È stata la polizia in tenuta anti sommossa ad
accogliere a New York la tournée di Cindy Sheehan
per il ritiro delle truppe dall'Iraq. La madre che ha
perso un figlio «in questa sporca guerra per il
petrolio», dopo essere stata accampata per più d'un
mese in Texas davanti al ranch del presidente George
W. Bush senza riuscire a farsi ricevere, sta girando
l'America in autobus per promuovere grande
manifestazione per la pace
indetta questo fine settimana a Washington. Mentre
ricordava gli oltre 1.900 morti tra i soldati
americani e le decine di migliaia di vittime tra la
popolazione civile irachena di fronte alla folla
riunita nel parco di Union Square, sono intervenuti
gli agenti. Senza tanti complimenti hanno strappato la
spina del microfono e con i manganelli alla mano hanno
iniziato a disperdere il pubblico, composto
principalmente da madri di famiglia e veterani di
tutte le guerre. Le forze dell'ordine hanno quindi
arrestato Paul Zulkowitz, uno degli organizzatori,
prontamente incriminato per «uso non autorizzato
d'impianto d'amplificazione sonora e condotta
disordinata».

Mamma Pace ha potuto parlare più tardi nella
cattedrale di St. John the Divine nel quartiere nero
di Harlem, dove il 4 aprile del 1967 Martin Luther
King pronunciò il suo celebre discorso contro la
guerra in Vietnam. Il sacerdote giamaicano con i
capelli da rasta che la introduce sul pulpito spiega:
«Abbiamo subìto pressioni per non ospitare Cindy
Sheehan. Ma come poteva la nostra cattedrale chiudere
le porte a un'iniziativa dedicata alla giustizia e
alla pace?». Sul clergyman ha un distintivo che
recita: «Gesù non ha mai bombardato nessuno».

«In queste settimane mi sono sentita chiedere tante
volte: "'Se odi tanto l'America perché non te ne vai?"
- ha esordito la signora Sheehan - Io non odio
l'America, la amo. E per questo credo meriti di meglio
che l'amministrazione Bush. Faccio tutto questo per
mio figlio Casey, e perché nessuna altra famiglia
debba passare quello che ho passato io. Non mi fermerò
sino a che non avremo riportato le nostre truppe a
casa». A partire da venerdì nella capitale, insieme
agli esponenti di United for Peace and Justice,
incontrerà una delegazione di oltre cento fra deputati
e senatori. «La guerra in Vietnam è finita quando il
Congresso ha tagliato i fondi. Vogliamo che adesso
faccia la stessa cosa. Per rendere l'America più
sicura, gli elicotteri e i mezzi anfibi servono a New
Orleans, non in Iraq». Qualche migliaio di persone
applaude sotto le volte della cattedrale scandendo:
«Impeachment per Bush!». Il reverendo Al Sharpton ha
annunciato un'iniziativa per boicottare i reclutatori
dell'esercito nelle scuole: «Vengono nei quartieri
poveri a promettere l'università gratis e un lavoro
sicuro a chi si arruola. La verità è che nemmeno il
15% degli arruolati termina gli studi e i due terzi
dei senzatetto in città sono reduci di guerra».

Carlos Arredondo in Iraq ha perso un figlio di
vent'anni. «Sono un immigrato ed ero orgoglioso che
mio figlio fosse un marine degli Stati Uniti. Sino a
quando non ho capito che Bush ci ha presi tutti in
giro; che questa guerra era un inganno». Davanti
all'altare ha posato una fotografia del suo Alex in
alta uniforme; accanto un paio di scarponi e le
medagliette di identificazione. «È tutto quello che mi
hanno restituito di lui. Insieme a una medaglia d'oro
al valor militare». Fa girare la fotocopia dell'ultima
lettera che ha ricevuto. La data è del 19 gennaio
2003, la grafia incerta è quella d'un bambino. «Mamma
e papà, siamo in mare da tre giorni e ci stanno
addestrando in tattiche di combattimento urbano e
guerra chimico batteriologica. Presto sarò nel
deserto, alle porte di Baghdad. Tutto sta accadendo
così in fretta...». Il 31 maggio di quest'anno un
messaggio di posta elettronica firmato dal sergente
Jimmy C. Gary informa la famiglia: «Durante l'assedio
alla città di Najaf il caporale Arredondo per più di
tre ore ha risposto eroicamente al fuoco nemico. È
stato quindi ferito a morte mentre ispezionava le
posizioni difensive. Queste sono le uniche
informazioni disponibili al momento».

All'uscita dalla chiesa, tra le statue disposte lungo
la navata centrale, si nota quella d'un angelo mentre
sussurra all'orecchio d'un profeta. Il santo ascolta
sbigottito e si porta le mani nei capelli.

Anche gli statunitensi per la pace residenti in Italia
hanno organizzato un sit in davanti all'ambasciata Usa
di via Vittorio Veneto sabato 24 settembre
in contemporanea
con la manifestazione di Washington.