Ernesto Gligora LE TRE CONTESSE DI NICOTERA Ippolita de Gennaro – Maria Ruffo –
Giovanna Ruffo Nicotera, 2000 (ad uso proprio)
La
famiglia de Gennaro Nel 1475, Re
Ferrante, angioino, vende, per la somma di 4.000 ducati, Inizia,
così, un secolo di dominazione sulla Città di questa nobile ed antica
famiglia del Regno di Napoli, che, nel corso della sua storia, annovera
personalità che ebbero importanti incarichi e remunerazioni dai vari regnanti
per gli utili servizi loro concessi. Princivalle
è figlio di Bartolomeo di Gennaro, di cui ci dà notizie lo studioso di
araldica De Lellis (1): «persona di grande affare, divenuto molto
caro, e famigliare intrinseco della regina Giovanna Seconda, e del Re Alfonso
d’Aragona, da colei si vede ottenne in dono all’anno provisione d’onze d’oro
da pagarseli sopra le collette delle Province d’Apruzzo e da queste fu
mandato Ambasciatore alla Signoria di Genova». Ebbe due mogli e numerosi figli:
Tre maschi (Andrea, Princivalle e Giulio) e sei femmine (Corbella, Camilla,
Franceschella, Armellina, Livia, Micella), tutte maritate. Dei maschi,
Giulio ha seguito la vita ecclesiastica come Abbate di Santa Maria a
Cappella; mentre ben diversa è stata la sorte degli altri due fratelli, dei
quali ancora ce ne parla il De Lollis: « Andrea fu Alunno del duca di
Calabria, Alfonso Aragona, appresso del quale per lo suo gran sapere, e
valore, fu sempre in grandissima stima, confidenza venendo insieme con
Princivalle di Gennaro suo fratello da colui adoperato nelle guerre di quel
tempo, di Ferrara, e di Toscana, con carriche di Colonnello, e dopo la morte
del Rè Ferrante Primo essendo il già detto Duca di Calabria succeduto nel
Regno, detto Alfonso Secondo, & astretto poscia a fuggire per la guerra
contro mosagli dal Rè Carlo Ottavo di Francia, e lasciare il Reame a
Ferdinando il giovane suo figliuolo, detti dui Illustri capitani, con
grandissimo valore, & amore di vera fede, seguirono sempre la fortuna del
giovane Ferdinando, a cui non era stato rimasto, ch’il nudo nome di Rè, e
mentre tutto il Regno già era posseduto da’ Francesi, furono Andrea, e
Princivalle i primi ad introdurre il detto Rè dentro «Di
Princivalle – continua il De Lellis - fratello d’Andrea Conte di Martorano,
essendo ancor egli prode Guerriere e di straordinaria prodenza dotato, oltre
le cose dette, mentre della persona d’Andrea parlammo, e de’ servigi al suo
re fatti, onde meritò ottener da quello Dopo poco,
con la conquista di Consalvo, «Giacomo
Alfonso, Secondo Signore di Nicotera con Isabella Origlia , procreò Princivalle,
il quale rinunciando la prima genitura, & applicatosi allo Stato
Ecclesiastico, divenne poscia Vescovo di Nicotera, Annibale, che fù
Conte di Nicotera, Vespasiano di cui fu moglie Giulia Venato, Camillo,
Signor di Girifalco in Calabria, Tiberio, Giulio, che divenne pur
Vescovo di Nicotera, Scipione, Marcello, marito di Laura Carrafa
sorella di Tiberio Duca di Nocera, e Cornelia, moglie di Gio.
Monsorio, o Monsolino Signor di Faichio, & altre terre.» Da allora,
per quasi un secolo intero, Nicotera, è stata sotto il dominio, sia temporale
che spirituale, di questa famiglia napoletana. Questo periodo presenta una
caratteristica particolare, perché unica in tutta la storia non solo di
Nicotera, ma forse del mondo intero. Nella
famiglia, infatti, si son succeduti, nel corso del suo dominio, ben quattro
Vescovi: Giulio
Cesare, dal 1517 al La questione
della parentela, comunque, non è del tutto chiara. «Questo caso
– commenta, con somma meraviglia, il Conte Luciano Pelliccioni di Poli(2)– di due
coppie di fratelli, cugini fra loro e dello stesso Casato, che furono
successivamente tutti Vescovi (di Nicotera, feudo della loro famiglia) è più
unico che raro nella stessa genealogia italiana, e non si ripetè nemmeno in
famiglie come quella della principessa dei Brancacci che dette alla Chiesa
dieci Cardinali e più di cento Vescovi» L'altro
figlio di Giacomo Alfonso, Annibale, avendo militato nell’esercito di
Carlo V, col grado di Colonnello, nel 1540 ebbe il titolo di Conte della
Città di Nicotera. «Anibale –
dice di lui ancora il de Lollis (3)- fù il terzo
Signore, e primo Conte, impero che dimostrando egli fin dalla sua più tenera
gioventù i spiriti martiali, che nutriva nel petto d’allora meritò d’esser
fatto castellano dell’Amantea in Calabria, poi si ritrovò con Don Ugo di
Moncada Vecerè di Napoli alla battaglia marittima al capo d’Orfo contro di
Filippo Doria, che sostenta le parti del Rè di Francia, nella quale
ottenendone Nella Chiesa
di Santa Maria delle Grazie dell’ordine di San Francesco nella città di
Nicotera, ove egli lasciò la sua spoglia mortale, si scorge un superbissimo
tumulo di finissimo marmo fatto ad Annibale conte di Nicotera , con le seguente
iscritioni : Annibali
Ianuario, Equiti
Neapolitano, Nicoterensium
Comiti, Militari
gloria insigni, Qui cum a
decimo sexto ad vsq;sexagentesimo ætatis anno, Carolo Quinto
Cæsari Augusto Bellis ferè
omnibus Terra, mariq; gestis Egregiam
operam nasvasset, Coniugis suæ
gremio surreptus est, Unica relicta
filia, In qua
dominatus esse desijt Thomasina
Afflicta lacrymis, & mæmore perdita Marito
dulcissimo f. Vix. Ann. LX,
Obijt MDLX Questa
inscritione è dalla parte anteriore del tumulo, e dietro d’esso si legge. Hic
Bartholomæi Proavi vestigia secutus, Qui cum
Alphonso Primo Neapolitanorum Rege Regnum
adveniens, magnã laudẽcomparaverat, Re ipsa
præstitit quantum posteris Majorum Virt
imitatione eluceat. »(4) Si ricorda che,
unitamente alla moglie, lasciò un legato di salmi sette di grano bianco al
Monastero di Santa Chiara della Città di Nicotera, per testamento di Notar
Antonio Manella del 12 novembre 156 e l'altro del 26 novembre 1567 (5) Ippolita, contessa di Nicotera Sposato con
la nobile "Tomasina d’Afflitto, figliuola di Gio. Tomaso, e di Camilla
di Capua, il qual Gio. Tomaso era figliuolo primogenito di Michele primo
conte di Triveneto," lascia una sola figlia di nome Ippolita, la
quale eredita, oltre Sui propri
beni il padre, alla sua morte, aveva lasciato molti debiti per un ammontare
di 36.000 ducati, debiti che hanno avuto una certa determinazione nella vita
di Ippolita. Tra l’altro
c’è stato un processo tra essa Ippolita contro Gio. Francesco d’Afflitto, di
cui si sa ben poco (6), mentre una più ampia conoscenza si ha di
una controversia tra Dopo la
morte del padre(8), Ippolita sposa Fabrizio Ruffo, conte di
Sinopoli, "da essi – scrive il De Lellis – discesero i Principi
di Scilla e di Palazzolo, portò in casa Ruffo il contado di Nicotera".
Fabrizio è figlio di Paolo Ruffo di Scilla, Conte di Sinopoli –
morto nel 1564 – ed il matrimonio è stato voluto dallo stesso Paolo, al fine
di incrementare la sua potenza economica e guadagnare ulteriore prestigio per
A questo
obiettivo, perseguito accanitamente anche dal figlio Fabrizio, il primo dei
12 figli, nella gestione del suo vasto patrimonio, nella sua ampia attività
commerciale ed anche nelle speculazioni commerciali, si adeguano anche gli
altri discendenti, e spesso vengono interessati i cadetti componenti la
grande famiglia.
Approfittando delle ristrettezze economiche, causa principale i debiti
ereditati, in cui si dibatteva la vedova Tommasina, lo stesso Conte di
Sinopoli, Paolo, riesce a convincere la vedova dell’utilità e convenienza di
far sposare i loro due figli: Ippolita e Fabrizio. Nel 1561 si
celebra il matrimonio, che, secondo le usanze, è preceduto dalla stesura del
contratto di dote, che si conclude vantaggiosamente per il Conte Paolo, ma
soprattutto per il figlio, nelle cui mani è andato a finire tutta l’eredità
del conte Annibale. Seguendo,
infatti, le consuetudini del tempo, dette dei "Proceri e Magnati",
è stata posta la clausola che la moglie orfana di padre, poteva fare
testamento secondo la sua volontà, quindi anche a favore del mari non solo,
ma il marito ereditava i beni della moglie defunta, anche in caso di morte di
figli in tenera età. E ciò con evidente intenzione di far confluire alla casa
Ruffo i beni dei de Gennaro. Tanto è vero che lo stesso Paolo, molto
furbescamente, nel testamento per le sue figlie, ha seguito altre
consuetudini, quelle napoletane dette di "Nido e Capuanza" o
"alla nuova maniera", secondo le quali, in caso di decesso di uno
dei coniugi, l’altro non poteva succedere nei beni che, invece, ritornavano
al donante e suoi eredi. Comunque
Scilla era il polo principale dei possedimenti di Fabrizio Ruffo, il quale
nel 1578 (luglio), con diploma emanato da Madrid, ottenne da Filippo II, il
titolo di Principe di Scilla. Intanto Inutilmente
Ippolita, aveva poi chiesto, finchè visse, l’annullamento delle
donazioni, perché estorte con la violenza. La vita della Contessa, specie
negli ultimi anni, è stata un vero calvario, per come chiaramente ed
ampiamente descritto in un documento di richiesta per l’annullamento del
contratto di dote, nel corso della lite fra le due sorelle Maria e Margherita
Caterina. Numerose testimonianze hanno evidenziato non solo il carattere
violento e prepotente del Principe, ma le condizioni miserevoli, di assoluto
abbandono e di disperazione della Contessa, che persino invocava la morte
come una grande liberazione. Memorabile resterà l’ultima notte, quella notte
del Maria, Principessa di Scilla e
seconda contessa di Nicotera Anche dopo
la morte di Ippolita, il Principe Fabrizio continuò ad amministrare, per
conto dell’unica figlia Maria, Principessa di Scilla e Contessa di
Nicotera, anche i beni feudatari ereditati dalla propria madre. Rimasto
vedovo Fabrizio, sposava, dopo pochi mesi, Isabella Acquaviva d’Aragona, figlia
di Giovanni Girolamo, duca d’Atri, da cui ebbe un’altra figlia, Margherita
Caterina. Un anno e
mezzo circa dopo il secondo matrimonio, il Principe di Scilla moriva
lasciando, con testamento del febbraio Inoltre
aveva posto altra importante condizione: se Maria avesse sposato il cugino
Vincenzo, figlio di suo fratello Marcello, avrebbe ricevuto in eredità anche
un terzo dei beni burgenzatici. I debiti, poi, gravanti sul patrimonio,
andrebbero ripartiti tra le due figlie in proporzione all’eredità ricevuta. Se invece
avesse rifiutato di sposare il cugino, avrebbe dovuto togliere dai beni
feudali 150.000 ducati per darli a Marcantonio Colonna, col quale aveva già
trattato il matrimonio. Alla moglie
dava la gestione di tutti i feudi sino a quando Maria non si fosse sposata;
le affidava, unitamente al suo congiunto Fabio Marchese ed al marchese di
Fuscaldo, la tutela di Maria e la nominava, inoltre, tutrice della fanciulla
Margherita, assieme a stesso Fabio Marchese. Ma il
principe lasciava anche due figli naturali. Beatrice, già menzionata
nel 1571 e Orazio, riconosciuto prima di morire. Alla prima lasciava
in eredità 6.000 ducati, al figlio 150 ducati annui. Nel 1590 Maria,
sposava il cugino Vincenzo, malgrado l'opposizione alle nozze
di Marcantonio Colonna a cui era stata promessa in isposa Maria.
Con l’aiuto dello zio Geronimo, Filippo II dava il regio consenso. Maria
portava in dote al marito tutti i suoi beni, trattenendo per sé la città di
Nicotera col feudo di Ravello. Il rapporto
fra le due sorelle, Maria e Margherita Caterina, non fu per nulla felice.
Esse «non ebbero vita facile per le vecchie controversie ereditate e quelle
nuove con l’Università di Scilla() per il pagamento di notevoli
somme corrispondenti a ducati 55.407.50 più altri 7.000 ducati. «Ma non
mancarono anche le controversie tra le due sorelle. D. Margherita, tra
l’altro, chiedeva che i debiti da pagare, ereditati dal padre, dovessero
ricadere non solo sui beni burgenzatici di cui ella era erede per 2/3, ma anche
su quelli feudali spettanti a D. Maria. La causa si risolse a favore di
Margherita (G. Misasi, op.cit., pag. 137) «La guerra
familiare fu molto aspra tanto è vero che Maria cercò addirittura di
invalidare il testamento della Madre. (Della causa per tale richiesta
d'invalidazione del testamento esiste soltanto una parte di documentazione, e
precisamente, la richiesta di Maria con le motivazioni e le deposizioni dei
testimoni a suo favore)» (10). Intanto lo
stesso Vincenzo nel 1610 entrava in possesso del marchesato di Licordia, per
rinunzia della zia Imara Benavolis e quindici anni dopo, avrebbe avuto dal
fratello Gutierez Velasquez, il Principato di Palazzolo. Nel 1612
Vincenzo decideva di acquistare la terra di Tropea per un prezzo ritenuto un
po’ esagerato per quei tempi, cioè 191.04.1 ducati. Ma la sommossa dei
cittadini indusse le autorità statali ad annullare il contratto. Nel
1615, moriva Vincenzo. Successivamente Maria passava in seconde nozze col
principe di Bisignano, Tiberio Caraffa, portandogli in dote 100.000
ducati. Nel 1618 La
situazione generale però precipitava. La dote di 100.000 ducati, troppo
elevata, aggiunta alle somme spettanti in dote alle figlie Giovanna, Imara e
Margherita, i debiti le spese sostenute per le cause varie, avevano messo a
dura prova le capacità economiche della Contessa che si vedeva costretta ad
eliminare parti del patrimonio. Così ad
Imara passò Fiumara di Muro, mentre Negli anni
venti si verificava una crisi economica, anche se provvisoria, per cui Maria
riteneva di dover vendere la città di Anoia per far fronte in parte ai
crediti della sorella Margherita, e, seguendo l’andamento generale della
feudalità, decideva di non gestire più direttamente i feudi, come avevano
fatto i predecessori, ma concederli in fitto. Nicotera veniva data in affitto
per 6 anni. Nel 1628,
Maria predisponeva il suo testamento eseguito poi nel 1630, alla di lei
morte. Con questo
strumento la testataria cercava di porre un freno allo smembramento del suo
patrimonio, istituendo un "fidecommesso primogenitale" di 150.000
ducati. Il
fidecommesso (dal latino fidei committere = affidare alla buona
fede (di qualcuno)) era un "istituto giuridico con cui il testatore
vincolava i beni ereditari ai propri discendenti per una o più generazioni, e
spesso all’infinito, sé che tali beni diventavano inalienabili e non potevano
uscire dalla famiglia"; se "primogeniturale", i beni dovevano
andare in eredità al primogenito, venivano escluse però le figlie femmine,
salvo che non sposassero un uomo di casa Ruffo. Il
fidecommesso andava quindi al figlio Fabrizio che passava, con la sua morte
prematura, alla sorella Giovanna con la condizione che se non avesse avuto
figli, sarebbe successa la sorella Imara e, in caso di estinzione, ai
discendenti di Pietro Ruffo, fratello secondogenito del duca di Bagnara. Maria ebbe cinque figli: Fabrizio, di salute non buona, morì giovanissimo nel
1616; Giovanna, succeduta al fratello Fabrizio; erede di tutti i
beni della madre, a cui spetta pure la proprietà della Contea di Nicotera e
del Feudo di Ravello; Imara, che sposò Francesco Ruffo di Bagnara, rimase vedova nel 1743; Maria Vincenzo, monaco; Margherita, ultimogenita. Nel 1623 andava in isposa a Frabrizio
di Capua, Gran Conte d’Altavilla e Principe di Ariccia o della Riccia.
Portava una dote di 65.000 ducati. La madre, trovandosi in difficoltà sul
pagamento della dote matrimoniale, ha concesso alla figlia Poiché, ogni qual volta veniva a Nicotera, D. Margherita
pretendeva dal Clero di essere ricevuta alla porta della città e, con
l’ombrello, accompagnata alla Chiesa cattedrale al conto del "Te
Deum", Moriva a Nicotera nel 1663 ed ivi sepolta. Nel 1701 il nipote
faceva sistemare le ceneri nel duomo di Nicotera ponendovi un’epigrafe che
trovasi attualmente custodita nel locale Museo Diocesano d’Arte Sacra. Giovanna, terza contessa di Nicotera Giovanna, nel 1606, sposava un cugino, Francesco
Vincenzo Ruffo, figlio di Muzio, fratello del padre, e di Camilla
Santapau. Il
matrimonio era stato voluto e preparato dal padre il quale, rendendosi conto
della infermità del figlio, aveva evitato l’estinzione maschile della
famiglia Ruffo, anche se il nipote apparteneva ad un ramo cadetto della
casta. La dote assegnata era stata di 100.000 ducati di cui 30.000 versati
all’atto del matrimonio ed il resto in tre anni.
Nel 1610, Francesco Vincenzo acquistava il marchesato di Licodia, per
rinunzia della zia Imara Benavides e nel 1625 il principato di Palazzolo,
ceduto dal fratellastro Guttir Velaquez. Nel
1717 Giovanna succedeva nei feudi del padre (Fiumara di Muro, Calanna, S.
Severina, Melicucco e Pietropaolo), mentre i beni della madre rimanevano alla
stessa. Nel 1619
acquistava lo stato di Cutro, con la terra di Roccabernarda ed il casale di
S. Giovanni Minagò. Nel 1923
acquistava dalla madre la baronia di Anoia per 60.600 ducati e nel 1924 la
foresta demaniale dell’Aspromonte per 10.040 ducati. Nel 1630,
con la morte della madre, subentrava nei Feudi della stessa (compreso il
contado di Nicotera) e nel 1632, rimasta vedova, succedeva nei feudi
siciliani di Licodia e Palazzolo. Si
risposava poi con Francesco Maria Caraffa di Nocera. Con Giovanna
il patrimonio feudale della famiglia Ruffo sembra avesse raggiunto la massima
espansione. Ma i debiti erano pure ingenti per cui, verso la metà dei
seicento, il Sacro regio Consiglio, incominciava a porli sotto sequestro a
favore dei creditori. Nel 1645 veniva nominata una commissione per eseguire
la valutazione di tre fondi, da parte del regio tabulario Tango, tra cui Dopo
l’apprezzo (12), Il Feudo di
Ioppolo e Coccorino, veniva venduto ai Mottola d’Amato e venivano eliminati
altri feudi. Giovanna, Principessa
di Scilla, Contessa di Nicotera, compiva la sua vita terrena nel febbraio del
Creatura mite,
generosa, devotissima, fu una principessa veramente illuminata". Non poteva
essere diversamente anche per E’ stata
madre di sei figli: Fabrizio, morto prematuro; Francesco Maria, successe nel 1650 alla Madre nei
possessi feudali che comprendevano anche Giuseppe
Tiberio – In occasione delle sue nozze con Agata Branciforte, nel 1665,
ottenne, quale successore, dal fratello alcuni beni feudatari;
Maria – Ha sposato: a) Francesco Domenico Caraffa, Duca di Nocera, da
cui rimane vedova senza figli nel 1643; b) Domenico Concublet, Conte di
Arena, rimasta, dopo pochi anni, vedova senza figli; c) Giuseppe Garafa,
principe di Roccella, nel 1665; Camilla – Margherita (monaca);
Successore feudatario di Giovanna è il figlio Giuseppe Tiberio, il
quale ebbe quattro figli: Guglielmo, successore feudatario, Anna
Maria, Enrica e Giovanna. |
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N O T E (1) Discorsi delle famiglie Nobili
del Regno di Napoli, di Carlo De Lellis - Parte Prima . pagg. 247-281, Napoli MDCLIV. La parte che
riguarda Quest'ultima, fuori commercio, in copia, ci è stata cortesemente
fornita dallo studioso Direttore del Museo di Arte Sacra di Nicotera, Pagano
Natale. (2) op. cit., pag. 59 (3) op. cit., pag.277 (4) cfr: FrancescoAdilardi
- Memorie storiche... della Città di Nicotera, Napoli 1838, pg.138
e139. Nella nota 1) a pag. (5) Corso, Diego : Cronistoria
civile e religiosa della città di Nicotera, Vol. I, cap.15, pag. 49, Viscardi,
Napoli, 1882. Ripubblicazione in volume unico a cura di Ernesto Gligora,
Nicotera 2002, pg. 52. (6) Il De Lellis, op. cit., lo cita nella nota (K), a
pag. 277.”K. Nel proc. del S. C. tra Ippolita di Gennaro con Gio.
Francesco d’Afflito nella Banca di Scacc.” (7) Il
documento, di cui si possiede copia fotostatica presso l’Archivio
Vescovile di Nicotera, nel Fondo L. Aquilano, che ne ha fatto
omaggio, viene riportato in seguito, tra gli accenni della principessa Maria
e Contessa di Nicotera (8) Il Corso, op. cit. (vol.
I, cap. XV, pg. 49 - Ristampa volume unico, pg. 52), conferma la morte di
Annibale nel 1560. V. l'epigrafe. (9) Il documento, consistente nella denuncia di Maria,
con l’interrogazione dei ben 18 testimoni, si trova presso l’Archivio
di Stato di Napoli, ed in fotocopia, nell’Archivio Storico Vescovile di
Nicotera, fondo Luigi Aquilano. Lo stesso è stato oggetto di una
erudita relazione del prof. Natale Pagano ad un Congresso sui Ruffo di
Calabria, i cui Atti sono in fase di pubblicazione. Il Corso (op. cit., pg. 52 - Rist.pag 56) pone la
morte della Contessa di Nicotera il 9 gennaio per pleuressia. "poco dopo
- 23 febbraio - cessava di vivere il marito di costei a nome D. Fabrizio
Ruffo". Ma la data 1587, è poco convincente. (10) Ernesto Gligora, in : Nicotera nei suoi Archivi -
Comune di Nicotera - Biblioteca Comunale "Raffaele Corso" -
Virgiglio Editore, Rosarno 1998 - Vedere nota 2). (11) La notizia riportata da Diego
Corso (op.cit. – Vol. II, Cap. IV, in: A. S. C., 1906, pg. 30), è
riferita a D. Margherita Ruffo, Utile Signora di Nicotera, per cui è da
ritenere che il divieto era riferito soltanto all’utile Signora, come
tale, e non alla Contessa di Nicotera; anche perché, nel passato, Nicotera
aveva avuto altre “utili Signore”. Lo stesso D. Corso ci ricorda,
infatti, oltre che Enrico Sanseverino, Utile Signore di Nicotera, verso
la fine del 1300, quantunque La stessa
notizia viene ripresa ancora dal Corso (op. cit., cap.VIII)
riportando però il rescritto della Sacra Congregazione in data 18 maggio
1658. Ciò fa supporre che la precedente ordinanza della S. C. non è stata mai
messa in pratica “per indolenza – afferma il Corso – del Vicario Capitolare”. Anche il Monaco
(Giacomo Monaco – Il castello di Nicotera, II parte, in
Calabria letteraria, a. X, 1962/1) riporta la notizia, rifacendosi al
Corso (senza citarne la pubblicazione), affermando che a provocare la
denuncia alla S.C. sono stati due canonici che “ si ricusarono di partecipare
al Corteo del Capitolo,…., per attendere l’arrivo, da Scilla, del Principe,
…” e per tale motivo sono stati deferiti alla S.C.. I canonici forse “per ritorsione”,
hanno fatto ricorso alla S. C., contro il Vicario capitolare. La risposta
della S.C. “Curi il Vicario a togliere tale abuso”, porta la data del 28
settembre 1638 (e non 1658). Si tratta di un semplice errore “di stampa” o
una pura coincidenza del giorno e mese?. Il Monaco fa anche un accenno
generico, in nota,, “dai documenti in Curia”. L’affermazione
del Monaco ci fa supporre che il divieto era esteso anche al Principe di
Scilla e Principessa, anche Contesa di Nicotera. La questione tuttavia è tutta
da chiarire. (12) Luigi D’Avanzo –
Descrizione di Nicotera in un apprezzo del (13) o 1760, secondo il Monaco
(G. Monaco – op.cit. , parte I, a. IX, 1961, (14) ) A. Ruffo – Giovanna
Ruffo di Calabria, principessa di Scilla, in “ Calabria Sconosciuta”,
a. XVIII, n. 68, 1995, pag. 40. |