TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

  Interferencia segreta;         Augusto Pinochet il dittatore, marionetta della CIA. Storia di morte e persecuzione

Di Lorenzo Baldo; collaborazione di Charo Mourino; investigazione di Patrizia Verdugo
 

 

“…Quello che leggerete è un documento storico di grande importanza e per questo motivo deve essere conosciuto da tutti i cittadini che vogliono sapere cosa sia realmente successo nella loro patria. La <storia ufficiale> viene costruita sulla base della versione che i vincitori intendono lasciare ai posteri, ma questo proposito viene cancellato dallo sforzo di altri che raccontano la storia delle vittime, episodi che i <vincitori> vogliono occultare…”
Patricia Verdugo

Con queste parole si apre il libro “Interferencia Secreta”, un libro che pagina dopo pagina è riuscito a rapire l’attenzione dei lettori di tutto il Cile, in un crescendo di emozioni e riferimenti storici. Ci troviamo di fronte ad un documento così preciso e potente, che è riuscito a scuotere un intero paese, provocando forti polemiche tra i <conservatori>. Un documento che ha reso giustizia alle migliaia di vittime di un regime spietato e ai loro parenti che per anni, oltre al dolore, hanno subìto l’umiliazione di vedere gli assassini dei loro cari, vivere indisturbati e protetti dallo Stato.
“…In principio ci sono i peggiori. Sunto di ogni male, lievito di ogni violenza. Sui loro peccati si avvia la storia e si misura il passato. Si chiamano Giuda o Pinochet, sono sempre un dolore necessario. Il profilo oscuro della vita. Finché accade che ne incroci qualcuno sul tuo cammino: lo insegui, annusi le sue parole, ascolti le sue bugie. Alla fine ti accorgi che il male è materia assai più complessa, senza equazioni risolte in punta di catechismo. E che tutto sommato, perfino loro i tiranni, sono personaggi incompiuti, votati alla crudeltà ma grotteschi fino alla bestemmia…”. Parole dello scrittore Claudio Fava, che nel libro “La notte in cui Victor non cantò” ha descritto bene <quella sottile linea rossa> che separa l’odio dalla follia e che per troppi anni ha segnato con il sangue il destino di questo paese. Sui verbali del Senato degli Stati Uniti, il golpe viene descritto come se si trattasse di una felice bravata. Fra il 1971 e il 1973 la CIA finanziò in nero le opposizioni e i circoli militari cileni con settanta milioni di dollari. Anche la ITT, la multinazionale dei telefoni che Allende avrebbe voluto nazionalizzare, fece la propria parte, garantendo la paga a cinquantamila camionisti durante lo sciopero generale di 47 giorni che nell’estate del ‘73 aveva messo il Cile in ginocchio. Per fare arrivare il denaro a Santiago del Cile, gli agenti pagatori utilizzavano la valigia diplomatica del signor ambasciatore degli Stati Uniti. Tutto a verbale. Gli agenti infiltrati dalla CIA in Cile, alla vigilia del colpo di Stato furono 1500. 40 le radio dell’opposizione, finanziate dai servizi americani a Santiago del Cile durante la presidenza Allende. Gli ufficiali cileni addestrati a Panama dagli americani durante il 1973: 257. I cileni costretti all’esilio dopo il golpe: 1.800.000. Un quinto della popolazione del Cile. Numeri… numeri che uno scrittore, degno della professione che esercita, non può occultare o sminuire e che riaprono inevitabilmente una ferita profonda. Eppure, c’è chi ha detto che Pinochet sia stato salvato dai numeri. Diciassette anni di regime, quattromila omicidi politici, non un solo colpevole. Negli ultimi anni del <regno di Pinochet>, l’inflazione si è ridotta all’uno per cento, il debito estero è stato quasi azzerato, il prodotto interno è cresciuto grazie all’aumento del prezzo del rame sul mercato internazionale. Poi, d’improvviso il mercato si è saturato, il prezzo del rame è crollato e oggi al Cile rimane l’inutile vanità di quei numeri. Viene chiamata <macroeconomia>: una pagella di cifre in perfetto ordine, come auspica il Fondo Monetario. Ma dietro quelle tabelline, il Cile occulta un’economia fragilissima: cinque milioni di poveri, salari che precipitano verso il basso, con un aumento incontrollato del lavorio precario, mal pagato, insicuro, il <trabajo informal>.
Quanto sangue versato da allora sino ad oggi e quanto dolore, gridato ad un muro di una cella 2mt x 2, o da una madre per il proprio figlio torturato e ucciso per farne dono a Pinochet. Come si può cancellare una parte di storia che continua a tormentare l’animo di chi è sopravvissuto? Nessuno può arrogarsi il diritto di farlo e <chi scaglia la prima pietra> su coloro che chiedono solamente giustizia, lo fa per il timore di vedere scoperti gli sporchi legami fra ambienti istituzionali e criminalità, che per decenni sono rimasti coperti da una coltre di omertà e favoritismi.
I risultati ai quali è giunta la scrittrice Patricia Verdugo, si devono anche allo sforzo e alla collaborazione di storici, giornalisti, scrittori e molte altre persone che hanno sentito il dovere e la responsabilità di testimoniare per difendere una parte di storia che deve arrivare alle nuove generazioni, affinché simili crimini non vengano più commessi.
Martedì 11 settembre 1973, un cittadino di Santiago, radioamatore, si ritrovò a captare involontariamente con il suo apparecchio, le comunicazioni via etere fra i <capi> delle Forze Armate Nazionali. In quel giorno finiva l’era del presidente Salvador Allende, con un colpo di kalashnikov sparatosi in bocca al termine dell’assalto e con Isabelita e Beatriz le figlie tanto amate, portate via d’urgenza prima del bombardamento a La Moneda, il palazzo Presidenziale.
Ma per arrivare a tutto questo, bisogna entrare in un’ipotetica macchina del tempo e rivivere quei fatidici momenti, quegli istanti nei quali chi impersonava Giuda si toglieva la maschera e chi invece era amico, restava fino all’ultimo, fosse anche per morire.
Il generale Augusto Pinochet, comandante in capo all’esercito, seppe del golpe solo poche ore prima. Non era all’origine del complotto. I golpisti, con a capo il generale Sergio Arellano Stark, non avevano fiducia in lui, visto che era stato nominato dal presidente Salvador Allende a fine agosto di quello stesso anno. Troppo poco tempo. “… Tutti credevamo che Pinochet si sarebbe opposto…” affermò il generale della Forza Aerea (Fach) Nicanor Diaz Estrada, uno degli alti ufficiali implicati nel golpe. Ciononostante, in ultimo momento decisero di correre il rischio, onde evitare la divisione fra le Forze Armate. Il generale Arellano Stark, arrivò a casa del generale Pinochet, sabato 8 settembre circa alle ore 20.30 e lo mise al corrente del progetto contro il presidente. Secondo le testuali parole di Estrada, al rendersi conto che in una decisione già presa, unicamente veniva richiesta la sua adesione, la reazione di Pinochet fu un insieme di sorpresa e di fastidio. Durò poco, il giorno seguente partecipò ad una riunione insieme a tutti gli altri cospiratori del golpe per definire i <dettagli> della presa de La Moneda, il golpe era pronto e per Pinochet si prospettava un futuro da dittatore. Da allora sino ad oggi hanno dato svariate spiegazioni al colpo di stato, comunisti contro fascisti e viceversa. In un manuale di storia, di quelli che si studiano attualmente nei licei di Santiago del Cile, l’ultima pagina si ferma al 1973. Nel libro, il colpo di Stato viene descritto come uno <strumento> che servì a scongiurare la guerriglia comunista. Il presidente Salvador Allende viene raffigurato come un fantoccio di Mosca. Pinochet viene esaltato come un buon soldato. Ma dei morti… il libro non ne fa alcun cenno. La domanda che sorge spontanea è come sia possibile addossare la colpa ad una corrente politica, ignorando le vittime? La sinistra, la destra… e la vita di un uomo si decide in base alla sua appartenenza politica. Cosa ricorderanno i posteri, se nel mondo ancora esiste un forte protezionismo nei confronti di chi si macchia dei peggiori crimini contro l’umanità? Oggi, nelle vetrine delle librerie di Santiago, si possono ammirare i libri dedicati alla biografia di Pinochet. Nel libro “Ego Sum”, alla prima pagina si può leggere: “…Sono un uomo che si è battuto per una giusta causa, la battaglia del cristianesimo e della spiritualità contro il marxismo e il materialismo. E’ Dio che mi ha dato la forza…”. Ma questa ormai è storia recente, per capire meglio, bisogna ritornare indietro negli anni, là dove la nostra macchina del tempo si è fermata permettendoci di essere testimoni di un ennesima sconfitta del genere umano.
“… Avendo presente la gravissima crisi sociale e morale che attraversa il paese, il signor Presidente della Repubblica deve procedere all’immediata consegna del suo alto incarico alle Forze Armate e al corpo di Polizia del Cile…”. Con un tono di voce grave, rimasto nella memoria di milioni di cileni, dal quinto piano del Palazzo del Ministero della Difesa, il tenente colonnello Roberto Guillard, annunciava ai microfoni del circuito Radio della destra, la <prematura> fine del mandato presidenziale di Salvador Allende. Erano le 8.30 di martedì 11 settembre 1973. Nel palazzo presidenziale la voce del comandante Guillard sembrava un eco fantasma, che invadeva corridoi e cortili deserti, esigeva la rinuncia del presidente Allende. Ordinava l’immediata sospensione di tutte le attività d’informazione: radio, canali televisivi e stampa di sinistra, altrimenti attaccavano “…riceverete un <castigo> aereo e terrestre…” ed esortava la popolazione a restare in casa, per evitare <vittime innocenti>. Poi al termine della conversazione, i nomi dei capi implicati nel complotto: generale Augusto Pinochet, ammiraglio Josè Toribio Merino, generale Gustavo Leigh e generale César Mendoza. Esercito, Forze Armate, Forza Aerea e Polizia. A La Moneda ci fu un silenzio di alcuni secondi, un silenzio che presagiva la tragedia, dopodichè il presidente Allende prese il telefono che, ancora lo metteva in contatto con l’emittente radiofonica Radio Magallanes e comunicò alla nazione la sua decisa intenzione a continuare a difendere il Cile nella sua forma giuridica e nella sua costituzione. Il resto, è storia, quella stessa che hanno tentato di occultare, distorcere e strumentalizzare. Dopo 25 anni, la registrazione del dialogo fra Augusto Pinochet e gli alti graduati delle Forze Armate del Cile, è diventata di dominio pubblico, tramite il supporto in CD allegato al libro di Patricia Verdugo.
Nell’organizzazione del colpo di Stato, al Comando Militare di Penalolén, il generale Pinochet aveva la Postazione Uno. All’Accademia di Guerra della Forza Aerea, il generale Gustavo Leigh occupava la Postazione Due. Il punto di unione era la Postazione Tre, ubicata alla scuola militare. La Postazione Cinque si installò presso il Ministero della Difesa, con a capo il Viceammiraglio Patricio Carvajal, insieme al generale Nicanor Dìaz Estrada della Forza Aerea. Nella registrazione non compare la Postazione Quattro. Chiaramente, a giudicare dalle conversazioni, la Polizia non si trovava ne allo stesso livello di contatto, ne tantomeno a quello di comando, come il resto dei golpisti. La registrazione è di discreta qualità, si riesce a distinguere bene la voce di Augusto Pinochet, carica di enfasi, che ad ogni parola manifesta la sua sete di potere e la sua determinazione a <vincere> costi quel che costi. Le conversazioni riportate, sono solo una parte di quelle contenute nel libro della Verdugo. Alla luce degli ultimi avvenimenti intorno alla figura di quest’uomo o pseudo-tale, in quanto a volte ci si domanda fino a che punto si può considerare essere umano chi è capace di commettere azioni efferate, il documento riesce a fornire l’immagine reale della personalità di Augusto Pinochet Ugarte.
Riportiamo alcuni passi integralmente tratti dal CD originale.
-Generale Pinochet (Postazione Uno): …dobbiamo ribadire che le Forze Armate non sono contro il popolo! Ma anzi sono contro la carestia che è stata seminata dal governo marxista del signor Allende!!…Contro le grida che si odono per tutte le vie di Santiago!!… Contro la fame, contro la povertà, contro la miseria, contro il settarismo verso il quale ci sta portando il signor Allende, mentre lui se la spassa tra feste e divertimenti a casa sua…
-Postazione Tre (Scuola Militare): ...Si…ora vediamo…Postazione Uno. Postazione Tre mi ricevi?…
La voce degli ufficiali denota l’impatto ad aver ascoltato il primo discorso solenne del Comandante in Capo dell’Esercito. Il tono del generale Pinochet manifesta chiaramente la sua decisione di assumere il massimo comando. Fra gli artefici del golpe iniziò una sorta di apprensione: “…Bisognerà chiarire questa cosa non appena possiamo. Non eravamo rimasti d’accordo che la Giunta Militare avrebbe assunto il comando del governo? Non eravamo rimasti d’accordo di alternarci al massimo comando? Bisognerà mettere i puntini sulle I appena termineremo questo…”, furono queste alcune delle domande che si fece il generale Gustavo Leigh, comandante in capo della Forza Aerea. Ma ormai Pinochet era inarrestabile e se ne sarebbero accorti gli stessi fautori del colpo di Stato.
-Generale Augusto Pinochet: Si vada ad applicare la Legge Marziale a tutte le persone che verranno sorprese con armi!! Devono essere fucilate immediatamente!! Senza aspettare alcun processo!!…
-Viceammiraglio Carvajal: Ricevuto, affermativo. Legge marziale.
-Generale Augusto Pinochet: …per quei <cavalieri> (si riferisce al presidente Allende ed ai pochissimi rimasti con lui a La Moneda ndr) la mia idea è prenderli, portarli su un aereo e gettarli dall’alto da qualche parte…
-Viceammiraglio Carvajal: (risata) Affermativo… li prenderemo vivi e poi sceglieremo quali <portare> sull’aereo…
-Generale Augusto Pinochet: Il signor Allende e quell’altro… il signor Puccio li getteremo dall’aereo… Ascolta Patricio, quanto segue. Bisogna dare un comunicato che non esiste governo!! Il governo è il <governo militare>!! La gente deve attenersi a quello che dice il governo militare, visto che c’è gente che non vuole consegnare i propri posti. Tutti gli stranieri presenti nel nostro paese illegalmente, devono presentarsi al commissariato! Per quanto riguarda la stampa, assolutamente no!! Nessuna attività di stampa per adesso!!
-Viceammiraglio Carvajal: Affermativo.
-Generale Augusto Pinochet: Patricio dimmi… E Allende? E’ uscito o non è uscito?
-Viceammiraglio Carvajal: No, non è uscito. Secondo quanto ha detto, Flores vuole ottenere delle condizioni decorose per la consegna di… Allende…
-Generale Augusto Pinochet: Non ci sarà nessuna condizione decorosa che quel figlio di puttana si è immaginato!!!
Al momento di bombardare La Moneda, ci fu un ritardo di 10 minuti, dovuti a problemi tecnici. Inconcepibili per Pinochet, che immediatamente fece sentire la sua voce.
-Generale Augusto Pinochet: Ho già ordinato a Brady di attuare con l’artiglieria!! Siamo già in ritardo di 10 minuti!! Altrimenti quei bastardi faranno qualcosa…
-Generale Dìaz Estrada: Affermativo, mio generale, ma devo comunicarlo alla seconda Divisione…
-Generale Augusto Pinochet: Questa è la mia decisione!!
Dopo essere riuscito a convincere le sue due figlie ad uscire dal palazzo presidenziale, Salvador Allende era pronto ad affrontare l’epilogo di quella lunga mattinata. Il bombardamento fu realmente qualcosa di sconvolgente, dall’alto, i caccia <O. Hunter> colpirono in 21 minuti La Moneda, sganciando 17 bombe incendiarie; vetri infranti, calcinacci che cadevano, bombe lacrimogene e una nuvola di fumo che sembrava non finire mai. Poi, l’assalto ed il ritrovamento del corpo di Allende con il cranio fracassato dal colpo sparatosi alla bocca con un kalashnikov. La fine. Il Dottor Patricio Gujiòn, nel momento che arrivarono i militari, non fece alcun movimento, era come pietrificato, aveva appena visto un amico uccidersi. Il Dottor Gujiòn, fu uno dei sopravvissuti che raccontò esattamente come andarono i fatti.
Da quel momento in poi, per Augusto Pinochet si spalancarono le porte del potere, appoggiato da una super potenza come gli Stati Uniti. Chiunque si fosse opposto al suo regime subìva la tortura, il carcere, l’isolamento, l’esilio o la morte. Nel 1986 Pinochet uscì illeso da un attentato contro di lui, realizzato dai membri del gruppo insorto Fronte Patriottico Manuel Rodriguez (FPMR). Quello che seguì il fallito attentato fu una feroce, brutale ed indiscriminata campagna di repressione. Si torturava come ai vecchi tempi, nelle carceri e nei commissariati regnava il terrore: una delle pratiche più diffuse era quella di appendere nudo il prigioniero per le gambe ed inserirgli un ratto nell’ano. La maggior parte delle volte al prigioniero venivano applicati degli elettrodi in vari punti del corpo, venivano mandate delle scariche elettriche di tre o quattro ore, con un intervallo di due ore. Venivano spezzate le ossa in varie parti del corpo, veniva provocata la rottura di un timpano con conseguente emorragia interna, si lasciava agonizzare due o tre giorni, il tempo che si potesse riprendere, per ricominciare con altre torture. Poteva durare dei mesi. Non basterebbero le pagine di un libro per elencare le atrocità commesse in quel periodo.
Lo scorso anno, ci fu la notizia che Augusto Pinochet Ugarte sarebbe diventato senatore a vita. Accanto a lui, sugli stessi banchi del senato avrebbe trovato i figli di coloro che i suoi <macellai> avevano ucciso. E accanto agli orfani, anche i sopravvissuti, gli esiliati, i carcerati, i torturati, i braccati. Nel mese di settembre del 1998 Pinochet venne arrestato a Londra in esecuzione di un mandato di cattura internazionale emesso dal giudice spagnolo Baltasar Garzòn che ne chiese l’estradizione a Madrid per i crimini commessi durante gli anni della dittatura.
Il 24 marzo di quest’anno, la sentenza dei Lord negava l’immunità a Pinochet, ma ne limitava la perseguibilità ai soli casi di tortura commessi dopo l’88, praticamente solo per 7 capi di accusa, quando invece nella domanda di Garzòn se ne elencavano più di 3000.
Il giudice Garzòn non si arrese ed inviò alla Procura della corona britannica, una quarantina di altri casi di tortura denunciati negli ultimi due anni di governo del dittatore, fra il 1988 e il 1990. Anche il ministro degli interni britannico, Jack Straw fece pervenire le prove di altri 46 casi di tortura ed omicidio che sarebbero state utili per il processo di estradizione.
Paradossalmente, per la liberazione immediata del generale Augusto Pinochet, si erano espressi a favore: la baronessa Margareth Tatcher (che ha così tanti morti sulla coscienza per la guerra delle Falkland, da non ricordarli più), l’ex segretario di Stato Kissinger, Papa Wojtila, il Dalai Lama e l’ex presidente George Bush. Inspiegabilmente, la maggioranza del governo cileno si pronunciò in favore del criminale, nonostante l’opinione contraria ad una sua immunità, della stragrande maggioranza del popolo. Emilio Rojas, autore del libro “I miei primi 3 minuti” (un documento su come il tempo di un eventuale interrogatorio ai tempi delle persecuzioni durava al massimo 5 minuti, per poi finire in qualche centro di tortura ndr), dopo aver subìto la tortura e l’umiliazione di non venire accettato dopo la liberazione, ha detto che nei confronti di Augusto Pinochet non prova rancore, è riuscito a perdonare, ma non dimentica. Secondo lui, l’ex dittatore sta raccogliendo tutto quello che ha seminato e sa cosa lo aspetta…
Sarà la storia che darà ragione alle vittime della dittatura di Pinochet. E quando finalmente, quel sorriso blasfemo si spegnerà sulla faccia del <generalissimo>, vorrà dire che la vera giustizia avrà vinto. Allora nessuna chiesa proteggerà più <il macellaio>, non ci saranno papi ad affacciarsi insieme a lui al Palazzo Presidenziale e nessuna posizione diplomatica lo potrà salvare. In attesa di vedere gli sviluppi di questa triste storia, vengono in mente le parole dello scrittore Luis Sepulveda, torturato ed esiliato all’epoca di Pinochet, che nei confronti del processo al dittatore si è così espresso: “…vedremo il tiranno seduto al banco degli imputati, e forse non è più così importante la severità della sua condanna, perché l’umanità che contempla con schifo i trucchetti legali ha già pronunciato il verdetto della decenza: Colpevole.”. Colpevoli anche e soprattutto i tiranni, i guerrafondai, i mercanti di morte che a lui hanno dato il potere.

Il processo Pinochet
22 settembre 1998: Augusto Pinochet parte per Londra per un’operazione chirurgica. Il 10 ottobre Amnesty International chiede il fermo di Pinochet, accusato di violazioni dei diritti umani. 13 ottobre: la giustizia spagnola chiede a Londra l’autorizzazione per interrogare Pinochet sulla morte di spagnoli in Cile. 16 ottobre: su richiesta del giudice Garzòn, la polizia dispone l’arresto in clinica di Pinochet. 19 ottobre: l’ambasciatore cileno protesta con il Foreign Office e afferma che Pinochet gode dell’immunità diplomatica. 28 ottobre: l’Alta Corte decide che Pinochet ha l’immunità come ex capo di Stato ma deve restare nel Regno Unito controllato dalla polizia in attesa della sentenza di appello. 25 novembre: la camera dei Lord conclude l’esame del ricorso contro la sentenza dell’Alta Corte e decide (tre contro due) di non riconoscere l’immunità a Pinochet. 9 dicembre: il ministro dell’Interno approva le procedure per la richiesta di estradizione spagnola presentata il 6 novembre. 10 dicembre: Pinochet chiede l’annullamento della sentenza dei Lord perché uno di loro ( lord Hoffman) non avrebbe i requisiti di imparzialità avendo lavorato per Amnesty. 17 dicembre 1998: i Lord giudici annullano la sentenza del 25 novembre che ha negato l’immunità a Pinochet. 11 gennaio 1999: sono nominati i sette Lord giudici chiamati a esaminare per la seconda volta la questione dell’immunità. 13 gennaio: il governo cileno e Amnesty International sono ammessi a partecipare all’appello. 18 gennaio: comincia il nuovo processo di appello contro l’ex generale Augusto Pinochet. 22 febbraio: il tribunale londinese di Bow Street conferma la libertà vigilata per Pinochet. 24 marzo: la Camera dei Lord nega l’immunità a Pinochet e afferma che il generale è imputabile soltanto per i crimini eventualmente commessi dopo il 1988, quando la Gran Bretagna ha introdotto nella sua legislazione un trattato internazionale contro la tortura. 16 aprile: viene annullata la prima decisione del ministro dell’interno Jack Straw, con la quale egli autorizzava l’avvio della procedura di estradizione per l’ex dittatore cileno. La strada è ancora lunga, ma per Pinochet è finita, il disprezzo della gente sarà la sua spina nel fianco.

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