RAFFAELE CORSO: Per l'Etnografia Calabrese    (6)

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                                     Da "Archivio Storico della Calabria" - a.I, N. II, Mileto-Catanzaro, 1° maggio 1913

Per l'Etnografia Calabrese (1)

(a proposito della Mostra di Roma)

 

     Il 1° Congresso di etnografia Italiana, nell'ottobre scorso, mentre esprimeva il desiderio che nei capoluoghi sorgessero Musei di folklore regionale, faceva voti che si istituisse in Roma, per opera del Governo e coi materiali della Mostra, un Istituto di etnografia nazionale.

    Le condizioni attuali degli studi lo reclamano ardentemente; alla parola della scienza già si aggiunge il favore  dell'opinione pubblica, e non passerà molto a vedere realizzato il sogno dei sapienti italiani, ai propositi dei quali Lamberto Loria ha, in parte, risposto con la energia dell'atto.

   Narra il Loria che, trovandosi a Circello nel Sannio, mentre ripensava con fervore nostalgico quella vita della tenda che aveva trascorsa nella sua giovinezza tra le selvagge popolazioni dei Papua, ebbe l'idea che, raccogliendo gli usi e i costumi più caratteristici delle genti italiche, si potesse fare un istituto etnografico nazionale. Qualche anno dopo (1906) fondava in Firenze il Museo di Etnografia italiana. Ma, torna conto ad asseverarlo, la coscienza italiana non era impreparata a questo risveglio scientifico, poichè quando sorgeva il museo di Firenze, il Prof. Pitrè aveva già dato l'esempio e il modello in Palermo, con la raccolta di oggetti etnografici siciliani. E se Constantino Nigra verso il tramonto della sua vita, raccoglieva per le valli alpine collari di capra, coperti da fregi; e se l'orefice Castellani ordinava una mostra di gioie popolarti; e se G. Bellucci, nell'Umbria, formava una collezione comparata di amuleti, che gli offrivano più tardi il materiale per risalire il primitivo feticismo italico; L. Pigorini, fon dal 1881, chiedeva al ministro della P.  I.  locali ampi per sistemare le raccolte folkloriche, che sperava di accrescere con doni e oblazioni; A. Monchi organizzava un piccolo museo, che E. Modigliani arricchiva con manufatti della Val d'Aosta. Ad ogni modo è stato lui, L. Loria, a fondare il primo compatto nucleo di un Museo Etnografico nel 1906, e a preparare, nel 1911, la Mostra Romana, spettacolo di meraviglia e di sapienza, panorama gaio di vita e vario di stile, come pochi hanno allietato lo spirito dei visitatori. E ciò sopratutto, perchè ogni pellegrino, venga dal monti, venga dal  mare, vede on piazza d'Armi un lembo della regione nativa; ond'è che i doversi sentimenti regionali si armonizzano nella splendida gloria della patria unita che assurge a nuova cultura. Andiamo anche noi ad osservare questo lembo fantastico della nostra penisola, prima che quel panorama, sorto sotto il sole d'aprile - quel sole che salutò il natale di Roma - si chiuda al raggio delpallido autunno.

 

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   Che cosa è la mostra etnografica calabrese? Potrei rispondere descrivendola particolarmente, se la svariata copia di oggetti e la brevità impostomi non mi costringessero ad un rapido elenco di ornamenti e di vestiarii, di utensili e di suppellettili,, di attrezzi per pratiche magiche e di arredi per cerimonie familiari  religiose, di saggi di lavori contadineschi e di esemplari d'industrie rudimentali, che insieme a molti altri di diversa specie, affiorando come strati sul cammino delle diverse civiltà sepolte, rivelano il loro interesse allo studioso, attraendo il gran pubblico per le multiformi varietà tradizionali.

   A rendere più leggiadra la visione concorrono i modelli plastici, i quali  presentando i tipi regionali nelle loro caratteristiche pose, vestiti degli abiti e delle gioie locali, dànno una illusione piena d'incanto e di vita.

   Questo quadro originale e festoso, avrebbe potuto riuscire più gradito se fosse stato, come era nell'intendimento dei collaboratori, più largo e compiuto; poichè su circa trenta costumi popolari appena quattro o cinque sono stai esposti, e questi non sono certo, i più caratteristici della vita calabrese. Ed in vero manca l'abito del forese di Cardeto presso l'Aspromonte, e quello del pastore di Tresilici, volgarmente «zampittaru», che seguendo il gregge sulle pendici montane si avvolge di pelli come i Fauni e i Sardi, di cui fa cenno Cicerone, per resistere alla violenza delle bufere; manca il costume della pacchiana catanzarese, dalla sottoveste  scarlatta che rammenta il flammeo della sposa romana; manca l'abbigliamento della «chiazzarola» di Tropea con la pettorina a forma di cuore e l'acconciatura raccolta attorno allo spadino d'oro, che fa pensare all'«hasta caelibaris» latina; e, quel che più importa, manca la divisa del boscaiolo silano, dall'erto cappello a cono, rievocante il pilos frigio e che, secondo la leggenda, Garibaldi non sdegnò d'infilare nel viaggio trionfale da Cosenza a Napoli.

   Fra quei pochi costumi montati sui fantocci, i più importanti sono quello della sposa di Castrovillari, cos elegante peri suoi capi di stiffa a varia tinta di cui è composto e così splendido per la ricchezza dei ricami in oro, in cui la  tradizione vorrebbe discernere reminiscenze di ornati sibaritici e  pestani, mentre non sono che un riflesso dei costumi degli Albanesi, che abitano le terre vicine; e il costume della donna di Tiriolo, splendidamente descritto da Caterina Pigorini-Beri in una gentile pagina, in cui si vede la pacchiana muoversi ravvolta nel breve lenzuolo, che scendendo dalla camicia e aprendosi sul davanti, si raccoglie sul petto, in forma di bustina, sotto il giacchetto nero. Le collezioni dei manufatti sono esposte in apposite vetrine, ognuna delle quali contiene quelli della stessa materia e destinati allo stesso uso. Dalle ceramiche del reggino e specialmente da quelle di Squillace e Seminara, notevoli per la nobiltà delle vernici, come si espresse Plinio al riguardo, a quelle di Rende, che fan pensare a industri giudaiche importate fra noi; dalle stecche da busto di Caraffa di Bianco, ai cavicchi di Garaffa di Catanzaro; dalle spole di Andali alla conocchie di Coccorino e di Casignana, con incisioni erotiche fatte a punto di coltello; dalle scatole di tabacco di corno di bue, fabbricate dai villani di Caroniti e di Gizzeria, decorate di figure allegoriche; dagli amuleti della gente di mare a quelli delle tribù dei monti e delle foreste; dai balocchi ai passatempi, dai doni di rito alle offerte votive; dalle industrie campestri a quelle casalinghe, dalle coperte di Longobucco dal disegno variato per vaghezza di colori,  a quelle di Tropea, tutte a un fondo e con rilivi impennacchiati, dalle marche di proprietà, volgarmente «muccasa», ai termini limitari, dalle insegne delle botteghe ai distintivi di classe di età e di sesso, la vita calabrese è largamente, copiosamente rappresentata. Quanti secoli di storia, che cumulo di memorie in quelle sopravvivenze, che resistendo alla forza dei tempi, arrivando fino a noi nell'onda continua della trasformazione! E' nella Mostra che si rende manifesto il valore della raccolta folklorica, la quale nei costumi arcaici offre i mezzi per indagare l'etnos. In quelle rozze  manifestazioni gliptiche, non ancora slanciatesi a movenze artistiche; in quelle semplici incisioni decorative, non ancora slanciatesi a movenze artistiche; in quelle semplici incisioni decorative, non ancora compostesi a profili ornamentali; in quei segni figurativi, impressi a punta di temperino sul legno, non ancora sviluppatesi ad espressione simboliche, il pensiero magico-estetico primitivo lascia vestigia importantissime. Il folklore, si adombri sotto il nome di «volkskunde» in Germania, di «laografia» in Grecia, di «demopsicologia» o di «etnografia» in Italia, o di «traditionnisme» in Francia, alimenta ogni giorno più le odierne branche delle discipline strorico-mito-sociologiche, come una fresca, viva corrente che irrigui i campi del sapere umano.

 

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  (1) Conferenza  letta al Circolo di Cultura di Catanzaro, sezione della Dante Alighieri, il dì 3 dicembre 1911, ad invito della Presidenza.

    Se in questo lavoro non si tien conto del Catalogo della Mostra, compilato a cura della Direzione dei lavori etnografici, si deve al fatto che esso è venuto alla luce dopo la data della conferenza. Purnondimeno le osservazioni fatte alla Mostra, valgono anche per il catalogo, che segue e rispecchia i principali criteri con cui quella è stata eseguita.

 

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