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Ernesto Gligora

LE TRE CONTESSE DI NICOTERA

Ippolita de Gennaro – Maria Ruffo – Giovanna Ruffo

Nicotera, 2000

(ad uso proprio)

La presente, lungi dalla volontà di sostituire in toto o in parte, "passi", o "pagine" della pubblicazione del nostro Diego Corso e di altri studiosi, vuole essere, e tale è da intendersi in considerazione delle finalità divulgative e cognitive che si propone, una modesta integrazione, in forma fortemente sintetica, con delle nuove informazioni tirate fuori, in questi ultimi anni, dalle vetrine degli Archivi e rese di pubblica conoscenza (1).

[1] Per una più ampia ed approfondita conoscenza, si fa riferimento, in particolare, a quella che, per la sua ampiezza di temi trattati e la vasta documentazione, è una pregiata opera sulla nobiltà dei Ruffo,  Prof. Giuseppe Caridi, La Spada, la seta, la Croce. – I Ruffo in Calabria dal XIII al XIX secolo – SEI – Torino 1995, a cui  ha ampiamente attinto l’autore di queste brevi e modeste note.   

 

La famiglia de Gennaro

     Nel 1475, Re Ferrante, angioino, vende, per la somma di 4.000 ducati, la Città di Nicotera, con il Feudo di Ravello, a Princivalle de Gennaro, che diviene il primo Signore di Nicotera.

     Inizia, così, un secolo di dominazione  sulla Città di questa nobile ed antica famiglia del Regno di Napoli, che, nel corso della sua storia, annovera personalità che ebbero importanti incarichi e remunerazioni dai vari regnanti per gli utili servizi loro concessi.

     Princivalle è figlio di Bartolomeo di Gennaro, di cui ci dà notizie lo studioso di araldica De Lellis (1): «persona di grande affare, divenuto molto caro, e famigliare intrinseco della regina Giovanna Seconda, e del Re Alfonso d’Aragona, da colei si vede ottenne in dono all’anno provisione d’onze d’oro da pagarseli sopra le collette delle Province d’Apruzzo e da queste fu mandato Ambasciatore alla Signoria di Genova». Ebbe due mogli e numerosi figli: Tre maschi (Andrea, Princivalle e Giulio) e sei femmine (Corbella, Camilla, Franceschella, Armellina, Livia, Micella), tutte maritate.

     Dei maschi, Giulio ha seguito la vita ecclesiastica come Abbate di Santa Maria a Cappella; mentre ben diversa è stata la sorte degli altri due fratelli, dei quali ancora ce ne parla il De Lollis: « Andrea fu Alunno del duca di Calabria, Alfonso Aragona, appresso del quale per lo suo gran sapere, e valore, fu sempre in grandissima stima, confidenza venendo insieme con Princivalle di Gennaro suo fratello da colui adoperato nelle guerre di quel tempo, di Ferrara, e di Toscana, con carriche di Colonnello, e dopo la morte del Rè Ferrante Primo essendo il già detto Duca di Calabria succeduto nel Regno, detto Alfonso Secondo, & astretto poscia a fuggire per la guerra contro mosagli dal Rè Carlo Ottavo di Francia, e lasciare il Reame a Ferdinando il giovane suo figliuolo, detti dui Illustri capitani, con grandissimo valore, & amore di vera fede, seguirono sempre la fortuna del giovane Ferdinando, a cui non era stato rimasto, ch’il nudo nome di Rè, e mentre tutto il Regno già era posseduto da’ Francesi, furono Andrea, e Princivalle i primi ad introdurre il detto Rè dentro la Città di Napoli, scacciandone i Francesi, che si ritirarono nei castelli, anzi mentre si trattava di recuperar da mano de’ Francesi il Castel nuovo, come seguì, fù il Rè Ferdinando alloggiato nelle case di essi dui fratelli di Gennaro al seggio di Porto, che perciò nell’arco del seggio, sopra del quale è la casa, che fù d’essi fratelli, scolpite in marmo l’insegne de’ pali rossi, e d’oro, arme de’ Aragonesi. Quindi il Rè per non dimostrarsi ingrato à tanti beneficii ricevuti, donò ad Andrea la Città di Martorano con titolo di Conte, la Motta di Santa Lucia, & il Casal di Confluente in Calabria Citra, delle quali nel 1496, ne hebbe conferma da Rè Federico successor del Rè Ferrandino, e di più la concessione di Scagliano, Altile,e Grimaldo, terre poste nella medesima Provincia di Calabria, & a Princivalle la Città di Nicotera nell’altra provincia di Calabria detta Ulteriore; […..]»

     «Di Princivalle – continua il De Lellis - fratello d’Andrea Conte di Martorano, essendo ancor egli prode Guerriere e di straordinaria prodenza dotato, oltre le cose dette, mentre della persona d’Andrea parlammo, e de’ servigi al suo re fatti, onde meritò ottener da quello la Città di Nicotera con altri feudi, e ricchezze, si vede esser stato Camerlengo maggiore, che vuol dire Cameriere maggiore, o sia Maggiordomo d’Alfonso Duca di Calabria, che poi fù Rè, detto Alfonso Secondo. Fù costui casato con Giovannella Caracciola, e de’ Signori di Pisciotta con la quale generò Giacomo Alfonso,& Ippolita moglie di Giulio Cesare di Capua Conte di Paiena.»

     Dopo poco, con la conquista di Consalvo, la Città fu tolta alla famiglia de Gennaro, per essere assorbita dagli aragonesi. Ma nel 1496, ritornava agli angioini che la restituivano ai legittimi acquirenti, cioè a Giacomo Alfonso de Gennaro, figlio di Princivalle, già deceduto, mediante il pagamento di 4.500 ducati, di cui 4.000 già pagati da Princivalle e 500 a carico del figlio Giacomo Alfonso.

     «Giacomo Alfonso, Secondo Signore di Nicotera con Isabella Origlia , procreò Princivalle, il quale rinunciando la prima genitura, & applicatosi allo Stato Ecclesiastico, divenne poscia Vescovo di Nicotera, Annibale, che fù Conte di Nicotera, Vespasiano di cui fu moglie Giulia Venato, Camillo, Signor di Girifalco in Calabria, Tiberio, Giulio, che divenne pur Vescovo di Nicotera, Scipione, Marcello, marito di Laura Carrafa sorella di Tiberio Duca di Nocera, e Cornelia, moglie di Gio. Monsorio, o Monsolino Signor di Faichio, & altre terre.»

     Da allora, per quasi un secolo intero, Nicotera, è stata sotto il dominio, sia temporale che spirituale, di questa famiglia napoletana. Questo periodo presenta una caratteristica particolare, perché unica in tutta la storia non solo di Nicotera, ma forse del mondo intero.

     Nella famiglia, infatti, si son succeduti, nel corso del suo dominio, ben quattro Vescovi:

     Giulio Cesare, dal 1517 al 1530, a cui subentra il fratello Princivalle, dal 5/12/1530 al 1536, entrambi figli di Giacomo Alfonso, morto nel 1517, e di Isabella Origlia dei Conti di Capazzi. Seguì Camillo de Gennaro, dal 1536 al 15/3/1542 a cui successe il fratello Giulio, che, rimasto vedovo due volte, intraprese la via sacerdotale ricoprendo la carica di Vescovo di Nicotera sino al 1573; entrambi figli di Marcello di Gennaro, altro figlio di Giacomo Alfonso, e di D. Laura Carrafa, cugini quindi di primo grado con i due precedente prelati.

La questione della parentela, comunque, non è del tutto chiara.

     «Questo caso – commenta, con somma meraviglia, il Conte Luciano Pelliccioni di Poli(2)– di due coppie di fratelli, cugini fra loro e dello stesso Casato, che furono successivamente tutti Vescovi (di Nicotera, feudo della loro famiglia) è più unico che raro nella stessa genealogia italiana, e non si ripetè nemmeno in famiglie come quella della principessa dei Brancacci che dette alla Chiesa dieci Cardinali e più di cento Vescovi»

     L'altro figlio di Giacomo Alfonso, Annibale, avendo militato nell’esercito di Carlo V, col grado di Colonnello, nel 1540 ebbe il titolo di Conte della Città di Nicotera.

     «Anibale – dice di lui ancora il de Lollis (3)- fù il terzo Signore, e primo Conte, impero che dimostrando egli fin dalla sua più tenera gioventù i spiriti martiali, che nutriva nel petto d’allora meritò d’esser fatto castellano dell’Amantea in Calabria, poi si ritrovò con Don Ugo di Moncada Vecerè di Napoli alla battaglia marittima al capo d’Orfo contro di Filippo Doria, che sostenta le parti del Rè di Francia, nella quale ottenendone la Vittoria Felippino con la morte del medesimo D. Ugo, Animale col marchese del Vasto, Ascanio, e Camillo Colonna, & altri Capitani, e Signori di conto, furon presi da Filippino, e portati in Genova ad Andrea Doria Signor delle Galere, e General Ammiraglio del Rè, dove i carcerati s’adoprarono di modo, ch’indussero Andrea con le sue galere a passare a servigi dell’imperatore Carlo Quinto, del che ne seguì la perdita di Genova dal Dominio del Rè di Francia, e la total liberatione dell’esercito di Lotrecco dal nostro Regno, seguitò Anibale a servir l’Imperatore in tutte le imprese, che quello fè, & in particolare in quella d’Algeri, e Campagna di Roma servendo per Colonnello di fanteria molte volte, perloche meritò, che l’Imperatore lo fregiasse col titolo di Conte sopra la sua Città di Nicotera, e con Privilegio di poter alzar per impresa fuora dello scudo delle sue armi l’Aquila Imperiale, come si vegono nelle case già de’ Conti di Nicotera, passate poscia nel Demanio de’ Ruffi vicino Santa Maria Pignatelli, le quali benche siano tutte rinnovate in alcune stanze , nulladimeno hoggi il giorno si veggono l’Insegne de’ Gennari con l’Aquila fora dello scudo. Fù Animale casato, e di questa sua moglie lasciò D. Ippolita che casata con D. Fabritio Ruffo conte di Sinopoli, e da essi discesero i Principi di Scilla, e di Palazzuolo, portò in casa Ruffo il contado di Nicotera.»

     Nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie dell’ordine di San Francesco nella città di Nicotera, ove egli lasciò la sua spoglia mortale, si scorge un superbissimo tumulo di finissimo marmo fatto ad Annibale conte di Nicotera , con le seguente iscritioni :

Annibali Ianuario,

Equiti Neapolitano,

Nicoterensium Comiti,

Militari gloria insigni,

Qui cum a decimo sexto ad vsq;sexagentesimo ætatis anno,

Carolo Quinto Cæsari Augusto

Bellis ferè omnibus Terra, mariq; gestis

Egregiam operam nasvasset,

Coniugis suæ gremio surreptus est,

Unica relicta filia,

In qua dominatus esse desijt

Thomasina Afflicta lacrymis, & mæmore perdita

Marito dulcissimo f.

Vix. Ann. LX, Obijt MDLX

     Questa inscritione è dalla parte anteriore del tumulo, e dietro d’esso si legge.

Hic Bartholomæi Proavi vestigia secutus,

Qui cum Alphonso Primo Neapolitanorum Rege

Regnum adveniens, magnã laudcomparaverat,

Re ipsa præstitit quantum posteris

Majorum Virt imitatione eluceat. »(4)

 

Si ricorda che, unitamente alla moglie, lasciò un legato di salmi sette di grano bianco al Monastero di Santa Chiara della Città di Nicotera, per testamento di Notar Antonio Manella del 12 novembre 156 e l'altro del 26 novembre 1567 (5)

 

Ippolita, contessa di Nicotera

     Sposato con la nobile "Tomasina d’Afflitto, figliuola di Gio. Tomaso, e di Camilla di Capua, il qual Gio. Tomaso era figliuolo primogenito di Michele primo conte di Triveneto," lascia una sola figlia di nome Ippolita, la quale eredita, oltre la Contea di Nicotera, il Feudo di Ravello, le "Gabelle di S. Spirito e le Gratelle" di Napoli, ed altri beni ancora da parte dello zio Marcello, morto senza altri figli.

     Sui propri beni il padre, alla sua morte, aveva lasciato molti debiti per un ammontare di 36.000 ducati, debiti che hanno avuto una certa determinazione nella vita di Ippolita.

     Tra l’altro c’è stato un processo tra essa Ippolita contro Gio. Francesco d’Afflitto, di cui si sa ben poco (6), mentre una più ampia conoscenza si ha di una controversia tra la Contessa e, erede di.e D.Laura Carrafa, moglie dello zio Marcello. La stessa controversia poi tra la figlia Maria, Principessa di Scilla e Giulio Cesare Pisano, erede di D. Laura (7).

     Dopo la morte del padre(8), Ippolita sposa Fabrizio Ruffo, conte di Sinopoli, "da essi – scrive il De Lellis – discesero i Principi di Scilla e di Palazzolo, portò in casa Ruffo il contado di Nicotera". Fabrizio è figlio di Paolo Ruffo di Scilla, Conte di Sinopoli – morto nel 1564 – ed il matrimonio è stato voluto dallo stesso Paolo, al fine di incrementare la sua potenza economica e guadagnare ulteriore prestigio per la Famiglia."

     A questo obiettivo, perseguito accanitamente anche dal figlio Fabrizio, il primo dei 12 figli, nella gestione del suo vasto patrimonio, nella sua ampia attività commerciale ed anche nelle speculazioni commerciali, si adeguano anche gli altri discendenti, e spesso vengono interessati i cadetti componenti la grande famiglia.

     Approfittando delle ristrettezze economiche, causa principale i debiti ereditati, in cui si dibatteva la vedova Tommasina, lo stesso Conte di Sinopoli, Paolo, riesce a convincere la vedova dell’utilità e convenienza di far sposare i loro due figli: Ippolita e Fabrizio.

     Nel 1561 si celebra il matrimonio, che, secondo le usanze, è preceduto dalla stesura del contratto di dote, che si conclude vantaggiosamente per il Conte Paolo, ma soprattutto per il figlio, nelle cui mani è andato a finire tutta l’eredità del conte Annibale.

     Seguendo, infatti, le consuetudini del tempo, dette dei "Proceri e Magnati", è stata posta la clausola che la moglie orfana di padre, poteva fare testamento secondo la sua volontà, quindi anche a favore del mari non solo, ma il marito ereditava i beni della moglie defunta, anche in caso di morte di figli in tenera età. E ciò con evidente intenzione di far confluire alla casa Ruffo i beni dei de Gennaro. Tanto è vero che lo stesso Paolo, molto furbescamente, nel testamento per le sue figlie, ha seguito altre consuetudini, quelle napoletane dette di "Nido e Capuanza" o "alla nuova maniera", secondo le quali, in caso di decesso di uno dei coniugi, l’altro non poteva succedere nei beni che, invece, ritornavano al donante e suoi eredi.

     Comunque Scilla era il polo principale dei possedimenti di Fabrizio Ruffo, il quale nel 1578 (luglio), con diploma emanato da Madrid, ottenne da Filippo II, il titolo di Principe di Scilla.

     Intanto la Contessa Ippolita è costretta a cedere, nel mese di febbraio e di dicembre del 1569, i suoi beni burgenzatici al marito e praticamente rimane povera ed alla mercè della prepotenza del marito stesso a cui interessava il suo commercio, la sua dignità, la grandezza del Casato.

     Inutilmente Ippolita, aveva poi chiesto, finchè visse,  l’annullamento delle donazioni, perché estorte con la violenza. La vita della Contessa, specie negli ultimi anni, è stata un vero calvario, per come chiaramente ed ampiamente descritto in un documento di richiesta per l’annullamento del contratto di dote, nel corso della lite fra le due sorelle Maria e Margherita Caterina. Numerose testimonianze hanno evidenziato non solo il carattere violento e prepotente del Principe, ma le condizioni miserevoli, di assoluto abbandono e di disperazione della Contessa, che persino invocava la morte come una grande liberazione. Memorabile resterà l’ultima notte, quella notte del 1585 in cui la seconda Contessa di Nicotera, ha riacquistato la sua dignità, il suo prestigio, la sua libertà nella vita eterna (9).

 

Maria, Principessa di Scilla e seconda contessa di Nicotera

     Anche dopo la morte di Ippolita, il Principe Fabrizio continuò ad amministrare, per conto dell’unica figlia Maria, Principessa di Scilla e Contessa di Nicotera, anche i beni feudatari ereditati dalla propria madre.

     Rimasto vedovo Fabrizio, sposava, dopo pochi mesi, Isabella Acquaviva d’Aragona, figlia di Giovanni Girolamo, duca d’Atri, da cui ebbe un’altra figlia, Margherita Caterina.

     Un anno e mezzo circa dopo il secondo matrimonio, il Principe di Scilla moriva lasciando, con testamento del febbraio 1587, a Maria tutti i beni feudali, mentre quelli burgenzatici e altre entrate annuali sui beni feudali, all’altra figlia, Margherita Caterina.

     Inoltre aveva posto altra importante condizione: se Maria avesse sposato il cugino Vincenzo, figlio di suo fratello Marcello, avrebbe ricevuto in eredità anche un terzo dei beni burgenzatici. I debiti, poi, gravanti sul patrimonio, andrebbero ripartiti tra le due figlie in proporzione all’eredità ricevuta.

     Se invece avesse rifiutato di sposare il cugino, avrebbe dovuto togliere dai beni feudali 150.000 ducati per darli a Marcantonio Colonna, col quale aveva già trattato il matrimonio.

     Alla moglie dava la gestione di tutti i feudi sino a quando Maria non si fosse sposata; le affidava, unitamente al suo congiunto Fabio Marchese ed al marchese di Fuscaldo, la tutela di Maria e la nominava, inoltre, tutrice della fanciulla Margherita, assieme a stesso Fabio Marchese.

     Ma il principe lasciava anche due figli naturali. Beatrice, già menzionata nel 1571 e Orazio, riconosciuto prima di morire. Alla prima lasciava in eredità 6.000 ducati, al figlio 150 ducati annui.

     Nel 1590 Maria, sposava il cugino Vincenzo, malgrado l'opposizione  alle nozze di   Marcantonio Colonna a cui era stata promessa in isposa Maria. Con l’aiuto dello zio Geronimo, Filippo II dava il regio consenso. Maria portava in dote al marito tutti i suoi beni, trattenendo per sé la città di Nicotera col feudo di Ravello.

     Il rapporto fra le due sorelle, Maria e Margherita Caterina, non fu per nulla felice. Esse «non ebbero vita facile per le vecchie controversie ereditate e quelle nuove con l’Università di Scilla() per il pagamento di notevoli somme corrispondenti a ducati 55.407.50 più altri 7.000 ducati.

     «Ma non mancarono anche le controversie tra le due sorelle. D. Margherita, tra l’altro, chiedeva che i debiti da pagare, ereditati dal padre, dovessero ricadere non solo sui beni burgenzatici di cui ella era erede per 2/3, ma anche su quelli feudali spettanti a D. Maria. La causa si risolse a favore di Margherita (G. Misasi, op.cit., pag. 137)

     «La guerra familiare fu molto aspra tanto è vero che Maria cercò addirittura di invalidare il testamento della Madre. (Della causa per tale richiesta d'invalidazione del testamento esiste soltanto una parte di documentazione, e precisamente, la richiesta di Maria con le motivazioni e le deposizioni dei testimoni a suo favore)» (10).

     Intanto lo stesso Vincenzo nel 1610 entrava in possesso del marchesato di Licordia, per rinunzia della zia Imara Benavolis e quindici anni dopo, avrebbe avuto dal fratello Gutierez Velasquez, il Principato di Palazzolo.

     Nel 1612 Vincenzo decideva di acquistare la terra di Tropea per un prezzo ritenuto un po’ esagerato per quei tempi, cioè 191.04.1 ducati. Ma la sommossa dei cittadini indusse le autorità statali ad annullare il contratto.

      Nel 1615, moriva Vincenzo. Successivamente Maria passava in seconde nozze col principe di Bisignano, Tiberio Caraffa, portandogli in dote 100.000 ducati.

     Nel 1618 la Contessa acquistava il feudo di Ioppolo, con il casale di Coccorino, da Francesco Galluzzi, pagandolo 13.000 ducati.

     La situazione generale però precipitava. La dote di 100.000 ducati, troppo elevata, aggiunta alle somme spettanti in dote alle figlie Giovanna, Imara e Margherita, i debiti le spese sostenute per le cause varie, avevano messo a dura prova le capacità economiche della Contessa che si vedeva costretta ad eliminare parti del patrimonio.

     Così ad Imara passò Fiumara di Muro, mentre la Contea di Nicotera passò prima alla figlia Margherita come risarcimento per dote e quindi al marito Principe della Riccia, per risarcimento crediti, soltanto però per gli utili e non per la proprietà, che passò invece alla figlia Giovanna, erede diretta.

     Negli anni venti si verificava una crisi economica, anche se provvisoria, per cui Maria riteneva di dover vendere la città di Anoia per far fronte in parte ai crediti della sorella Margherita, e, seguendo l’andamento generale della feudalità, decideva di non gestire più direttamente i feudi, come avevano fatto i predecessori, ma concederli in fitto. Nicotera veniva data in affitto per 6 anni.

     Nel 1628, Maria predisponeva il suo testamento eseguito poi nel 1630, alla di lei morte.

     Con questo strumento la testataria cercava di porre un freno allo smembramento del suo patrimonio, istituendo un "fidecommesso primogenitale" di 150.000 ducati.

     Il fidecommesso (dal latino fidei committere = affidare alla buona fede (di qualcuno)) era un "istituto giuridico con cui il testatore vincolava i beni ereditari ai propri discendenti per una o più generazioni, e spesso all’infinito, sé che tali beni diventavano inalienabili e non potevano uscire dalla famiglia"; se "primogeniturale", i beni dovevano andare in eredità al primogenito, venivano escluse però le figlie femmine, salvo che non sposassero un uomo di casa Ruffo.

      Il fidecommesso andava quindi al figlio Fabrizio che passava, con la sua morte prematura, alla sorella Giovanna con la condizione che se non avesse avuto figli, sarebbe successa la sorella Imara e, in caso di estinzione, ai discendenti di Pietro Ruffo, fratello secondogenito del duca di Bagnara.

Maria ebbe cinque figli:

Fabrizio, di salute non buona, morì giovanissimo nel 1616;

Giovanna, succeduta al fratello Fabrizio; erede di tutti i beni della madre, a cui spetta pure la proprietà della Contea di Nicotera e del Feudo di Ravello;

Imara, che sposò Francesco Ruffo di Bagnara, rimase vedova nel 1743;

Maria Vincenzo, monaco;

Margherita, ultimogenita. Nel 1623 andava in isposa a Frabrizio di Capua, Gran Conte d’Altavilla e Principe di Ariccia o della Riccia. Portava una dote di 65.000 ducati. La madre, trovandosi in difficoltà sul pagamento della dote matrimoniale, ha concesso alla figlia la Contea di Nicotera, solo per gli utili derivanti dalla gestione della Contea, trattenendo per se il dominio diretto. Per questo divenne "Utile Signora" di Nicotera", titolo che tenne sino al 1646, quando passò al marito Fabrizio di Capua, quale Utile Signore per risarcimento di crediti.

Poiché, ogni qual volta veniva a Nicotera, D. Margherita pretendeva dal Clero di essere ricevuta alla porta della città e, con l’ombrello, accompagnata alla Chiesa cattedrale al conto del "Te Deum", la S. Congregazione, con decreto del 18 maggio 1647, obbligava il Vicario di Nicotera a vietare tale manifestazione (11).

Moriva a Nicotera nel 1663 ed ivi sepolta. Nel 1701 il nipote faceva sistemare le ceneri nel duomo di Nicotera ponendovi un’epigrafe che trovasi attualmente custodita nel locale Museo Diocesano d’Arte Sacra.

Giovanna, terza contessa di Nicotera

Giovanna, nel 1606, sposava un cugino, Francesco Vincenzo Ruffo, figlio di Muzio, fratello del padre, e di Camilla Santapau.

     Il matrimonio era stato voluto e preparato dal padre il quale, rendendosi conto della infermità del figlio, aveva evitato l’estinzione maschile della famiglia Ruffo, anche se il nipote apparteneva ad un ramo cadetto della casta. La dote assegnata era stata di 100.000 ducati di cui 30.000 versati all’atto del matrimonio ed il resto in tre anni.

      Nel 1610, Francesco Vincenzo acquistava il marchesato di Licodia, per rinunzia della zia Imara Benavides e nel 1625 il principato di Palazzolo, ceduto dal fratellastro Guttir Velaquez.

      Nel 1717 Giovanna succedeva nei feudi del padre (Fiumara di Muro, Calanna, S. Severina, Melicucco e Pietropaolo), mentre i beni della madre rimanevano alla stessa.

Nel 1619 acquistava lo stato di Cutro, con la terra di Roccabernarda ed il casale di S. Giovanni Minagò.

Nel 1923 acquistava dalla madre la baronia di Anoia per 60.600 ducati e nel 1924 la foresta demaniale dell’Aspromonte per 10.040 ducati.

     Nel 1630, con la morte della madre, subentrava nei Feudi della stessa (compreso il contado di Nicotera) e nel 1632, rimasta vedova, succedeva nei feudi siciliani di Licodia e Palazzolo.

      Si risposava poi con Francesco Maria Caraffa di Nocera.

     Con Giovanna il patrimonio feudale della famiglia Ruffo sembra avesse raggiunto la massima espansione. Ma i debiti erano pure ingenti per cui, verso la metà dei seicento, il Sacro regio Consiglio, incominciava a porli sotto sequestro a favore dei creditori. Nel 1645 veniva nominata una commissione per eseguire la valutazione di tre fondi, da parte del regio tabulario Tango, tra cui la Contea di Nicotera che rappresentava una rendita feudale annua di ducati 2.912.4.10 di cui 435 (pari al 14,9%) provenienti dai diritti giurisdizionali, 170.2.10 (5,8%) dai diritti proibitivi e 2.307.2 (79,3%) dalle entrate fondiarie. Di queste ultime, il gettito maggior era fornito dalla Masseria di Ravello.

     Dopo l’apprezzo (12), la Contea di Nicotera passava, solo per l’usufrutto a Frabizio di Capua, principe della Riccia, suo cognato, a risarcimento di crediti, che lo tratteneva, attraverso gli eredi, sino al 1763 (13); riscattato poi dalla legittima famiglia dei Ruffo.

     Il Feudo di Ioppolo e Coccorino, veniva venduto ai Mottola d’Amato e venivano eliminati altri feudi.

     Giovanna, Principessa di Scilla, Contessa di Nicotera, compiva la sua vita terrena nel febbraio del 1650, a Scilla, tra il rimpianto di tutti i suoi concittadini che l’amavano per le sue virtù e la sua dedizione verso i poveri. "La Principessa impegnò tutte le sue ricchezze e tutta se stessa – la ricorda Alessio Ruffo (14) – per sollevare le indigenze degli infelici e per arricchire Scilla di opere di beneficenza, di monumenti, di opere di utilità pubblica.

     Creatura mite, generosa, devotissima, fu una principessa veramente illuminata".

     Non poteva essere diversamente anche per la Città di Nicotera.

     E’ stata madre di sei figli:

Fabrizio, morto prematuro;

Francesco Maria, successe nel 1650 alla Madre nei possessi feudali che comprendevano anche la Contea di Nicotera. Nel 1665 passava i beni della Madre al fratello, e nel 1703, alla morte, al nipote Guglielmo, essendo celibe;

     Giuseppe Tiberio – In occasione delle sue nozze con Agata Branciforte, nel 1665, ottenne, quale successore, dal fratello alcuni beni feudatari;

     Maria – Ha sposato: a) Francesco Domenico Caraffa, Duca di Nocera, da cui rimane vedova senza figli nel 1643; b) Domenico Concublet, Conte di Arena, rimasta, dopo pochi anni, vedova senza figli; c) Giuseppe Garafa, principe di Roccella, nel 1665;

Camilla –

Margherita (monaca);

 

       Successore feudatario di Giovanna è il figlio Giuseppe Tiberio, il quale ebbe quattro figli: Guglielmo, successore feudatario, Anna Maria, Enrica e Giovanna.

N  O  T  E

(1) Discorsi delle famiglie Nobili del Regno di Napoli, di Carlo De Lellis - Parte Prima . pagg. 247-281, Napoli MDCLIV. La parte che riguarda la Famiglia de Gennaro è stata riportata, innproduzione fotografica, in Appendice alla pubblicazione di Luciano Pelliccione di Poli: Storia della Famiglia de Gennaro, Roma, 1975.

Quest'ultima, fuori commercio, in copia, ci è stata cortesemente fornita dallo studioso Direttore del Museo di Arte Sacra di Nicotera, Pagano Natale.

(2) op. cit., pag. 59

(3) op. cit., pag.277

(4) cfr:  FrancescoAdilardi - Memorie storiche... della Città di Nicotera, Napoli 1838, pg.138 e139. Nella nota 1) a pag. 139, l'Adilardi afferma che "ambo le iscrizioni esistono in Nicotera".

(5) Corso, Diego : Cronistoria civile e religiosa della città di Nicotera, Vol. I, cap.15, pag. 49, Viscardi, Napoli, 1882. Ripubblicazione in volume unico a cura di Ernesto Gligora, Nicotera 2002, pg. 52.

(6) Il De Lellis, op. cit., lo cita nella nota (K), a pag. 277.”K.  Nel proc. del S. C. tra Ippolita di Gennaro con Gio. Francesco d’Afflito nella Banca di Scacc.”

(7) Il documento, di cui si possiede copia fotostatica presso l’Archivio Vescovile di Nicotera, nel Fondo L. Aquilano, che ne ha fatto omaggio, viene riportato in seguito, tra gli accenni della principessa Maria e Contessa di Nicotera

(8) Il Corso, op. cit. (vol. I, cap. XV, pg. 49 - Ristampa volume unico, pg. 52), conferma la morte di Annibale nel 1560. V. l'epigrafe.

(9)  Il documento, consistente nella denuncia di Maria, con l’interrogazione dei ben 18  testimoni, si trova presso l’Archivio di Stato di Napoli, ed in fotocopia, nell’Archivio Storico Vescovile di Nicotera, fondo Luigi Aquilano. Lo stesso è stato  oggetto  di una erudita relazione del prof. Natale Pagano ad un Congresso sui Ruffo di Calabria, i cui Atti sono in fase di pubblicazione.

Il Corso (op. cit., pg. 52 - Rist.pag 56) pone la morte della Contessa di Nicotera il 9 gennaio per pleuressia. "poco dopo - 23 febbraio - cessava di vivere il marito di costei a nome D. Fabrizio Ruffo". Ma la data 1587, è poco convincente.

(10) Ernesto Gligora, in : Nicotera nei suoi Archivi - Comune di Nicotera - Biblioteca Comunale "Raffaele Corso" - Virgiglio Editore, Rosarno 1998 - Vedere nota 2).

(11) La notizia riportata da Diego Corso (op.cit. – Vol. II, Cap. IV, in: A. S. C., 1906, pg. 30), è riferita a D. Margherita Ruffo, Utile Signora di Nicotera, per cui è da ritenere che il divieto era riferito soltanto all’utile Signora, come tale, e non alla Contessa di Nicotera; anche perché, nel passato, Nicotera aveva avuto altre “utili Signore”. Lo stesso D. Corso ci ricorda, infatti, oltre che Enrico Sanseverino, Utile Signore di Nicotera, verso la fine del 1300, quantunque la Città fosse di Regio Demanio, la presenza,  nel 1417, di Ceccarella Sanseverino, quale utile Signora, e poi Polissena Ruffo, che morta senza figli, passava alla sorella Covella Ruffo, Principessa di Rossano, contessa di Montalto, e quindi anche utile Signora di Nicotera.

La stessa notizia viene ripresa ancora dal Corso (op. cit., cap.VIII) riportando però il rescritto della Sacra Congregazione in data 18 maggio 1658. Ciò fa supporre che la precedente ordinanza della S. C. non è stata mai messa in pratica “per indolenza – afferma il Corso – del Vicario Capitolare”.

Anche il Monaco (Giacomo Monaco – Il castello di Nicotera, II parte, in Calabria letteraria, a. X, 1962/1)  riporta la notizia, rifacendosi al Corso (senza citarne la pubblicazione), affermando che a provocare la denuncia alla S.C. sono stati due canonici che “ si ricusarono di partecipare al Corteo del Capitolo,…., per attendere l’arrivo, da Scilla, del Principe, …” e per tale motivo sono stati deferiti alla S.C.. I canonici forse “per ritorsione”, hanno fatto ricorso alla S. C., contro il Vicario capitolare. La risposta della S.C. “Curi il Vicario a togliere tale abuso”, porta la data del 28 settembre 1638 (e non 1658). Si tratta di un semplice errore “di stampa” o una pura coincidenza del giorno e mese?. Il Monaco fa anche un accenno generico, in nota,, “dai documenti in Curia”.

L’affermazione del Monaco ci fa supporre che il divieto era esteso anche al Principe di Scilla e Principessa, anche Contesa di Nicotera. La questione tuttavia è tutta da chiarire.

(12)  Luigi D’Avanzo – Descrizione di Nicotera in un apprezzo del 1646, in :”Calabria Nobilissima”, a. XIX, n. 49-50, Cosenza 1965. Il D’Avanzo, nell’introduzione, fa presente di aver riscontrato, nel corso delle ricerche di lui effettuate, due concorrenti all’acquisto della Contea di Nicotera e precisamente D. Ottavio Parisi che l’8 marzo 1646 offriva ducati 45.000 e il 23 luglio 1646 ne offriva 43.000 e D. Francesco Conte che offriva il 2 giugno 1646 ducati 50.000, il 9 agosto 1646 ducati 55.000 ed il 3° ottobre 1946 ducati 60.000.

(13) o 1760, secondo il Monaco (G. Monaco – op.cit. , parte I,  a. IX, 1961,

(14)  ) A. Ruffo – Giovanna Ruffo di Calabria, principessa di Scilla, in “ Calabria Sconosciuta”, a. XVIII, n. 68, 1995, pag. 40.