TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Nuove ricerche sulla reincarnazione

(per gentile concessione di Silvio Ravaldini, direttore della rivista trimestrale "luce e ombra" che da ben 98 anni tratta con serietà e professionalità temi di parapsicologia e problemi connessi)

Di Paola Giovetti
 

 

"Una volta accettato il fatto di essere incarnato di nuovo, cerca di usare questa vita per fare la maggiore quantità possibile di esperienze utili. Scegli un’attività nella quale puoi contribuire a guarire il pianeta: lavorare per salvare le foreste pluviali, pregare per la pace, soccorrere i senzatetto, coltivare un giardino. Apri il tuo cuore e il Signore ti guiderà"

(Rabbi Yonassan Gershom)

L’antichissima dottrina della reincarnazione, patrimonio di fede per centinaia di milioni di persone soprattutto in Oriente viene da alcuni decenni considerata oggetto di ricerca scientifica e come tale indagata allo scopo di individuare "indizi a sostegno" della sua realtà. In questo articolo farò riferimento a due recenti studi, uno del professor Ian Steveson e l’altro del rabbino americano Yonassan Gershom. Professore di psichiatria all’Università della Virginia, Stevenson si dedica da molti anni allo studio dei bambini che spontaneamente presentano memorie di quelle che sembrano vite precedenti. Il suo punto di partenza non fu però la religione, bensì l’interesse scientifico: essendo psichiatra, voleva cercare di capire il perché di certe paure e fobie dei bambini piccoli, di certi talenti innati e inusitati in famiglia; voleva spiegarsi il motivo delle simpatie e antipatie che a volte i piccoli dimostrano fin dalla più tenera età. Studiando questi aspetti, Stevenson si rese conto che i bambini, oltre a mostrare fobie o attitudini particolari, a volte ricordavano cose che a lume di logica non avrebbero dovuto sapere: parlavano di vicende di vita diverse da quelle attuali e soprattutto di tipi di morte che spiegavano e giustificavano quelle paure e quelle fobie. In Ian Stevenson, che è di religione protestante, l’interesse per la reincarnazione nacque poco a poco, in quanto gradualmente si rese conto che questa dottrina poteva offrire spiegazioni plausibili a quelle situazioni apparentemente enigmatiche. Una volta convintosi di questa possibilità, Ian Stevenson cominciò a girare il mondo alla ricerca dei bambini i cui ricordi possono essere rivelatori e, con l’aiuto di collaboratori che gli segnalano i casi, ne ha ormai incontrati e studiati a centinaia, sia nei paesi che credono nella reincarnazione, come l’India, sia in quelli non reincarnazionisti. Per le sue accuratissime indagini Stevenson ha messo a punto una tecnica quasi poliziesca: parla coi bambini, interroga i familiari, i parenti e i vicini, analizza i ricordi, li mette in relazione con le situazioni reali, fa sopralluoghi nei posti che i piccoli dicono di ricordare, organizza incontri con le persone che i bambini asseriscono di aver conosciuto nella vita precedente. I riscontri sono spesso straordinari: bambini di pochi anni che riconoscono con esattezza persone che non avevano mai visto, le chiamano per nome, discutono con loro di vicende passate, si muovono con disinvoltura in case e città dove non sono mai stati; a volte, addirittura, mostrano di conoscere lingue che non sono state mai loro insegnate e che non hanno neppure sentito parlare in casa. Sulla sua casistica il professor Ian Stevenson ha scritto molto: il suo libro più importante, ormai un classico della materia, è "Reincarnazione - venti casi a sostegno", pubblicato dall’editore Armenia ormai diversi anni or sono. Ma le sue indagini sulla reincarnazione non si fermano qui: esistono infatti altri elementi che mettono in luce aspetti a dir poco inquietanti. Ed è a questi che facciamo riferimento. Sta per uscire, ancora una volta presso Armenia, l’ultima fatica di Ian Stevenson, un libro dal titolo "Segni di Nascita", che si basa sul materiale raccolto in anni di ricerca. Certi bambini infatti nascono avendo sul corpo segni inspiegabili, ovvero cicatrici lasciate da ferite mai ricevute o anomalie fisiche di cui i medici non riescono a individuare l’origine. E appena cominciano a parlare, questi bambini dicono di essere morti di una morte violenta che giustifica e spiega quelle cicatrici. Questo nuovo libro di prossima uscita sintetizza il più vasto studio di Stevenson dal titolo "Reincarnation and Biology: a Contribution to the Etiology of Birth Marks and Birth Defects, (Westport, CT, Praeger Oublisher), uscito negli Stati Uniti nel 1997, che l’autore definisce "una monografia medica con ampia documentazione, note, tavole illustrative", un testo quindi altamente specializzato rivolto agli addetti ai lavori e di conseguenza di non facile traduzione in altre lingue. Il libro che sta per uscire in italiano è stato scritto, spiega Stevenson, per soddisfare i lettori che desiderano conoscere il contenuto di base del precedente lavoro senza entrare troppo nel dettaglio. E in effetti il testo svolge ottimamente il proprio compito: descrive infatti e mostra visivamente attraverso una serie di impressionanti fotografie una notevole serie di casi di bambini che nascono avendo sul corpo segni inspiegabili. C’è per esempio Jacinta Agbo, una bambina nigeriana, che alla nascita (1980) presentava sulla nuca una strana, lunghissima cicatrice. Quando fu in grado di parlare, Jacinta descrisse una situazione che spiegava quella ferita: parlò di un uomo di nome Nsude che durante una lite era stato pesantemente ferito alla testa. Portato all’ospedale di Enugu, era stato operato e il chirurgo gli aveva praticato una lunga incisione sulla nuca. In seguito tuttavia l’uomo era morto. I fatti erano avvenuti nel 1970 e Stevenson ebbe modo di controllarli. Un altro caso incredibile corredato da eloquentissime fotografie è quello di Ma Htwe Win, una bambina nata a Burma nel 1973. Quando sua madre era incinta, sognò che un uomo che si trascinava sulle ginocchia la seguiva e le si avvicinava sempre più. La piccola presentava fin dalla nascita pesanti segni e anomalie, in particolare anelli di costrizione alle gambe, soprattutto a sinistra. Quando fu in grado di parlare, rievocò la morte terribile di un uomo di nome Nga Than, che era stato brutalmente assassinato dalla moglie e dal suo amante e poi legato con corde per poter essere meglio occultato. Il corpo era stato ritrovato e l’omicidio scoperto. I segni di nascita della bambina corrispondevano esattamente alle legature traumatiche di quell’infelice. Cito infine il caso di Semith Tutusmus, un ragazzino turco nato con una pesante malformazione all’orecchio destro: anche lui ricordava la morte violenta di una personalità precedente, dovuta a colpi di arma da fuoco che, fra le altre cose, gli avevano maciullato un orecchio. Come si spiegano questi fatti? Il professor Stevenson ritiene che i segni di nascita confermino i ricordi dei bambini e dimostrino che una personalità definita, sopravvissuta alla propria morte, può influire sul corpo in formazione nel ventre materno. Si tratterebbe in sostanza, di un’azione psicocinetica, ovvero dell’impressione - da parte dello spirito sopravvissuto alla morte - sul piccolo corpo in gestazione dei segni delle ferite che portarono a un decesso tanto traumatico da lasciare tracce profonde e permanenti. Si tratta solo di una ipotesi esplicativa, non certo di una teoria provata e dimostrata; ma bisogna convenire che fatti come questi non sono facilmente spiegabili ricorrendo al caso, all’eredità genetica e ad altre spiegazioni "normali". Fra l’altro il professor Stevenson è riuscito molto spesso a procurarsi i documenti medici che confermano la corrispondenza tra il segno di nascita e la ferita del defunto la cui vita il bambino ricorda. La documentazione raccolta dallo psichiatra americano è, come sempre, ineccepibile e chi avrà occasione di leggere il suo libro avrà modo di rendersene conto. Chi volesse approfondire ulteriormente il discorso, può ricorrere al più ampio studio medico sopra citato. La seconda ricerca, sulla quale mi soffermerò maggiormente in quanto del tutto nuova e, almeno da noi in Italia, ben poco nota, è - come accennavo all’inizio - opera del rabbino Yonassan Gershom di Berkeley in California. Il suo libro "Beyond the Ashes" (Al di là delle ceneri), uscito negli Stati Uniti nel 1993, non tradotto in italiano, è il risultato di uno studio durato dieci anni su casi di possibile reincarnazione dall’Olocausto: una serie molto particolare di eventi che hanno indotto l’autore a ipotizzare che un numero considerevole di vittime della furia nazista abbia scelto di rinascere in tempi brevi, sia in ambiente ebraico che non ebraico. Rabbi Gershom dichiara fin dall’inizio che il suo non è uno studio scientifico, ma piuttosto una raccolta aneddotica di storie personali a lui riferite da persone che ritenevano di essere morte nell’Olocausto e di essersi reincarnate. Afferma inoltre, a titolo personale, di credere nella reincarnazione ed esprime il convincimento che sia stata proprio la sua apertura nei confronti della dottrina delle molte vite a indurre le persone ad aprirsi con lui. La fede nella reincarnazione, spiega ancora Rabbi Gershom, rientra nelle credenze di certe correnti mistiche ebraiche ed è condivisa da studiosi quali Gershom Scholem. Il libro in oggetto, spiega ancora il Rabbi nell’introduzione, è stato scritto per invitare le persone che presentano ricordi dell’Olocausto a lavorare alla guarigione del proprio karma personale; inoltre per informare l’opinione pubblica circa gli insegnamenti ebraici sulla reincarnazione e fornire a parapsicologi e ricercatori il contesto teologico e culturale per questi casi. La casistica di Rabbi Yonassan Gershom comprende oltre 250 casi di persone che credono di essersi reincarnate dall’Olocausto: oltre due terzi di queste non appartenevano alla religione ebraica e complessivamente i soggetti venivano da 17 stati diversi, tra cui Nuova Zelanda, Israele, Francia, Germania e Canada. Il primo incontro avvenne casualmente: una ragazza che faceva parte di un gruppo ristretto con cui Rabbi Gershom leggeva e discuteva la Kabbalah e le tradizioni esoteriche ebraiche, gli confidò di ritenere di essere morta nell’Olocausto: fin dalla più tenera età non poteva neppure sentir parlare di campi di concentramento, aveva flash che si riferivano a quelle orribili situazioni e che lei riteneva facessero parte della sua vita precedente; inoltre la ragazza cantò un inno che continuava a risuonarle nelle orecchie e che non aveva mai sentito: era "Ani Maamin", che significa "Io credo". Il Rabbi lo riconobbe: veniva cantato dagli ebrei quando entravano nelle camere a gas. Da allora Gershom ha incontrato centinaia di persone che presentavano ricordi dell’Olocausto ed erano convinte di essersi reincarnate. L’occasione dei primi incontri fu rappresentata da convegni e seminari; in seguito, quando la voce dell’interesse del Rabbi per questi casi cominciò a diffondersi, parecchi si rivolsero spontaneamente a lui per aiuto e consiglio. Queste persone erano giunte alle loro conclusioni attraverso molti mezzi: sogni, visioni, deja-vu, intuizioni, scrittura automatica, regressione ipnotica. Parlare delle esperienze, aprirsi, discuterne, ha rappresentato per tutti - scrive Gershom - un enorme alleggerimento, in qualche caso addirittura la fine degli incubi e dei sogni angosciosi. Inizialmente Rabbi Yonassan Gershom tenne questo materiale per sé, ma quando i casi divennero tanti, sentì che era venuto il momento di renderli noti. Nel 1987 scrisse per una rivista molto diffusa, "Venture Inward", un articolo dal titolo "Are Holocaust victims returning?" (Le vittime dell’Olocausto stanno ritornando?), che ebbe un enorme riscontro in tutto il mondo: lunghe telefonate, lettere, incontri diretti. Il risultato di tutto questo è "Beyond the Ashes", un libro che fa veramente riflettere. Il fatto di essere rabbino, spiega Yonassan Gershom, dava fiducia alla gente, la maggior parte della quale non aveva la più vaga idea che il giudaismo prevedesse la reincarnazione o che addirittura avvertiva come qualcosa di offensivo la sola ipotesi di una vita passata vissuta come appartenente alla religione ebraica. Riporto per intero un caso tipico, per dare un’idea del tipo di esperienza. Il caso è quello di una ragazza madre di 34 anni di nome Beverly, che il rabbino e sua moglie conobbero grazie alle loro attività sociali e con la quale fecero amicizia. Il padre di Beverly non era ebreo, la madre sì, ma in segreto: non lo dissero alla figlia finché non fu adulta. Di conseguenza né lei né la sua figlioletta Susina conoscevano le abitudini, i riti, le credenze ebraiche. Rabbi Gershom spiega che il motivo di questa segretezza era dovuto al fatto che prima che venisse approvato il Civil right Act (Legge sui Diritti Civili) del 1964, negli Stati Uniti molte delle restrizioni messe in atto nei confronti della gente di colore venivano applicate anche agli ebrei. Essere apertamente ebreo significava spesso avere grossi problemi con la casa, il lavoro, l’ammissione alla scuola e all’università. Beverly era nata nel 1950 e a causa di questa discriminazione sua madre aveva pensato che sua figlia sarebbe vissuta meglio se la sua origine ebraica fosse rimasta sconosciuta. Quando Beverly ne fu informata, mostrò un gran desiderio di conoscere le proprie tradizioni. Era una persona molto spirituale e si era sentita frustrata per il fatto che i suoi genitori non praticassero nessuna religione. Essendo pochissimo istruita (sapeva appena leggere e scrivere) non aveva avuto la possibilità di colmare quelle lacune da sola. Non aveva letto la Bibbia né testi sull’Olocausto. Un sabato pomeriggio che Beverly era a casa del rabbino, raccontò un sogno, o meglio un incubo ricorrente che faceva da bambina. Nel sogno era un ragazzino di sette o otto anni, che stava in fila con sua madre insieme a molte altre persone. Poi passavano davanti a un tavolo dove un uomo diceva a certuni di andare a sinistra e ad altri di andare a destra. A loro fu indicata la sinistra. Subito dopo si trovò in un posto orribile con un odore tremendo. C’erano uomini che gettavano la gente viva nel fuoco e anche lui vi fu gettato. Lottò per venirne fuori, ma ben presto perse i sensi e morì. Il sogno continuava col bambino e la madre di nuovo in fila con tante altre persone. Davanti a loro c’era un portale meraviglioso e il bambino si rendeva conto che era la porta del Cielo. Stranamente, tutti gli uomini portavano il cappello e Beverly ricordò di aver pensato che era stupido che non se lo togliessero per andare in Cielo. La fila era lunga e il bambino si stancò di aspettare; si allontanò arrivando a un livello più basso dove incontrò un "angelo di sesso maschile" che gli disse: "Ora che sei venuto fin qui, dovrai tornare di nuovo sulla Terra". Lui non voleva andare e cominciò a chiedere di sua madre, ma l’angelo disse che gli avrebbe trovato un’altra mamma. Al bambino fu poi mostrato un raggio di luce, che lui seguì fino al ventre di una donna. E poi "lui" divenne Beverly. Il sogno diede subito al rabbino un’impressione di autenticità. Per vari motivi: non era uno stereotipo, né vi erano frasi o situazioni che Beverly potesse aver sentito per radio o televisione. Beverly per esempio non parlò mai di camere a gas, anche se questa è la prima cosa che viene in mente quando si parla di Olocausto. Non tutti sanno che molti ebrei furono bruciati vivi nei primi tempi del terrore nazista, che durò dal 1933 al 1945. Inoltre, fa notare ancora il rabbino, nel sogno di Beverly vi sono molti punti storicamente corretti. L’uomo al tavolo che indica la destra o la sinistra è un particolare esatto molto difficile da reperire in un sogno infantile. Tutti coloro che sono sopravvissuti all’Olocausto ricordano bene quella selezione: destra voleva dire vita, sinistra morte. I bambini venivano separati dalle madri e spesso uccisi immediatamente. Un altro particolare interessante riguarda il cappello che gli uomini avevano in testa mentre erano in fila per varcare le porte del Cielo. Al giorno d’oggi, fa notare Rabbi, l’americano medio pensa che gli ebrei religiosi portino lo zucchetto, o papalina, e così sono in genere rappresentati. Ma nell’Europa pre-Olocausto la papalina era un copricapo che si usava ogni giorno in casa e fuori. Il sabato e nelle feste importanti gli uomini portavano il cappello sopra la papalina. Di conseguenza è logico che si fossero messi il loro cappello migliore per andare incontro al Creatore. Ma come faceva Beverly a sapere queste cose, visto che da bambina non sapeva neppure di essere ebrea e non aveva alcun contatto con gli ebrei? Da bambina Beverly, oltre ai sogni, compiva istintivamente gesti tipici degli ebrei, per esempio spargeva il sale sul pane, cosa che si fa abitualmente alle tavole ebraiche il sabato - e da nessun altra parte. E quando giocava a casa, si avvolgeva un nastro intorno al braccio: forse un ricordo del tefillin che gli uomini ebrei si avvolgono intorno al braccio quando pregano? Rabbi Gershom assicura che ricordare il sogno rappresentò una grande catarsi per Beverly, che da quel momento dimostrò più fiducia in se stessa e riuscì ad affrontare meglio i problemi della vita. Con ogni probabilità superando la paura della vita passata Beverly si era sentita meglio radicata in quella attuale. Beverly - scrisse Gershom - ricordava in modo insolitamente chiaro, altri avevano frammenti di memorie. Molto comuni le fobie: una ragazza di nome Joan, cresciuta in una fattoria del Midwest, aveva un incomprensibile terrore del filo spinato. Nella sua vita attuale non c’era nulla che potesse spiegare quella paura. Non era mai rimasta impigliata nel filo spinato, che per altro serviva soltanto alla normale recinzione dei bovini al pascolo; tuttavia ogni volta che suo padre portava a casa un rotolo di filo spinato, lei era colta da un infinito terrore. Dopo aver fatto un sogno in cui vedeva se stessa morire in un campo di concentramento, Joan collegò la sua paura a una vita passata e dal quel momento la sua paura diminuì. Il filo spinato continuava a non piacerle, però riusciva a muoversi nella fattoria senza essere colta da attacchi di panico. Altre persone hanno paura della polizia, delle uniformi o delle sirene. E’ capitato che certi sintomi fisici, per esempio attacchi di asma e altri problemi respiratori, abbiano avuto inizio proprio nel momento in cui emergevano memorie legate all’olocausto. In due casi riferiti dal Rabbi un attacco d’asma si manifestò per la prima volta con violenza assistendo a rituali ebraici, come se il solo pensiero di essere ebreo evocasse un’improvvisa incapacità di respirare. Un caso tipico è anche quello di Mary, nata in una famiglia di origine italiana. Mary era stata sempre una bambina felice e sorridente, ma di notte urlava di terrore senza motivo apparente. Appena imparò a parlare, descrisse l’angoscia di essere sotto un bombardamento. Fin dalla primissima infanzia, era terrorizzata dalle sirene. Quando cominciò ad andare a scuola, aveva una "fantasia" ricorrente: quella di camminare e camminare per arrivare a casa. Questa impressione le veniva soprattutto quando tornava a casa da scuola; in particolare era sempre ansiosa di arrivare per poter constatare che sua madre era ancora viva. Una volta mentre camminava vivendo questa fantasia, suonò una sirena e lei cominciò a urlare di terrore. Corse in mezzo alla strada, fermò una macchina e gridò: "Stiamo per essere bombardati, stiamo per essere bombardati!". La signora che era al volante cercò di calmarla, poi l’accompagnò a casa. Crescendo, Mary sviluppò anche una grande paura di morire di fame, anche se in vita sua non le era mai capitato di avere davvero fame. A 24 anni andò per la prima volta in Germania con un’amica e prese un treno ad Heidelberg. Quando le porte scorrevoli furono chiuse, Mary cominciò ad ansimare e a gridare di paura: "Sono già stata qui, sono già stata qui!" Probabilmente, scrive Rabbi Gershom, le porte scorrevoli avevano ridestato un flashback di un’altra vita, quando avevano chiuse le porte del sovraffollato vagone che l’aveva portata ai campi di morte. In seguito, discutendo la situazione col Rabbi, Mary dimostrò di conoscere interi brani del libro di Geremia sulla "cattività babilonese", simbolo della terribile situazione ebraica; inoltre ripeteva fra sé il "tikkun chatzot", una preghiera ebraica - dice il Rabbi - in disuso in anni recenti ma ben conosciuta e praticata nell’Europa pre-Olocausto. Mary, come si è detto era cattolica. La sua famiglia si era trasferita negli Stati Uniti da generazioni. I casi di questo genere riportati nel libro di Rabbi Gershom sono tanti, e non è facile liquidarli ricorrendo alla pura casualità. E’ un materiale che va attentamente studiato e che certamente può fornire un contributo valido all’indagine sulla reincarnazione. C’è da augurarsi che una traduzione italiana renda questa casistica agibile anche ai nostri studiosi. Rabbi Gershom riporta nel suo libro molte riflessioni relative al destino del popolo ebraico, all’Olocausto, al karma collettivo e a come superarlo. Sono discorsi di estremo interesse, che tuttavia in questa sede ci porterebbero troppo lontano e fuori dai limiti di questo articolo, che si propone soltanto di presentare due nuove ricerche sul tema della reincarnazione. Un’unica riflessione conclusiva. Il lavoro di Rabbi Gershom è consistito e tuttora consiste prevalentemente nell’aiutare le persone che presentano questi ricordi a vivere la vita attuale in pienezza, senza farsi condizionare dal passato. Scrive infatti Gershom rivolgendosi a tutti i suoi diretti interlocutori e anche ai lettori del suo libro: "Una volta accettato il fatto di essere incarnato di nuovo, cerca di usare questa vita per fare la maggiore quantità possibile di esperienze utili. Scegli un’attività nella quale puoi contribuire a guarire il pianeta: lavorare per salvare le foreste pluviali, pregare per la pace, soccorrere i senzatetto, coltivare un giardino. Apri il tuo cuore e il Signore ti guiderà".

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"...anche lui ricordava la morte violenta di una personalità precedente..."

 

 

 

 

 

 

 

 

"...Rabbi Yonassan Gershom comprende oltre 250 casi di persone che credono di essersi reincarnate dall’Olocausto..."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"...bambini di pochi anni che riconoscono con esattezza persone che non avevano mai visto, le chiamano per nome, discutono con loro di vicende passate..."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Come la materia e la sostanza delle cose sono indistruttibili così tutte le loro parti sono assoggettate a tutte le forme, al punto che tutto si trasforma in tutto, se non in un medesimo batter d’occhio almeno in istanti diversi, uno dopo l’altro e scambievolmente".

(Giordano Bruno, LA CENA DELLE CENERI, 1584)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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