TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Guerra o pace?

Di Giada Solari
 

 

L’essere umano dovrebbe combattere una guerra interiore che riduca il mondo della disperazione, delle apparenze e delle illusioni ad una concentrazione di un’unica realtà per l’elevata virtù, per l’alto sforzo, per la sublime saggezza, dal disordine all’ordine.

Fin dall’antichità, la guerra è ritenuta da tutti l’immagine del flagello universale, del trionfo della forza cieca; di fatto costituisce un simbolismo estremamente interessante. Idealmente essa ha come fine la distruzione del male, il ristabilimento della pace, della giustizia e dell’armonia sul piano cosmico, sul sociale e nello spirituale. Quando si parla di guerra nei testi tradizionali cristiani la si deve intendere come espressione di lotta interiore e non di quella esteriore, combattuta con le armi. La “guerra santa” è il conflitto che l’uomo conduce in se stesso, è la battaglia fra le tenebre e la luce e si compie nel passaggio dall’ignoranza alla conoscenza. E’ un controsenso, un abuso della parola, parlare di “guerra santa” a proposito di combattimenti armati; nessun conflitto del genere si può considerare tale, poiché le armi ed i combattimenti di quest’ultimo sono solo di ordine spirituale.
Ma perché si fa la guerra? Forse è un istinto innato negli uomini o forse sono i cattivi politici che la spingono a fare o meglio ancora i generali?
Nei giorni passati così violenti e colmi di disperazione siamo stati mossi da una domanda: perché gli uomini si combattono? Perché, alle soglie del terzo millennio, è ancora la violenza a vincere? Perché quest’esperienza bellica coinvolge gli individui in maniera così totalizzante, così intima?
Dalla scoperta dell’America ad oggi ci sono state ben trecento guerre ed il loro ritmo medio, dal 1815, è di otto a decennio. Sono numeri terrificanti!
I nostri inviati negli USA ci hanno riferito che la popolazione americana si è chiesta con insistenza il motivo del conflitto che ha squassato il cuore dell’Europa, del Continente, per antonomasia, più colto, più avanzato, più civile al mondo.
La prima risposta, quasi meravigliata, giunta ai mezzi d’informazione è suggerita da motivazioni religiose che molto spesso spingono a lotte sanguinose. Nel caso del Kosovo si scopre che i Serbi sono cristiani-ortodossi, mentre i cittadini di etnia albanese sono mussulmani, vale a dire islamici, ed è solo la religione unico strumento di divisione tra popolazioni che parlano la stessa lingua ed hanno le medesime radici slave. La religione divide, come accade in Irlanda del Nord, nel Medio Oriente ed in altre nazioni ancora, perché s’identifica con la fede e non con la conoscenza.
In giorni così travagliati, l’interrogativo che ci attanagliava era fonte in noi di un profondo dubbio: eravamo stati coinvolti, per non dire intrappolati, in una guerra che magari nessuno voleva?
L’opinione pubblica dei vari stati belligeranti determinò la divisione in due fazioni, coloro che ritenevano giusto l’intervento e quanti invece ne prendettero le distanze. Tra i primi molti avrebbero voluto che se guerra doveva essere, lo fosse fino in fondo; i secondi, o perlomeno coloro che hanno tentato di capire le ragioni dei Serbi, si sono indignati, pur restando fermi nella convinzione dell’opportunità di quest’ultimi, nell’affermare la loro supremazia, nonché legittimità sul territorio. Sta di fatto che in Kosovo sono stati attuati i peggiori provvedimenti di pulizia etnica di un popolo, azione forzata e pianificata col beneplacito delle potenze internazionali. Siamo convinti che moltissimi, se interrogati, confesserebbero di non conoscere fino in fondo le origini della selezione razziale attuata.
Una delle domande centrali riguarda i motivi per cui le Nazioni più potenti (19) non sono state capaci di mettere in scacco un dittatore di una nazione minore. Lo sforzo universale è collocare la situazione dei Balcani nella storia che la maggior parte della gente poco ha studiato ed i mass-media dibattono, ossessivamente, per capire meglio i motivi di tanta apparente impotenza, enfatizzando ogni avvenimento, anche se molti pensano di avere la risposta in tasca. Le guerre, è opinione comune, se si fanno bisogna vincerle!
Può essere considerata la lotta di popoli, dopo queste molteplici considerazioni, quasi una malattia del genere umano, un’inutile carneficina?
Si potrebbe discettare a lungo sull’attualità della guerra, sul fatto che non sia mai finita, discutendo, altresì, che forse ci siamo un po’ troppo dimenticati delle difficoltà che questa comporta. Dovremmo più volte chiederci se l’accanita contesa sia piuttosto follia o ragione.
Per molti anni la guerra è stata considerata una delle più grandi culture dell’uomo. I Persiani concepivano la guerra come una parata, apparivano sui campi di lotta con i loro carri, piume e costumi terrorizzando l’avversario che spesso era un vicino, poiché rappresentava una cultura a loro ignota. Il conflitto simbolico avveniva pure presso i Maya, nell’America centrale, in cui i due grandi campioni combattevano tra di loro. Sono stati i Greci ad inventare la battaglia come “luogo”, però, essendo contadini e dovendo quindi coltivare la terra, non avevano tempo per simili contese. Da democratici quali erano e come si può evincere nelle loro tragedie, decretavano il concetto d’unità di tempo-luogo-azione, così per la battaglia stabilivano il luogo in cui un giorno si vinceva o si moriva. I Persiani non erano abituati a questo e furono perciò sconfitti.
Quindi, la guerra è un fatto culturale, per quanto orribile questo concetto possa sembrare, dobbiamo convenire che ogni popolo combatte a modo proprio.
Si può con certezza affermare che oggigiorno i grandi strateghi non servano più, come il Kosovo insegna, forse è opportuno sostenere che la tecnologia soppianta l’intelligenza umana delle cose. Gli USA avrebbero potuto bombardare la Serbia per altri due anni e non sarebbe cambiato una virgola.
Per tutta la seconda guerra mondiale, all’acme dei bombardamenti alleati contro la Germania nazista, la produzione di guerra tedesca era rallentata soltanto di una minima percentuale. Sul Vietnam furono scaricati più esplosivi, più bombe di quante i confederati ne avessero buttate durante tutto il secondo conflitto mondiale nell’Europa occupata. I Vietnamiti, ugualmente, hanno vinto la battaglia!
A molti, il futuro della guerra può sembrare aereo, attraverso il dominio dell’aria, ma forse non è del tutto vero poiché l’occupare lento, faticoso, mortale della fanteria in certe situazioni è determinante se non necessario.
Gli USA non possono e non vogliono permettersi più molti morti, molte vittime, molti ragazzi che tornano a casa nella bara e quindi combattono queste guerre ad alta quota, che da una parte rafforzano il loro ruolo di egemoni nel mondo e dall’altra, però, difficilmente piegano dittatori instabili ed imprevedibili come Saddam e Milosevic.
I conflitti odierni, sicuramente, sono provocati da cattive decisioni politiche, in quanto hanno ognuno una caratteristica precisa, esclusa la guerra del Golfo che può essere definita “operazione di polizia internazionale”. Si tratta di popoli che chiedono di autodeterminarsi, aspirano cioè ad un paese corrispondente alla loro etnia, cultura, tradizione, religione. Sono privi di un territorio perché in precedenti sistemazioni del mondo non si è tenuto conto dell’identità e del volere dell’etnie avversarie. Ci sono delle popolazioni bellicose che hanno una forte tradizione guerriera, le cui utopie istitutive sono legate alla guerra, tipicamente il popolo Serbo che ha come mito di fondazione proprio la battaglia del Kosovo e popoli invece come quello Italiano, per certi versi, sicuramente portato alla mediazione, all’accordo nel trovare una via d’uscita.
I mass-media hanno spettacolarizzato il conflitto accentuando una caratteristica delle guerre moderne, soprattutto dopo lo sviluppo dell’aviazione, cioè il distanziamento dal corpo. I mezzi d’informazione potrebbero dare un’educazione su cosa è la guerra, sui suoi significati negativi e distruttivi, ma non lo fanno assolutamente. Centinaia di persone si sono mosse per andare a vedere i bombardieri ad Aviano, intralciando il traffico, tanto da intervenire, addirittura, legalmente per vietare tale sconsiderato quanto accanito “turismo di guerra”. Come si spiega quest’atteggiamento, considerando la paura insita in ogni individuo, quando si parla di conflitti se non con la constatazione della doppia qualità della natura umana, che se da un lato teme la guerra dall’altro ne è sempre stata affascinata? Questa duplice reazione di fronte ai conflitti è profondamente connaturata nell’animo dell’individuo; per cui si accompagna alla paura anche l’interesse e per certi versi, l’entusiasmo.
La nostra struttura mentale, il nostro istinto ci porta alla violenza; riusciremo a vincere quest’inclinazione negativa, quest’impulso naturale e farne un tabù come sosteneva Moravia? Forse potrebbe essere un modo per rimuovere dentro di noi, consapevolmente, una simile propensione, trasformandola in atti di pace e di amore verso i più deboli! Probabilmente l’essere umano è ancora molto lontano da tale opportunità, il ricorso alla violenza è purtroppo molto diffuso e drammatico, basta guardare l’Indonesia in cui, questi giorni, Cristiani e Mussulmani si stanno affrontando con violenza e crudeltà.
Siamo convinti che quanti si sono recati ad Aviano lo hanno fatto perché affascinati dalla tecnologia, dalla storia che si è messa in moto in modo terribile; d’altra parte, le parate militari, da Cesare ai giorni nostri, sono sempre state uno spettacolo affascinante. Vogliamo pensare i militari obbedienti a scelte politiche, sicuramente trascinati in queste situazioni attinenti il loro mestiere.
Può essere il potere causa e origine nonché elemento essenziale d’innesco di inimicizie ed ostilità che insanguinano la nostra amata terra?
Nell’Europa dell’Est si è combattuto il primo conflitto vero del dopoguerra-fredda squarciato in una crepa mai rimarginata. Est ed Ovest si sono sempre scontrati nei Balcani, religione cristiano-cattolica, ortodossa ed islamica hanno avuto in questi luoghi le loro maggiori discordie; passa da quelle parti una falla, una frattura Europea che si è inevitabilmente riaperta in questi giorni.
Dopo tali tristi, ma reali considerazioni non possiamo che auspicarci una federazione di popoli democratici, in collaborazione reciproca, commerciale ed economica ma soprattutto spirituale e solidale. L’essere umano dovrebbe combattere una guerra interiore che riduca il mondo della dispersione, delle apparenze e delle illusioni ad una concentrazione di un’unica realtà per l’elevata virtù, per l’alto sforzo, per la sublime saggezza, dal disordine all’ordine. Un’unione d’intenti che porti tutti gli uomini a lottare pacificamente per uno scambievole sviluppo costruttivo, per il bene comune, per la realizzazione personale della propria essenza divina, con lo scopo di crescere in evoluzione, amore, carità e mutua fratellanza.

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