RAFFAELE CORSO: Biblioteca delle tradizioni popolari Calabresi      (5)

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                   da: CRONICA DI CALABRIA 23-12-1951

Biblioteca delle tradizioni popolari Calabresi

    Quella poderosa opera, che porta il titolo di "Biblioteca delle tradizioni popolari siciliani" e che compendia più di un cinquantennio d’indefesse fatiche (1858-1912), parve a molti, e perfino a Cesare. Cantù, che dovesse rimanere come la unica nel suo genere, non pur fra noi, ma anche fuori d’Italia. Ad essa guardano con ammirazione i cultori della demopsicologia, per la genialità del concetto e l’armonia del disegno, che ne informano la complessa struttura; ad essa si ispirano, qua e là, i ricercatori della sapienza del popolo nel preparare, ciascuno nella propria regione o provincia, raccolte più o meno ampie di canzoni e proverbi, di racconti e costumanze; ad essa ricorrono i dotti, da una parte, per i sicuri elementi che contiene, ed i curiosi dalla altra, attratti dalla discussione delle più pittoresche scene della vita isolana.

    Non sembri, perciò, esagerato il dire che nessun’altra opera ha suscitato attorno a sé tanto fervore di ricerche e di studi, quanto quella alla quale principalmente è affidata la fama del Pitrè, e che nessun altra ha fatto meglio conoscere ed amare nella poesia dei suoi focolari, nei sentimenti e nelle abitudini più schiette e sincere, la grande isola del sole.

    Queste cose mi si affacciarono al pensiero nell’aprire, vari anni fa, il primo volume della "Biblioteca delle tradizioni popolari calabresi" di Raffaele Lombardi Satriani, perché mi parve che la nuova collana annunziata in venti o più tomi, era destinata a radunare e fissare in maniera indelebile, ogni espressione della mente, del cuore e dell’arte del popolo della terra dei Bruzi, rappresentando nella storia della nostra cultura nell’ultimo trentennio, la più felice prova di dare alla propria regione un’opera poderosa e grandiosa, come quella data dal Pitrè alla Sicilia. È necessario ricordare, forse, i lavori di Gennaro Finamore per l’Abruzzo; di Arrigo Balladore per il Veronese; di Gaetano Amalfi e Luigi Molinaro del Chiero per la Campania; di Costantino Nigro per il Piamente; di Luigi Mannocchi per le Marche; di M. G. Pasquarelli per la Basilicata; di Saverio La Rosa per la Puglia; e quelli di tanti benemeriti che hanno apprestato notevoli contributi per l’auspicato Corpus italicarum traditionum?

    Prova felice non solo perché sfata il pregiudizio, onde ritenevasi insuperabile e, perfino, inimitabile, la monumentale collana siciliana in 25 volumi; ma anche perché dimostra che la pretesa superiorità numerica delle tradizioni popolari della isola su quelle della terra ferma è un preconcetto, al quale non disdegnò di aderire il Pitrè, vuoi per quell’orgoglio legittimo che proviene dalla conoscenza del proprio lavoro, vuoi per la scarsezza delle raccolte delle altre regioni della penisola.

    A porre a raffronto la somma dei canti pubblicati dal Pitrè con quella dei canti messi insieme dal Lombardi Satriani, si nota una differenza non trascurabile.

    Ossequente ai precetti che la scienza impone, egli si è preoccupato non solo del numero, ma anche della genuinità dei documenti, cercandoli in ogni luogo, sui monti, lungo le valli e le marine, nei più oscuri borghi e nei remoti casolari, nelle capanne e negli olivi, interrogando bifolchi e pastori, contadini ed artigiani, come quelli che rappresentano, insieme con le inveterate consuetudini dei padri, la purezza della antica idea. Li ha cercato, li ha esaminato, li ha collezionato con la severità di un paleografo, con quell’attenzione che trova riscontro nei grandi nostri folkloristi (Piertè, Salomone Marino, D’Ancona, Balladoro, ecc.), sia per quanto riguarda la grafia, che è l’ortofonica; sia per quanto concerne le varianti, le quali fanno vedere, attraverso le differenze morfologiche e dialettali del vernacolo la trasformazione del canto ed il suo peregrinare da un luogo ad un altro. La teoria della monogenesi della nostra poesia popolare, alla quale il Lombardi Satriani ha contribuito con un saggio comparativo fra i canti siciliani e quelli calabresi, molto si giova dalla silloge di componimenti ritmici, condotta con amore e, soprattutto, con rigore.

    Seguendo il doppio criterio estrinseco ed intrinseco, il Lombardi Satriani ha ripartito la svariata messe in due gruppi; canti di amore e canti di vario argomento. Il ciclo della passione, dal suo primo sbocciare nel cuore dell’uomo e della donna, al suo concludersi con le nozze, attraverso le infinite sfumature del sentimento e i vari atteggiamenti dell’anima, gelosia e corruccio, tormento e lontananza, gioia ed ebbrezza, è ampiamente rappresentato; come rappresentati sono i vari aspetti della vita, che danno materia alle poetiche ispirazioni: il sorriso, la facezia, la burla; le fole e le storielle, le costumanze, e non ultimi il dolore, che dà spirito e forma alle solenni nenie che le donne calabresi, come le antiche prefiche, intuonano sulle bare; e il sentimento religioso che dà le ali alla preghiera, ora per invocare l’aiuto divino, ora per esaltare i misteri dei Santi.

    L’ultimo volume della collezione, il settimo, pubblicato qualche mese fa, Ed. De Simone, Napoli, riguarda le credenze popolari, e comprende due capitoli dei quali il primo concerne le credenze sull’uomo, sugli animali e sulle cose inanimate e quelle riferentisi ai giorni, ai mesi ed agli anni, nonché i pregiudizi diversi e i pronostici metereologici; il secondo riguarda le credenze nei sogni, nei tesori, nel malocchio, nel folletto, negli amuleti, nelle forme delle pratiche magiche. La materia è varia e complessa, riportandoci ai differenti aspetti della superstizione, alle molteplici costumanze che rispecchiano i sentimenti del popolo o del popolino, nella casa e nella campagna, nell’attività domestica, agricola ed economica, per il male e per il bene, per la conservazione della salute o per l’allontanamento delle nocive influenze.

    Fra i paragrafi più interessanti sono quelli:

1. sui tesori, liberi alcuni e legati altri, come dice la tradizione, in dominio del diavolo, o in custodia di draghi o di altri esseri favolosi;

2. sul folletto, conosciuto con vari nomi e con attributi diversi, secondo narrano le leggende diffuse di villaggio in villaggio;

3.  sul malocchio, distinto in occhio di chiesa e occhio di strada, l’uno e l’altro avvolti in un complesso di pratiche e di scongiuri, che comportano l’opera di maliarde e di stregoni;

4.  sugli amuleti di varia forma, materia e sostanza, con diverse funzioni e finalità, a seconda che tendono a combattere o a prevenire i supposti mali e malefici.

Il lavoro, pur proponendosi di essere espositivo, oltre alla ricchezza di informazioni, contiene varietà di scienza e di letteratura, di storia e di archeologia, di medicina e di psicologia, onde più attraente si dimostra la trattazione.

    Nel presentare il libro, che contiene un tesoro inestimabile di particolari informazioni, precise e sicure, attinte alle fonti perenni della vita locale, l’insigne studioso spiega la ragione del titolo: «Ho voluto intitolare «credenze» questo volume, perché mi sembra che tale parola ritragga, più che ogni altra, l’ingenua fiducia che il popolino ha in tali idee, che adombrano il vero nel falso, soddisfacendo la sua credulità». E spiega anche il concetto della classificazione della complessa materia da lui razionalmente distinta in due parti, una per gli esseri animati e l’altra per quelli inanimati; e quindi suddivisa secondo gli argomenti speciali. Interessanti sono le considerazioni sul fondamento delle credenze, in parte di natura magica ed in parte di natura animistica, con la distinzione che mentre le credenze e i pregiudizi formano il patrimonio dei singoli, le pratiche magiche appartengano alle streghe ed agli stregoni. Non meno in tesseranti sono le osservazioni sul variare delle credenze da luogo a luogo, anche in piccoli settori demografici, come avviene nella Calabria, dove uno stesso pregiudizio muta significato da un paese all’altro, perfino nella medesima circoscrizione provinciale. Così, mentre in Acri l’aggirarsi per la casa del «porcellino di Sant’Antonio» (insetto alato) è un buon segno, in Malvito annunzia il cattivo tempo.

    Chi sa accostarsi con intelletto di studioso alla «Biblioteca delle tradizioni popolari calabresi», può rilevare quale grande servigio il Lombardi Satriani ha reso alla cultura nazionale, in cui ha gia vari titoli di benemerenza, quale autore di saggi di critica comparata, quale promotore del Museo Etnografico calabrese e quale suscitatore di entusiasmo nei vecchi e nei giovani folkloristici, che si uniscano a lui per un migliore impulso allo studio delle tradizioni popolari. Alla cultura nazionale, e diciamo anche alla Calabria, che infiamma la sua nobile passione di studioso e che mediante l’opera tenace e coscienziosa di questo eccellente figlio, che tanto caro al Pitrè, al Cannizzaro, allo Zenatti, per non ricordare altri, potrà dire di possedere, insieme con la Sicilia, il più grande e compiuto archivio del pensiero e della vita delle sue genti della «Biblioteca delle tradizioni popolari calabresi».

 

 

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