Il lato oscuro della fede
di Angelo D'Andrea, 09.05.2007
Da
IL VERONESE
Pubblicato da Rizzoli-Bur nel novembre 2006, è già alla sua sesta
edizione. “Opus Dei segreta” è un libro di giornalismo investigativo che
indaga a fondo nella realtà di un’organizzazione di cui l’opinione
pubblica conosce poco o nulla. Ferruccio Pinotti, giornalista de l’Arena,
ha viaggiato in Italia, in Europa, in America per andare ad ascoltare
direttamente il racconto fortemente drammatico di persone che hanno fatto
parte dell’organizzazione ma che, coraggiosamente, tra mille difficoltà,
materiali e piscologiche, hanno deciso, un giorno, di venirne fuori, e di
parlare. “Ex-numerari” ed “ex-numerarie” hanno deciso di rendere pubblica
la loro storia e di testimoniare la loro sofferenza. Abbiamo intervistato
l’autore, a Verona.
Ferruccio Pinotti, il suo libro “Opus Dei segreta” per la prima volta
in Italia indaga su di un’organizzazione segreta, segreta come una setta
con i suoi rituali medioevali eppure dotata di un proprio sito internet
addirittura in 22 lingue. Per la prima volta in Italia il suo libro
raccoglie le testimonianze dirette di quelle persone che spesso a costo di
grandi drammi e di sacrifici sono riuscite ad uscire dall’Opus Dei. Come e
da dove è partita la sua inchiesta?
La mia inchiesta è partita dal desiderio di far luce su di una realtà poco
conosciuta, poco analizzata soprattutto in chiave critica in quanto in
Italia esistono libri sostanzialmente agiografici sull’Opus Dei ma non
esistono libri critici sull’organizzazione. Il problema era uscire dal
gossip, uscire dalle “voci” che avvolgono l’Opus Dei, uscire dalle “voci”
relative ai politici e ai finanzieri che sono vicini all’Opus Dei e andare
sul concreto. Ho scelto la chiave “umana”: far parlare coloro che hanno
fatto parte dell’Opus Dei. Si è trattato di un’impresa molto, molto
difficile e umanamente complessa.
Le persone che lei ha incontrato non solo in Italia, a partire da
Verona, ma anche in Spagna, Germania, Svizzera, Inghilterra – lei è
arrivato fino a Manhattan e in Sud America –, sono persone che nell’ambito
dell’Opus Dei erano chiamate “numerari”. Cosa significa ricoprire questo
ruolo? Qual è l’organizzazione interna dell’Opus Dei?
Per capirlo diamo innanzitutto alcuni dati. L’Opus Dei conta 85.491 membri
dei quali 1.850 sono sacerdoti e 83.641 sono laici. Di questi il 20% sono
“numerari”. I “numerari” sono l’esercito dell’Opus Dei. Sono coloro che
fanno una promessa solenne di osservare un impegno di castità, povertà,
obbedienza. Sono persone che vivono all’interno dell’Opus Dei. Pur
lavorando devolvono tutti i loro proventi all’organizzazione. Fanno uso
della mortificazione corporale. Indossano il cilicio una volta al giorno,
si frustano una volta alla settimana. Le donne dormono tutte le notti su
di una tavola di legno. Sono laici che compiono una scelta di vita
estrema.
«Addentrarsi nelle loro vite intime è come far esplodere una bomba
innescata da anni ma rimasta prodigiosamente inesplosa», lei così scrive
nel suo libro. E’ stato così? Le testimonianze che lei ha raccolto hanno
tutte pari dignità, ma c’è una storia umana in particolare che l’ha
colpita?
Si, calarsi nei vissuti spesso drammatici di queste persone ha implicato
un grosso sforzo umano, per far si che il delicatissimo contenuto del loro
racconto personale non fosse tradito nelle successive fasi di divulgazione
al pubblico. Mi ha colpito molto la vicenda di Emanuela Provera, una ex
numeraria milanese entrata nell’Opus Dei proprio nel momento in cui suo
padre stava morendo. Per uscirne ha dovuto sottoporsi anche a lunghe
sedute di psicanalisi. Così come difficile è stato il vissuto di Amina
Mazzali, 36 anni, di Firenze, una ragazza la cui famiglia ha molto
sofferto l’adesione all’Opus Dei. Particolarmente drammatica la storia di
un’americana, Colleen O’Neill, che è appartenuta ad una speciale categoria
di “numerarie”, le cosiddette “ausiliarie”, cioè coloro che sono dedite
esclusivamente a lavori di pulizie, di cura e di servizio alla persona
all’interno dell’Opus Dei. La O’Neill è uscita dall’organizzazione nel
2005 completamente annichilita e adesso ha grossissime difficoltà a
ricostruirsi una vita piena ed autonoma, dal punto di vista esistenziale.
Sono esperienze, queste e le altre nel libro, che pongono a tutti noi
cattolici seri interrogativi morali ed etici, soprattutto in quanto
cattolici. Perché l’Opus Dei è una “Chiesa nella Chiesa”. Ovviamente, le
storie raccolte nel libro non esauriscono tutta l’Opus Dei. Ci sono
evidentemente delle persone che vivono bene al suo interno, nella
dipendenza totale dall’organizzazione. Ma il “benessere” di coloro che
rimangono dentro l’organizzazione senza il minimo spazio di autonomia
personale, magari per tutta la vita, non toglie nulla alla validità di
certe storie umane che, anzi, fanno riflettere, e molto.
L’Opus Dei è un Potere reale, mondano. Piazza i suoi membri nei
punti-chiave, laddove “c’è chi conta”. Uno dei campi in cui riesce ad
essere particolarmente influente e pervasiva è proprio il mondo
dell’informazione, il mondo in cui lei stesso, Pinotti, lavora come
giornalista da 25 anni. Le persone che lei ha intervistato le hanno
affidato una drammatica esperienza, le hanno affidato un pesante
messaggio. La domanda viene da sé: perché lo ha fatto? Per un dovere
morale? Per proporre una riforma dell’organizzazione?
L’ho fatto innanzitutto per un dovere morale, di impegno etico che è ciò
che connota il mio modo di fare il giornalista e di fare lo scrittore di
impegno civile. Trovo che sia giusto e doveroso parlare, con rispetto, di
realtà problematiche. In secondo luogo credo che all’interno della Chiesa
e del mondo cattolico vi sia un forte dibattito su realtà come l’Opus Dei
che devono essere “svelate”. E poi, nella parte finale del libro ho
avanzato alcune proposte, ipotesi di riforme dell’Opus Dei che a mio
parere sono ineludibili sia sul piano ecclesiastico che civile. Diverse
personalità del mondo religioso, della società civile e della politica le
hanno prese in considerazione e le riconoscono come spunti di una riforma
da affrontare.
Ecco, uno dei punti più scottanti di quelli che lei ha messo all’ordine
del giorno del dibattito per la riforma dell’Opus Dei è il punto dei
diritti dei minori. Il modus operandi dell’Opus Dei investe e riguarda
strettamente la vita dei minori...
Esatto, le persone che mi hanno raccontato la loro storia narrano di
essere entrate a far parte dell’Opus Dei quasi tutte in età giovanissima,
14-15 anni… ecco, compiere a quell’età una scelta irrevocabile che impegna
la persona per tutta la propria vita… beh, il punto è questo: un
adolescente non può essere sottoposto ad alcuna forma di pressione
psicologica neppure se originata da motivazione di Fede. Io trovo che a
14-15 anni un adolescente abbia il diritto di non essere toccato
nell’ancora fragile struttura della sua personalità, soprattutto se c’è un
velato scopo di farla solidificare attorno ad un “credo” la cui
accettazione piena e consapevole richiede la maturità esistenziale,
l’esperienza di un adulto. Eppure, l’Opu Dei persiste nella sua attività
di avvicinamento-reclutamento di giovani in tenerissima età, e lo fa
attraverso un articolato, complesso e pervasivo sistema di scuole,
fondazioni universitarie, centri di formazione, spesso sotto mentite
spoglie, non riconducibili direttamente all’Opus Dei, non chiaramente
identificabili. Nel mio libro vi sono numerose testimonianze di persone
che hanno raccontato che già a 15 -16 anni facevano a tutti gli effetti la
vita dei “numerari”, quindi usavano il cilicio, la frusta su di sé… Ciò
significa sottoporsi ad una pratica di tipo medioevale e, soprattutto,
significa assumere un atteggiamento di sottomissione ed umiliazione del
corpo che provoca una forte dipendenza psicologica ed un progressivo
indebolimento della personalità. Tutto questo per sottomettere la volontà
della persona al dettato di un “superiore” che è un direttore spirituale,
laico o religioso. Dell’uso della frusta e del cilicio – una fascia con
punte acuminate stretta intorno alla coscia – a molti adolescenti è stato
detto di non parlare ai propri genitori che, magari, non avrebbero
“capito”.
Poi, ad un ragazzo o ad una ragazza incorporato/a a 18 anni nell’Opus
Dei cosa viene chiesto intorno ai 25 anni?
Dopo aver compiuto la scelta all’impegno della “fedeltà”, intorno ai 25
anni, il “numerario” o la “numeraria” quasi sempre effettua testamento a
favore dell’Opus Dei, cioè, si impegna a donare tutti i suoi beni e il
frutto del proprio lavoro all’organizzazione. Anche qui si sollevano forti
quesiti circa la liceità di questo tipo di contratti. Cosa succede se una
persona decide di uscire dall’Opus Dei? Si ritrova senza nulla in mano. La
domanda è: senza un soldo, senza nulla, un “numerario” quante possibilità
ha di uscire dall’Opus Dei, anche se volesse?
Il suo libro, “Opus Dei segreta”, si legge come un “giallo”. Il lettore
scopre informazioni finora taciute. Non si è mai parlato chiaramente, ad
esempio, del ruolo che ha avuto l’Opus Dei nell’elezione di Giovanni Paolo
II e di Benedetto XVI al soglio pontificio. Ecco, per concludere, vuole
solo anticipare ai lettori il senso di questa vicenda: la nomina di padre
Lombardi a capo della Sala Stampa vaticana?
Sicuramente Giovanni Paolo II è stato fortemente appoggiato dall’Opus Dei,
frequentava gli incontri sacerdotali dell’Opus Dei già negli anni ’70
quando era un alto prelato a Cracovia. Quando diventa Papa, non solo
riconosce all’Opus Dei l’ambìta “Prelatura Personale” nel 1982, cioè, lo
status che ne fa una diocesi extra-territoriale, quasi una sorta di
“Chiesa nella Chiesa”. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II si
compie a tempo di record la beatificazione e la canonizzazione di
Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. In quella fase,
prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è Joseph Ratzinger
il quale ha delle assonanze con l’Opus Dei su temi dottrinali quali la
famiglia, l’interruzione di gravidanza… Tuttavia, una volta eletto al
soglio pontificio, Ratzinger è sembrato voler dare un segno di
discontinuità e di “presa di distanza” dall’Opus Dei nominando padre
Federico Lombardi alla guida della Sala Stampa del Vaticano, un incarico
delicatissimo. E come è noto, padre Lombardi è un gesuita e i Gesuiti sono
i “nemici” storici dell’Opus Dei. A loro, all’interno dell’Opus Dei ci si
riferisce chiamandoli “i soliti”, intendendo i “soliti noti gesuiti”.
Altri elementi come quello di “non eccedere nel mito del lavoro” di Papa
Benedetto XVI sono sembrati segnali diretti proprio all’Opus Dei.
L’attuale Papa non sembra neanche gradire molto lo status di “Prelatura
Personale” che rischia di innescare nella Chiesa spinte centrifughe molto
forti. Per cui, più di una realtà religiosa, dai neo-catecumenali a
Comunione e Liberazione ai Legionari di Cristo, potrebbero essere attratti
dall’idea di avere una “Prelatura Personale”, quindi, forme di autonomia
sempre più forti. E Ratzinger essendo una figura di Papa estremamente
attenta all’integrità della Chiesa appare fortemente contrario a questo
tipo di sviluppi. Ma l rapporto di Joseph Ratzinger con l’Opus Dei è
ancora tutto da analizzare e da identificare.
Dallo stesso autore....
POTERI FORTI
Ferruccio Pinotti
420 pagine
BUR |
La
morte di Calvi e lo scandalo dell’Ambrosiano.
La nuova ricostruzione delle misteriose trame della finanza italiana.
La politica dello struzzo, l’assurda negligenza,
l’ostinata intransigenza di alcuni responsabili del Vaticano mi danno
la certezza che Sua Santità sia poco e male informata di tutto quanto
ha per lunghi anni caratterizzato il rapporto tra me, il mio gruppo e
il Vaticano.
Roberto Calvi (lettera a Giovanni Paolo II, 5 giugno 1982)
Una storia di più di vent’anni fa,
sempre occultata, che ha lasciato dietro di sé una scia di sangue e
posto drammatici interrogativi. Ma ora l’inchiesta è stata riaperta.
Dopo il caso Parmalat e tanti altri disastri finanziari, si sta
finalmente cercando di sfondare un muro invisibile di omertà e
reticenza. Il banchiere Roberto Calvi è stato ucciso: perché? Opus
Dei, Vaticano, P2, mafia, banchieri, sacerdoti, agenti segreti,
avvocati, immobiliaristi, onorevoli e tanti soldi sporchi che hanno
fatto il giro del mondo. Le tappe di una vicenda italiana ricostruita
grazie a documenti inediti e nuove testimonianze. A cominciare dal
figlio di Calvi, che qui per la prima volta racconta tutto.
FERRUCCIO PINOTTI (Padova 1959) è
giornalista a “L’Arena” di Verona. Ha lavorato a New York per la CNN e
ha collaborato con il “Corriere della Sera”, “L’espresso”, “Il Sole 24
Ore” e l’“International Herald Tribune”. |
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