L'Amico magico di Federico Fellini

Si stenterà a crederlo, ma realmente mi è difficile dire quando l'ho conosciuto. Potrà apparire retorico, ma mi sembra di averlo conosciuto da sempre. Il nostro non è stato un rapporto come tutti gli altri, ossia un rapporto che si sviluppa, cresce, decresce. È stato un rapporto che non ha mai subito mutamenti, oscillazioni. La prima volta che ci guardammo negli occhi, avemmo la sensazione come di esserci ritrovati, e ci affiancammo l'uno all'altro. Tutto avvenne in quel momento. Io Lo incotravo spesso alla Lux, in via Po; vedevo passare quell'omino mite, gentile, sempre sorridente, che cercava di uscire anche da una finestra, come una farfalla, avvolto com`era da un`atmosfera magica,irreale.Affascinava tutti proprio per la sua estrema disponibilità e nello stesso tempo per la sua totale assenza. In qualunque ambiente e in qualunque occasione lo si incontrasse, quali che fossero o potessero essere i motivi per i quali lo si incontrava, dava sempre l'impressione che fosse capitato li per caso, ma nello stesso tempo dava la sicurezza che si poteva contare su di lui, che poteva accompagnarti per un tratto...

Fu esattamente quello che avvennne fra me e lui. Ci incontrammo sull'ingresso della Lux e poichè io stavo andando via, lui si mise al mio fianco e mi accompagnò per un lungo tratto. Facemmo insieme, a piedi, tutta la via Po. Quando giungemmo al semaforo, io gli chiesi, facendo per salutarlo: " Tu dove vai? ". Mi rispose: " Io stavo andando alla Lux , debbo andare alla Lux".

Eppure, anche in questa sua vaghezza di rapporti, in questo suo modo di essere e di apparire, in questa sua inafferabilità. che davano la sensazione come di un bambino che attraversasse il Tritone in un momento di trafffico caotico, era l'uomo più preciso, più puntuale, più e pronto che si potesse incontrare. Era come "assistito" da qualcosa di impercettibile: passava, scivolava fra le cose, le difficoltà, gli eventi più rischiosi come protetto da un involucro magico, da un diaframma invisibile. Non credo che abbia mai sperimentato un contrattempo, lui che non aveva orologio, che non sapeva mai che giorno fosse, anzi che non sapeva neppure che mese fosse. Credeva che le ore 20 fossero le 10, e un giorno che doveva prendere l'aereo delle venti e trenta per Zurigo si presentò all'aeroporto verso le ventuno e un quarto convinto di avere ancora un bel tempo per bersi un cappuccino e comprare dei giornali. Alle dieci passata si avvicinò delicatamente al banco delle informazioni per sapere se c'era qualche ritardo. "L'aereo delle venti e trenta è gia partito signore - gli disse l'impiegato. - E in perfetto orario. Come in perfetto orario? - sorrise Nino tutto rosso - non sono ancora le dieci!". "Appunto", disse l'impiegato e lo fissava un po'allarmato. L'incredibile dialoghetto andò avanti per qualche tempo finchè una anziana signora s'intromise nella discussione e, credendo che Nino fosse uno staniero di chi sa quale paese, gli spiegò ad alta voce che qui in Italia le venti sono le otto. "Capisce? - diceva - Venti-otto, ventuno-nove, ventidue-dieci....". E Nino ringraziava stupito incredulo ripentendo: " Ma guarda un po', e io invece pensavo che le diciasette fossero le sette, le diciotto le otto... Che strano!". Questo che ho raccontato è l'unico episodio in cui la realtà lo abbia preso per cosi dire di contropiede, in cui il tempo gli si sia ribellato. Per il resto mai un contrattempo. Arrivava sempre all'ultimo momento, ma arrivava. L'aria un po' fatata che lo cirondava, come di vaga attesa di un prodigio, la comunicava anche agli altri. Se c'era lui, avevi sempre la sensazione che le cose non potessero mettersi in maniera obliqua o minacciosa, che potessero tradirti. Era una creatura che recava in sé una qualità rara, quella qualità preziosa che appartiene alla sfera dell'intuizione. Era questo prezioso che appartiene alla sfera dell'intuizione. Era questo il dono che lo manteneva cosi innocente, cosi aggraziato, cosi lieto. Ma non vorrei essere frainteso. Non era una sorta di maghino. No, tutt'altro. Quando si presentava l'occasione, o anche quando l'occasione non si presentava, diceva delle cose acutisasime, profonde, dava giudizi di un'esattezza impressionante sugli uomini e sulle cose. Come i bambini, come gli uomini semplici, come certi sensitivi, come certa cente innocente e candida, diceva improvvisamente delle cose abbaglianti...

Fra noi c'è stato subito l'intesa, un'intesa piena, totale, fin dallo Sceicco Bianco, il primo film che facemmo insieme. La nostra intesa non ha avuto bisogno di rodaggio: già c'èra. Io mi ero deciso a fare il cinema, come regista, e Nino esisteva già come premessa perchè continuassi a farlo. Nino non aveva bisogno di vedere i miei film. Durante le proiezioni, infatti, si addormentava spesso, cadeva in un sonno profondo, dal qual si risvegliava immprovvisamente per dirmi, magari, fissandosi sull'immagine ch gli passava in quel momento davanti agli occhi: "Com'è bello quell'albero!" Poi era costretto a vederli, dieci, venti volte, alla moviola, per studiare i tempi, i ritmi, ma era come se non li vedesse. Aveva un'immaginazione geometrica, una visione musicale da volta celeste, per cui non aveva bisogno di vedere le immagini dei miei film. Quando gli chiedevo quali motivi aveva in mente per commentare questa o quella sequenza, avvertivo chiaramente che le immagini non lo riguardavano: il suo era un mondo interno, in cui la realtà aveva scarsa possibilità di accesso. Ma nello stesso tempo, oltre che un grande musicista, era anche un grande orchestratore, in grado di organizzare una partitura orchestrale perfetta....

La musica entra nei miei film con i dischi mentre giro . La musica può condionare una scena, darle un ritmo, far mutar atteggiamento ad un personaggio, suggerire una soluzione diversa. I miei assistenti, ch lo sanno, fanno a gara per arrivare sul set con dischi antichi, o recentissimi. Ci sono dei motivi che mi porto dietro da anni, vergognosamente (La Titina, La marcia dei gladiatori) legati a precise emozioni, temi viscerali. E poi motivi che sento per caso, come Pratricia che ascoltai in un bar di Tor Vaianca da un juke-box e diventò uno dei motivi della Dolce Vita. Ovviamente che succede? Che quando ho finito di girare il film, mi affeziono a quella colonna sonora e non vorrei più cambiarla. Nino mi dava subito ragione, diceva che i motivi con i quali avevo girato erano bellissimi (anche se si trattava della più zuccherosa e sgangherata canzonetta). "È proprio quel che ci voleva - diceva- io non riuscirei a far mei niente di meglio". Diceva prorio cosi`, e intanto giocherellava con le dita sul pianoforte. "Che cosa era questo? - domandavo io dopo un po'. - Cosa suonavi?". "Quando?", diceva Nino con aria distratta. "Adesso - insitevo io - mentre parlavi hai suonato qualcosa". "Ah si? - diceva Nino. - Non so, non mi ricordo più". E continuava come per caso ad accarezzare i tasti qua e là, e mi sorrideva con l'aria di volermi tranquillizzare, non dovevo aver rimorsi o scrupoli, i dischi scelti erano bellissimi. E intanto continuava ad accarezzare i tasti del pianoforte.

Nascevano cosi i nuovi motivi del film che mi conquistavano subito, e mi facevano dimentivare le suggestioni delle vecchie canzonette che avevo usato durante le riprese. Io mi mettevo li, presso il piano, a raccontargli il film, a spiegargli cosa avevo voluto dire con questa o quell'immagine, con questa o quella sequenza, a suggerirgli come questa o quell'immagine avrebbero dovuto essere commentate musicalmente; ma lui non mi seguiva, si distraeva, pur se annuiva, pur se diceva di sì con grandi cenni di assenso. In realtà stava stabilendo il contatto con se stesso, con i motivi musicali che già aveva dentro di sè. Le sue ore più creative erano quelle che sequivano il tramonto, dalle cinque o le sei alle nove. In quelle ore era straordinariamente creativo, quelle ore favorivano il suo talento, il suo estro, la sua vocazione. Improvvisamemte, nel mezzo del discorso le mani sul pianoforte e partiva, come un medium, come un vero artista. Si produceva come una rottura del contatto, e sentivi che non ti seguiva più, non ti ascoltava più, come se i concetti, le spiegazioni, i suggerimenti ostacolassero il corso creativo. Quando si destava, io gli dicevo: "È bellissimo!". Ma lui mi rispondeva: "Non me lo ricordo già più" Erano delle catastrofi, alle quali in sequito facemmo fronte con i magnetofoni, con i registratori. Ma bisognava metterli in azione senza che se ne accorgesse, altrimenti il contatto con la sfera celeste si interrompeva...

Era una vera gioia lavorare con lui. La sua creatività te la sentivi così vicina che ti comunicava una sorta di ebbrezza fino a darti la sensazione che la musica la stessi facendo tu. Entrava nelle atmosfere, nei personaggi, nei colori dei miei film così pienamente da permearli della sua musica. Per me Nino era uno dei tre o quattro musicisti contemporanei. Era uno Musicista totale. Ho letto su di lui delle critiche riduttive ridicole. Viveva nella musica con la libertà e la felicità di una creatura che viva in una dimensione che le è spontaneamente congeniale. La nostra intesa era tale che abbiamo rischiato i tempi più stretti, le date di scadenza più draconiane, ma tutto poi si concludeva nella più gioiosissima sicurezza. La sicurezza che tutto sarebbe finito per il meglio con lui non ci abbandonava mei. Ricordo di lui un'immagine indimenticabile. Stavamo incidendo. In un grande salone, dietro una vetrata, c'erano gli orchestrali; presso gli orchestrali c'era il direttore; tutt'intorno microfoni, spie, congeni meccanici. Tutta un tratto Nino, in punta di piedi, come un fantasma, si portò presso un oboe e con una matita aggiunse delle note partitura. Erano questi i "miracoli" di Nino.

Al di fuori del mio lavoro la musica preferisco non sentirla. Mi condiziona, mi allarma, ne vengo posseduto. Mi difendo rifiuttandola, scappando via come un ladro dalle occasioni. Forse sarà ancora un condizionamento cattolico. Il fatto è che la musica mi immalinconisce mi carica di rimorsi, è come una voce ammornitrice che ti strugge perchè ti ricorda una dimensione di armonia , di pace, di compiutezza dalla quale sei stato escluso, esiliato. La musica è crudele. Ti gonfia di nostalgia e di rimpianto, e quando finisce non sei dove va. Sai solo che è irraggiungibile e questo ti rende triste. Non riesco a levarmi dalla testa quello che una volta un bambino domandò a Nino, e anche se sembra un patetico e dolciastro ricordino lo voglio raccontare lo stesso. "Signor Maestro - chiese questo bambino - dove va la musica quando finisce?". E si ostinava a cercarla in una stanzetta accanto. Non trovò la musica, ma una telefonista che gli diede un pezzetto di frittata. Meglio di niente! Io non posso sentire uno che picchietti che sono subito disturbato e succhiato in quella specie di respiro diverso che quel ritmo propone. Invece Nino, nel bel mezzo di una banda che suonava fragorosamente un suo motivo. riusciva a scrivere le note di un altro motivo che stava sentendo soltanto lui. Una sorta di operazione fachiresca che mi sgomenta! Arrivata alla fine, quando lo stress per le riprese, il montaggio, il doppiaggio era al massimo, ma come arrivava lo stress spariva e tutto si trasormava in una festa, il film entrava in una zona lieta, serena, fantastica, in un'atmofera dalla quale riceveva come una nuova vita. Ed era sempre una sopresa che Nino, dopo aver messo nel film tanto sentimento, tanta emozione, tanta luce, si girasse verso di me per chiedermi, alludendo al protagonista: "Ma quello chi è?". "È il protagonista". gli ríspodevo. " E che fa?", mi chiedeva, aggiungendo: "Tu mi dici mai niente!". La nostra era un'amicizia vissuta sui suoni. Cosa aggungere? Potrei dire tante cose, dopo più di vent'anni di collaboratzione. Ma ciò che di lui ricordo come la qualità che più lo contraddistingueva, era la sua lievità, una sorta di presenza-assenza. Questa sensazione di lievità, di presenza-assenza. l'ebbi anche alla Clinica del Rosario. Per la prima volta ho avuto la sensazione che un uomo era scomparso. Non morto, ma scomparso, quella strana, ineffabile sensazione di sparizione che mi aveva sempre dato quand'era in vita.

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