Nicotera: Parte sesta

USI E COSTUMI

 

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Matrimoni*Funerali //  Abiti   //   Giuochi   //   Pregiudizi*Inclinazioni * False credenze   //   Letteratura Popolare*Parole corrotte     //   Bromologia

 

Matrimonii. Dopo la benedizione del Parroco, i padri e le madri degli sposi benedicono rispettivamente i loro figli, ed all'oggetto il sagrestano assistente porge loro l'aspersorio dell'acqua benedetta. Nella Domenica, o nel primo dì festivo che segue il giorno del matrimonio, la Zita(39) allorchè va la prima volta in Chiesa, deve essere accompagnata da due donne più intime del parentado e dal marito, vestiti pomposamente a seconda del proprio stato.

NOTA:

(39) Così chiamano lo sposa novella.
 

Funerali.

    Diversamente, secondo la diversità del ceto; si regolano le costumanze in caso di morte. Nella classe agiata, i parenti e gli amici della famiglia del defunto, debbono inviare nella mattina caffè rosolio, ovvero cioccolata; nel giorno (s'è di està) rinfreschi, e nella sera lauta cena. Quando una famiglia abbia lunga parentela e più amici, queste cortesie si affollano, e durano per più giorni, talvolta sino a dodici.

    Il feretro del galantuomo, nell'associarlo che fa il Capitolo e Clero della Cattedrale, vien sostenuto ai lati dagli artefici di Famiglia, ed è accompagnato da quattro nobili della città. Il cadavere pria di seppellirsi si avvolge in un copertino di seta bianca, e si ripone in una cassa guarnita pomposamente di velluto ornato di galloni di seta, ovvero di oro o di argento.

    Nella morte delle persone del popolo, le donne si scapigliano, ed intorno la bara mandano urli da disperate, si strappano i capelli a ciocche, e li depositano sul cadavere dell'estinto. Dalla parte del capo dee situarsi la donna più prossima in parentela al defunto. Tra le donne circostanti a quando a quando una di esse prende a dire le lodi del defunto con una specie di nenia che nomano ripetitivamente, ed allora cessano le altre di urlare e piangere. Vi sono talune nel volgo riputatissime per tal mestiere, le quali non l'esercitano a pagamento, come in alcuni luoghi fanno le moderne prefiche, ma per amicizia, e per riguardo a coloro verso i quali si sentono obbligate. Gli uomini poi, sia quale si voglia la stagione, anche nel sollione, indossano un cappotto di grosso panno di lana paesano detto Arbascio, e si tolgono dai piedi le scarpe, ritenendo le sole calze. Quando il defunto si crede che abbia dritto ad una certa aristocrazia plebea, cui danno il nome di jinea, i parenti non gli coprono la testa col lungo usuale berretto, ma lo lasciano a testa nuda, e gli mettono sui piedi un cappello di galantuomo, il più grande che possono rinvenire; e se sapeva leggere e scrivere, gli mettono di più fra le mani un libro; se pietoso, chiamato cresastico (40), gli legano fra le mani una corona del Rosario.

La donna del popolo di buona jinea si distingue dal vederla sul feretro con la testa coperta da un velo nero con fodera bianca, cosicchè chi è ignaro di questo costume potrebbe credere che fosse una monaca di clausura. Questo velo si conserva da alcune case di popolani, e se lo danno in prestito fra loro per quest'uso. Generalmente coprono la testa colla rete detta rizzuola, che sogliono viventi portare sotto la tovaglia; e la bara ornano di rami di arancio e di rosmarino. Nei Funerali che si fanno in Chiesa, mentre i sacerdoti celebrano gli uffizi divini, una donna vestita a nero mantiene ai piedi ed alla testa della bara due bracierine sempre fumanti d'incenso. Il lutto nelle vesti nere dura tre anni. La vedova dell'uomo di basso ceto si distingue da un fazzoletto nero che porta sul petto; il che non si osserva nelle altre donne del parentado, ancorchè fossero figlie del defunto -- Non è a dire quanto religiosamente pensi il popolo intorno ai sepolcri, ed agli onori da rendersi ai corpi morti: l’idea de' moderni camposanti fa orrore ad una persona della plebe!                

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(40) Uomo di chiesa, pietoso.

 

Abiti.

    I gentiluomini e le gentildonne vestono decentemente, secondo le mode del giorno, nè mancano abili sarti. Gli artigiani vestono civilmente; anzi nelle feste con alquanto lusso.    

    Le donne degli stessi portano una gonna color indaco dalla cintura in giù; nella parte superiore vestono tele e stoffe che usano le gentildonne, ed imitano anche la forma delle loro vesti: in testa hanno la rizzuola ricamata in cotone, o in seta, nella quale tengono avvolti i capelli intrecciati a corona, e vi soprappongono una tovaglia di massolina più o meno velata con puntina ricamata: in occasione di lutto questa tovaglia è di calmo e seta color nero; hanno ancora un grembiale della stessa tela della gonna: sono per lo più ben calzate con scarpina piuttosto gentile; portano ornamenti di oro pendenti dal collo con laccetto di seta nera, anelli, ed orecchini. In caso di lutto, gli abiti descritti debbono essere tutti di color nero.

    Gli agricoltori agiati vestono giubbone di panno di lana bordiglione blu colla pistagna dritta larga quattro dita, sulla quale spandono un largo collare, che fanno uscire dalla camicia: sotto il giubbone portano la camiciuola bianca di tela paesana, lavorata a cordoncino, e stringono la vita con una fascia di tela blu con liste trasversali bianche. Di velluto o di felba sono i calzoni corti sino alle ginocchia, ove li abbottonano; di lana nera le calzette, o di cotone di colore turchino, e portano grosse scarpe di vitelli; la testa la coprono con lunghi berretti di lana color blu', che si fabbricano in Venezia. Taluni che vogliono parer bravi, precipuamente i giovani, aprono il berretto di fianco, e l'allacciano con nastri di seta nera, facendolo scendere più da un lato che dall'altro. Gli agricoltori non agiati vestono allo stesso modo, ma il giubbone ed i calzoni sono di tela paesana lavorata a cordoncino, color d'indaco; mancano spesso della fascia, parecchi vanno scalzi, e tutti portano il berretto ad uso di barberia color blu, ma di quelli che si fabbricano nel nostro regno, in Baronissi, provincia di Salerno. Il vestire de' vetturali poco o nulla differisce da quello degli agricoltori. I marinari vestono un pò più galantemente, e nel particolare lor vestire debbonsi vedere nei dì festivi. Il loro giubbone differisce da quello degli agricoltori nella pistagna, ch'è a rivolta a mo' degli abiti delle persone civili: adattano al collo un fazzoletto, usano la camiciuola di mussolina colorata, il calzone a striscie larghette, bianche e blù, lungo sino ai piedi, scarpe non tanto grandi come quelle degli agricoltori, fascia di seta di color rosso in mezzo alla vita; e portano in testa il berretto anche all'uso di barberia, chi blu, chi color tabacco, e chi rosso. Nell'inverno il basso popolo porta sopra gli abiti ordinarii il cappotto di arbascio, che varia nella forma, e massime nel cappuccio, secondo la diversa condizione e mestiere; generalmente però gli agricoltori, invece del cappotto, usano una specie di gabbano con maniche e cappuccio, che non scende più giù del ginocchio, e vien chiamato da loro landrino. Le donne di tutte e tre le condizioni vestono quasi ad un modo, poichè tutte usano la gonna, che nomano saja, e la tovaglia in testa, il che dà idea di uniformità di vestire a prima vista. Ma siccome la gonna sta unita con cucitura al resto che cuopre il busto formando una sola veste, vi è differenza significativa nella forma di questa parte superiore; talchè nel diverso taglio di essa si ha la distinzione del lignaggio, che il popolo per antica consuetudine distingue col nome, come abbiam detto, di jinea. Se un sarto si attentasse di modellare la saja di una donna diversamente dalla forma portata dalla madre, dall'ava, si sentirebbe tosto rimproverare che ciò non si può tollerare dalla sua jinea. Le donne di buona jinea portano il busto unito alla gonna, aperto innanzi al petto e chiuso con laccio di seta celeste, e così egualmente alle spalle. Le donne di più bassa jinea portano il busto nel davanti, aperto ed allacciato solo dietro le spalle. Le prime e le seconde poi, quando sono agiate, coprono le braccia con maniche di velluto nero che ligano al busto con nastri, e portano calze e scarponcelli a' piedi; le povere non coprono le braccia che colla sola camicia, e vanno a piedi scalzi. Sono pochi anni dacchè sacerdoti zelanti incaricati dal vegliantissimo Monsig. Franchini han cercato di persuadere alle prime un vestire più modesto, e si va introducendo l'uso di coprire il petto sin quasi sotto la gola, chiudendo il giustacuore con bottoni di metallo. In testa finalmente portano tutte una rete di filo o di cotone ricamata di color torchino, cui soprappongono la tovaglia consistente in un pezzo di tela bianca di lino, di cotone o di cambraja lungo palmi dieci, piegando in tre una porzione di esso (meno della metà) che fan venire innanzi alla faccia, e che vien rimandata in giù dalla fronte alle spalle, lasciando la rimanente porzione scendere in tutta la sua larghezza sino a mezzo palmo circa sopra il calcagno. L'abito di festa delle donne agiate consiste nell'indossare saja di seta color celeste o arancio, rete color cremisino o cilestre, tovaglia di lino oprato (41), portare grandi cerchi di oro alle orecchie, un vezzo di oro a forma di cuore innanzi al petto, calzette e scarponcelli: l'orlo della camicia si vede ornato di merletti.

(41) Detto da loro scic-gnac

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Giochi.

    Anni sono in occasione delle feste religiose, nelle ore vespertine era in uso la cosi detta Cuccagna, consistente in un'altissima antenna di bastimento ben liscia ed unta di sevo, alla cui sommità sospesi ad una ruota vedevansi varii oggetti da servire di premio a chi giungesse ad afferrarli. Il suono de' tamburi apriva la lizza, e ciascuno della plebaglia accorsa poteva tentare di salire per impadronirsi di quegli oggetti. Ora non più: si è abolito giustamente quest'uso a cagione de' molti inconvenienti soliti ad accadere.

    E' in voga dal Natale sino alla Quaresima il giuoco del cacio che si fa in luogo detto mura del casolajo, prendendovi parte a preferenza i mugnai, pe' quali spesso è causa di brighe e di risse. Consiste nello slanciare una forma di cacio, procurando di percorrere con cinque colpi la distanza convenuta.                        

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Pregiudizii.

     Le buone donne del basso ceto, massime degli agricoltori, hanno una certa renitenza di passare per lo spianato di S. Caterina, e nell'andare ad attingere acqua alla fontana del pozzo (per quest’acqua vi ha un fanatismo, e non vi è casa che manchi della brocca piena di acqua detta del pozzo), preferiscono di passare per la via della portagrande, benchè più frequentata: questa peritanza ha origine da una certa verecondia che provano nell’incontrare in S. Caterina persone civili. Fra i massai della città e gli agricoltori de' villaggi, nella vigilia di S. Nicola, a 5 dicembre, si usa bollire del grano per divozione al Santo, e sogliono lasciare sul focolare, e talvolta fuori la finestra una pignatta scoperta, perchè ( si dice più per immodesto scherzo, che per sciocca credenza) vi orini S. Nicola.--    Si crede mal augurio guardarsi di sera nello specchio. Nei tre ceti della gente bassa si osserva ancora che si suole abitare in un quartiere della città, non lo cambia giammai; dimodochè il vetturale ne patirebbe uscire dal Borgo per abitare il Baglio, come chi sta nel Baglio non dimorerebbe nel Borgo, e così degli altri.

 

Inclinazioni.

    Il popolaccio si getta facile alla ghiottornia; e parecchi tra lo gentame si danno anche alla beveria. Sono i Nicoteresi nel generale inclinatissimi agli spettacoli, e pieni di curiosità.

 

False credenze.

     Nel volgo, massime tra le femmine, si crede agli ammaliamenti, e si conoscono due o tre maliarde, ch’esercitano clandestinamente il loro cattivo mestiere, ingannando con mille imposture ed anfanìe la gente semplice ed ignorante. Non è poi che queste credano di essere maghe, ovvero facciano delle stregonerie con cattiva intenzione; il loro scopo è solo quello di profittare della sciocca credulità di chi ad esse si dirige per guadagnare. Le femminucce del volgo corrono alle medesime in cerca di incenso, di palme, e di rami di ulivi secchi, già benedetti nella Domenica delle palme, di che si servono per alcune fumigazioni contro gli ammaliamenti. Sono le medesime femine che conservano piccoli amuleti, che appendono al collo de' loro figliuoli, perchè non sian presi dal mal occhio; e particolarmente le donne de' marinari appendono un piccolo crostaceo incastrato nell'argento detto da loro la Purcejana (42). Di più conservano una pietruzza simile ad una corniola detta pulpo, il cui tatto credono che guarisca la malattia degli occhi, ed un'altra pietra delle spezie delle agate in forma rotonda, che portano in dosso le donne lattanti, perchè credono che in essa sia virtù di far durare ed aumentare il latte, e perciò la chiamano pietra di latte. Se qualche uomo o qualche donna del popolo dura in alcuna malattia, credesi tosto affatturato: laonde ricorre alla strega, perchè vuol’essere dalla stessa precantato o fummigato. Si ricorre infine alla strega, allorchè si perde qualche cosa, o si è rubato, ed allorchè si conchiude matrimonio, perchè essa sa trovare, dicono, i modi, onde si apprenda forte l’amore scambievole negli sposi, e s’ingeneri orrore pei rivali. Fanno ancora molto caso della imprecazione, e perciò nello accapigliarsi che spesso e volentieri avviene fra le donne, si sentono subito imprecarsi a vicenda avendo per sicuro che il male desiderato, imprecando, colga senza dubbio l'avversaria. L'imprecazione vien detta jastima.

Nel luogo dove avvenga omicidio, si mette una croce, e si crede che colà resti lo spirito dell'ucciso: dicono nel dialetto cà restau u spirdu. Quando l’agricoltore, l’ortolano vede vegetar rigogliose le sue campagne, per premunirsi contro gli effetti del mal’occhio, va egli collocando qua e là de’ fantoccioni curiosissimi, la cui testa consiste in un teschio o di cavallo o d'asino, creduti contrarii alla malia. Gli agricoltori credono ad una spezie d'almanacco tradizionale, prendendo auspicii da dodici giorni che corrono da 13 al 24 dicembre, per tutti i mesi dell'anno. Secondo essi il tempo buono o cattivo sarà ne' mesi come ne' giorni suddetti. Questi giorni si nominano da loro Catamisi, nome che forse viene dal greco Καταμηνυσω (indico) e corrispondono ai mesi come segue:

13 Dicembre al mese di Dicembre

14      "       al mese di Gennaro

15      "       al mese di Febbraro

16      "       al mese di Marzo

17      "       al mese di Aprile

18      "       al mese di Maggio

19      "       al mese di Giugno

20      "       al mese di Luglio

21      "       al mese di Agosto

22      "       al mese di Settembre

23      "       al mese di Ottobre

24      "       al mese di Novembre

    Si crede anche ad un cero influsso degli astri, e si ode spesso il villano Nicoterese dire:  è praneta!  quasi volesse dire: sono sotto cattiva stella. Finalmente vi sono delle donne che si tengono come peritissime nell'acconciare le dislocazioni e le fratture delle ossa, e nel medicare per strofinazioni i dolori muscolari; e però presso il volgo una donna di queste tali si vede preferita al più perito professore di chirurgia.

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(42) Le donne coll'appendere la purcejana al collo de' loro figliuoli, le attribuiscono gran potere come i Papuas di Dory ai loro feticisti, che portano anche al collo. 

                       

Letteratura popolare. Dialetto.

    Se riguardar vogliamo il dialetto come linguaggio di un'intera provincia possiam dire che in Nicotera si parla quello della Calabria ultra seconda con pochissime eccezioni; come a mo’ d’esempio si dice sgia per ja avverbio di luogo, che significa là o lì, e si pronunziano tutte le parole che terminano in ja je jo ju per sgia, sge, sgio, sgiu; infatti si dice vudesgu, vudesgia invece di vudeju, vudeja, che si dice in altri luoghi per budello, budella. In varie parole si allunga l’a in au con due suoni distinti; cosicchè il Nicoterese invece di dire caci per calce, atru per altro, dice cauci, autru ec. Se poi considerar vogliamo il dialetto come linguaggio tutto particolare di una città, è da dire che la lingua calabrese in Nicotera per generalità dei vocaboli è una per tutti i ceti, ma si osservano piccole differenze tanto di vocaboli che di pronunzia ne’ diversi rioni della città. Negli artefici il dialetto è misto a scorretti italicismi; gli agricoltori hanno modi e pronunzia lor propria, e similmente pe’ vetturali e marinari. L'agricoltore vi dice coll'è stretto che il terreno veni in piocisa, per darvi ad intendere che coltivandolo si sciolgono bene le zolle; la sua pronunzia è ruvida e grossolana. In bocca del marinaro udite sempre quell'effiminato suo intercalare di bona ura, mala ura, mentre nel borgo il vetturale vi parla con voce robusta, e nel volervi dire che ha l’asino ammalato di cimurro, vi dice haju u ciucciu cu a cimurria. Intanto può dirsi che la pronunzia del calabro-nicoterese nel generale non è molto spiacente: essa è dolce nelle persone civili e nelle donne che trattano in città, è chiara rotonda e robusta nell'agricoltore e nel vetturino, e però intelligibilissima, non stretta e nasale come quella che si ode nell'attigua provincia di Calabria Citra, ne' di larga gorga come quella delle persone delle vicine montagne.

 

Parole corrotte. Abbentu -- riposo, Animulu -- arcolajo, Arzijiari -- brillar di gioja proprio dei fanciulli, Bambacaru -- vantatore, Brazzia -- esempli gratia, Bumbula -- brocca per acqua, Camiari -- seviziare, Carcariari -- lo schiamazzare della gallina dopo ch’ebbe fatto l'uovo; Cudespina -- signora di garbo; Ddamusu -- luogo recondito della casa, Efrica, fari l'efrica -- mancar di parola. Frusciari, nel senso italiano -- fare quello spiraglio, che suole lasciare sulle tegole perchè entri la luce ed esca il fumo. Incaniari -- inasprire, Ipotisa – ipotesi, Manganu-- maciulla, Mbatula -- ingordo, Mughieri -- moglie, Musuntula-- meschina, il contrario di massaja, e si dice a donna, Nannu -- avo. Nautru a -- altro a, Pizzili -- tenace avaro, Scapizzacollu -- attaccabrighe, Siddiscanzi -- se Dio non voglia, Sgangata -- onta, Speculu -- scaltro, Jennaru -- genero, Spizziu -- piacere particolare, Tata -- padre, Tamarru -- rozzo, Tintu -- meschino, Malapanta -- imprecazione, Malapanta mu ti pigghia -- Che ti prenda ogni male.

    Varie sono le canzoni che si cantano dal popolo, che le distingue in canzoni di amore, di sdegno, di partenza, di proposta, di risposta ec. La seguente ci fu recitata da un nostro colono, e noi la trascriviamo tal quale egli pronunziavala.

Fighiuola cu t’ossi occhi afficiali

                                        Chi fannu la giustizzia d’amuri,

                                        Cumanda, si tu mi hai di cumandari

                                        O morti o vita o libertà mi duni,

                                        Ca pi l'amuri toi passu lu mari

                                        Passu scali di focu a dinocchiuni,

                                        E tandu bella ti dassu d’amari

                                        Quandu l'arburu siccu fa lu jhuri.

Adagi e Proverbj notevoli.

1.Si vuoi prestu mpoveriri, manda l’omini e no ne' iiri.

2.Omu di sabato e voi di Lunedì.

3.Lu cori eni giardinu; si no’ l'abbiviri, sicca.

4.Talivota petra disprezzata avi d’essere cantunera di Cresia.

5.Eni a Regina, ed avi bisognu da' vicina.

6.La cucchiara era di lignu e si ruppiu.

7.I guai di la pignata i sapi a cucchiara chi li miscita.

8.Ogni minima petra o trista grasta, alla maramma servi e cara custa.

9.Si la carni s’arrusti non si mangia.

10.Vali chiu' nu sdegnu ca centu amuri.

11.Jennaru siccu massaru riccu.

12.Frevaru curtu ed amaru.

13.Lu friddu di marzu trasi ntra u cornu du vuoi.

14.Lu friddu d’aprili, all'aria si vidi.

15.A maju na bon’acqua, e la stagiuni è fatta.

16.La comità fà l’omo latru.

 

1.Se vuoi presto impoverire, manda gli operai al tuo campo, e non andare ad assisterli.

2.Operajo di sabato, e bove di lunedi.

3.Il cuore è un giardino; se non l’inaffii, secca.

4.Talvolta pietra dispregiata dovrà essere cantone di Chiesa.

5.E' la Regina, e pure ha bisogno della vicina.

6.Il cucchiajo era di legno, e si ruppe.(1)

7.I guai della pignatta li sa il cucchiajo, che li mescola.

8. Ogni minima pietra, ed ogni meschino frusto di mattone serve al marame, e costa caro.

9.Se la carne si brucia, non si mangia.

10. Vale più un solo sdegno, che cento amori.

11.Quando gennajo è secco, il massajo sarà ricco.

12.Febbraro corto ed amaro.

13.Il freddo di marzo penetra nel corno del bove.

14.Il freddo di aprile si sperimenterà nell'aja.

15.A maggio una buona pioggia compirà bene la stagione.

16.La commodità, ossia l'occasione induce l'uomo a rubare

 

1) Si adopera da chi vuol dire ad un'altro: aveva adoperato il mezzo a farti il male, ma non valse ! Pazienza !

                                                                                                            

Bromologia. Nulla possiamo notare in questa rubrica che meriti veramente rinomanza, all’infuori delle acciughe, di cui si fa, come accennammo, abbondantemente smercio, salate e conciate in cognette.

                                                                                    

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