SCHEDE DI APPROFONDIMENTO DEI LIBRI CHE VERRANNO PRESENTATI NEL CORSO
DELL'INCONTRO
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Francesco Moroni
Soltanto alla legge
L’indipendenza della magistratura dal 1945
a oggi
Effepi Libri editore
www.effepilibri.it |
“Francesco Moroni, colmando una lacuna ancora oggi
esistente negli studi e solo in parte colmata da alcune ricerche di questo
sessantennio, offre oggi con questo libro, chiaro e rigoroso, una
ricostruzione attendibile del cammino compiuto dopo il 1945 per adeguare
fino in fondo l’ordinamento giudiziario ai principi costituzionali. [...]
Moroni ricostruisce con grande precisione le fasi diverse del rapporto tra
i mutamenti intervenuti nell’ordinamento giudiziario e quelli della
società italiana, il ruolo eccezionale svolto dai giudici di fronte ai
terrorismi come alle associazioni mafiose e, in particolare, nella crisi
finale del vecchio sistema politico, quando l’esplosione degli scandali
legati alla pubblica corruzione fa dei magistrati simboli popolari (come
il pm Antonio Di Pietro) di una lotta all’intreccio tra politica e affari
che ha caratterizzato gli ultimi decenni della storia repubblicana”
(dalla prefazione di Nicola Tranfaglia)
Francesco Moroni (1978), laureato in
giurisprudenza, ha collaborato ai periodici on-line Caffè Europa e Web
Magazine. Questo è il suo primo libro. |
UN GRAVE PASSO
INDIETRO PER LA DEMOCRAZIA
Nicola Tranfaglia
Il pensiero liberale, ancor prima di
quello democratico del ventesimo secolo, aveva visto con lucidità come,
accanto alla separazione dei poteri teorizzata da Locke e da Montesquieu,
l’autonomia e l’indipendenza dei giudici, come la libertà dei mezzi di
comunicazione, fossero i due pilastri essenziali di un moderno stato di
diritto. Basta pensare alle pagine assai chiare e lapidarie, nella loro
nettezza, di Alexis De Tocqueville nella sua Democrazia in America per
rendersene conto.
Ma, mentre nel caso della libertà di informazione, come avevano già
scritto, nel 1786, gli autori del Federalist, nessuna norma costituzionale
avrebbe potuto essere effettivamente applicata se la società civile e la
pubblica opinione non avessero esercitato una costante pressione e
vigilanza, nel caso della magistratura è indispensabile che la
costituzione e le leggi indichino con precisione i principii e le
procedure che devono garantire l’autonomia e l’indipendenza dei
magistrati.
La storia italiana è, da questo punto di vista, assai significativa
giacché nel sessantennio liberale che segue al processo di unificazione
nazionale, ispirandosi al modello piemontese, derivato a sua volta
dall’esempio napoleonico, l’esecutivo conserva, nello Statuto Albertino e
nelle leggi a esso legate, la gerarchizzazione e la dipendenza della
pubblica accusa dal potere esecutivo. E, con ciò, rende impossibile
l’autonomia e l’indipendenza dei giudici intese, come deve essere, in
autonomia e indipendenza interna ed esterna dagli altri poteri.
Gli studi e le ricerche, dedicati negli ultimi decenni soprattutto da
Pietro Saraceno e da Guido Neppi Modona alla magistratura dell’età
liberale, mostrano con chiarezza come la dipendenza si realizzi in parte
per i vincoli fissati dal punto di vista legislativo, in parte,
soprattutto in certe materie come lo sciopero, per l’estrazione sociale e
culturale dei giudici che sentono di appartenere alla medesima classe
dirigente che esprime i poteri esecutivo e legislativo e applicano criteri
nati da una medesima visione della società.
Con l’avvento della dittatura fascista il modello si irrigidisce a poco a
poco, pur se l’oscillazione del regime tra istanze di classe e istanze
populiste lascia margini di cui la magistratura approfitta per far la sua
politica giurisprudenziale, anche qui soprattutto in alcuni settori come
quelli che riguardano, ad esempio, le cause di lavoro (a proposito delle
quali disponiamo di un’analisi esauriente nello studio di Giancarlo
Jocteau). D’altra parte, la magistratura ordinaria collabora, sia pure
parzialmente, alla persecuzione processuale degli oppositori che il
Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, creato dal regime, persegue,
anche nell’ultimo e sanguinoso epilogo della repubblica sociale italiana.
Ma la riforma dell’ordinamento giudiziario, compiuta dal ministro fascista
Dino Grandi, porta nel 1941 a una ristrutturazione autoritaria del
sistema, destinata a durare assai oltre la conclusione della dittatura
fascista. Arriviamo così, dopo un itinerario tormentato e caratterizzato a
lungo da un’ispirazione autoritaria e da un legame innaturale tra
l’esecutivo e il giudiziario, ai lavori preparatori dell’Assemblea
Costituente e all’approvazione di un ordinamento democratico nella Carta
del 1948. Si tratta - è bene sottolinearlo - di una rottura e di un salto
legati all’ispirazione democratica dei partiti politici che hanno
costituito il Comitato di Liberazione Nazionale e che intendono dar vita,
per la prima volta nel nostro paese, a uno stato democratico di diritto.
Gli articoli della Costituzione, a cominciare dall’articolo 101 che
ritiene i giudici sottoposti «soltanto alla legge», recepiscono in pieno
l’ispirazione democratica delle forze che scrivono la carta costituzionale
e sottraggono al potere esecutivo il governo della magistratura, decidendo
con chiarezza che ad essa spetti un vero e proprio autogoverno affidato al
Consiglio Superiore della Magistratura, eletto per due terzi dagli stessi
giudici e per un terzo dal potere legislativo.
Ma le norme costituzionali devono, fin dall’inizio, fare i conti con una
legislazione ordinaria fascista che non viene abrogata ma sottoposta
soltanto, ove ci siano le condizioni processuali previste, al giudizio
della Corte costituzionale che può dichiarare l’illegittimità di norme
contrarie al dettato costituzionale, o alla sostituzione da parte del
parlamento di quelle leggi con norme nuove e aderenti ai nuovi principi
dell’ordinamento.
Francesco Moroni, colmando una lacuna ancora oggi esistente negli studi e
solo in parte colmata da alcune ricerche di questo sessantennio, offre
oggi con questo libro, chiaro e rigoroso, una ricostruzione attendibile
del cammino compiuto dopo il 1945 per adeguare fino in fondo l’ordinamento
giudiziario ai principi costituzionali. Un cammino (si può comprendere
assai bene leggendo le pagine del libro) che è stato lento e oscillante
negli anni del centrismo con tentativi, provenienti in parte
dall’esecutivo in parte dai vertici della magistratura fascistizzata, di
passi all’indietro, poi più rapido e spedito nel periodo del
centrosinistra e del compromesso storico, infine di nuovo oscillante negli
anni Ottanta e Novanta fino al tentativo, tuttora in atto, con buone
probabilità di riuscita da parte del secondo governo Berlusconi, di
ritornare all’indietro e, coerentemente con l’ispirazione autoritaria del
disegno di revisione costituzionale numero 2544 bis, in via di
approvazione definitiva presso le due Camere, fissare di nuovo la
gerarchizzazione e la dipendenza del pubblico ministero, e fatalmente di
tutta la magistratura, a un potere esecutivo tutto concentrato nella nuova
figura del primo ministro.
Nel suo libro, Moroni ricostruisce con grande precisione le fasi diverse
del rapporto tra i mutamenti intervenuti nell’ordinamento giudiziario e
quelli della società italiana, il ruolo eccezionale svolto dai giudici di
fronte ai terrorismi come alle associazioni mafiose e, in particolare,
nella crisi finale del vecchio sistema politico, quando l’esplosione degli
scandali legati alla pubblica corruzione fa dei magistrati simboli
popolari (come il pm Antonio Di Pietro) di una lotta all’intreccio tra
politica e affari che ha caratterizzato gli ultimi decenni della storia
repubblicana.
La classe politica non ha superato la crisi che ha colpito le istituzioni
repubblicane dopo la crisi del centro-sinistra e il 1968, ma ha
riguadagnato in compenso la centralità della scena mediatica e, in buona
parte, ha considerato i giudici (piuttosto che le proprie pratiche
corruttive assai estese) come i responsabili della tempesta che ha
squassato i palazzi nei primi anni Novanta e, in gran parte, ha assunto
verso la magistratura un atteggiamento ostile e punitivo, trasmesso
attraverso i mezzi di comunicazione di massa a una parte assai estesa
della società.
La coalizione di centro-destra, oggi al potere, ha interpretato questa
ostilità secondo il proprio generale progetto autoritario e di qui è nata
una riforma dell’ordinamento giudiziario, che ha preso il nome del
ministro leghista Castelli. Una riforma, questa del governo, attenta a non
affrontare nessuno dei gravi problemi di efficienza e funzionalità della
giustizia dal punto di vista dei cittadini-utenti ma, nello stesso tempo,
tesa, con norme che riguardano sia la struttura e i poteri del Consiglio
Superiore della Magistratura sia la carriera dei magistrati, a
ripristinare, contro l’ispirazione e la lettera della costituzione
vigente, la situazione che di fatto e poi anche di diritto esisteva nel
periodo liberale e in quello fascista.
Una legge, per di più, costellata all’ultimo momento di norme ad personam
per impedire a magistrati indipendenti dall’esecutivo di assumere
incarichi di grande rilievo come quello del procuratore nazionale
antimafia. Il Capo dello Stato, come in seguito la Corte costituzionale,
si troveranno così di fronte a una legge che conserva, pur dopo il
messaggio presidenziale di rinvio alle Camere, chiari profili di
incostituzionalità e il tempo dirà quali saranno le conseguenze di un
simile comportamento dell’attuale maggioranza parlamentare.
Resta, per chi è consapevole del lungo cammino storico del problema,
indagato lucidamente da Moroni, la preoccupazione di un inaspettato
ritorno all’indietro di una situazione di scarsa autonomia e indipendenza
dei giudici di cui pure la storia ha già mostrato in abbondanza i pesanti
aspetti negativi. |
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Corredato da una preziosa testimonianza introduttiva di
Rita Borsellino, il volume contiene una raccolta di scritti di Luca
Tescaroli, pubblicati dall’edizione palermitana di “Repubblica” che
consente di far rivivere una pagina di storia del nostro Paese attraverso
la rievocazione di una serie di stragi, attentati ed omicidi. Delitti che
hanno consentito a Cosa nostra di eliminare in Sicilia, nell’indifferenza
della comunità nazionale, alti esponenti delle istituzioni regionali,
vertici della Procura della Repubblica e dell’Ufficio Istruzione di
Palermo, giudici d’appello, attivi esponenti delle forze dell’ordine,
prestigiosi esponenti dei partiti politici, imprenditori, familiari di
collaboratori di giustizia, vittime innocenti, donne, bambini, servitori
dello Stato. Scritti che danno voce al ricordo di uomini e donne
trucidati. Un tributo alla memoria di una mattanza che l’autore ha saputo
attualizzare, con attente analisi dell’attuale fase di calo nella lotta al
crimine organizzato ed inviti accorati a non dimenticare. Storie di mafia,
di collusioni e di delegittimazioni bisognose di verità si intrecciano con
vicende giudiziarie ed esperienze professionali del narratore, che
consentono di riflettere sulla situazione odierna.
Luca Tescaroli (1965), attualmente sostituto
procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, da molti anni
svolge indagini su fatti rilevanti di criminalità organizzata che hanno
interessato il nostro Paese. Si è per molti anni occupato delle stragi di
Capaci e di via Mariano d’Amelio, del fallito attentato dell’Addaura, ed
ha sostenuto l’accusa nel processo di Capaci nel corso dei giudizi di I e
II grado. Oggi lavora alle indagini e segue il processo relativo
all’omicidio di Roberto Calvi. |
Luca Tescaroli
Le voci dell’oblio
... il silenzio di coloro che non possono più parlare
Di Girolamo editore
www.digirolamoeditore.com |
Carissimo Luca,
mi hai chiesto di scrivere poche righe per accompagnare questa raccolta di
tuoi scritti che ridanno voce a chi non ne ha più, a chi la mafia, le
mafie, hanno pensato di poter mettere a tacere togliendogli la vita.
Lo
faccio volentieri, e intanto ritorno con il pensiero ad una serata di non
molti anni fa nella tua città, quando una amica comune ci aveva invitati
alla consegna di una borsa di studio intitolata a Paolo. Per me era ancora
una delle prime volte in cui partecipavo ad una cerimonia ufficiale: i
tanti personaggi importanti che erano presenti mi intimidivano, mi
facevano vivere con la mia consueta timidezza quel momento così bello; la
sera a cena (c’era anche Lucia, la figlia maggiore di Paolo: ti ricordi?)
mi colpì la tua espressione riservata e un po’ timida, ma soprattutto il
tuo sguardo sereno e sorridente.
Seppi anche che avevi da alcuni anni iniziato il tuo lavoro di pubblico
ministero a Caltanissetta. Guardavo i tuoi genitori, tua sorella, e ne
avvertivo la trepidazione e l’orgoglio. Pensavo a mia madre: quando Paolo
aveva iniziato la sua carriera non sapeva ancora che avrebbe affrontato
pericoli e dolore; sapeva del senso di responsabilità e della forza morale
necessari, ma questo era nel conto. Certo non pensava di dover diventare
un “eroe” per fare il suo dovere con coerenza e professionalità, e mia
madre lo aveva sempre accompagnato con il suo amore fino all’ultimo, fino
a quell’ultimo appuntamento.
Negli anni successivi ti ho seguito con attenzione, con affetto e con
stima crescenti; quando ho avvertito i pericoli che correvi ho partecipato
dell’affetto, dell’orgoglio e della trepidazione della tua famiglia e ho
pensato che saresti piaciuto a Paolo proprio per com’eri, per la tua
storia così normale.
Oggi rileggere le tue parole chiare, senza mezzi termini, che con forza
ridanno voce ai tanti che ti hanno preceduto sulla strada dell’impegno e
della giustizia è un dono per tutti, e soprattutto per chi come me sa
quanto sia bello e importante che queste voci continuino a farsi sentire
attraverso la voce di altri, attraverso soprattutto le azioni di altri che
con la stessa forza e con una spinta morale in più percorrono quelle
strade. Nessuno credo più o meglio di te può, deve farlo così come fai,
senza perifrasi, senza “mezze parole”, senza “mandarlo a dire”.
Grazie allora, grazie anche a nome di Paolo e dei tanti di cui sei voce,
ma grazie anche per l’esempio che dai a tutti noi perché possiamo
diventare cittadini responsabili, consapevoli del nostro compito nella
società, e perché a partire dalle voci dell’oblio impariamo a tenere gli
occhi aperti per costruire giustizia.
Lo auguro a tutti noi anche a nome di LIBERA.
Rita Borsellino
Introduzione a
“Le voci dell’oblio ... il silenzio di coloro che non possono più parlare”
di Luca Tescaroli – DG editore |
PER CHI VOLESSE APPROFONDIRE SI CONSIGLIA LA LETTURA DELLE SEGUENTI
PAGINE:
|
(Articolo in
formato
)
ISOLA DELLA SCALA. Domani alle 16,15
Incontro con Tescaroli
giudice in prima linea
(Da
L'ARENA - 11/05/2007)
Isola della Scala. Un incontro importante
sulla legalità e sulla giustizia. È quello che si terrà domani a Isola
della Scala, alle 16,15, nella sala civica di via Cavour (ex Pretura,
ingresso libero). Provocante il titolo: «La giustizia è uguale per
tutti?». A organizzare l’incontro sono l’associazione Nogara-Europa e la
libreria Piccolo Principe per capire come sta cambiando la giustizia e
per ricordare le vittime di mafia. Interverranno un magistrato di
altissimo livello come Luca Tescaroli; l’avvocato Guariente Guarienti;
l’avvocato Francesco Moroni. Luca Tescaroli, 42 anni, da tempo svolge
indagini su fatti rilevanti di criminalità organizzata che hanno
interessato il nostro Paese. Si è per molti anni occupato delle stragi
di Capaci e di via Mariano d’Amelio, del fallito attentato dell'Addaura
ed ha sostenuto l’accusa nel processo di Capaci nel corso dei giudizi di
primo e secondo grado. Oggi è pubblico ministero del processo relativo
all'omicidio di Roberto Calvi.
Tescaroli, oltre a raccontare il suo impegno nella lotta alla mafia,
parlerà del suo libro «Le voci dell'oblio. Il silenzio di coloro che non
possono più parlare» (introduzione di Rita Borsellino, Di Girolamo
editore). L’avvocato Moroni presenterà il suo libro «Soltanto alla
legge: l’indipendenza della magistratura dal 1945 a oggi» (prefazione di
Nicola Tranfaglia, Effepi Libri editore).
Per avere informazioni sull’incontro rivolgersi alla Libreria "Piccolo
Principe" Via Cavour, 30; telefono 045.6631277 o consultare il sito
http://digilander.libero.it/nogaraeuropa (f.pin.)
(Articolo in
formato
)
ISOLA DELLA SCALA. Il coraggioso magistrato, originario della Bassa,
ha raccolto l’eredità di Falcone e Borsellino
L’abbraccio al giudice-eroe
Luca Tescaroli e l’impegno antimafia: «Ognuno può fare molto»
di Ferruccio Pinotti
(Da
L'ARENA -
13/05/2007)
Isola della Scala. C’era una volta un giudice ragazzino, con solide
radici «bassaiole» (tra Isola e Caselle) e innamorato della legalità. A
27 anni - appena vinto il concorso in magistratura - chiese di andare a
combattere contro la mafia insieme a Falcone e Borsellino. Sapeva che
rischiava la vita, ma non gli importava.
Quel ragazzino timido e ben educato vide morire i suoi maestri. E
divenne uno dei magistrati di punta nella lotta contro la criminalità
organizzata.
Ieri quel giudice, che negli occhi ha ancora la passione dei vent’anni
anche se ne ha 42, è tornato alla sua terra per parlare di giustizia,
per spiegare come ognuno di noi può combattere la sua piccola grande
battaglia civile.
Per questo, l’incontro «La giustizia è uguale per tutti?», organizzato
presso la sala civica dall’associazione Nogara-Europa, guidata da
Michele Turazza insieme alla la libreria Piccolo Principe di Isola, è
stato di grande significato. Insieme a Tescaroli sono intervenuti
l’avvocato Guariente Guarienti e l’avvocato Francesco Moroni, autore del
libro «Soltanto alla legge: l’indipendenza della magistratura dal 1945 a
oggi» (Effepi Libri editore).
Luca Tescaroli si è per molti anni occupato delle stragi di Capaci e di
via d’Amelio, così come del fallito attentato dell'Addaura. Ed ha
sostenuto l’accusa nel processo di Capaci, nel corso dei giudizi di
primo e secondo grado. Oggi è
pubblico ministero del processo relativo
all’omicidio di Roberto Calvi e segue altre importanti indagini.
L’analisi di Tescaroli sulla situazione della giustizia è stata lucida e
severa: «La riforma dell’ordinamento giudiziario proposta dalla scorsa
legislatura rischia di creare una struttura gerarchica atta a
controllare la magistratura inquirente. Se a questo scenario si sommano
le lentezze della giustizia, le prescrizioni, gli indulti e gli
abbattimenti di pena, c’è il pericolo di un serio indebolimento della
lotta alla mafia e alla criminalità organizzata».
Dopo la «primavera di Palermo» che vide importanti vittorie contro la
mafia, seguite dall’omicidio di Falcone e Borsellino nel ’92, si è
tornati - ha spiegato Tescaroli - a una «normalità preoccupante».
«Il rapporto mafia-politica continua ad esistere, Cosa Nostra si è
inabissata per continuare ad operare senza la luce dei riflettori. Metà
Italia vede una forte infiltrazione mafiosa. In Parlamento vi sono
esponenti politici che hanno coltivato rapporti con la mafia e che hanno
subìto condanne». ha osservato il magistrato.
Nonostante questo quadro, Tescaroli ha invitato a «mantenere viva la
speranza». «Ma serve una nuova primavera dell’antimafia, una repressione
dura da parte dello Stato, che ha i mezzi e gli uomini per vincere».
Il coraggioso magistrato ha invitato ciascuno a fare la propria parte,
ad assumersi la responsabilità civile del cambiamento. «L’esempio di
Falcone e Borsellino è più vivo e forte che mai. E l’impegno collettivo
nei confronti della legalità sta crescendo».
Insieme ce la possiamo fare. Ma abbiamo tutti bisogno di simboli, di
esempi da seguire. Grazie, Luca Tescaroli, per ciò che rappresenti.
Da
IL VERONESE: Intervista radiofonica al PM Luca Tescaroli
Da
GRILLONEWS (05/06/2007)
GIUSTIZIA. «IL RISCHIO DELLA NORMALIZZAZIONE»
[Marco Scipolo • 05.06.07] Il magistrato Luca Tescaroli, sostituto
procuratore della repubblica di Roma, è stato ospite, nei giorni scorsi,
dell’incontro pubblico «La giustizia è uguale per tutti?… Cinque anni
dopo», tenutosi nella sala civica di via Cavour, ad Isola della Scala.
L’iniziativa, promossa dall’associazione culturale Nogara-Europa e dalla
libreria Piccolo Principe di Isola, è stata organizzata per discutere ed
approfondire i temi della giustizia e per ricordare le vittime di mafia.
Il magistrato Luca Tescaroli, sostituto procuratore della repubblica di
Roma, è stato ospite, nei giorni scorsi, dell’incontro pubblico «La
giustizia è uguale per tutti?… Cinque anni dopo», tenutosi nella sala
civica di via Cavour, ad Isola della Scala. L’iniziativa, promossa
dall’associazione culturale Nogara-Europa e dalla libreria Piccolo
Principe di Isola, è stata organizzata per discutere ed approfondire i
temi della giustizia e per ricordare le vittime di mafia. Al dibattito
sono intervenuti anche l’avvocato scaligero Guariente Guarienti e
Francesco Moroni, autore del libro intitolato «Soltanto alla legge:
l’indipendenza della magistratura dal 1945 ad oggi» (Effepi Libri
editore).
Guarienti ha affermato che «la magistratura italiana è sana,
indipendente e quasi totalmente costituita da persone perbene». Per
l’avvocato veronese «c’è una diffusa moralità nella categoria dei
magistrati italiani che fa ben sperare». Moroni ha poi sostenuto che
l’indipendenza della magistratura «non è un privilegio di casta ma è un
valore strumentale: il giudice è imparziale se è indipendente».
Il giovane Luca Tescaroli (42 anni), che indagò sulle stragi di Capaci e
di via D’Amelio, sul fallito attentato
dell'Addaura
ed che ha sostenuto l’accusa nel processo di Capaci nel corso dei
giudizi di primo e secondo grado, oggi è pubblico ministero del processo
relativo all'omicidio di Roberto Calvi e da tempo svolge indagini su
fatti rilevanti di criminalità organizzata che hanno interessato il
nostro Paese. Nel corso dell'incontro egli ha condannato i rapporti tra
mafia e politica, che del fenomeno malavitoso costituiscono «il profilo
più riprovevole». Il magistrato ha anche criticato i mezzi di
informazione, colpevoli di silenzio sulla gravità di queste relazioni
esterne della criminalità organizzata «che sono così difficili da
provare». Tescaroli ha detto che oggi la mafia resta «un mero strumento
di aggregazione e di consensi per il politico in vista del bieco potere
e rappresenta uno strumento per coltivare l’ambizione di classi
dirigenti senza scrupoli, alcune delle quali nate anche sulle ceneri
delle stragi di Capaci e di via D’Amelio o che si sono successivamente
sviluppate».
Per il coraggioso magistrato è tempo che al Paese «giunga un segnale di
maturità istituzionale e che il passato criminale di violenza
politico-mafiosa sia cancellato» come le relazioni tra Cosa Nostra ed i
potenti. Tescaroli è apparso fiducioso, ritenendo l’obiettivo
raggiungibile grazie proprio ai cittadini, che devono essere consapevoli
di avere un grande potere: il voto.
Dopo l’assassinio dei giudici Falcone e Borsellino -ha ricordato il
magistrato- furono adottati provvedimenti legislativi efficaci. «Una
legislazione -ha però dichiarato Tescaroli- che purtroppo, nel corso
degli anni, è stata smantellata al punto che oggi il grosso problema è
proprio quello della normalizzazione, il rischio che noi viviamo». Il
sostituto procuratore, oltre a raccontare il suo impegno nella lotta
alla mafia, ha parlato del suo libro «Le voci dell'oblio. Il silenzio di
coloro che non possono più parlare» (introduzione di Rita Borsellino, Di
Girolamo editore).
Marco Scipolo
Da
COMINCIALITALIA.NET (12/05/2007)
INTERVISTE
"Soltanto alla legge", Moroni e l'indipendenza della magistratura
di Marco Scipolo Francesco Moroni, classe 1978, è un
giovane di Foligno, laureato in giurisprudenza, che ha scritto il libro
“Soltanto alla legge” sull’indipendenza della magistratura dalla fine
della guerra ad oggi ( Effepi Libri editore:
www.effepilibri.it ).
Il volume, che nel titolo fa preciso riferimento ad un articolo della
Costituzione (“I giudici sono soggetti soltanto alla legge”), vanta la
prefazione dello storico Nicola Tranfaglia e tratta un argomento
d’attualità, considerate le riforme dell’ordinamento giudiziario in atto
soprattutto in questi ultimi anni che costituiscono terreno di scontro
politico. Il libro di Moroni sarà presentato nell’incontro pubblico “La
giustizia è uguale per tutti?… Cinque anni dopo”, organizzato
dall’associazione culturale “Nogara-Europa”, che si terrà sabato 12
maggio alle 16,15 ad Isola della Scala (in provincia di Verona) nella
sala civica di via Cavour. All’iniziativa, promossa per dibattere sui
temi della giustizia e per ricordare le vittime di mafia, parteciperanno
anche il magistrato Luca Tescaroli, sostituto procuratore di Roma, e
l’avvocato veronese Guariente Guarienti.
Comincialitalia ha intervistato Francesco Moroni che ci ha illustrato il
suo saggio.
Fortemente contrario alla riforma Castelli, che definisce come il frutto
legislativo più avvelenato, egli è critico anche su alcuni aspetti del
ddl di riforma del ministro Mastella. E ricorda, inoltre, che il
prossimo 31 luglio scadrà la sospensione del decreto attuativo della
legge Castelli sulla separazione delle carriere in magistratura...
Dottor Moroni, quali sono le motivazioni principali che l’hanno
condotta a scrivere “Soltanto alla legge”?
La "controriforma" Castelli, approvata dal centrodestra nella scorsa
legislatura, è destinata ad interrompere il lungo e faticoso cammino
percorso negli ultimi cinquant’anni per dare piena attuazione ai
princìpi costituzionali di autonomia e indipendenza dell’ordine
giudiziario. Per comprenderne le probabili ripercussioni negative sugli
equilibri istituzionali e le garanzie dei cittadini ho ritenuto
opportuno fare tesoro della lezione del passato, analizzando le radici
storiche dell’indipendenza della magistratura, la sua evoluzione anche
culturale, i mutamenti ordinamentali dal dopoguerra ad oggi e,
soprattutto, le disastrose conseguenze già prodotte da vecchie soluzioni
normative che qualcuno vorrebbe riproporre oggi, dando il colpo di
grazia ad una macchina giudiziaria già abbondantemente disastrata.
La riforma “Castelli” cosa ha rappresentato per la giustizia
italiana?
La legge Castelli è il più avvelenato dei frutti legislativi generati
dalle preordinate aggressioni che una parte consistente del ceto
politico ha mosso nei confronti della magistratura. Il suo disegno
controriformatore, ben lungi dall’introdurre misure di efficienza tese
ad abbreviare i biblici tempi processuali, è palesemente volto a
limitare l’autonomia del potere giudiziario attraverso una surrettizia
separazione delle carriere, lo svilimento delle competenze del CSM, il
rilancio di una carriera selettiva che imbriglierebbe i giudici in
un’intricatissima rete di concorsi interni e la gerarchizzazione delle
Procure della Repubblica.
Qual è l’aspetto più clamoroso contenuto nel suo libro?
Nulla di clamoroso, semmai l’ambizione di offrire una ricostruzione
rigorosa e attendibile del lungo, accidentato e non sempre coerente
percorso evolutivo compiuto dopo il 1945 per adeguare fino in fondo
l’ordinamento giudiziario ai princìpi costituzionali e per radicare
nella magistratura un nuovo habitus culturale finalmente alieno dalla
tradizionale sudditanza nei confronti dell’establishment politico ed
economico. Vorrei solo riportare un po’ di logica e di memoria storica
nel dibattito sui rapporti fra politica e magistratura, un dibattito
ormai intossicato da troppi calunniosi stereotipi che una stordente
propaganda politico-televisiva ha lasciato sedimentare nell’opinione
pubblica. Con effetti devastanti per la fiducia dei cittadini in
un’istituzione giudiziaria costantemente criminalizzata a fronte di una
complessiva riabilitazione dei corrotti, in quello che Giancarlo Caselli
chiama “il tempo delle verità rovesciate”.
Come valuta il ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario
dell’attuale ministro della giustizia Mastella?
Più ombre che luci. Il ddl varato dal nuovo Guardasigilli prevede
l’abbandono dell’ingestibile meccanismo dei concorsi architettato da
Castelli in favore di un più serio sistema di valutazione della
professionalità dei magistrati e riporta finalmente a trenta il numero
dei componenti del CSM. Nulla però è stato ancora fatto né per eliminare
l’inaccettabile obbligatorietà dell’azione disciplinare, né per
ricondurre nell’alveo della legittimità costituzionale la
regolamentazione dell’istituenda Scuola della magistratura,
impropriamente dotata di forti poteri di condizionamento della carriera
giudiziaria a scapito delle prerogative del CSM. Inoltre, resta la forte
gerarchizzazione degli uffici requirenti, con il Procuratore della
Repubblica titolare esclusivo dell’azione penale e attributario di ampi
margini di discrezionalità nell’assegnazione e revoca delle indagini ai
suoi sostituti. Infine, si avvicina la data del 31 luglio 2007, quando
scadrà la sospensione dell’ultimo decreto attuativo della legge
Castelli, quello relativo alla separazione delle carriere. Gli altri
decreti sono già entrati in vigore con meri ritocchi cosmetici sulla
base di un accordo bipartisan e la controriforma Castelli rischia di
divenire pienamente operativa se l’attuale maggioranza non avrà la
forza, la coerenza e l’onestà di iniziare a marcare una precisa
discontinuità rispetto alla politica giudiziaria degli ultimi anni.
Da
COMINCIALITALIA.NET
(14.06.2007) Il Pm Tescaroli
denuncia: "Big della politica difendono gli inquisiti per mafia"
di Marco Scipolo “Ciò che continua a mostrare invalicabili
resistenze all’usura del tempo è il rapporto
mafia-politica-giurisdizione”. Lo afferma Luca Tescaroli, sostituto
procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. “Cosa Nostra e
le altre strutture mafiose del nostro Paese continuano in maniera
imperterrita a coltivare quelle odiose relazioni”, dichiara il
magistrato che indagò sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Tescaroli sostenne l’accusa nel processo di Capaci in primo e in secondo
grado, e si occupò anche del fallito attentato al giudice Giovanni
Falcone all’Addaura. Oggi è pubblico ministero nel processo per
l’omicidio di Roberto Calvi nel quale ha chiesto la condanna
all’ergastolo, tra gli altri, di Pippo Calò, ritenuto il cassiere della
mafia.
“Questo fenomeno di convivenza purtroppo esiste ancora e resiste più
forte che mai”, spiega il magistrato, costretto a vivere sotto scorta.
Tescaroli prosegue nella sua lucida analisi: “Autorevoli esponenti della
politica hanno fatto quadrato attorno agli inquisiti anziché prenderne
le distanze, evidentemente perché permane l’interesse a coltivare la
connivenza, foriera di aggregazione di consensi di un Mezzogiorno che è
attanagliato da un sottosviluppo oppressivo”.
Il coraggioso magistrato striglia anche la stampa che non informa i
cittadini su queste relazioni pericolose: “Una correlativa azione
mediatica, poliedrica per estrazione ideologica, ha creato un circolo
virtuoso capace, per un verso, di denigrare e di raffigurare i
magistrati inquirenti, protagonisti di una stagione sviluppatasi nel
decennio successivo alle stragi, come delle vere e proprie figure
demoniache e poi, dall’altro, di esaltare quei procuratori (ed è ciò che
avviene oggi, purtroppo) che hanno improntato il loro agire concreto
alla massima prudenza ogni qualvolta si sono imbattuti in personaggi dal
peso politico di livello nazionale”.
Tescaroli evidenzia come nessun scalpore susciti la presenza nel
Parlamento di numerosi soggetti risultati legati ad esponenti mafiosi:
“Nel nostro Parlamento vi sono non solo soggetti sospettati di
appartenere alla mafia ma anche soggetti condannati per reati di
corruzione, e si assiste per di più alla beatificazione e alla
riabilitazione di politici di rango che sono risultati certamente legati
a personaggi appartenenti alla mafia”.
Il silenzio dell’informazione su questi rapporti fa pensare, secondo il
Pm, ad una volontà di farli cadere “nel dimenticatoio”. Per Tescaroli la
politica non accetta di essere giudicata. Essa “rivendica il suo primato
sulla giurisdizione e spinge l’azione della magistratura verso derive
garantiste che richiedono, solo per i potenti, prove inconfutabili e
titaniche suscettibili di una generale impunità”, commenta il
magistrato. Che aggiunge: “E’ fin troppo evidente che le azioni
giudiziarie non debbano essere strumentali per rappresentare il viatico
per esprimere giudizi morali ma non è accettabile che la giurisdizione
faccia dei passi indietro o, peggio ancora, accetti compromessi con
l’illegalità facendo venire meno il fondamentale presidio della
legalità, garanzia di uguaglianza per tutti i cittadini”.
Per il sostituto procuratore di Roma sono necessari una rivoluzione
morale e culturale nel modo di concepire la politica da parte delle
classi dirigenti e “l’abbandono di quella prospettiva clientelare che,
soprattutto al sud, permea il rapporto tra i candidati-elettori”.
Secondo il magistrato i cittadini, esercitando il diritto di voto,
possono porre “in disparte quegli esponenti che non offrono garanzie di
trasparenza, di certa moralità e di buona amministrazione, e che hanno
fatto dei favori e dei ricatti una regola di gestione della cosa
pubblica”.
“E’ sul binomio della repressione e della prevenzione che la disputa può
essere vinta” dichiara Tescaroli, che vorrebbe da parte dello Stato “un
investimento straordinario delle ricchezze, fuori dalle logiche
dell’emergenza, per incrementare la repressione al fine di terrorizzare
il mafioso sottraendogli il controllo sul territorio, depauperandolo
delle sue ricchezze e creando delle speciali strutture carcerarie per
costoro, in modo da assicurare il totale isolamento tra il mafioso e
l’ambiente esterno”. Ciò, precisa Tescaroli, per evitare che dal carcere
i boss della mafia continuino a perpetuare il loro potere, come spesso
ora accade. Per il magistrato della procura di Roma bisogna, inoltre,
vigilare sull’attuale normalizzazione, il rischio che si corre oggi.
Anche di fronte a questa stagione preoccupante, per Tescaroli, si deve
comunque lasciare aperta “una speranza” perché riprenda “una nuova
primavera dell’antimafia”. Marco Scipolo
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