, aveva legalizzato agli occhi del mondo il proprio dominio; alla “crescita senza voce” che è la crescita economica sprovvista del rispetto per i diritti umani e per i processi democratici, e, meglio, antropocratici, essenziali per società moderne e future; alla “crescita senza radici”, cioè all’erosione culturale e spirituale delle centinaia di gruppi minoritari tribali a causa dell’aggressione violenta del materialismo della globalizzazione che, in questa fase di fine millennio, ha preso piede in tutto il pianeta. E’ l’individuo che sceglie e, per legge di causa-effetto, attira le conseguenze delle proprie scelte. Nelson Mandela si esprime in altri termini, ma costituisce un puro esempio di non appiattimento, di non sopraffazione; spicca in lui una forza che, nonostante le umiliazioni di un’intera esistenza in carcere, lo spinge a valutare il prossimo per il buono che potrebbe avere dentro e non riesce a manifestare.... un invito alla lettura durante la quale è necessario fermarsi, non affrettarsi in avventate conclusioni e apprezzare l’uomo......
Nelson Mandela iniziò a scrivere di sé di nascosto nel 1974, durante la sua detenzione a Robben Island, grazie al contributo di due suoi vecchi compagni nel risvegliare i suoi ricordi. La copia che era rimasta in suo possesso venne scoperta e confiscata dalle autorità carcerarie; tuttavia i suoi compagni di prigionia Mac Maharaj e Isu Chiba avevano provveduto a copiarla e si assicurarono che l’originale giungesse a destinazione. Dopo la scarcerazione nel 1990 riprese la stesura fino all’uscita nel 1994 con il titolo “LONG WALK TO FREEDOM”(Lungo cammino verso la libertà). Nelson Mandela nacque il 18 luglio 1918 in un piccolo villaggio del Transkei e, come tutti in Sud Africa, acquisì il nome inglese di Nelson Mandela il I° giorno di scuola. Da suo padre aveva ereditato il fisico robusto, un antico legame con la casa reale Thembu e il nome “Rolihlahla” il cui significato colloquiale è “attaccabrighe”. Le sue radici quindi sono della tribù Thembu che, insieme ad altri gruppi, forma la nazione Xhosa. Gli Xhosa sono un popolo fiero e patrilineo, con una lingua eufonica espressiva ed una radicata credenza nell’importanza delle leggi, dell’istituzione, della cortesia. Con gli anni Nelson scoprì che suo padre era un consigliere molto stimato e quando era poco più che neonato, venne coinvolto in una disputa che lo privò del suo ruolo di capo mettendo a nudo il carattere ribelle e l’ostinato senso di giustizia che trasmise al figlio. Venne accusato di insubordinazione per una semplice questione burocratica che riguardava due buoi. Non ci fu inchiesta, ne avevano diritto solo i funzionari bianchi, venne semplicemente deposto dal magistrato che lo accusò mettendo fine alla dinastia dei capi appartenenti alla famiglia Mandela. In tutto suo padre ebbe quattro mogli, la 3° delle quali era sua madre; ognuna delle mogli aveva il proprio nucleo abitativo: il “kraal” che il padre a turno visitava. Tra un viaggio e l’altro mise al mondo 13 figli, 4 maschi e 9 femmine; dei primi solo Nelson è tuttora in vita. L’infanzia di Nelson è stata felice nel villaggio di Qum, esteso in una valle stretta ed erbosa, attraversata da limpidi torrenti e dominata da verdi colline. Mentre scorrono le righe della descrizione l’immaginazione dipinge le strutture delle capanne, i semplici attrezzi, i colori; sembra persino possibile percepire gli odori e udire l’eco dei suoni delle attività quotidiane tra le risa e le corse degli innumerevoli bambini nel parco giochi più completo del mondo: la natura. Suo padre morì nella sua casa, assistito dalle cure di sua madre e dell’ultima moglie; quel momento segnò il primo importante cambio per il piccolo Nelson. Il reggente Jongitaba si offrì di diventare suo tutore e sua madre che aveva molta fede nelle capacità di studio del ragazzino, non si lasciò scappare l’occasione. Lo accompagnò al palazzo di Mqhekezweni dove frequentò una scuola a classe unica per studiare l’inglese, lo Xhosa, la storia e la geografia. Il reggente tutore lo trattava al pari dei suoi figli anche se i destini che li aspettavano erano ben diversi. Amava partecipare alle lunghissime riunioni con i capi poiché tutti venivano ascoltati come in una democrazia nella forma più pura. In quell’epoca si sviluppò il suo interesse per la storia africana, mentre faceva magre figure per non saper usare forchetta e coltello quando era invitato a pranzo in casa del reggente. A sedici anni arrivò il momento di diventare uomo e per la tradizione Xhosa il grande salto avviene con la circoncisione che rappresenta l’integrazione ufficiale del maschio nella società. I ragazzi devono superare diverse prove in un contesto rituale lungo ed elaborato. Un colpo netto di “zagaglia”(piccola ascia tipica del Sud-Africa), eseguito dalle esperte mani di un vecchio “Ingcibi”(una specie di anziano medicine-man), segnò quel passaggio con un sentimento di vergogna per non essere riuscito a gridare prontamente: “Ndiyindoda! Sono un uomo!” Il dolore lancinante lo bloccò per parecchi secondi. Ma Nelson umilmente dichiara che in quel momento non diventò un uomo e non lo sarebbe stato per molti anni ancora. Passò con successo gli esami e venne ammesso all’Institute Clarkebury, l’allora più alta istituzione scolastica per gli africani del Thembuland. Era un liceo e una scuola magistrale, ma offriva anche corsi di discipline pratiche come il carpentiere, il sarto, il lattoniere. Il suo reggente gli disse: “Il tuo destino non è quello di passare la vita a cavar fuori l’oro per i bianchi, senza neppure sapere come si scrive il tuo nome....(come la maggior parte dei suoi coetanei nelle ricche miniere del Sud Africa). Il preside era il reverendo Harris: un bianco che amava cordialmente e comprendeva i Thembu. Nelson si adattò rapidamente alla nuova vita, partecipava alle attività sportive anche se le sue prestazioni non andavano mai oltre la mediocrità; di domenica curava l’orto e il giardino per la fam. Harris, ma si sentiva sempre un provincialotto irrecuperabile con i compagni che provenivano dalle grandi città come Johannesburg. A 19 anni fu mandato a Heald Town, allo Wesleyan College di Fort Beaufort, dove nell’800 si combatterono cruente guerre di frontiera nel corso delle quali i bianchi usurparono sistematicamente le terre delle varie tribù Xhosa. Modello proposto dal collegio: inglese nero acculturato visto che le idee, il governo e gli uomini migliori erano gli inglesi. Nell’ultimo anno di collegio avvenne l’unico fatto incredibile che Nelson non riuscì mai a spiegarsi e che iniziò ad incrinare le convinzioni di tutti gli allievi. In un giorno di festa stabilito, venne a parlare a tutti i ragazzi riuniti nella mensa Mqhayi, un poeta vestito con un Kaross (tipico manto di pelli di leopardo). Ad un certo punto levò in aria una zagaglia e la batté forte sul tavolo iniziando un discorso dai toni sempre più forti: “....la produzione occidentale è abile, ma fredda, intelligente ma priva di anima, ... non possiamo continuare a permettere a questi stranieri, ai quali non importa niente della nostra cultura, di dominare la nostra cultura. Io profetizzo che un giorno le forze della società africana porteranno un’importante vittoria sull’usurpatore....” Solo dopo recitò il suo famoso poema in cui dedicava “Le stelle nei cieli” alle varie nazioni, assegnando la costellazione più grande, la via Lattea, ai popoli d’Europa perché....”voi siete un popolo strano, pieno di invidia ed avidità che litiga sempre su tutto...” Nel ‘39 Nelson fu ammesso all’Università di Fort Hare, che allora per un giovane Sud-africano era la stessa cosa di Oxford o Cambridge. Oltre alle materie classiche, studiò diritto romano olandese e amministrazione indigena; ma lui desiderava diventare interprete o dipendente del Dipartimento degli Affari indigeni. In quegli anni indossò i suoi primi completi grigi, il pigiama e insieme ai suoi amici cominciò ad approcciare con l’altro sesso. Per una questione poco chiara, una sorta di manipolazione di voti, si dimise per un anno dall’università; per Nelson si trattava di una scelta moralmente giusta, ma il reggente si infuriò, non ascoltò neppure le sue motivazioni e lo informò seccatamente che sarebbe rientrato a Fort Hare dopo due mesi. “....Ero giovane e impaziente”, dice di sé stesso, non vedeva virtù nel temporeggiare e la fuga si profilò come l’unico sbocco. Meta: Johannesburg, in compagnia di Justice, figlio del suo reggente; unici soldi: quelli ricavati dalla vendita di due pelli di buoi del reggente. Non riuscirono però a comprare i biglietti per il treno, il reggente sospettoso aveva vietato per loro la vendita dei biglietti. Con una macchina si spostarono ad un’altra stazione, ma per lasciare il distretto per motivi di lavoro erano necessari dei documenti che i due non avevano: un permesso, una lettera del datore di lavoro, un tutore. Riuscirono a raggirare uno dei fratelli del reggente, ma non il magistrato che interpellò direttamente al telefono il reggente che urlò: “Arresti quei ragazzi e li riporti indietro immediatamente!” Nelson diede libero sfogo a quanto aveva appreso a scuola e discusse legalmente la questione; gli estremi per l’arresto non c’erano per cui il magistrato desistette con un: “Arrangiatevi!” La mattina successiva pagarono una macchina e si diressero a Johannesburg: l’inizio delle prove più dure. Non riuscì a trovare subito lavoro, rischiò l’arresto per la pistola ereditata da suo padre che portava sempre con sé; confessò ad un suo cugino l’aspirazione di diventare avvocato e venne accompagnato ad una grande e caotica agenzia immobiliare. Andò a vivere dal reverendo J. Mabutho della Chiesa anglicana che era un Thembu, amico della sua famiglia. Venne assunto dall’ebreo Lazar Sidelsky in uno studio legale che assisteva i clienti nelle transazioni immobiliari; allo stesso tempo, di sera studiava le dispense dell’UNISA, un istituto accreditato che forniva lauree e specializzazioni per corrispondenza. Venne messo in guardia da Sidelsky contro la politica perché: “... è fonte di disordine e corruzione e fa venire fuori il peggio degli uomini... Stai alla larga dai sobillatori e dai piantagrane...” Si spostò poi nella città di Alexandra dove conobbe Ellen, si innamorò completamente, ma non riusciva a dirglielo. Nel 1942 morì il suo reggente, uomo che riuscì a tenere uniti progressisti, conservatori, tradizionalisti e riformisti, colletti blu e colletti bianchi non perché fossero d’accordo con ciò che faceva, ma perché ascoltava e rispettava tutte le opinioni diverse. Le riflessioni sul suo passato causarono in Nelson una forte crisi di identità e di aspirazioni: non era più sicuro di niente. Conobbe Gaur che sosteneva il valore dell’istruzione ma diceva: “...Siccome siamo poveri occorrerebbero migliaia di anni per liberarci se contassimo solo su questo...” Nel ‘43 partecipò con Gaur e con altri 10.000 ad una marcia di protesta a sostegno del boicottaggio degli autobus da parte di tutti gli abitanti di Alexandra che protestavano contro l’aumento delle tariffe. Questa prima partecipazione lo eccitò e si emozionò quando Gaur decise di licenziarsi per far sì che Nelson venisse assunto nello studio legale come avvocato. Fare carriera e avere un dato stipendio non erano più lo scopo della sua vita, l’attrazione per la politica diventava fondamento. Nessuno gli aveva insegnato come fare per eliminare l’abominio del pregiudizio sociale, era l’unico africano alla facoltà di Giurisprudenza ed era visto come una curiosità ed un intruso; nessuno si sedeva vicino a lui e i professori gli “consigliarono” di continuare gli studi per corrispondenza. Diventò amico di comunisti, ebrei ed indiani, quasi tutti militanti radicali, gente della sua età saldamente schierata con la lotta di liberazione e pronta a sacrificarsi per la causa degli oppressi. Fu la miriade di indegnità di offese a far scaturire in Nelson il desiderio di combattere il sistema che imprigionava il suo popolo. Conobbe l’avvocato Lembede che affermava l’importanza del nazionalismo Afrikaner per attenuare le differenze etniche e come antidoto all’imperialismo moderno delle grandi potenze. “Queste ultime”, affermava Lembede “offrono ingenti somme di denaro nella propaganda contro il nazionalismo barbaro, incolto, limitato ecc... Il gioco è vinto quando gli oppressi si lasciano ingannare e diventano giocattoli dell’imperialismo che dall’alto li premia chiamandoli progressisti, colti liberali....” Su questa scia Nelson partecipò alla stesura dello Statuto della Lega-giovanile che si costituì nella Pasqua del ‘44. (Sempre un movimento elitario, non di massa). Rapidamente si innamorò e sposò la sua prima moglie Evely Mase. Nel ‘46 fu enormemente colpito dallo sciopero di 70.000 minatori delle miniere di Reef dove lavoravano tutto il giorno come cani in 400.000 per appena due scellini. La reazione fu immediata e cruenta, costò la vita a dodici persone, l’arresto e il processo per sedizione ai tanti comunisti che lo avevano organizzato. Anche la reazione non violenta della comunità indiana lo colpì: gli indiani sospesero le attività per 2 anni, 2000 volontari andarono in prigione per i raduni di massa e per l’invasione pacifica delle terre riservate ai bianchi. La lega Giovanile e i comunisti non furono capaci di tanto. Gli indiani sostenevano che per la lotta di liberazione si doveva essere disposti alla sofferenza e al sacrificio. Nacque il suo primogenito Madiba Thembi nel ‘43, mentre studiava per l’Abilitazione di avvocato vivevano con il misero stipendio dello studio legale e la sua famiglia fece la fame in corrispondenza della nascita e prematura morte della secondogenita. Con icastica precisione della memoria Nelson elenca tutte le persone, tutti i fatti, tutti quei personaggi che gli hanno fatto comprendere profondamente “l’Apartheid” che significa “separatezza” e rappresenta la codifica in un unico sistema oppressivo di tutte le leggi e i regolamenti che per secoli hanno mantenuto gli africani in una situazione di inferiorità rispetto ai bianchi. Tale politica era supportata dalla Chiesa riformata olandese che forniva all’apartheid la giustificazione religiosa. Gli Afrikaner erano il popolo eletto da Dio e i neri erano una razza inferiore. Quando questi vinsero le elezioni, Nelson ed i suoi amici si resero conto che da allora in poi il Sud Africa sarebbe stato teatro di tensioni e di conflitti. I morti e i carcerati cominciarono a non contarsi più. Il partito comunista venne messo al bando dal governo e tutte le organizzazioni e i movimenti che cercavano di opporsi non ottennero nessun risultato. Mandela venne così assorbito dalla lotta che assisté per pochissimo tempo alla nascita del suo secondo figlio, mentre Thembri, che aveva allora cinque anni aveva chiesto alla mamma: “Dove vive papà?”. Pur discutendo i fondamenti filosofici del marxismo, le sue vecchie ostilità nei confronti di quel partito andavano sgretolandosi visto il comune impegno nella lotta per i diritti umani e la credibilità dell’analisi materialistica dell’economia di Marx. Nelson decise di rispettare quella posizione ed accettò anche quella dell’Anc (Congresso Nazionale Africano) di accogliere i marxsisti nelle sue fila. Capì che gli africani, gli indiani e i meticci erano indissolubilmente congiunti nella lotta di liberazione e con questo principio il 28 febbraio del ‘52 iniziò la prima massiccia disobbedienza civile per l’abrogazione delle leggi ingiuste del Governo. Ebbe relazioni con Manilal Gandhi, figlio del Mahatma Gandhi, direttore del quotidiano “Indian Opinion”, il quale sosteneva che la campagna doveva essere condotta secondo i principi gandhiani della non violenza. Così fu, i militanti si facevano arrestare senza opporre resistenza e si raggiunsero due risultati importanti: l’aumento del numero degli iscritti da 20.000 a 100.000 e il rimbalzo della situazione in Sud Africa alla stampa internazionale. La reazione del Governo non tardò; Nelson, già segnalato, in seguito alla perquisizione della sede dell’ANC venne arrestato per due giorni. Purtroppo non tutti all’interno dell’ANC erano trasparenti con i bianchi, succedeva paradossalmente che alcuni iscritti di colore spiavano mentre alcuni membri della polizia-bianchi, spinti da una certa coscienza, li avvisavano quando c’era il pericolo di qualche retata.. Nelson cominciò seriamente a pensare che la resistenza passiva è efficace nella misura in cui anche il nemico accetta le regole del gioco, ma se alla protesta specifica si risponde con violenza, la si rende ben presto inefficace. “Mandela e Tambo” erano i nomi incisi nella targa di ottone attaccata alla porta del I° ufficio legale che aprì nel centro di Johannesburg con il collega e amico Oliver Tambo, nell’unico vecchio edificio del centro dove si potevano affittare locali agli africani. Il bisogno di aiuto legale era disperato: era un crimine passare per una porta riservata ai bianchi, un crimine viaggiare su un autobus riservato ai bianchi, un crimine bere ad una fontana riservata ai bianchi, un crimine passeggiare su una strada riservata ai bianchi, essere in strada dopo le 11 di sera, non avere il lasciapassare, avere una forma sbagliata; un crimine essere disoccupati e un crimine lavorare nel posto sbagliato, un crimine vivere in certi posti e un crimine non avere un posto dove vivere. Incredibili le evacuazioni massive come quella di Sophiatown, Martindale e Newclarc dove vivevano quasi 100.000 africani. Il piano di governo era così cinico che il trasferimento doveva avvenire prima che venissero costruite le case per le persone evacuate. A 35 anni gli venne consegnata un’ingiunzione che, a norma della SOPPRESSION OF COMMUNISM ACT, gli imponeva di dimettersi dall’ANC, di non uscire dal distretto di Johannesburg e di non partecipare a riunioni o convegni di qualsiasi tipo per due anni. Lavorò così in segreto spostandosi dal fronte della lotta alle retrovie clandestine, con un ruolo secondario. Questo avvenne quando Nelson aveva già preparato il suo discorso per l’elezione presidenziale dell’ANC insieme alla richiesta di radiazione dell’albo degli avvocati. (Proprio quando compariva in tribunale a rappresentare i clienti del suo studio decine di volte alla settimana). Il giudice Ramsbottom, a cui era affidato il caso, era un esempio di giudice che sosteneva vigorosamente l’indipendenza del sistema giudiziario, quindi la sua sentenza accolse fino in fondo le rivendicazioni dei sostenitori di Mandela, ammettendo che questi avesse tutto il diritto di propagandare le sue idee politiche anche se erano contrarie al Governo. L’ANC non riuscì a dare alternative alla gente e Sophiatown cadde sotto i colpi delle ruspe e una notevole massa di persone se ne dovette andare; ancora una volta alle armi non violente disponibili: - discorsi, delegazioni, minacce, cortei, scioperi, astensioni, carcerazioni volontarie - venne risposto con il pugno di ferro. Nel 1953 il parlamento dominato dai nazionalisti approvò la Bantu Education ACT, che mirava a mettere il sigillo dell’Apartheid sull’istruzione africana. In base a questa legge, le scuole gestite dalle singole missioni dovevano scegliere tra consegnarsi nelle mani del Governo o accettare la riduzione progressiva dei sussidi, in altri termini o il Governo si accaparrava direttamente il controllo di tutta l’istruzione o per gli africani non ci sarebbe stata alcuna istruzione. Il boicottaggio delle varie scuole non diede risultati di sorta, si dovette per forza accettare un’istruzione di livello inferiore e fu proprio quella legge a far nascere negli anni “70” la generazione di giovani neri più arrabbiati e ribelli che il paese avesse mai visto; quando questi bambini discriminati diventarono giovani di 20 anni, insorsero con inaudita violenza. Risale al ‘55 la stipulazione della Carta della Libertà, documento scaturito direttamente dal popolo, per l’approvazione finale si riunì una marea di persone nonostante la massiccia e intimidatoria presenza della polizia. Nelson ed altri parteciparono ai margini della folla per non essere visti, dovettero fuggire quando gli agenti irruppero e misero fine alla manifestazione dove ciascun presente era sospettato di alto tradimento (vedi box pag 48).
La Carta non proponeva un modello capitalista o socialista, ma sintetizzava l’esigenza del popolo di porre fine all’oppressione, iniziò così un lungo viaggio nella sua terra d’origine e nelle città lontane, cercando di illustrarne i contenuti incontrando iscritti all’ANC che operavano in seno a macroscopiche difficoltà poiché nelle piccole città non c’erano giornalisti o magistrati democratici a controllare l’operato della polizia. Giunsero restrizioni ancora più forti, ma l’atteggiamento di Nelson cambiò, non avrebbe più permesso che il suo impegno nella lotta e il raggio della sua attività politica fossero condizionati dal nemico contro il quale lottava. Unico svago il pugilato che considerava egualitario: lo affascinava come si muovesse il corpo mentre studiava strategie di attacco e di difesa; riteneva che sul ring l’età, la posizione sociale, il colore della pelle e la ricchezza sono irrilevanti. All’alba del 05.12.’56 il caporale Rousseau dei servizi di sicurezza, irruppe nella sua casa con due agenti e lo arrestò per alto tradimento di fronte ai suoi figli. Nell’arco di una settimana furono 156 ad avere lo stesso destino; presto furono trasferiti nella prigione di Johannesburg: “La Fortezza”, una tetra costruzione somigliante a un castello arroccata su una collina nel cuore della città. Inconsapevolmente il nemico li aveva riuniti sotto lo stesso tetto permettendo la più lunga e nutrita riunione di capi che si fosse mai vista nella storia dell’Alleanza del Congresso. Furono settimane indimenticabili e Nelson racconta magistralmente la forza della grande causa che li univa tutti ulteriormente. Per “alto tradimento” la legge Sud-Africana non si basava sulla legge inglese, ma sul diritto romano olandese, che per “alto tradimento” intendeva la volontà di mettere in pericolo l’indipendenza e la sicurezza dello Stato. La pena prevista era la morte. Il 19 dicembre furono trasportati con dei camion alla sede del processo: una grande e squallida struttura militare col tetto di lamiera ondulata. Il processo divenne un viaggio trionfale, mentre i furgoni che procedevano al passo venivano accerchiati dalla folla. Vennero tutti “ingabbiati” in un perimetro ricavato da griglie e reti metalliche, la difesa ottenne subito la rimozione della parete anteriore. Due giorni furono necessari per leggere le 18.000 parole dei capi d’accusa, ma intelligentemente l’ANC realizzò una cassa comune e tutti vennero rilasciati su cauzione a condizione che si presentassero alla polizia una volta alla settimana. Tornò a casa e la trovò vuota; sua moglie Evelyn era ritornata dai suoi con i bambini; da tempo gli attriti erano aumentati e il dissenso era su temi profondi: per lei servire Dio come testimone di Geova, diffondendo la “Torre di Guardia” era molto più importante che servire gli uomini attraverso la politica. Il problema di fondo era che quella espressione di fede insegnava la sottomissione e la passività di fronte all’oppressore e questo Mandela non riusciva ad accettarlo anche se non perse mai l’ammirazione di lei che definisce come una donna attraente, forte e fedele. La maggior parte delle prove dell’accusa erano confuse o inventate di sana pianta e caddero ad una ad una grazie ai contro-interrogatori devastanti di splendidi avvocati come Berangé e Joe Slavo. Dopo un anno e mezzo senza preavviso la Corona annunciò il ritiro delle accuse contro 61 imputati e designò un nuovo pubblico ministero Oswald Pirow accanito comunista, pilastro della politica del NATIONAL PARTY. Nazionalista di vecchia guardia descrisse Hitler come il più grande uomo del suo tempo. Ottenne il non proscioglimento del processo. Fu in questo periodo così delicato anche economicamente - lo studio stava andando in rovina - che conobbe l’esplosiva Winnie Monzamo, ne rimase irrimediabilmente attratto e la sposò nel 1958. Lei comprese il rischio e l’impresa di convivere con un tale uomo che grazie a lei ritrovò la speranza e la forza per le battaglie che lo attendevano. Winnie si iscrisse alla sezione della Lega femminile dell’ANC e diede il suo apporto nell’organizzazione degli scioperi di protesta durante le elezioni dove potevano votare solo tre milioni di bianchi e durante le massicce manifestazioni per ottenere i lasciapassare delle donne. Vivevano del piccolo stipendio di assistente sociale che lei prendeva; era incinta e Nelson si preoccupò per le umiliazioni che non l’avrebbero risparmiata nell’eventualità del carcere. In due giorni furono arrestate 2000 donne e alla “Fortezza” c’era un’incresciosa situazione di sporcizia e sovraffollamento. Ottenuta la scarcerazione dopo due settimane, Winnie visse quell’esperienza come se avesse fatto un regalo a Nelson. Il grande processo riprese e siccome la difesa dimostrò che i capi di accusa non erano fondati in fatti reali a sostegno dell’intenzione di voler usare violenza per sovvertire la Corona, ecco che l’accusa annunciò il ritiro dell’imputazione nel suo complesso. Ma dopo un mese il p.m. emise una nuova imputazione per soli 30 imputati, tutti membri dell’ANC; Mandela era tra questi. Nacque sua figlia e Mandela lasciò che la giovane Winnie maturasse da sola per far si che non fosse solo la moglie di Mandela. Nel ‘59 nacque il PAC (PAN-AFRICANIST CONGRESS) gruppo certamente nazionalista, quasi razzista. Sconfessava il comunismo e considerava tutte le minoranze come “estranei”, il Sud Africa doveva essere degli africani e di nessun altro. Più o meno nello stesso periodo, il Governo varò una legge ingannevolmente chiamata Extention of University Education ACT, altro pilastro dell’apartheid totale che bandiva i non bianchi dalle università razzialmente “aperte”. Il 3 agosto del ‘59, due anni e otto mesi dopo l’arresto cominciò il processo vero e proprio voluto apposta lontano da Johannesburg. Il pubblico ministero chiamò 210 testimoni di cui 200 erano Agenti Speciali che ripeterono le infondate testimonianze della prima volta, ma in tribunale fece eco un discorso di R. Resha, dove in un’allegoria poco chiara si parlava di violenza; più volte i difensori dimostrarono che quel discorso era stato isolato dal contesto e non rappresentava la politica dell’ANC. A causa di un infarto il giudice Pirow morì poco prima dell’inizio degli interrogatori di ciascuno dei 30 accusati, ma i fatti atroci che seguirono superarono di gran lunga quel disperato processo. Durante la massiccia campagna contro i lasciapassare a Sharpeville, una piccola Township a 50 Km. di Johannesburg , il contingente della polizia si fece prendere dal panico di fronte alle parecchie migliaia di persone: cominciarono a sparare sulla folla mentre si disperdeva. Fu un massacro che fece eco a livello internazionale, per la prima volta l’ONU intervenne negli affari Sud Africani condannando il governo per la carneficina e sollecitandolo a realizzare misure per la parità razziale. “Il momento” per Nelson Mandela arrivò il 30 marzo, in piena notte fu arrestato e si ritrovò con altri compagni in una minuscola cella con un buco di scarico al centro che si intasava sempre, con coperte e stuoie immonde di vermi, sudiciume, sangue e vomito. Da un giorno all’altro essere membri dell’ANC era diventato un crimine punibile con la multa o con la prigione. I Colonnelli li accusavano di aver portato loro i pidocchi dalle case e le stanze non erano illuminate per poter leggere. Però ottennero qualche miglioramento: la mattina in prigione e il pomeriggio al processo, il cibo che veniva distribuito ai detenuti era diverso per qualità e peso a seconda del gruppo etnico dei prigionieri, africani, indiani, meticci, bianchi. Mandela ottenne eccezionalmente i fine settimana lavorativi a Johannesburg, accompagnato dall’alto e imponente sergente Kruger. Al processo Nelson si difese magistralmente ribadendo che l’ANC si muoveva sui principi della non violenza e preparò anche la difesa degli altri suoi compagni. Dopo cinque mesi lo stato d’emergenza cessò e poté riabbracciare i suoi cari, apprezzare tutte quelle piccole gioie di cui si può disporre in libertà. Nacque la seconda figlia e il futuro si delineava così: qualunque fosse stato il giudizio non sarebbe rientrato a casa, se fossero stati condannati sarebbe andato direttamente in prigione; se fossero stati assolti sarebbe entrato subito in clandestinità. Così fu: di giorno si travestiva -autista, cuoco, giardiniere- e di notte partecipava alle riunioni clandestine nella Township. Venne soprannominato la “Primula Nera” e quando venne spiccato il mandato di arresto, la sua esistenza clandestina catturò la fantasia dei giornalisti che chiamava dalle cabine telefoniche per informarli su ciò che si stava organizzando. Decise di non consegnarsi ad un governo che non riconosceva e visitò le città e i villaggi più importanti di tutto il SudAfrica. Leggendo e parlando con gli esperti cercava di capire quali fossero le condizioni di base per avviare quel processo rivoluzionario che lo doveva vedere come presidente dell’MK. L’azione di guerriglia era una possibilità, ma dal momento che l’ANC era restia ad abbracciare il principio della violenza, si scelse una forma di violenza che infliggesse il minor danno alle persone: il sabotaggio. C’era bisogno di contatti, di sostegno denaro e addestramento, Nelson doveva lasciare la nazione. Tante mete per innumerevoli contatti: Tanganika, Khartoum, Addis Abeba, Etiopia Egitto, Ghana, Tunisi, Marocco, Algeria, Mali, Guinea, Sierra Leone fino all’Inghilterra. Al rientro si fermò a Rivonia, base principale di riunioni e di addestramento e informò i responsabili di settore dell’MK sulle tecniche di sabotaggio, sulla somma di denaro che aveva raccolto, sui piani futuri. Ma dopo 17 mesi di clandestinità, sulla strada per Johannesburg una macchina li bloccò e un uomo alto, magro e visibilmente irritato lo dichiarò in arresto insieme a Cecil Williams. Chi era stato a tradire informando la polizia sui suoi spostamenti? Era stato qualcuno del suo movimento, qualche amico, o qualcuno della sua famiglia? Non lo seppe mai. Si rincuorò però durante il primo colloquio con il magistrato, c‘era attorno a lui un’aria di imbarazzo, si evitavano gli sguardi diretti...e comprese il perché: Nelson rappresentava il simbolo della giustizia davanti al tribunale dell’oppressore, il grande rappresentante dei grandi ideali della libertà, dell’equità e della democrazia in una società che disonorava tali ideali. Anche in questo processo si autodifese con la ferma intenzione di mettere sotto accusa il governo del SudAfrica poiché il giudice e tutti i membri della corte erano bianchi: ottenere un giudizio equo era praticamente impossibile....”Vostro onore, come mai in quest’aula tutti i presenti sono di colore di colore bianco?...Io nutro l’odio più intenso per la discriminazione razziale in tutte le sue manifestazioni...l’ho combattuta per tutta la vita e lo farò fino alla fine dei miei giorni...Mi ripugna l’assetto della Giustizia che vedo attorno a me in quest’aula. Mi fa sentire acutamente il fatto che io sono un nero in un tribunale di bianchi. E questo non è giusto.” La sentenza fu dura: 5 anni di durissimo carcere senza possibilità della libertà della parola a Esiquitin, il carcere costruito sulla stretta protuberanza rocciosa che affiora 18 miglia al largo di Città del Capo. Le guardie, bianchi naturalmente, accolsero tutti i detenuti al grido: “Questa è l’isola, qui morirete!” Fortunatamente sua moglie Winnie continuò ad appoggiarlo a distanza e a crescere i suoi figli, anche lei venne messa al bando e il pensiero che potesse finire in prigione angustiava profondamente Mandela. Dopo soli 9 mesi di quei 5 anni di carcere venne scoperta e perquisita la fattoria di Rivonia; non vennero trovate armi, ma uno dei documenti più importanti: l’operazione Mayibuye per l’organizzazione della guerriglia in SudAfrica. Si profilava il processo più duro per tutti i membri dell’organizzazione, il p.m. chiese il massimo della pena prevista dalla legge, la condanna a morte per sabotaggio, per reclutamento di persone nella guerriglia mirante a provocare una rivoluzione violenta, per cospirazione ai fini dell’instaurazione di un regime comunista. Questa volta il traditore aveva un volto e un nome: Brumo Mtolo, che era diventato il capo dell’MK per la provincia del Natal. Su istruzioni della polizia collegò l’MK al Communist Party con ricordi così precisi e circostanziati da conferire credibilità agli occhi di tutta la corte, anche quando non erano veri. Visto che il rischio del prezzo personale era molto alto, tutti gli imputati concordarono di fare in modo che quel processo rafforzasse la causa per la quale si stava lottando. Nelson era ad altissimo rischio, impiegò una quindicina di giorni a preparare il suo discorso e 4 ore per leggerlo:”..tengo a precisare che i progetti di atti di sabotaggio non sono scaturiti da uno spirito di temerarietà, né per una inclinazione alla violenza,...lo feci a seguito di una spassionata valutazione della situazione politica creatasi in questo paese dopo molti anni di tirannia, di sfruttamento e di oppressione del mio popolo da parte dei bianchi...Noi capi dell’ANC siamo sempre riusciti a convincere la gente ad usare la resistenza passiva e metodi pacifici. C’era l’enorme rischio di una guerra civile per lo sterminio indiscriminato del nostro popolo....l’unica prospettiva per il minor sacrificio di vite umane era il sabotaggio e l’eventualità di una guerra partigiana...”
Dichiarò di essere anticomunista, pur riconoscendo che i comunisti erano stati gli unici a “mangiare nello stesso piatto”, dichiarò di essere profondo estimatore della Democrazia parlamentare, della divisione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura.
“...la nostra lotta è la lotta del popolo africano...è una lotta per il diritto alla vita...”
Il mondo seguiva con grande interesse il processo di Rivonia, nell’attesa del giudizio Nelson preparava alcuni esami scritti richiesti dall’università di Londra, in vista del conseguimento della laurea in giurisprudenza. Carcere a vita per tutti, questo fu il verdetto, c’erano fuori 2000 persone quando fu emesso...e quella notte Mandela pensò alle manifestazioni e alle pressioni internazionali che ci sarebbero state. L’ambiente, i corridoi, la cella lunga 3 passi e larga meno di 2 metri e i pochi oggetti in dotazione sono descritti nei minimi dettagli. Ogni mattina veniva depositato all’interno del cortile un cumulo enorme di pietre e anche quando la temperatura era di 4 gradi dovevano frantumarle per mezzo di martelli di 6 chili. La corrispondenza era regolata da norme rigidissime: si poteva scrivere solo ai familiari stretti e solo una lettera di 500 parole ogni 6 mesi. Per non perdere il senso con la realtà e l’equilibrio mentale Nelson segnò un calendario sul muro della sua cella. In prigione è come se il tempo scorresse con la lentezza di un ghiacciaio, persino per un nuovo spazzolino da denti si doveva attendere da 6 mesi ad 1 anno, per non parlare della quantità e qualità del vitto..., i viveri migliori se li tenevano i cuochi per ottenere dalle guardie trattamenti preferenziali. Sua moglie Winnie lo visitò poche volte, le procedure erano frustranti ed era duro per lei continuare il suo lavoro di operatrice sociale, il lato pratico della lotta. Dopo un paio d’anni li portarono ad estrarre calce in una cava, le mani sanguinavano e le guardie incalzavano; la sera rientravano stanchissimi, bianchi come fantasmi e semiaccecati dalla polvere e dalla luce bianca della cava. Finì in isolamento senza mangiare tante volte, anche per essere stato sorpreso a leggere un pezzo di giornale recuperato nella spazzatura. Inutili le proteste e gli scioperi della fame contro le condizioni di vita all’interno del carcere. Il direttore decideva il bello e il cattivo tempo e dall’esterno arrivavano notizie frammentarie sulle attività dell’ANC negli altri paesi africani. L’ANC costituì un proprio organismo interno al carcere dove i saltuari progressi erano immancabilmente seguiti da regressi. Ogni domenica mattina il ministro, ogni volta di un culto diverso, teneva il proprio sermone; pur essendo metodista, Nelson partecipava a tutte le funzioni. Si impose i consueti esercizi di podismo e pugilato, in cella faceva 45 minuti di corsa da fermo, 200 esercizi addominali, un centinaio di piegamenti ed altro. Per leggere si arrangiava con i libri della biblioteca del carcere, uno che rileggeva spesso era Guerra e Pace di Tolstoj, che lo ispirava nei ricordi. Aveva un incubo ricorrente, quello di uscire dalla prigione e di trovare Johannesburg vuota, completamente deserta....Negli anni ‘70 si riaccesero le campagne di sensibilizzazione internazionale e si riaccesero anche le speranze; nella stessa Inghilterra si avviò la “ campagna per la liberazione di Mandela”. Nel 1985, dopo 20 anni, venne trasferito senza alcun avviso nel carcere di massima sicurezza di Pollsmoor, dove le condizioni erano senz’altro migliori, soprattutto era consentita la possibilità di parlare, gli venne data la possibilità di riprendere una certa corrispondenza. Iniziò lì quello che Nelson definisce: “il dialogo con il nemico”. Il primo ministro gli chiese a quali condizioni avrebbero accettato di sospendere la lotta armata, se parlava a nome dell’ANC, e se pensava che in un nuovo SudAfrica sarebbero state previste garanzie costituzionali per le minoranze...; ne parlò con il suo vecchio amico Oliver, trattare con il governo era una cosa che l’ANC non aveva mai fatto, la strumentalizzazione poteva celarsi dietro l’angolo così come il pensiero che il movimento si stava vendendo,...non ci vuole niente a diventare vittime della propaganda. Si svolsero una fitta serie di difficili riunioni con la commissione governativa, l’obiettivo di Nelson era puntare sulla richiesta di un governo di maggioranza in uno stato unitario, mentre nel frattempo la violenza politica e le pressioni internazionali si intensificavano. I prigionieri politici di tutto il paese dettero inizio ad un vittorioso sciopero della fame, che costrinse il ministro della Giustizia a scarcerarne più di 900. Dopo essere stato eletto, il presidente De Klerk si sforzava di capire Mandela, fu lui che iniziò a smantellare sistematicamente molti elementi che costituivano l’edificio dell’apartheid: aprì le spiagge sudafricane ai cittadini di tutte le razze ed annunciò che sarebbe stata abrogata la Reservation of Separation Amenities Part. Il 2 febbraio 1990 vide il presidente protagonista di un atto radicale che mise fine all’apartheid: annunciò clamorosamente la revoca della messa al bando dell’ANC, del Pac, del Communist Part e di altre 31 organizzazioni dichiarate illegali, la scarcerazione di tutti i prigionieri politici detenuti per azioni non violente, la sospensione della pena capitale e l’abolizione delle varie restrizioni imposte dallo stato d’emergenza. Fu De Klerk stesso ad annunciare a Nelson Mandela la notizia della sua scarcerazione avvenuta l’11 febbraio 1990.
Il 27 aprile 1994 è la data delle prime elezioni non razziali e a suffragio universale del paese. Per la prima volta nella storia sudafricana la maggioranza nera si sarebbe recata alle urne per eleggere i suoi rappresentanti. Ma la meta era ben lontana, molte organizzazioni non parteciparono, la destra bianca considerava le elezioni un tradimento, e tanta gente aveva paura di recarsi alle urne. Con l’ottenimento del 62,6% dei voti nazionali la minoranza bianca, dopo più di tre secoli di dominio, consegnava il potere della “maggioranza” alla maggioranza nera. Nelson Mandela conclude la sua autobiografia con la consapevolezza che la politica dell’apartheid ha lasciato una profonda e durevole ferita nel suo paese e nel suo popolo. Non ha mai perso la speranza che la grande trasformazione potesse realizzarsi, nemmeno nei momenti più cupi del carcere...., ma..” il suo lungo cammino non è ancora alla fine...” 

 

 

 

Mappa tematica del Sito NONSIAMOSOLI

Mappa del  sito

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per tornare alla pagina iniziale

Home Page

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

Indirizzi di posta elettronica del gruppo

Indirizzi di mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ultime novità e prossimi impegni di Giorgio

Ultimissime

ù

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

Altri articoli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima rivista mensile ufologica di 100 pagine in tutte le edicole. Puo' essere tua a sole Lire 10.000 oppure con Videocassetta a Lire 22.900 ogni due mesi.

Conosci l'altra nostra  rivista?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“HO IMPARATO IL CORAGGIO DAI COMPAGNI DI LOTTA...HO CAPITO CHE IL CORAGGIO NON E’ LA MANCANZA DI PAURA, MA LA CAPACITA’ DI VINCERLA...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


“NESSUNO NASCE ODIANDO I PROPRI SIMILI A CAUSA DELLA RAZZA O DELLA RELIGIONE, O DELLA CLASSE SOCIALE CUI APPARTENGONO. GLI UOMINI IMPARANO AD ODIARE, E SE POSSONO IMPARARE AD ODIARE POSSONO IMPARARE AD AMARE, PERCHE’ L’AMORE, PER IL CUORE UMANO, E’ PIU’ NATURALE DELL’ODIO...”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“.....SCONFIGGERE L’OPPRESSORE E’ UN OBIETTIVO MORALE DELL’UMANITA’ ED E’LA MASSIMA ASPIRAZIONE DI OGNI ESSERE LIBERO......”

Conoscere.... per scegliere

La rivista mensile ufologica presente in tutte le edicole. Puo' essere tua a sole Lire 7.000 oppure con Videocassetta a Lire 19.900 ogni due mesi.