TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

DOSSIER USTICA

di Umberto Telarico
 

 

UN CASO IRRISOLTO

L’ipotesi UFO, quale causa del disastro di Ustica: Conseguenze di un’affermazione ufficiale in tal senso.

La sciagura aerea del DC-9 nel cielo di Ustica: Un ennesimo incidente "anomalo" avvenuto nel triangolo del Mar Tirreno

L’ipotesi UFO, come causa scatenante il disastro di Ustica, non verrebbe mai resa pubblica dagli organi ufficiali competenti. Difatti, dichiarare ciò, equivarrebbe ad ammettere l’esistenza di un fenomeno che, da oltre cinquant’anni, viene liquidato, di volta in volta, dagli stessi ambienti ufficiali, come: psicosi collettiva, palloni sonda, effetti ottici, burle etc. Una tale dichiarazione, inoltre, riscuoterebbe violente polemiche e critiche dagli stessi ambienti scientifici ufficiali, i quali, fino ad ora, sia per sudditanza al potere che per profonda ignoranza in materia di UFO, hanno ridicolizzato, e screditato, la questione degli oggetti volanti sconosciuti agli occhi di gran parte dell’opinione pubblica mondiale. Ulteriori conseguenze, derivanti da una dichiarazione ufficiale coinvolgenti gli UFO nel disastro di Ustica, sarebbero:

  1. Le autorità, sotto la pressante richiesta dell’opinione pubblica, sarebbero costrette ad aprire un’inchiesta ufficiale sulla questione degli oggetti volanti non identificati, i cui risultati potrebbero non essere "graditi" al potere.

  2. Le compagnie aree civili subirebbero un ingente danno economico, da una simile dichiarazione ufficiale, in quanto, ammettere pubblicamente la pericolosa presenza di UFO nei nostri cieli, potrebbe sconsigliare, molti, sull’uso dell’aereo come mezzo di trasporto, in particolare nelle aree "calde" di detto fenomeno aereo.

  3. L’ammissione ufficiale, secondo la quale nei nostri cieli scorrazzerebbero, senza alcun controllo, corpi non identificati che, tra l’altro, renderebbero insicure le vie aeree, farebbe perdere ogni credibilità, popolare, alle forze aeree militari; ciò in quanto, non essendo, questi ultimi, in grado di controllare il fenomeno degli UFO, non rappresenterebbero alcun poter di difesa. Ma, poiché nessun potere politico, e le sue istituzioni, sarebbero in grado di "sopravvivere" senza avere, alla base, il consenso e la credibilità popolari, ottenuti, prevalentemente, attraverso l’assicurazione della "difesa contro terzi", appare chiaro come, il potere non si pronuncerà, mai, positivamente (almeno fino a quando gli eventi glielo consentiranno o imporranno), su di una questione, come quella degli UFO, in grado di provocare il suo collasso definitivo.

A conferma di un tale stato di cose, ci sono diversi retroscena sulle iniziative prese dai servizi d’intelligence onde coprire responsabilità e implicazioni nella sciagura del DC-9. In altre circostanze, inerenti il coinvolgimento di responsabilità di qualsiasi istituzione governativa accertata nel passato, come nel caso dell’abbattimento del jumbo coreano e di altri casi simili, i vari governi coinvolti hanno ammesso pubblicamente, nel giro di qualche giorno o comunque in breve tempo, la propria responsabilità, senza per questo subirne gravi conseguenze politiche sia interne che internazionali. Invece, per quanto concerne l’evento di Ustica, il fatto di aver operato una copertura e un depistaggio così massicci e prolungati nel tempo, implica l’esistenza di ragioni ed interessi sovrannazionali e comuni a tutti i paesi coinvolti e non. Tale massiccia azione di copertura è evidente dall’esistenza dei seguenti fatti rilevati. Uno di questi, è l’inquietante testimonianza di un pilota della Marina Militare Italiana emersa ben nove anni dopo i tragici eventi. Tale testimonianza rilasciata nel settembre del 1989 è di una portata così dirompente da poter liquidare tutte le ipotesi ufficiali formulate sul disastro. Difatti secondo la versione ufficiale, il DC-9 sarebbe precipitato e scomparso poco prima delle ore 21.00 del 27/06/1980. Invece, secondo Sergio Bonifacio, allora capitano di corvetta, alle ore sette del 28 giugno (cioé dieci ore dopo) l’aereo era ancora a pelo d’acqua, "sostanzialmente integro". Infatti quel giorno alle 3.10 del mattino, il capitano Bonifacio ricevette l’ordine di decollare dalla base aerea di Cagliari-Elmas a bordo dell’aereo Atlantic-Breguet (aereo antisommergibile e per la ricognizione marittima) al fine di localizzare la zona dove era precipitato il DC-9. Dal momento del primo allarme erano trascorse più di sei ore. Il capitano, verso le 7 del mattino, riuscì ad individuare il relitto del DC-9 che, incredibilmente, galleggiava a pelo d’acqua. Bonifacio, a questo punto lanciò l’allarme e per circa un’ora sorvolò il velivolo. A quel punto l’ex capitano individuò, a poca distanza dal relitto una sagoma minacciosa, una "massa nera e oblunga". Nella sua deposizione, infatti, Bonifacio aveva parlato espressamente di "una massa scura, di forma oblunga, con una striscia nera sul dorso". Inoltre aveva spiegato ai giudici che, in base alla sua esperienza (più di 6000 ore di volo sugli Atlantic), tale massa non poteva trattarsi che quella di un sottomarino. Comunque sia, dopo che rilevò l’insolita sagoma, l’ex capitano, alle 8 circa, assistette ad uno spettacolo raccapricciante: vide la superficie del mare "ribollire" e l’aereo inabissarsi rapidamente. A quel punto, lentamente, cominciarono ad affiorare cuscini e cadaveri. Successivamente l’ufficiale ricevette l’ordine di rientrare. Una volta a terra, Bonifacio, dopo aver stilato il consueto rapporto, decide, scavalcando le procedure gerarchiche, di presentarsi al procuratore militare di Cagliari per rilasciare una deposizione. Su quest’ultima, però, é stato in seguito imposto il segreto militare (da chi e perché non si é mai saputo) e fino all’89 non si é mai saputo nulla di tale deposizione. Inoltre, all’inizio del 1990 Bonifacio, venne ascoltato perfino dal magistrato Bucarelli (uno dei titolari dell’inchiesta su Ustica), che in Sardegna raccolse la sua testimonianza. Ebbene, anche di questa, relativa di verbale, non si é mai saputo nulla. Nel maggio dell’89, comunque, Bonifacio diede le dimissioni e da allora, non rilasciò più alcuna intervista sui particolari della sua testimonianza essendo vincolato dal segreto istruttorio. Ma, nonostante ciò, non ha mai smentito di aver visto dalle 7 alle 8 del 28 giugno 1980, il DC-9 e di averlo visto "sostanzialmente integro". La testimonianza dell’ex capitano Bonifacio é decisamente clamorosa, tanto più che porta ad alcune smentite e alimenta, allo stesso tempo, interrogativi inquietanti. Innanzitutto, se dopo dieci ore dalla caduta , il DC-9 era alquanto integro e galleggiante, vengono a cadere sia l’ipotesi della bomba a bordo sia quella di un missile che lo abbia fatto esplodere in volo. Inoltre, erano ancora vivi i passeggeri, o parte di essi, diverse ore dopo le 21 del 27/06/1980? Potevano essere salvati? Possibile che nessuno abbia sorvolato la zona subito dopo l’incidente? Perché il capitano Bonifacio era decollato solo sei ore dopo l’allarme? Le sue segnalazioni lanciate alle 7 del 28 giugno che fine hanno fatto? Chi e perché ha tenuto celata la deposizione rilasciata da Bonifacio lo stesso 28 giugno? Perchè la commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dal senatore Libero Gualtieri non ha mai preso in esame questa testimonianza? Ma soprattutto, come si spiega l’improvviso sconvolgimento della superficie marina con la fuoriuscita di cadaveri e cuscini e il repentino inabissamento del DC-9? Infine, se come ha dichiarato Bonifacio l’insolita sagoma nera, era da attribuirsi ad un probabile sottomarino, che ci faceva questi in quel tratto di mare? Forse, era stato inviato sul posto per far sparire eventuali tracce e testimonianze del duello aereo che si era svolto dodici ore prima, a causa del quale venne colpito per errore l’aereo dell’Itavia. Tra gli altri retroscena presenti nel disastro del DC-9, un altro enigma mai risolto é costituito dalla decifrazione della scatola nera effettuata negli Stati Uniti. Ebbene in base alla decifrazione, é emerso che il pilota del DC-9 prima che si troncasse la registrazione abbia detto la parola "gua....". In effetti la parola si interrompe seguita da un rumore di esplosione e dall’arresto di tutte le comunicazioni e registrazioni. Ciò, a detta di alcuni, risulta alquanto insolito, perché se il "gua..." poteva essere un segnale di allarme, ad esempio "guarda", non si spiega la registrazione dell’esplosione, perché l’impatto del missile arresta ogni comunicazione, e quindi non può riportare il rumore successivo. In realtà i rumori successivi potevano essere registrati in qualsiasi parte dell’aereo dalla seconda scatola nera, la cui "scomparsa" desta non pochi sospetti. La seconda scatola nera, difatti, sarebbe stata di importanza decisiva, perchè funzionando indipendentemente dal circuito elettrico primario, non poteva essere interrotta come, invece, é avvenuto con la prima. E pertanto avrebbe registrato ogni successivo evento, avendo un’autonomia di almeno 15 ore. Inoltre, ci sarebbero ulteriori quesiti quali: dei 39 cadaveri recuperati, perchè sono stati eseguiti gli esami autoptici solamente su due salme? E perché riscontravano la rottura dei timpani? Perché dei corpi recuperati nessuno aveva le scarpe, che le hostess o gli steward fanno togliere solo in situazioni d’emergenza o in caso di ammaraggio? Infine, dove sono finiti gommoni e salvagenti? Forse non sono mai stati recuperati? Ebbene una risposta a tali interrogativi ci giunge dalle dichiarazioni di un ufficiale della Marina Militare Italiana alla rivista "L’Europeo" del 14/02/1992. L’intervista, rilasciata dall’ufficiale Angelo Demarcus, é senza ombra di dubbio una bomba, anche se l’ufficiale inserisce, tali sue rivelazioni in un contesto o meglio in uno scenario di guerra aerea nei cieli del Mar Tirreno, alquanto complicato, che vedeva coinvolti aerei della NATO , velivoli italiani ed almeno tre Mig libici. Uno scenario sicuramente "ricamato" dall’ufficiale ma che non inficia sicuramente quella parte di rivelazioni riguardanti la ricostruzione del disastro del DC-9 e la condotta delle operazioni militari di "ricerca e soccorso" successive. L’unica incongruenza é data, per l’appunto, da questo presunto teatro di guerra in cui sarebbe stato premeditatamente e volontariamente coinvolto il DC-9 con lo scopo di abbattere il jet del colonnello Gheddafi in volo sul Tirreno per Belgrado. Una coreografia probabilmente elaborata per depistare gli inquirenti da un ben altro scenario la cui natura non era certamente "terrestre", come più avanti nell’articolo si evincerà dalle deduzioni e conclusioni sull’intero caso. Pertanto al fine di chiarire, al lettore, i restroscena che si celano dietro la tragedia di Ustica, mi sembra opportuno riportare alcuni stralci dell’intervista stessa. L’ufficiale, adduce l’origine dei problemi per il cargo civile, nella mancata collisione con il caccia libico che, nonostante ciò avrebbe urtato la superficie inferiore dell’aereo danneggiandone il portellone del carrello anteriore. "Sono le 20.55. Il DC-9 si trova a quattro miglia dall’isola di Ponza ed a 145 miglia da Ustica. Il comandante Gatti segnala l’avaria e chiede l’assistenza per ammarare vicino a Ponza". Una tale iniziativa, però, risulta alquanto insensata "da parte del pilota" perché nonostante tutto erano ancora disponibili gli altri due carrelli per tentare, comunque, come prevede la prassi, un atterraggio d’emergenza sulla pista dell’aeroporto più vicino. Tornando all’intervista, "Da Ciampino gli...". "Un momento, interviene il giornalista, l’ultima comunicazione dal DC-9 fu del copilota Fontana, che riuscì a dire solo "Gua...", come registrato dalla scatola nera. Come è possibile che il comandante Gatti abbia chiesto il permesso di ammarare?". "La versione ufficiale é falsa. E vi spiego perché e come. Nessuno ha mai rilevato ufficialmente le presenza in cielo, quella sera, attorno al DC-9, di due Piaggio Pd 808. Sono aerei capaci di impossessarsi elettronicamente di tutte le comunicazioni esterne di un altro velivolo e di dirottarle verso altre stazioni riceventi. L’equipaggio del Dc-9 Itavia in realtà continua a comunicare e ricevere per molto tempo dopo l’ora ufficiale della sua caduta (le 21.04). Da Ciampino Gatti riceve l’ordine di attendere in volo. Pochi minuti dopo tre caccia lo circondano e lo guidano verso un tratto di mare "tranquillo"(con il mare forza 6/7 ? N.A.) per l’ammaraggio. Arrivato sul punto 39° e 55 primi nord e 12° e 59 primi est, a velocità minima. Il DC-9 scarica tutto il Kerosene dai serbatoi e vola fino all’arresto dei motori. Una leggera brezza contraria favorisce la planata con la prua rivolta a nord-ovest. E si posa nella zona indicata dai caccia che lo guidano. Sono le 21.46". "Come fa a sapere questa ora? Ha letto qualche nastro finora segreto?". "No comment". "Quindi lei dice che l’aereo che a quel momento é già ufficialmente caduto, invece ammara e galleggia. E i passeggeri?". "A bordo stanno tutti bene. Hanno già indossato i salvagente, tolte le scarpe e liberati i canotti di salvataggio (cosa che di certo non avrebbero avuto il tempo di fare se l’aereo fosse esploso colpito da un missile). I tre caccia di scorta si allontanano. E qui avviene un fatto singolare. La direzione dei soccorsi viene assunta in modo pressante dal Cop (il Centro Operativo di Pace, con sede a Roma), e prende a sua volta ordini dal Cosma (Centro Operativo di guerra a Monte Cavo, cio é il centro equivalente allo statunitense Norad), inspiegabilmente attivato quando dovrebbe essere in sonno, dal momento che non esiste ufficialmente né uno stato di belligeranza né una esercitazione militare in corso. Chi dovrebbe istituzionalmente organizzare i soccorsi viene "confuso" e tenuto all’oscuro di tutto". "Vuol dire che c’é stato un sabotaggio intenzionale dei soccorsi?". "Si. Avete già scritto le strane deviazioni cui furono sottoposte le navi che potevano essere subito impiegate. L’elenco É lungo, dettagliato, si tratta di cose provate e riprovate. Sta di fatto alle sette del mattino del 28 giugno il Dc-9 si trasforma in una bara liquida. C’é un movimento sussultorio. Il Dc-9 solleva prima un motore e poi la coda . Quindi scompare". "in più occasioni é stato negato che l’aereo possa galleggiare così a lungo: Secondo quanto lei dichiara il Dc-9 é rimasto a galla dieci ore, il che coincide con la testimonianza di Sergio Bonifacio. Ma come É possibile?. "Tecnicamente il Dc-9 poteva continuare a galleggiare. Lo avevano imbragato. Era stato agganciato con un cavo dalla nave Bucaneer della Subsea Oil Service. Era in quella zona per ricerche petrolifere. E non a caso il Dc-9 é stato fatto ammarare proprio lì". "Ma se era agganciato perché si é inabissato?". "Lo hanno fatto inabissare. Esistono i nastri e le registrazioni di volo di un elicottero e di un Atlantic Breguet. Ci sono i rapporti di volo (quelli veri) C’é la testimonianza di Bonifacio sempre troppo dimenticata e che voi dell’Europeo avete riportato, anche se parzialmente. Questa testimonianza é stata verbalizzata più volte.

Bonifacio la mattina del 28 vide e soprattutto registrò con gli apparecchi di bordo il Dc-9 che galleggiava ancora e poco più lontano vide in profondità un ombra lunga e scura, quasi certamente di un sottomarino. Con dieci onde d’urto e con un cavo d’acciaio (o con una carica esplosiva piazzata in un punto strategico della fusoliera) non é difficile tirare giù un aereo che galleggia". "Lei praticamente afferma che é stata una strage intenzionale. Ma perché?". "Perché a quel punto i passeggeri e soprattutto l’equipaggio avrebbero potuto raccontare ci ò che era accaduto( ma cosa potevano aver visto al buio ed attraverso i finestrini dei passeggeri stanchi ed estenuati da una lunga attesa? N.A.). Fu scelta la loro morte per non rischiare uno scandalo politico e militare". "Ma esistono prove di tutto quello che lei afferma in questa intervista?". "Certo che esistono. Lasciamo perdere quanto é rimasto dei tracciati radar e delle registrazioni foniche dei tanto discussi centri aerei. Quei documenti sono stati alterati, manomessi, tagliati. Al loro posto ne vanno esaminati altri: sono codificati ed incancellabili, a partire da quelli di Poggio Ballone. Poi: quelli della V ATAF di Verona, dello SHAPE (il quartiere generale supremo della NATO in Europa) di Bruxelles, del terzo ROC di Martinafranca , della stazione 057 di Roma, i nastri dell’Atlantic Breguet. E ancora: le registrazioni del COP e tra il COP e Poggio Ballone. La verità su quella lunghissima e tragica notte é lì, con la prova delle menzogne, delle reticenze, degli insabbiamenti e del colossale depistaggio imbastito sulla strage". Tali rivelazioni insieme alle altre testimonianze raccolte negli anni, hanno lasciato presagire ai più, che la verità fosse ormai prossima ad una svolta conclusiva o definitiva. Ma alcuni punti nell’intera vicenda erano e tuttora sono da chiarire, come ad esempio il fantomatico Mig libico, i cui resti furono ritrovati sulle montagne della Sila. Difatti secondo la versione ufficiale il Mig libico si sarebbe schiantato ufficialmente sulle montagne calabresi il 18 luglio 1981. In realtà da analisi effettuate, nel 1991, emerse che il nastro con i dati di volo del Mig libico precipitato sulla Sila era falso. In effetti tale rivelazione giunse nel ‘91 dagli esperti del Politecnico di Torino impegnati nell’inchiesta di Ustica per conto dell’Associazione dei familiari delle vittime. Gli esperti torinesi, infatti, erano riusciti ad ottenere dal giudice Priore i documenti della commissione militare italo-libica contenenti il nastro con i dati del Mig precipitato sulla Sila. "Non sappiamo, furono le dichiarazioni dell’epoca, se era stato esaminato 10 anni fa. Questa é la prima volta che la parte civile lo controlla. Però il nastro non é quello originale, ci é stata consegnata una copia. Per due terzi sembra autentica, invece la parte con i dati finali del volo solleva molti dubbi". "Quest’ultima parte, continua uno degli esperti, indica che l’aereo avrebbe percorso in linea retta circa 400 Km, per oltre 20 minuti. Tutto senza il minimo spostamento dell’assetto o correzioni di rotta... E’ assai poco probabile che il velivolo non abbia compiuto un piccolo scostamento nonostante i venti di quota". In effetti la parte finale del nastro della "scatola nera" del Mig, secondo gli studiosi, appariva falsificata, o meglio era incoerente con le loro conclusioni. Infatti se il Mig fosse arrivato davvero dalla Libia, sarebbe dovuto precipitare nel Mediterraneo e non in Calabria, soprattutto non avendo serbatoi di carburante supplementari. Tali sospetti, inoltre, vennero avanzati anche sui rottami esaminati del caccia libico. Quest’ultimo, in effetti, se si fosse schiantato alla velocità di 450-500 Km/h avrebbe dovuto lasciare sulla superficie del luogo d’impatto una buca di alcuni metri; ma questa non fu mai rilevata. Inoltre, secondo gli esperti, nella cabina, nonostante l’impatto, rimase intatta quasi tutta la strumentazione di bordo, così come i congegni ottici di puntamento delle armi e la bussola d’orizzonte funzionante! A questo punto furono avanzati seri dubbi sull’effettiva attendibilità della versione ufficiale. Aleggiava, infatti, il sospetto più che fondato, che il Mig libico non solo non si fosse mai schiantato sul massiccio della Sila, ma che gli stessi rottami sarebbero stati portati lì successivamente simulando un incidente fasullo. In definitiva, la messa in scena della caduta del Mig sarebbe stata realizzata dai servizi segreti per depistare le indagini ed impedire che fosse fatta luce sulla tragedia. Ipotesi questa, che genera, possibili, scenari inquietanti e suscita non pochi interrogativi. Uno di questi, ad esempio, é quello del lungo elenco degli "incidenti" e "suicidi" di cui sono stati oggetto molti testimoni coinvolti nel caso; "incidenti" e "suicidi" questi tutti ancora da chiarire, come quelli occorsi al tenente colonnello Sandro Marcucci nel ‘92 ed al maresciallo Franco Parisi nel ‘95 entrambe testimoni diretti del disastro aereo di Ustica. Il primo, deceduto in seguito ad uno schianto, sulle Alpi Apuane il 2 febbraio 1992, con un velivolo antincendio durante un’esercitazione, ma che in realtà, sarebbe un attentato da porre in relazione con la strage di Ustica. Ciò é stato sostenuto, in un esposto inviato al giudice Priore, il magistrato che indaga sul disastro del DC-9, dall’ex capitano dell’Aeronautica Mario Ciancarella collega ed amico di Marcucci. In base alle dichiarazioni dell’ex capitano, il tenente colonnello Marcucci sarebbe stato a conoscenza di alcuni particolari sulla vicenda di Ustica, soprattutto sui retroscena riguardanti il Mig libico i cui resti furono rinvenuti sui monti della Sila ed aveva deciso di parlare. "Fatalmente", però, tre giorni dopo questa sua presa di posizione, morì nell’incidente aereo, le cui cause vennero - imputate — ad un probabile errore umano ed alle pessime condizioni meteorologiche. Nel secondo caso, cio é quello del maresciallo in congedo Parisi, i sospetti inerenti la causa reale del decesso sono, in effetti, decisamente fondati. Il sottufficiale venne trovato impiccato, il dicembre del 1995, ad un albero della sua villa di San Cataldo (Lecce). Una versione, questa, che non ha mai convinto i parenti della vittima; la stessa moglie di Parisi, non ha mai creduto che il marito potesse essersi ammazzato. Opinione condivisa anche dalla cognata del sottufficiale che, quel giorno, richiamata sul luogo dove fu rinvenuto il cadavere, dalle urla dei vicini rilevò che i piedi del maresciallo erano quasi adagiati al suolo. Posizione a loro parere, incompatibile con un gesto di morte volontaria e che avallerebbe l’ipotesi che a quel ramo, Parisi ci sarebbe stato appeso. Ebbene tali perplessità sono state espresse, anche se in termini diversi, dal giudice Priore. In effetti negli uffici romani del magistrato, che conduce l’inchiesta sul disastro aereo, si sarebbe menzionato a due grosse ecchimosi rilevate sull’osso occipitale del maresciallo. Segni che restano evidenti sulla pelle soltanto se é in funzione la circolazione sanguigna, ossia solo se il soggetto " é ancora in vita". Due evidenti ecchimosi che il sottufficiale "non può essersi provocato con le sue mani", ma probabilmente dovute al colpo inferto da "qualcuno" qualche attimo prima che il cappio lo strangolasse. Parisi era uno dei testimoni chiave di tutta l’inchiesta avendo fornito una versione dei fatti che si distaccava totalmente da quella fornita dagli altri addetti al Centro radar di Otranto dove all’epoca della sciagura prestava servizio. Un "suicidio" decisamente fuori dal comune, una morte, quella del maresciallo Parisi, decisamente inquietante. Come, del resto, gli undici decessi che l’hanno preceduta in questi diciotto anni trascorsi dal tragico evento. Una morte inquietante come quella di un capitano stroncato da "infarto", e quella del maresciallo Alberto Dettori, trovato impiccato nel 1987. Entrambi il 27 giugno del 1980 prestavano servizio nel centro radar di Poggio Ballone (Grosseto). Un’altra vittima fu l’allora comandante dell’aeroporto militare di Grosseto, competente su Poggio Ballone, morto in un "incidente" stradale. Ma il computo delle morti sospette non finisce qui, bisogna aggiungere due dei tre piloti delle Frecce Tricolori precipitati nel 1988 durante l’esibizione aerea di Ramstein (Germania). Infatti c’é chi ha ipotizzato che la morte dei piloti Baldini e Nutarelli non é stata causata da un semplice "incidente", i due ufficiali in effetti sarebbero stati a bordo di un aereo decollato da Grosseto la sera del disastro.

Infine ci sarebbero le morti di persone coinvolte più o meno direttamente nell’indagine che sono decedute in "incidenti" stradali o assassinate, come il generale Licio Giorgieri. Un vera é propria ecatombe di marescialli e alti ufficiali dell’Aeronautica Militare come ha giustamente affermato in un suo illuminante quanto sagace articolo l’artista e premio nobel Dario Fo pubblicato dal "Venerdì di Repubblica nel gennaio del 1996". Nell’articolo Fo mette, appunto, in risalto le evidenti assurdità delle cosiddette "fatalità" che hanno portato al decesso di militari e testimoni della strage di Ustica. E per fatalità si intende come giustamente afferma l’artista: botti tremendi, colpi di pistola, paradossali incidenti d’auto, straordinari infarti e impiccagioni acrobatiche. Inoltre, continua Fo, marescialli suicidi che si danno mazzate in testa, forse per darsi coraggio, prima di appendersi ad un ramo cos ì poco distante dal terreno, da costringere l’impiccato a strangolarsi raggomitolato con le ginocchia ripiegate all’insù. Un generale al quale sparano a scopo di rapina, in Belgio, ma i ladri-assassini si dimenticano di portargli via il portafogli e la borsa. Un altro sparato da un gruppo terrorista inesistente. Quindi generali che vanno a schiantarsi a folle velocità contro un olmo, senza lasciare sull’asfalto un minimo segno di frenata. Inoltre nell’articolo non mancano evidenti accuse all’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga che, allora presidente in carica, nei giorni della strage di Ustica , avrebbe ordinato ai responsabili del suo entourage e dei servizi segreti, di soprassedere, coprire, sotterrare.... non lasciar trapelare.... il che vuol dire: depistare, corrompere, tappare le bocche ai chiacchieroni con tutti i mezzi, bloccare la magistratura, le indagini... "eliminare". Comunque sia, questo delle morti sospette non é che l’ultimo dei tanti retroscena, legati ad Ustica, emersi in questi anni. In effetti già nei mesi successivi al disastro del DC-9 dell’Itavia, emersero resoconti e testimonianze, che indicavano inequivocabilmente il manifestarsi, in determinate zone dello spazio aereo italiano, di insoliti fenomeni é più precisamente di mancate collisioni con oggetti sconosciuti.Infatti tre mancate collisioni con oggetti volanti sconosciuti, si erano verificate il 15, il ed il 26 agosto 1980, tre disastri possibili che avrebbero avuto una spiegazione difficile come quello di Ustica. Già all’indomani del disastro di Ustica venne menzionato un rapporto di cui erano a conoscenza i responsabili di Civilavia e quelli dell’Itav. Tale rapporto oltre a segnalare una serie di episodi analoghi ai tre menzionati precedentemente, affermava che una delle zone maggiormente interessate a tale tipo di fenomeno É proprio il basso Tirreno. Tali informazioni furono pubblicate dal quotidiano "L’Ora" del 6 ottobre 1980 che il giorno seguente pubblicò un articolo contenente la smentita dello Stato Maggiore dell’Aeronautica alle rivelazioni giornalistiche inerenti le tre mancate collisioni. Per lo Stato Maggiore i piloti dei tre velivoli avevano segnalato l’avvistamento di oggetti luminosi che erano stati interpretati nell’articolo come lanci di missili, ma che precedentemente erano stati correlati con l’avvistamento di oggetti volanti non identificati. In effetti L’Aeronautica militare dava maggior credito alla possibilità che i tre equipaggi si fossero imbattuti in alcuni UFO che con missili o velivoli militari. Un ulteriore novità emerse nel 1991, ben 11 anni dopo, quando venne eseguito e concluso l’esame dei motori del DC-9. Dai risultati emerse che subito dopo l’esplosione, qualche frazione di secondo prima di bloccarsi ed affondare col resto del relitto nel Tirreno, i due motori del DC-9 avevano risucchiato e catturato al loro interno frammenti di qualcosa che non apparteneva al velivolo. Ma della natura di tali frammenti e dalla loro possibile origine non si é mai saputo nulla, come del resto é avvenuto con quella parte del relitto, che il giudice Priore aveva fatto recuperare per analizzare quello stesso anno, in cui erano presenti diversi fori con i bordi apparentemente rivolti verso l’interno. Dei fori probabilmente molto simili a quelli che nel gennaio del 1948 furono rinvenuti sulla carlinga del caccia P-51 Mustang pilotato dal capitano Thomas Mantell nel Kentucky (USA). L’ufficiale quel giorno era decollato con altri due colleghi dalla base aerea di Fort Knox per intercettare un disco volante. Il capitano nel tentare l’avvicinamento a tutti i costi con il misterioso oggetto improvvisamente perse il controllo dell’apparecchio e precipitò; probabilmente il velivolo aveva incrociato fatalmente la traiettoria erratica dell’UFO. Comunque sia, dei numerosi retroscena emersi negli anni, bisogna aggiungere la decisione della NATO nel 1996 di negare ai giudici italiani i codici per la lettura completa delle registrazioni dei radar militari dell’epoca. Un rifiuto, questo, che a distanza di tutti questi anni conferma l’esistenza di un grosso "pasticcio" internazionale dietro la fine del DC-9, e che certifica, ulteriormente, l’esistenza di un segreto militare e di stato che i vertici degli stessi, italiani e stranieri, si ostinano a negare contro ogni palese evidenza.

 

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