NOTE SU ALCUNI ASPETTI DEL PENSIERO DI LEOPARDI: SAGGEZZA E RAGIONE



N.B. vengono date per scontate alcune nozioni di base del pensiero di Leopardi (per esempio quella di noia, di felicità, ecc.)


  Nelle OPERETTE MORALI, scritte da Leopardi a partire dal 1824, è rilevabile un mutamento rispetto alla visione precedente sulle ragioni dell'infelicità umana.
  Dal 1822 al 1824 è avvenuto un progressivo accentramento degli interessi leopardiani sull'uomo in sé più che in relazione alla storia. È una visione ontologica, ora, dell'infelicità umana: un pessimismo di tipo sensistico-esistenziale (cioè riguarda l'individuo in sé ed è basato sulle percezioni sensoriali). Il passaggio dalla prima a questa seconda fase sulla condizione umana si avverte nelle canzoni filosofiche del '22, in BRUTO MINORE e ULTIMO CANTO DI SAFFO. Vi concorse inoltre una pluralità di fattori che non è il caso qui di ricordare (basti accennare alla lettura di un romanzo storico-letterario di J.J.Martelmy, letto durante il soggiorno romano, intessuto di citazioni pessimistiche greche).
   Nasce ora, nelle O.M., la figura del saggio; una figura emblematica che ricorre spesso. Il saggio è colui che ha capito l'ingannno vitale, che ha superato il velo delle illusioni e tuttavia desidera che chi non lo ha fatto e si trova nell'ignoranza, vi rimanga. Le illusioni sono più sopportabili della verità. È qui l'atteggiamento aristocratico di fondo di Leopardi: il saggio tiene per sé la verità perché lui può sopportarla, non il volgo, che è meglio che ignori. La prosa delle OPERETTE, così sintatticamente complessa ed elaborata letterariamente, volutamente libresca, insomma aristocratica, è anche un riflesso dell'atteggiamento ideologico.
   La figura del saggio tuttavia è una figura contrastata, presto scossa dal procedere della riflessione di Leopardi. Già nello stesso 1824, nel DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE, il cui assunto verrà ripreso e rafforzato nel CANTICO DEL GALLO SILVESTRE, della fine del '24 (operetta in cui però non è presente la figura del saggio, che dunque tralasceremo), il saggio deve constatare l'insufficienza della sua posizione. La distaccata saggezza non basta ad affrontare accettabilmente l'esistenza, se non altro perché l'uomo è continuamente vulnerabile ai mali esterni (malattie, intemperie...); l'islandese non trova una terra priva di disagi. È partito con l'imperativo del saggio leopardiano ed è arrivato constatandone l'insufficienza verso i mali esterni; il principale dei quali è l'invecchiamento, primo manifestarsi della distruzione. Ma soprattutto, la natura dimostra la sua totale indifferenza verso il singolo essere vivente occupandosi invece della perpetuazione del ciclo di vita e morte. Dal punto di vista della natura, l'individuo è sacrificato all'esistenza in sé. La connotazione principale dell'idea di natura ora non è più quella materna ma quella dell'insensibilità (da madre a matrigna, al limite).
  Il fatto che l'infelicità non colpisca solo gli uomini (in virtù della loro ragione), ma anche tutti gli esseri viventi, seppure in misura più sopportabile, è la ragione per cui questa concezione è stata definita pessimismo cosmico, totalizzante. È da osservare che questa operetta ha preceduto la riflessione propriamente filosofica; infatti, solo dopo la sua composizione compaiono riflessioni di simile tono nello ZIBALDONE. Il pessimismo di cui l'operetta è pervasa in un primo tempo dovette apparire allo stesso Leopardi complementare, occasionalmente estremo. Invece nei mesi e negli anni successivi tale posizione sensistico-esistenziale si approfondì e si consolidò. L'ideologia materialistica d'ora in poi impronterà di sé tutta la sua futura produzione, pur mostrando alcuni sviluppi interni. Del resto, il materialismo pessimista tende da subito ad oscillare fra un polo di tipo sensistico-biologico ed un polo di tipo "lucreziano", in cui cioè hanno un posto di rilievo i fattori esterni all'uomo e alla sua biologia (dai normali agenti naturali, ai veri e propri cataclismi improvvisi cui l'essere umano è esposto).
   Le ultime OPERETTE MORALI consentono di rilevare un ulteriore sviluppo nella posizione di Leopardi. Ci si riferisce al DIALOGO DI TIMANDRO E DI ELEANDRO e all'ultima operetta, del '32, DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO. È questa che inaugura un vero e proprio terzo tempo nell'ideologia di Leopardi. Nel "Timandro" è ancora presente la figura del saggio che abbiamo già vista (nonostante le incrinature nel "Dialogo della natura..."), contrapposta a quella del semplice, che è meglio che non sappia. C'è un'ambivalenza nei confronti della ragione: da un lato ci obbliga ad approfondire la nostra sofferenza, dall'altro consente la conoscenza; da un lato consente di combattere i superficiali ottimismi, dall'altro se ne deplora la diffusione fra il popolo, che è meglio viva di illusioni. Nel "Dialogo di Tristano" invece tale ambivalenza non c'è: la ragione viene esaltata in ogni caso; tutti devono persuadersi della realtà delle cose.
   Propriamente, il personaggio di Tristano non è assimilabile alla figura del saggio, piuttosto è definibile un eroe del vero; che proclama il deserto dell'esistenza ai suoi simili per illuminarli. Comunque, l'utilità di ciò consiste essenzialmente nella soddisfazione della consapevolezza, nell'orgoglio dell'accettazione della realtà. Insomma, il non sapere non è considerata più una soluzione accettabile. Si può vedere in tale posizione una motivazione ancora piuttosto aristocratica, in fondo, di tipo agonistico (il compiacimento di essere in grado di strappare il velo che copre la realtà), oltre che, in ogni caso, di tipo etico. Questa dimensione ancora sostanzialmente individualistica rappresenta la prima espressione dell'ultima fase compiutamente materialistica di Leopardi. La successiva espressione sarà l'ultima, delineatasi negli ultimi 4 anni di vita e facilmente identificata, per antonomasia, come la fase della GINESTRA, la poesia che Leopardi volle in ultima posizione nei CANTI (così lasciò disposto all'amico Ranieri, che rispettò la sua volontà nel curare l'edizione postuma dei "Canti"). In questa, Leopardi trova un altro motivo di utilità oltre al compiacimento: la consapevolezza può aiutare a meglio sopportare l'esistenza perché garantisce maggiormente la possibilità che gli esseri umani trovino motivi di solidarietà concreta soprattutto nei confronti dei disagi esterni. E questo è un messaggio non aristocratico. La ragione assume allora un aspetto universale e socialmente utile (il cosiddetto "valore sociale del vero" dell'ultimo Leopardi).