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Premessa

Ogni Nicoterese, nel conoscere Fra Marcello Fossataro attraverso queste pagine, non potrà fare a meno di sentire un moto di orgoglio, che certo non è campanilismo, ma ammirazione e rispetto per un conterraneo dall’animo nobile e puro che sa sollevarsi al di sopra del piccolo mondo meschino aprendo il cuore ad ogni impulso d’amore e di generosità verso gli altri.

    Pertanto, nella prospettiva di un recupero di quelli che sono i valori più alti dell’uomo e che l’odierna società umana deve imporsi di perseguire, fra Marcello Fossataro da Nicotera occupa certamente un posto speciale come figura adorna di così tante qualità umane da essere preso ad esempio per seguire la strada dell’elevazione umana della società a condizione che se ne sappiano trarre insegnamenti dall’infinita bontà e saggezza che contraddistinsero il suo atteggiamento verso i più deboli e indifesi.

    Sono certa dunque che chi si appresterà a leggere queste pagine consacrate al ricordo del pio fraticello, non potrà fare a meno di trarre un complesso di indicazioni costruttive sentendosi positivamente stimolato e motivato a desiderare di intervenire incessantemente nell’orientamento dei comandamenti dell’uomo, dal momento che l’individuo deve contribuire a favorire l’elevazione dell’uomo attraverso l’umanità.

    La lezione più alta che ne deriva è quindi quella che porta l’individuo ad avvicinarsi ancora più al suo prossimo poiché tali pagine ci restituiscono alla memoria l’esempio di un uomo pieno di spirito di solidarietà e comprensione degli altri; qualità, queste, che alimentano e agiscono positivamente sullo sviluppo della carità intesa alla manieri San Paolo: come amore.

 Credo, senza ombra di dubbio, che in questo nostro tempo si stia avanzando verso un’epoca in cui l’appello alla carità, intesa appunto nel suo significato originale e spogliata di tutto ciò che di peggiorativo ha potuto conferirle la sua immissione in una società così variegata e confusa, possa risultare una delle più alte possibilità di arricchimento per colui che la pratica, così come ci mostra il fulgido esempio di un umile fraticello che tanto si prodigò per sollevare dalla miseria e dall’abbandono numerosi orfanelli.

     La sua opera, infatti, si svolse proprio in un frangente in cui la miseria dell’esistenza si svelava sempre più e lui sembrava quasi attirato ad accollarsi il compito di soccorrere ed offrire un tetto a tanti poveri fanciulli abbandonati per le vie sottraendoli al freddo e all’inedia.

    Fra Marcello si aggirava per le vie della Napoli dell’ultimo scorcio del XVI secolo schiacciata dalla dominazione spagnola, tormentata da pestilenze, guerre, carestie ed eruzioni del Vesuvio, appellandosi alla generosità dei napoletani gridando: «Fate la carità ai poveri di Gesù Cristo ! » (2).

    Il pio frate metteva dunque in pratica una verità semplice, ma al contempo così carica di fede: Gesù ci ha insegnato ad amare i bambini, ad accoglierli con infinita bontà. E’ questo ciò che faceva fra Marcello: accoglieva bambini tra i sette e i quindici anni fondandovi il Conservatorio dei poveri di Gesù Cristo.

    La cosa strabiliante è che non si limitava semplicemente ad accudirli materialmente, ma si preoccupava anche della loro formazione. Nel pio istituto, infatti, gli orfanelli, oltre ad essere istruiti nella fede, imparavano a leggere, a scrivere e anche un’arte meccanica a seconda delle proprie inclinazioni. Si insegnava anche la musica e proprio quest’ultimo insegnamento, a un certo punto, prevalse e al Conservatorio diedero fama gloriosa musicisti di grido che si educarono ed insegnarono in quella scuola.

    Considerando la tenacia con cui frate Marcello ha lottato per la realizzazione del Conservatorio, che aveva avuto inizio nel 1589, superando non poche avversità, come dimostra la supplica indirizzata dal Fossataro a Papa Clemente VIII in cui chiede l’autorizzazione a fondare l’istituto e pare che lo stesso Fossataro si sia recato a Roma per perorarne la causa presso il Pontefice che non fu sordo alle sue preghiere (3), si può facilmente intuire che, accanto all’umiltà, in lui risiedeva una forza di carattere nata sicuramente da una stabilità interiore che scaturiva, prima di tutto, da quella fede che è faro in un uomo di Dio quale lui era e poi da una connessione delle proprie attività del pensiero, del sentimento e della volontà con il proprio centro spirituale.

    E’ qui che affonda le radici l’opera che tanto gli stava a cuore, che gli dava la forza di lottare, sempre beninteso con l’unica arma a lui congeniale: l’amore.

    Ma quasi per contrasto a tanta abnegazione fa riscontro una ingrata insensibilità che mette quasi da parte il fondatore del pio istituto il quale viene estromesso da ogni ingerenza direttiva ed amministrativa. La sua vita, che aveva avuto inizio nel 1564, si chiude così malinconicamente nel 1628.

    Dopo tante vicissitudini nel 1744 venne decretata la chiusura del Conservatorio col pretesto che dall’istruzione traevano più profitto i forestieri che i napoletani; è così che fu adibito a Seminario diocesano (4).

    L’opera, e ancor più l’umanità di fra Marcello Fossataro non potrà essere dimenticata poiché il suo passaggio terreno è pur sempre, a dispetto di tutto e di tutti, la testimonianza che se è vero che tutte le epoche hanno le loro ombre e le loro luci, anche vero che ci sono , in ogni tempo, spiriti più illuminati di altri che introducono fonti nuove di chiarezza, pur senza saperlo, permettendo alle generazioni successive di fare retrocedere le tenebre, a patto che, come recita un vecchio adagio, si abbiano occhi per guardare e orecchie per sentire e, viene da aggiungere, anche, un cuore traboccante d’amore proprio come fra Marcello Fossataro da Nicotera.

  E’ auspicabile comunque che Nicotera, partendo dal presupposto che le opere volte a sollevare i più deboli materialmente e spiritualmente, hanno valore universale, e che, in qualunque posto esse si realizzano, la benefica ripercussione morale tocca tutta l’umanità, voglia dedicare a questo suo figlio un segno concreto di riconoscimento, come già aveva auspicato il prof. Natale Pagano in un suo scritto di tanti anni fa.

 

    La tragica vicenda di Bianca Vasquez, estratta dalla rivista "La Campana della Carità", e qui riportata, è un invito non a facili e inutili pietismi, ma a considerare la validità di una condotta che non sia aliena alla considerazione dell’altro come creatura degna d’amore specialmente nei momenti amari che la vita spesso riserva.

    Come si è visto, queste pagine, oltre a rievocare la storia di Bianca, riportano l’eco della bontà coraggiosa di un frate che in fatto di amore tanto ha saputo dare al suo prossimo. Se solo Bianca avesse avuto, nelle sue luttuose vicende, il soccorso amorevole di fra Marcello, di certo la sua triste vita avrebbe avuto un epilogo diverso.

    Ma ecco la sua storia, prima però va fatta una doverosa precisazione: riguardo alla veridicità della vicenda non si hanno elementi per affermarlo con sicurezza, si pensa che sia realmente accaduta, comunque sia, Bianca sembra un personaggio nato dalla sensibilità artistica del Verga.

    Bianca, giovane donna calabrese nelle cui vene scorreva sangue andaluso, bella nel fisico e nell’animo, moglie e madre esemplare, viveva, amata da tutti, in una località, si suppone, vicino Joppolo. La sua vita, felice fino ad allora, fu segnata tragicamente dalla sorte che la colpì nei suoi affetti più cari: perde prima il marito e successivamente due figlie. Rimasta sola con un bimbo trascina la infelice esistenza tra gli stenti e l’angoscia causata dalla paura di perdere anche quest’ultimo figlio. Ma a chi rivolgersi ? Era proprio sola, anche gli amici dei tempi felici erano scomparsi. Fu così che Nicotera fu vista, dalla sventurata donna, come ancora di salvezza pensando di chiedere aiuto ad una antica famiglia presso la quale i suoi genitori avevano prestato servizio.

    Era questo sottile filo di speranza che la teneva ancora legata alla vita, ma dopo aver camminato tutta la notte col figlioletto stretto tra le braccia, arrivò stremata nei pressi della Torre di Joppolo. A questo punto il dolore di Bianca prorompe sfrenato e giunge a espressioni di disperazione tali da condurla a compiere il gesto estremo.

    Grande è lo sgomento che storie come queste possono provocare, tanto da chiedersi: come può stabilirsi un’esistenza equilibrata in un mondo che solo a parole si presenta con un ordine sociale giusto entro il quale ogni uomo trova un posto conforme alle proprie aspirazioni materiali e morali ? La storia, intendo nella suo nuova dimensione, non più di questa o quell’altra nazionalità o di questa o quell’altra razza, ma storia dell’umanità, ci fa scoprire un passato che è comune a tutta l’umanità e che comprende la lunga serie di sforzi realizzati da questa per creare una civiltà di cui tutti gli essere umani abbiano finalmente la sicurezza di dividere i benefici.

    Non si potrà mai sottolineare abbastanza che questo orientamento universale dato alla nostra civiltà dalla basi fondamentali del razionalismo e delle sue applicazioni tecniche continua purtroppo a non vedere risultati equi. Da qui l’esigenza di un mutamento nel modo di agire e di pensare, bisogno, questo, che si fa imperiosamente sentire nelle coscienza allorché episodi come quello di Bianca continuano a riempire le pagine dei giornali. Pertanto non è sufficiente porre l’accento sull’importanza delle strutture sociali, dei sistemi di rapporti interindividuali e dei valori, ma è opportuno che ognuno di noi, senza sottovalutare tali fattori, si scruti dentro e si chieda cosa ha fatto concretamente per superare il proprio egoismo per essere disponibile quando l’altro lancia disperati messaggi di aiuto.

    Primo fra i mali del nostro tempo è proprio l’egoismo che ci vieta l’amore per tutti gli uomini che sono afflitti sulla terra, la capacità di condividerne la pena e di organizzare mezzi adatti ad arginarla. Numerosi flagelli naturali minacciano gran parte degli abitanti della terra: carestie, denutrizioni, malattie a cui non si è ancora trovato rimedio efficace.

    Il voler ignorare la sofferenza di tanti nostri fratelli, per chiudersi e affannarsi soltanto entro gli angusti limiti del proprio ambiente è colpa assai grave che rende egoisti e insensibili, una colpa di cui dobbiamo rispondere a Dio e alla società.

    Basterebbe solo questo aspetto per invogliare tutti ad estirpare l’egoismo che molto spesso alberga dentro di noi rendendoci indifferenti di fronte alla sofferenza altrui. Se solo pensassimo che l’altro in difficoltà potremmo domani essere noi stessi !…

    «Ama il prossimo tuo come te stesso» ecco l’insegnamento da mettere in pratica che avvicinerà tutta la collettività in un medesimo sforzo di solidarietà per costruire finalmente una società veramente umana. La civiltà dell’amore, come sicuramente ci direbbe fra Marcello, è l’antidoto alla fragilità dell’equilibrio sociale.

    Occorre, dunque, adoperarsi con ogni nostra risorsa a migliorare, non solo materialmente, la vita e collaborare per assicurare a tutti un’esistenza migliore.

Nicotera, dicembre 2001

                                        Maria Rosaria Ferraro

 

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