TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

Il significato della prevenzione

Di Andrea Muccioli

 

 

E' assurdo sperperare miliardi in opuscoli dove si spiega come drogarsi in modo "intelligente", in metadone e, in futuro forse in eroina o in laboratori che, davanti alle discoteche, analizzino pasticche più o meno pericolose, ma comunque pericolose. Occorre invece insegnare ai ragazzi il disvalore della droga

Scrive Luigi Manconi sul Quotidiano nazionale (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione) a metà novembre: “E’ giusto dire che nella lotta alla droga, non è la droga da combattere. È un’affermazione importante. Tutti, o quasi, i ragionamenti e le strategie in materia di tossicodipendenza finiscono col parlare della “cosa” - ovvero della sostanza stupefacente - piuttosto che degli individui in carne ed ossa, con tutta la loro sofferenza e la loro solitudine”. “Questa è un’impostazione concreta e pragmatica”, prosegue Manconi, “sebbene possa apparire, in prima istanza, meno rassicurante - e, certo, meno roboante - delle facili urla: “Non drogarti!” (è utile dirlo ma terribilmente insufficiente); o di altre urla altrettanto insufficienti), come: “Distruggiamo la droga! Arrestiamo tutti gli spacciatori”.
Nell’articolo il senatore ed ex portavoce dei Verdi confronta dal punto di vista sociologico l’uso di ecstasy con il fenomeno della tossicodipendenza da eroina. “In questo ultimo caso”, spiega, “l’ambientazione è, in una parola, quella della marginalità e, spesso, del più drammatico degrado sociale”.
Non così per i consumatori delle droghe di sintesi (le cosiddette “nuove droghe”), che rifiutano la definizione stessa di “drogati”, hanno uno stile di vita simile a quello dei non consumatori, non rivelano la loro condizione, non manovrano aghi e siringhe e altri strumenti “sporchi”. In altri termini, si tratta prevalentemente di consumatori occasionali e “mascherati”, che esprimono in genere un buon livello di integrazione (nel lavoro, nella scuola, nella cerchia di amici, persino nella famiglia)”.
Nonostante ciò, riconosce Manconi citando alcune frasi di don Luigi Ciotti, anche essi sono portatori di un disagio: “Se la vita vera non offre ai ragazzi che prospettive di insicurezza, si crea facilmente un cortocircuito. Da un lato c’è un immaginario tutto teso all’apparenza e al consumo, dall’altro c’è il vissuto reale, la fatica, lo stress, la tensione, la frustrazione. I conti non tornano, si crea una voragine che deve essere riempita in qualche modo. C’è chi lo fa in lunghe notti a base di sostanze eccitanti, in questo modo esorcizzando frustrazioni o paure più o meno percepite a livello di coscienza”.
Dunque, a parere di Manconi, su questo devono agire la società adulta, le famiglie, gli educatori e la classe politica: “Ma è un lavoro di lunga, lunghissima lena”, avverte concludendo l’articolo il sociologo. “Nel frattempo molto si può fare. Ad esempio, in Emilia Romagna, l’assessore regionale alle politiche sociali, Gianluca Borghi, ha indagato il fenomeno (e non da oggi; da anni), ha elaborato strategie, ha realizzato progetti. E, così, davanti alle discoteche potranno esserci non solo le forze dell’ordine ad arrestare gli spacciatori, ma (speriamo in numero maggiore di quanto accade oggi) “unità di strada”, strutture mobili e camper attrezzati, per informare, assistere e, se necessario, soccorrere i consumatori (reali o potenziali) di droghe sintetiche”. Qui di seguito pubblichiamo la risposta di Andrea Muccioli all’articolo del senatore Manconi.

Mi è successo raramente, in questi anni di trovarmi d’accordo su qualcosa con il senatore Luigi Manconi. Leggendo invece il suo articolo mi sono scoperto a condividere alcune sue affermazioni. È vero - e noi di San Patrignano lo diciamo da vent’anni - che non è la droga il problema ma la persona che la assume, l’uomo in carne ed ossa con la sua solitudine e sofferenza. Proprio per questo abbiamo sempre creduto nella validità di percorsi educativi e formativi nelle comunità serie opponendoci a chi voleva fare della tossicodipendenza un problema medico da curare con inutili e dannosi farmaci sostitutivi. 
È vero anche, come sostiene Manconi, che la figura del consumatore di ecstasy si presenta in modo diverso da quella dell’eroinomane di qualche anno fa. Quest’ultimo sapeva perfettamente di fare qualcosa di dannoso e sbagliato, lo sballato da discoteca considera il proprio stile di vita assolutamente normale e integrato nella società. Ma è proprio questo il punto che Manconi elude: perché tutto ciò accade?
Non serve e non basta infatti piangere sulla “cattiveria” della nostra società, denunciare la corsa al successo, il mito della seduzione, dell’efficienza e del risultato a tutti i costi. È vero, non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ma qualcosa nel nostro piccolo possiamo fare per migliorarlo. E questa cosa ha un nome: educare.
La società in cui viviamo, costituita da ognuno di noi, è a corto di persone che sappiano essere in grado di educare. Basta pensare al teatrino della politica, che Manconi ben conosce, al disastro della scuola, a certi programmi televisivi. Gli esempi sono migliaia e sotto gli occhi di tutti.

PUNTI DI RIFERIMENTO ASSENTI

Perché mai un ragazzo non dovrebbe “farsi le canne” o prendere l’ecstasy? Sono sempre di meno gli insegnanti che hanno voglia di dedicarsi all’educazione dei loro allievi. A casa i genitori sono sempre più assenti e la relazione tra padri, madri e figli scivola via senza spessore e sostanza. I giornali, che peraltro pochissimi giovani leggono, parlano di tutto fuorché dei problemi delle persone. La cultura dilagante propone l’elusione delle responsabilità, il disinteresse per la differenza tra bene e male (“non fare il moralista!” è l’epiteto più in voga), l’individualismo e la lotta per il potere come punti di riferimento. Spesso genitori preoccupati ci chiedono consigli per aiutare i propri figli a stare lontani dalle droghe. Io credo che educare sia soprattutto esempio, essere una presenza assidua nella vita dei ragazzi, non accontentarsi di parlare di valori ma assumersi la responsabilità di trasmetterli vivendoli in prima persona. Mi sembra che invece siamo sempre più superficiali, distratti, concentrati solo su noi stessi e sui nostri affari.
Questo succede anche quando si parla di un fenomeno devastante come la tossicodipendenza. Sono anni che, nella più totale indifferenza delle istituzioni e di molti addetti ai lavori, cerchiamo di porre l’accento sul pericolo rappresentato dalla diffusione della droga (e non faccio distinzione fra leggere, pesanti, sintetiche o naturali perché, come dice giustamente Manconi, il problema non è la sostanza ma l’uomo). Di fronte ad una situazione grave come quella in cui oggi viviamo (un’altissima percentuale di ragazzi tra i 15 e i 18 anni che si massacrano il cervello) l’unica risposta dello Stato finora è stata quella di sminuire e rendere “normale” quello che invece era ed è un drammatico problema. Sei eroinomane? Niente paura, ti diamo il metadone e, forse domani, l’eroina controllata e certificata dallo Stato. Fumi hashish o marijuana? Che t’importa, sono come un bicchiere di vino. Ti “cali le pasticche”? Cerca di farlo in modo furbo per non farti male, come recita tristemente la campagna di prevenzione varata nel ‘99 dall’attuale ministro degli Affari sociali.

I CATTIVI MAESTRI

Vogliono insegnare a chi si droga a farlo in modo razionale, pulito e possibilmente senza dare troppo fastidio: questo è l’assurdo in cui sono caduti una buona parte di politici, scienziati, giornalisti, presunti addetti ai lavori.
La verità è che gridare “La droga fa male” certamente, come dice Manconi, non è sufficiente, è solo un primo passo che noi comunque facciamo convinti di dire null’altro che la verità. Ma mentre le comunità serie, dopo averlo detto, ogni giorno si impegnano per fornire uno straccio di alternativa di vita ai tanti ragazzi dell’ecstasy che bussano alle loro porte, il mondo politically correct e innamorato del potere sempre più forte nelle istituzioni, nelle redazioni dei giornali ed anche nel volontariato rema nella direzione opposta.
Sperperando miliardi in dannosi opuscoli dove si insegna la convivenza con la droga, in distributori di siringhe, metadone e, in futuro, forse di eroina o in pulmini che, davanti alle discoteche, si pretende facciano prevenzione analizzando pasticche più o meno pericolose, ma comunque pericolose. Rendendosi così complici, anche se a volte in buona fede, di quell’informazione falsa e distorta basata sulla sostanza e non sull’uomo (che Manconi giustamente deplora), ancora più velenosa e inquinante della droga stessa.

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