José Saramago, Cecità, Einaudi, 1996, 315 p. (Tascabili Letteratura)  

 

Il romanzo

Dal retro della copertina:

"In una città qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All’inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è così. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un "mal bianco" che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l’inizio di un’epidemia che progressivamente colpisce tutta la città, e l’intero paese. I ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato. Scoppia la violenza fra i disperati, violenza per sopraffare o soltanto per sopravvivere, in un'oscurità che sembra coprire ogni regola morale e ogni progetto di vita. Ma una donna che è miracolosamente rimasta immune dalla malattia si finge cieca per farsi internare e poter star vicina al marito. Un gesto d'amore diventa così la possibilità di restituire agli uomini una speranza collettiva, e toccherà a lei inventare un itinerario di salvazione, recuperare le ragioni di una solidale pietà. Saramago denuncia con intensità di immagini e durezza di accenti la notte dell’etica in cui siamo sprofondati. E paradossalmente, è proprio il mondo delle ombre a rivelare molte cose sul mondo che credevamo di vedere".



Le prime righe

Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell'omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell'asfalto, non c’è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero arrivare nell'aria la frustata. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c'è chi dice che questo indugio, in apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più significative cause degli ingorghi, o imbottigliamenti, se vogliamo usare il termine corrente, della circolazione automobilistica.

Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev’esserci un problema meccanico, l'acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un'avaria nell'impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente dell'automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l'automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l'uomo che sta dentro volta la testa verso di loro, da un lato, dall'altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello, Sono cieco.


Il commento

Un romanzo di una durezza e di un pessimismo estremo. Con immagini crude e violente Saramago riesce a descrivere, con estremo cinismo, tutte le contraddizioni della nostra società. I personaggi del romanzo, costretti a vivere reclusi in situazioni inimmaginabili all’interno di un ex ospedale psichiatrico amplificano le loro doti ed i loro difetti di esseri umani: viltà, coraggio, pietà volontà di sopraffazione.

Di seguito un breve passaggio in cui l’autore descrive la situazione in cui si trovano a vivere i ciechi in quarantena:

"… non c’è immaginazione, per quanto fertile e creativa in paragoni, immagini e metafore, che possa descrivere con proprietà la distesa di schifezza che c’è qua dentro. Non è solo lo stato cui si sono rapidamente ridotti i cessi, antri fetidi, come probabilmente saranno all’inferno le fogne delle anime dannate, ma è anche la mancanza di rispetto di alcuni o l’improvvisa urgenza di altri che, in pochissimo tempo, ha trasformato i corridoi e gli altri posti di passaggio in gabinetti che inizialmente erano occasionali e ormai sono diventati abituali. "

Rimane, in positivo, il potere della parola. Rievocativo di situazioni passate, nel momento in cui l’unica persona sfuggita alla cecità legge ai suoi compagni romanzi presi in una biblioteca.

"… Quella sera ci furono di nuovo lettura e audizione, non avevano altra maniera per distrarsi, […] Adesso non c’è altra musica all’infuori di quella delle parole, e le parole, soprattutto quelle dei libri , sono discrete, anche se la curiosità spingesse qualcuno del palazzo a mettersi in ascolto dietro la porta, costui non sentirebbe altro che questo mormorio solitario, questo lungo filo di un suono che potrebbe prolungarsi all’infinito perché i libri del mondo, tutti insieme, sono come dicono sia l'universo, infiniti. …"

La conclusione dell’opera, tuttavia, è permeata da un notevole pessimismo:

"… Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono. …"


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