Il XV Congresso Nazionale della Cgil, riunito a Rimini dal giorno 1 al giorno 4 di Marzo 2006 approva la relazione del Segretario Generale Guglielmo Epifani, i contributi emersi dal dibattito e le conclusioni del Segretario Generale.

 

Il nostro percorso

 

Riprogettare il Paese: con questo obiettivo più di un milione e seicentomila lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati hanno partecipato al percorso congressuale della Cgil.  Un percorso che ci ha visto interloquire con i principali protagonisti sociali, economici, politici, della cultura e della società civile del nostro paese, e che ribadisce la totale autonomia programmatica e valoriale del più grande sindacato italiano e la nostra identità di forza di progresso.

Dopo quattro anni di intense battaglie e mobilitazioni per la pace, per i diritti e per una maggiore giustizia sociale la Cgil, che molti pronosticavano isolata e all’angolo, dimostra tutta la propria vitalità e  centralità, sociale e politica.

 

L’impostazione congressuale unitaria, che ha registrato l’esito di tesi alternative su cui si è espresso il voto delle iscritte e degli iscritti nelle assemblee, è stata premiata perché ha colto le attese delle nostre compagne e dei nostri compagni e la necessità, per il paese, di una Cgil forte e coesa nel rispondere alla grave crisi morale, civile, sociale, istituzionale ed economica che abbiamo di fronte; apprezzandone al contempo la funzione propositiva che sempre ha accompagnato lotte e proteste e realizzando una nuova e più avanzata fase di democrazia interna all’organizzazione, così come sancita dall’assise congressuale nazionale.

 

Questo congresso, che si è svolto in occasione della celebrazione del centenario, ha dimostrato non solo come le nostre radici affondano in un patrimonio storico fatto da donne e uomini che hanno sempre lottato per la difesa e l’affermazione dei diritti dei lavoratori, ma dimostra anche la nostra capacità di guardare avanti, proporre nuove sfide, fornire - come sempre è stato nei momenti più difficili del 900 - l’intelligenza e le energie migliori del movimento operaio e democratico alla causa della rinascita dell’Italia. 

La memoria è per noi quindi una componente fondamentale del nostro essere e il tempo non può farci smarrire il significato degli eventi passati, ne il valore attuale della nostra Costituzione nata dalla Resistenza e dalla lotta antifascista. Difendere la nostra Carta fondamentale dagli attacchi del centrodestra è per noi un tutt’uno con la nostra storia, la nostra identità, la nostra proposta generale. Per questo ci siamo impegnati nella raccolta delle firme per chiedere il referendum popolare sulla riforma costituzionale varata da questo governo e ci impegneremo perché i cittadini la respingano con il loro voto.

 

Il centenario della Cgil è stato ed è, infine, una grande occasione per parlare al paese e soprattutto a tanti giovani, molti dei quali incontrati anche recentemente nei movimenti per la pace, contro i provvedimenti del centrodestra su scuola e università, nei  diversi Forum sociali. Un’occasione per parlare del grande patrimonio umano, culturale e politico che il nostro sindacato rappresenta; protagonista, sin dalla sua nascita, di ogni battaglia di civiltà e dignità che ha accompagnato la trasformazione democratica, sociale e produttiva della nostra comunità.

 

Gli anni del centrodestra

 

Gli anni che ci dividono dal XIV Congresso sono stati anni in cui il paese è divenuto più povero, meno solidale, più chiuso: l’Italia che oggi siamo chiamati a riprogettare necessita di un grande sforzo programmatico, ideale, di passione civile dopo i disastri del centrodestra e dopo l’acuirsi di una crisi del nostro sistema produttivo senza precedenti.

 

L’Italia governata dal centrodestra è un’Italia in bilico, nei suoi assetti interni ed internazionali: con un senso della legalità, della morale e della responsabilità calpestato da leggi e atti politici che hanno inciso profondamente nella coscienza di questo paese (si veda per tutte l’attenuarsi della lotta alla mafia e alla grande criminalità organizzata e il contemporaneo attacco alla magistratura e alle istituzioni); con una coesione sociale sempre più precaria che ha visto svilire la funzione emancipatrice del lavoro e del sapere ed aumentare le diseguaglianze; con l’assecondare l’idea sciagurata per cui la democrazia sia esportabile con la violenza, partecipando ad una guerra deleteria innanzi tutto per la funzione di “grande potenza di pace” che, come Italia e come Europa, abbiamo sempre professato, soprattutto verso il vicino mondo arabo.

 

Una parte del paese, attraverso la rendita e la speculazione si è grandemente arricchita, mentre i salari e le pensioni sono stati profondamente intaccati; tanto è che mentre nei principali paesi europei la quota dei redditi da lavoro dipendente sul Pil si manteneva sostanzialmente costante, in Italia, negli ultimi trent’anni ,  è diminuita di quasi dieci punti percentuali.

Una diffusa precarietà sociale ha invaso ogni ambito della nostra vita, svilendo le intelligenze, le competenze e le aspettative di intere generazioni.  Il capitalismo dell’era globale, in Italia più che altrove, ha visto così il trionfo della finanziarizzazione dell’economia, della riduzione dell’impresa da fattore di sviluppo a strumento per profitti esclusivamente a breve periodo, anche attraverso una vera e propria “pirateria” di borsa, illegalità diffusa, mancanza assoluta di trasparenza.

 

E’ su questa basi materiali che si è  portata avanti, in questi anni, un’idea di sviluppo, di società, di relazioni basata sull’egoismo sociale, sulla separazione, sulla privatizzazione dei luoghi della cittadinanza: dalla legge 30 a quelle Moratti, dai numerosi condoni e dai decreti attuativi della delega ambientale alla legge fiscale, dalla Bossi-Fini fino alla Gasparri, dalle leggi ad personam alla pericolosa  riforma costituzionale, il centrodestra ha portato avanti una vero e proprio attacco alla democrazia, all’universalità dei diritti fondamentali, ai diritti del lavoro e della cittadinanza, alla libertà di informazione, alla coesione sociale.

 

La riforma costituzionale, in particolare, rappresenta il coronamento di un processo negativo che finirà, se non contrastata, per svuotare di senso i principi fondamentali alla base della nostra convivenza, secondo una visione anti solidale e anti democratica dei rapporti tra cittadini, istituzioni e territori.

 

In difesa della laicità dello Stato, la Cgil conferma e rafforza il proprio impegno, in nome di una concezione della libertà e della responsabilità pluralista; questo impegno assume come grande questione la battaglia per la difesa dei principi di autodeterminazione e libertà delle donne.

 

In questi anni si sono riproposte le ingiuste e fallimentari parole d’ordine contro l’immigrato che fugge dalla miseria e dalla fame; degli insider contro gli outsider; dei lavoratori garantiti contro i lavoratori precari; dei lavoratori regolari contro quelli in nero. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: aumentano i clandestini ricattati e sfruttati, aumenta il lavoro precario - soprattutto tra le donne - e quello sommerso, l’occupazione cresce solo per via delle regolarizzazioni ed è di scarsa qualità, diminuisce l’occupazione femminile stabile, molte imprese chiudono, speculano o delocalizzano, aumentano i poveri e gli emarginati, il divario tra il Mezzogiorno ed il resto del paese è tornato a crescere.

 

L’azione di contrasto della Cgil è stata quindi forte, commisurata alla gravità degli accadimenti e al fatto che le principali politiche del centrodestra portavano con sé la negazione totale dei valori di fondo e dell’identità del sindacato confederale. In diversi casi la nostra azione di contrasto è stata coronata dal successo, come dimostra da un lato la battaglia in difesa dell’articolo 18, contro la proposta di nuovo Testo Unico sulla salute e sicurezza, contro le leggi Moratti, dall’altra i rinnovi unitari di molti CCNL e la stipula di diversi accordi confederali territoriali.

Molto, però, rimane da fare, anche nella nostra azione di difesa contrattuale. Per affiancare al protagonismo delle nostre categorie e delle nostre camere del lavoro quell’iniziativa più generale che chiami in causa la parte migliore del paese, della sua classe politica, imprenditoriale, della cultura e dei saperi, occorre passare ad una nuova stagione rivendicativa.

 

 

Ripensare un modello di convivenza e di  sviluppo

 

Per la Cgil va ripensato l’attuale modello di sviluppo, in un contesto europeo e mondiale profondamente mutato.

 

La fine del sistema bipolare dopo la caduta del muro di Berlino e l’affermarsi di una forte identità sociale europea avrebbero potuto rappresentare l’occasione per il dispiegarsi di un reale sistema multipolare, basato su una maggiore solidarietà ed uguaglianza tra nord e sud del pianeta. Così non è stato però: l’aumentare dei conflitti e del terrorismo da un lato e l’emergere di un’unica cultura mercantilista dall’altro ha reso il nostro pianeta più insicuro e instabile, minando le basi del diritto internazionale a favore di una logica basata sulla  “privatizzazione” del pianeta. E’ questa una visione del rapporto tra paesi e tra popoli che non solo non condividiamo, ma che riteniamo sia destinata a produrre ulteriori lacerazioni e tensioni.  Alla globalizzazione dei mercati e alla logica delle armi deve essere contrapposta una globalizzazione della democrazia e della giustizia sociale, attraverso il dialogo, il confronto, la conoscenza e la comprensione reciproca fra uomini e culture.

 

La Cgil è impegnata ed intende mantenere, allora, un ruolo importante nel movimento internazionale per la pace e per la giustizia sociale. L’affermazione della pace e il ripudio di ogni guerra e di ogni terrorismo sono strettamente connessi con la promozione e l’estensione dei diritti del lavoro, dei diritti sociali e politici, in Italia e nel mondo. Per questo, in coerenza con l’art. 11 della nostra costituzione, la Cgil ribadisce la richiesta di un piano per il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq ed un nuovo ed immediato intervento dell’ONU, unico organismo autorizzato dal diritto internazionale al mantenimento della pace. La Cgil considera importante, inoltre, la convocazione di una grande Convenzione internazionale per la pace, promossa dalle forze sociali, i movimenti, i popoli di tutto il mondo.

 

Contestiamo alla radice l’idea per cui la disuguaglianza tra persone, popoli e stati possa essere il motore della crescita e dello sviluppo: per troppo tempo questo principio è stato accettato per legittimare le grandi ingiustizie della nostra epoca.

Non vi è pace e giustizia sociale possibile senza un profondo rilancio dei principi del diritto internazionale così come sanciti dalla Carta fondamentale delle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e senza una reale democratizzazione dei grandi  organismi economici internazionali: Wto, Banca Mondiale e Fmi per primi. Anche per questo la Cgil ritiene necessario impegnarsi perché politiche positive di contrasto alla speculazione finanziaria internazionale possano trovare presto attuazione, a partire dalla Tobin Tax.

 

L’affermarsi di una forte soggettività politica e sociale dell’Unione Europea, basata sulla valorizzazione del suo modello sociale, è allora condizione imprescindibile: da qui il rifiuto e la contrarietà a norme come quelle previste dalla direttiva Bolkestein che snaturano la funzione stessa di un modello di sviluppo alternativo a quello liberista.  Proprio rispetto alla direttiva servizi,  apprezzando i diversi passi avanti recentemente compiuti grazie alla mobilitazione del sindacato europeo, riteniamo necessario continuare in un’opera di consolidamento nei nuovi testi di quanto ottenuto e, contemporaneamente, di  contrasto verso le parti più ambigue e negative che ancora permangono. Norme  che continuano a negare quell’idea di Europa sociale, democratica e del lavoro che noi consideriamo irrinunciabile e che vogliamo sostenere anche attraverso il consolidamento delle esperienze di collaborazione transfrontaliera delle nostre strutture territoriali confinanti con i paesi recentemente entrati nell’Ue.

Così come è necessario assumere la questione dell’invecchiamento della popolazione come un dato strutturale delle società industriali che deve cambiare le scelte economiche e sociali dell’Europa. Non è infatti scontato che una società più anziana sia condannata al declino se si sarà capaci di utilizzare la risorsa anziani per contrastare la disgregazione sociale, costruire un sistema di sicurezza per le nuove generazioni e rafforzare per questa via la stabilità economica.

 

Altrettanto urgente, per indicare una via diversa e possibile, è procedere ad una reale cessione di sovranità dei sindacati nazionali a favore di quelli europei, al fine di dare gambe ed incisività al protagonismo dei lavoratori su scala internazionale. Un protagonismo che deve però vivere su una grande identità confederale, di tutela generale dei lavoratori e dei cittadini, rifiutando approcci corporativi e nazionalisti e che scommetta su un nuovo livello contrattuale  specifico per la dimensione internazionale dell’impresa.  In particolare a livello europeo occorre definire prime forme di sperimentazione di contratti collettivi cogenti per tutti.  Con la costruzione del nuovo sindacato internazionale sarà altresì necessario impegnarsi per definire prime piattaforme sindacali multinazionali, assumendo come prioritaria la rivendicazione dell’estensione dei diritti sociali minimi stabiliti dalle convenzioni internazionali dell’ILO in tutte le contrattazioni che hanno dimensione globale. 

 

Scommettere sulla giustizia sociale e sulla sostenibilità ambientale è il modo migliore per costruire un rapporto positivo tra economie e culture, e quindi tra popoli e governi, per rendere sostenibili gli stessi tassi di crescita nei paesi emergenti e più trasparente il mercato e il flusso delle merci.  Noi non condividiamo l’idea del mercato in grado di autoregolarsi ne che, in suo nome, si possano sacrificare i diritti e le libertà di chi è nato e di chi deve ancora nascere, tanto nel Nord che nel Sud del mondo.

 

 

Lavoro, saperi, beni comuni, ruolo del pubblico: le coordinate per uscire dalla crisi italiana

 

L’impegno della Cgil è quello di rimettere al centro della politica e dell’economia la funzione sociale del lavoro,  strumento fondamentale di libertà ed emancipazione; fare di un sapere diffuso lo strumento principale per uno sviluppo di qualità del nostro sistema produttivo; riconoscere i grandi beni comuni, tra cui la salute, l’acqua, la conoscenza, come basi materiali dei diritti di cittadinanza;  rilanciare il ruolo del pubblico e la responsabilità collettiva e diffusa come unica via al governo della complessità, alla diversificazione e al miglioramento dei sistemi economici, produttivi, sociali.

 

Sono queste, per la Cgil, le coordinate per una nuova politica adatta a riprogettare il paese, in un contesto europeo che valorizzi a pieno il suo modello sociale. Queste le parole chiave per rispondere alla crisi della democrazia contemporanea.

 

Si pone di fronte a tutti noi, infatti, la questione di un salto di paradigma; un salto basato sull’assunzione dell’ambiente, della ricerca pubblica (in particolare quella di base) e della sostenibilità sociale come elementi fondanti che,  nella piena, stabile e buona occupazione,  trovano lo strumento per affermare una crescita qualitativa del sistema produttivo italiano, investendo nel sapere e nella formazione come volano e come garanzia contro una precoce selezione sociale dei giovani, e in un welfare di cittadinanza più inclusivo come rete di accompagnamento delle grandi trasformazioni-riconversioni dell’apparato produttivo. Per la Cgil le politiche di welfare sono infatti “motore di sviluppo”, non una spesa, ma un investimento nel senso proprio del termine.

 

Per questo riteniamo che la redistribuzione di risorse e potere verso i lavoratori sia oggi la condizione necessaria e non eludibile per procedere sulla strada della ripresa, e che non siano possibili politiche dei due tempi. L’unico risanamento e sviluppo praticabile passa attraverso il ridare, prima, ai lavoratori pubblici e privati, ai pensionati, ai bambini e ai cittadini quegli strumenti e quei diritti per troppo tempo negati o compressi. Le risorse necessarie per una politica di sviluppo che sia prima di tutto una politica redistributiva vanno quindi reperite a partire da dove vi è stato arricchimento in questi anni, speculazione, evasione, lavoro nero. Rifiutare la politica dei due tempi è per noi tutt’uno con una più generale “questione morale nazionale” che richiami tutti alle proprie responsabilità.

 

Per questo punto centrale della nostra proposte è la richiesta di una immediata politica di giusta redistribuzione; rivendichiamo un nuovo patto fiscale che esplicitamente assuma la crescita dei redditi da lavoro e da pensioni, aumenti le tassazioni delle rendite finanziarie e dei patrimoni, faccia della lotta all’economia sommersa una delle priorità del prossimo Governo.

Chiediamo da subito un’immediata fiscalizzazione contributiva sui salari più bassi; la restituzione del drenaggio fiscale; la riduzione del carico fiscale sulle pensioni, dentro una strategia più complessiva di recupero del loro potere d’acquisto; il ritorno ad una progressività del prelievo fiscale, anche  per ridare slancio al mercato interno e alla capacità di consumo di milioni di cittadini.

 

La Cgil si impegna, altresì,  ad aprire vertenze a livello nazionale, regionale e locale per mettere sotto controllo i prezzi degli alimenti, dei medicinali, delle prestazioni sociali, delle imposte e degli affitti per la casa, delle tariffe dell’energia e dei servizi, con misure equitative per i redditi più bassi, adottando anche opportune modifiche al paniere Istat in relazione ai diversi livelli di reddito e alle diverse tipologie di consumo delle famiglie, nella loro varia composizione generazionale e sociale.

 

Occorre chiamare, infine, l’impresa italiana alle proprie responsabilità: per troppo tempo si è riconosciuta una centralità politica all’impresa, errata ed ingiusta, a scapito del lavoro. La Cgil chiede alle imprese e alle loro associazioni di rappresentanza di dire quale sarà il loro contributo allo sviluppo; il loro contributo a penalizzare comportamenti poco lungimiranti. La Cgil ritiene che sia venuto il momento per una reale discussione sul modello capitalista italiano e sul ruolo di responsabilità, indirizzo, controllo, propulsione che il pubblico è chiamato a ricoprire. Cioè sulle energie, le risorse e le intelligenze che lo Stato e il pubblico da un lato, il sistema di impresa dall’altro devono mettere a disposizione del paese e dei suoi cittadini, assumendo l’etica della responsabilità come valore di riferimento.

 

In particolare qualificare l’impresa vuol dire intervenire sulla sue condizioni strutturali, sulla sua capacità di innovazione, sulla sua regolarità contributiva e fiscale, sulla sua responsabilità verso i lavoratori, il territorio, la comunità.  Per troppo tempo il sindacato da solo ha evidenziato i limiti del nostro capitalismo, le sue storture, le sue inadeguatezze, le sue stesse mutazioni “genetiche”. Occorre saper sfidare la parte migliore dell’imprenditoria italiana per crescere, innovare, partecipare alla nuova divisione internazionale del lavoro, sapendo occupare posizioni avanzate.

Occorre tornare a responsabilizzare l’impresa in tutte le sue componenti, sapendo mettere a frutto le energie comuni disperse dagli atteggiamenti e dalle strategie sbagliate del vecchio gruppo dirigente di Confindustria e , oggi,  da una mancanza di coerenza e da un’incertezza nel mettere fino in fondo in discussione rendite e privilegi. Come dimostrano gli stessi tentativi di scommettere ancora sulla riduzione del costo del lavoro e dei diritti quali volano per la crescita.

Su questo occorre sfidare tutte le grandi organizzazioni datoriali, da quelle industriali, della cooperazione, del commercio e servizi,  fino alle piccole imprese artigiane, ai vecchi e nuovi professionisti.

 

Promuovere l’inclusione sociale, combattere la precarietà e il lavoro nero per una piena cittadinanza.

 

Combattere la precarietà per la Cgil vuol dire cancellare la legge 30, ma soprattutto: dare nuova centralità al contratto a tempo indeterminato; ripensare in profondità il mercato del lavoro attraverso l’estensione del concetto di lavoratore economicamente dipendente con una modifica dello stesso codice civile; avere nuove norme a salvaguardia dell’unitarietà dell’impresa e del ciclo produttivo; estendere e universalizzare gli ammortizzatori sociali; tutelare la dignità dei lavoratori disabili e svantaggiati. Il tutto secondo le proposte già avanzate nei diversi appuntamenti programmatici della Confederazione. E’ questo un obiettivo fondamentale per combattere da un lato il senso di vulnerabilità e incertezza che comprime le migliori energie e aspettative delle giovani generazioni e dall’altro per dare loro una prospettiva positiva per il futuro. Le proposte della Cgil puntano a ristabilire quella centralità delle organizzazioni sociali e della contrattazione collettiva che il legislatore ha sottratto alla libertà delle parti sociali, disconoscendo il confronto (e anche il conflitto) come parte integrante di un complesso sistema di relazioni industriali.

 

Contrastare il lavoro nero e l’evasione fiscale per la Cgil deve essere un impegno strategico a cui chiamare le istituzioni e le imprese per eliminare l’altra faccia dell’attuale crisi produttiva e sociale, recuperando al sistema quel 20% del PIL sottratto annualmente. Vuol dire restituire dignità e futuro a quattro milioni di uomini e donne, premessa per ogni politica seria e sostenibile di rilancio dell’economia italiana e del sistema di protezione sociale. La Cgil assume quindi l’impegno per una grande campagna di mobilitazione a partire dai prossimi mesi contro l’economia sommersa, proponendo alle parti sociali e alle istituzioni un percorso che possa giungere ad un “Accordo per la legalità e l’emersione del lavoro nero”. Una campagna di civiltà, che sappia sconfiggere anche la più grande vergogna oggi possibile per una società moderna: lo sfruttamento dei bambini e delle bambine.

 

Occorre dare nuova centralità ad una battaglia per la salute e sicurezza dei lavoratori, estendendo le funzioni dei rappresentanti per la sicurezza, rafforzando il ruolo dei servizi ispettivi e di presidio del territorio e inasprendo le sanzioni e la loro reale esigibilità; per ideare e realizzare una società in grado di accogliere i cittadini e lavoratori stranieri (da qui l’impegno prioritario per la cancellazione della Bossi-Fini, nonché l’introduzione del permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro e il diritto di soggiorno per gli immigrati che denunciano i datori che ricorrono al nero);  per incidere sulle vecchie e nuove forme di esclusione che attraversano i tessuti delle nostre città e metropoli (a partire dal diritto negato alla casa); per rendere effettivo il protagonismo attivo della terza età.

 

Per questo, la Cgil ritiene strettamente intrecciati alla più generale strategia di rilancio del nostro paese, alcune priorità:

 

- fare dei sistemi educativi, senza ambiguità alcuna verso i provvedimenti del centrodestra, parte integrante di una nuova etica collettiva e di una reale politica di inclusione, con interventi mirati a consolidare il sistema di istruzione, formazione e ricerca. Mentre tutti gli indicatori ci segnalano una caduta dei livelli formativi in tutti i cicli dell’istruzione, il sapere è per noi il motore fondamentale di nuova crescita ed emancipazione; attraverso la cancellazione dei provvedimenti Moratti, l’innalzamento dell’obbligo scolastico da subito a 16 anni ed entro la prossima legislatura a 18,  la valorizzazione dell’università, della scuola pubblica e di un sistema formativo per tutto l’arco della vita come strumenti di reale mobilità per tutti, senza distinzioni alcune e investendo sugli insegnanti, i docenti, i ricercatori;

 

- riconoscere la conoscenza e il sapere come garanzie dell’accesso ai diritti e indicatori della qualità dello sviluppo collettivo. In questo ambito è centrale la capacità di programmare e investire in attività di ricerca: ricerca di base e libera, per consentire la crescita dei talenti creativi, costituire un serbatoio di conoscenze accessibili a tutti, non privatizzabili, e per costituire il serbatoio di idee e sinergie su cui fondare lo sviluppo tecnologico; ricerca applicata e finalizzata, per trasferire al sistema socio-economico i frutti delle frontiere ultime del progresso. In questa complessa articolazione di sistema, il ruolo del pubblico è decisivo per la missione di diffusione e crescita del sapere per tutti e tutte, ai fini del bene collettivo;

 

- ridare centralità alla funzione del pubblico: sia le politiche nazionali che locali devono recuperare e valorizzare lo spazio pubblico e il ruolo dello Stato, ripensando l’attuale politica di liberalizzazione, privatizzazione e di esternalizzazione (processi finalizzati prevalentemente a “fare cassa”, sostituendo monopoli pubblici con monopoli privati, che non hanno favorito né una generale riduzione delle tariffe, né tanto meno un miglioramento della qualità del servizio offerto ai cittadini).  La Cgil chiede perciò più risorse per i dipendenti pubblici, della scuola, dell’università, della ricerca e per le forze di sicurezza; maggiori investimenti per la loro qualificazione; una generale stabilizzazione dei troppi precari che ne garantiscono i servizi ordinari e le importanti funzioni sociali, solidali e di sviluppo a questi connessi;

 

- riconoscere la sostenibilità sociale come variabile indipendente dalla crescita e una qualità alta del modello sociale come fattore di sviluppo e buona occupazione. Per questo è necessario non solo rafforzare i sistemi di protezione sociale, con una visione universalista degli interventi, ma anche estendere e rafforzare una rete integrata di servizi che sostengano sul territorio l’autonomia delle persone e le responsabilità famigliari. Non è infatti possibile rispondere ai bisogni sociali con i soli trasferimenti monetari ma è necessario, invece, riconfermare la responsabilità e il ruolo pubblico nel garantire l’esigibilità dei diritti di cittadinanza. In questo quadro di riferimento le priorità sono: la rete di nidi e servizi per l’infanzia; integrazione dei servizi sociosanitari; l’istituzione di un fondo nazionale per la non autosufficienza, alimentato dalla fiscalità generale. Va inoltre sostenuta e qualificata la rete del no profit e del volontariato che può contribuire alla produzione di beni sociali e al contempo incentivare una pratica di democrazia partecipata attraverso l’esercizio della cittadinanza attiva;

 

- cambiare radicalmente la controriforma pensionistica del centrodestra, giungendo subito alla definizione di una giusta legge sul trattamento di fine rapporto; garantendo un trattamento pensionistico adeguato ai  lavoratori discontinui e a termine, i cui costi salariali e contributivi devono, per questo, essere maggiori rispetto a quanto previsto per i lavoratori subordinati a tempo indeterminato;

 

- avviare una politica sistematica di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le lavoratrici, attraverso il rafforzamento di servizi e l’applicazione della legge sui congedi parentali. La Cgil si impegna inoltre a favorire l’occupazione delle donne anche tramite un “investimento” contrattuale di tutte le categorie sul part-time scelto e regolato, secondo le migliori esperienze presenti nei diversi settori.

 

 

Un paese senza industria, servizi avanzati, infrastrutture e fonti energetiche adeguate non ha futuro

 

La Cgil ritiene indispensabile un profondo rilancio dell’industria e del terziario nei settori più strategici, attraverso politiche settoriali di sistema, in grado di aumentare il grado di innovazione contenuta nei prodotti, nei processi e nella stessa organizzazione produttiva. 

 

Il nostro paese, per essere competitivo in Europa e nel mondo non può indebolire la sua vocazione industriale. Ciò presuppone un preciso e qualificato progetto di politica industriale basato su alcuni determinanti capisaldi quali la ricerca, l’innovazione tecnologica, la formazione e riqualificazione, le infrastrutture materiali e immateriali. Una strategia di politica industriale basata sull’innovazione e la ricerca per sostenere sia l’industria manifatturiera che i settori ad alta tecnologia e di maggiore prospettiva, anche in funzione di una internazionalizzazione delle imprese italiane, in grado di  contrastare meglio le delocalizzazioni finalizzate alla competizione sul mero costo del lavoro.

 

Le cause del declino sono molte e strutturali: mancanza di un welfare in grado di sostenere i nuovi rischi sociali, scarsità di etica pubblica, diminuzione del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati, contraddizioni nelle diverse specializzazioni produttive, assenza di investimenti in ricerca, inadeguatezza del sistema formativo, nanismo aziendale, fragilità delle strutture proprietarie, carenza di infrastrutture materiali e immateriali, ristrettezza e parzialità del mercato creditizio, difficoltà di personalizzazione dei servizi alle imprese, svilimento delle funzioni propulsive e di accompagno delle pubbliche amministrazioni, mancanza di fonti energetiche pulite in grado di ridurre i costi di lavorazione. 

 

Una verità è però evidente: senza una forte industria nel paese non è possibile nessuna ripresa e nessuna crescita. Per questo rivendichiamo una politica industriale lungimirante e una vera e propria programmazione degli “investimenti strategici”, in grado di mettere in rete e di favorire una nuova collocazione internazionale del made in Italy.

 

Per questo è prioritario un rinnovato e più forte ruolo dello Stato e della Pubblica Amministrazione, a livello nazionale e locale, anche attraverso la programmazione, il controllo e il rafforzamento di scelte di gestione nei settori dell’energia e dell’ambiente. E’ infatti evidente che occorre reagire con l’attivazione urgente di politiche che sappiano invertire e costruire un ambiente favorevole allo sviluppo, proprio a partire dal riconoscimento del ruolo e del valore del lavoro e dell‘industria nella crescita e nella costruzione del benessere, utile per l’ intero Paese, in un rapporto nuovo e trasparente verso gli stessi consumatori.

 

Conseguentemente, particolare attenzione dovrà avere l’individuazione delle priorità nel settore delle infrastrutture, consapevoli che il risanamento del territorio e l’investimento in energia pulita rappresentano la prima grande opera di cui l’Italia ha bisogno. La Cgil ribadisce altresì la propria contrarietà allo snaturamento del ruolo della protezione civile operato dal governo di centrodestra.

 

La Cgil, evidenziando l’essenzialità di processi condivisi e democratici di partecipazione dei lavoratori e dei cittadini nella determinazione di importanti interventi che coinvolgono il territorio e la vita associata,  ritiene strategico investire su fonti energetiche alternative al petrolio, rinnovabili e pulite, valorizzando le esperienze migliori diffuse in Europa. Considera altresì necessario superare i limiti dell’attuale sistema infrastrutturale, evitando sprechi e inutili opere faraoniche, e scommettendo sul trasporto ferroviario e sulle autostrade del mare, come contributo essenziale prima di tutto al rilancio del Mezzogiorno.

 

Al contempo non è più rinviabile una profonda riforma del sistema creditizio e bancario che completi i processi avviati negli ultimi anni, chiamando il sistema finanziario ad una responsabilità verso il paese e la sua ripresa, con particolare attenzione all’investimento di rischio, al sostegno alla crescita dimensionale e al miglioramento delle piccole imprese. L’organizzazione tutta deve impegnarsi per un’opera di forte sostegno alla crescita qualitativa del terziario, dei suoi settori strategici, a partire dai servizi alle imprese e dal turismo.

 

In questa direzione la Cgil rivendica il ruolo fondamentale della contrattazione e del confronto confederale tra le parti sociali e le istituzioni: strumenti non solo di difesa dei diritti e dei salari, ma di governo condiviso dei processi di rilancio complessivo  dell’economia.

 

 

Riprogettare il paese vuol dire riprogettare il Mezzogiorno

 

Il paese non può uscire dalla sua crisi morale, civile, sociale ed economica senza scommettere sul Mezzogiorno. La questione meridionale va quindi ricollocata interamente nella prospettiva di sviluppo del paese, nella quale il sud può avere un futuro se opera come sistema, giocando un ruolo cruciale nel Mediterraneo e diventando il riferimento per l’Europa nel rapporto con l’Oriente, il  ed i Balcani. Il Mezzogiorno può vincere queste sfide se supera quindi le proprie fragilità economiche e sociali e se, come precondizione per lo sviluppo, sia da tutti assunta fino in fondo la questione prioritaria della definitiva sconfitta della mafia e di ogni forma di criminalità organizzata. 

 

Indirizzare azioni di sviluppo, accrescere e consolidare le produzioni già presenti in quest’area geografica, è un’opportunità per l’Italia intera. Guardare con attenzione allo sviluppo già in atto nei diversi Paesi che si affacciano sul Mediterraneo significa cogliere, anche tramite la promozione di un Forum Internazionale permanente dei paesi che vi si affacciano, una domanda insieme di crescita di quei mercati e di creazione di attività produttive e servizi nel Sud. Fare della filiera agro alimentare, del grande patrimonio ambientale, culturale e artistico i settori di punta di un grande rilancio economico è la vera scommessa nazionale. Occorre altresì investire sulla lotta alla dispersione e all’analfabetismo, sulla società della conoscenza e sull’innovazione delle Pubbliche Amministrazioni, come operazione strategica per il Mezzogiorno; accanto ad un investimento programmato e condiviso sul sistema dei trasporti e della logistica, assumendo l’esigenza di nuove e più efficaci reti infrastrutturali come condizione indispensabile per orientare lo sviluppo del territorio verso l’area mediterranea.  Al sud vi sono, del resto,  molte delle risorse migliori oggi disponibili nel Paese, notevolmente sotto utilizzate  per incuria e per precise scelte politiche. Nel quadro di rinnovate politiche industriali la Cgil ritiene essenziale individuare, infine, misure ed interventi specifici per la crescita qualitativa dei sistemi industriali meridionali, rafforzando prima di tutti i tessuti e distretti esistenti.

 

Ai necessari interventi di natura territoriale, principalmente nelle competenze delle Amministrazioni locali attraverso la programmazione di un corretto orientamento e utilizzo delle risorse pubbliche, della fiscalità di vantaggio, dell’adozione dei Protocolli di legalità sugli appalti, di una specifica, mirata ed imponente strategia contro il lavoro nero, deve accompagnarsi l’intervento selettivo del Governo nazionale. La Cgil rivendica quindi l’attuazione dell’importante accordo siglato tra le parti sociali per lo sviluppo del Mezzogiorno, dove sono state individuate misure, tempi e risorse possibili per una seria politica per il Sud.

 

 

Centralità del contratto nazionale, ruolo della contrattazione decentrata e della contrattazione confederale territoriale

 

La Cgil ritiene indispensabile il mantenimento di due livelli di contrattazione, riaffermando il ruolo del contratto nazionale di lavoro quale strumento universale di garanzia dei diritti fondamentali per tutte le lavoratrici e i lavoratori, di incremento del potere di acquisto delle retribuzioni.

 

Per la Cgil il 2° livello contrattuale nelle sue articolazioni (aziendale, di gruppo, sito, filiera, distretto, territoriale) deve estendersi e riqualificarsi (escludendo qualsiasi funzione derogatoria rispetto ai CCNL), rafforzando il ruolo delle RSU al fine di intervenire con piena titolarità nel negoziato su tutto ciò che attiene l’organizzazione, gli orari e le condizioni di lavoro. La Cgil ritiene importante valorizzare  il coordinamento contrattuale relativo alle filiere produttive per ricomporre l’unitarietà dei cicli produttivi e del valore del bene-servizio.

 

Le proposte finora avanzate da Confindustria non sono da noi condivise; per la Cgil è obiettivo prioritario rilanciare il ruolo e le funzioni di autorità salariale e normativa della contrattazione, nonché di intervento preventivo sulle strategie industriali. Questa é la risposta reale sia alle ipotesi di contratti leggeri che ai cosiddetti federalismi contrattuali, interventi questi che svuoterebbero la contrattazione collettiva del ruolo di redistribuzione di diritti, di aumento del salario contrattuale e di effettiva ed equa redistribuzione della produttività.

Risultati che dovranno in più essere difesi e sostenuti da  politiche sociali e fiscali solidali, che valorizzino il ruolo del lavoro nell’ambito della produzione della ricchezza reale del Paese.

 

Alla richiesta di aprire un tavolo negoziale per la riforma del modello contrattuale, la Cgil ribadisce l’importanza di un modello unico per tutti i settori sia privati che pubblici e risponde che prima di iniziare la trattativa è indispensabile ricercare una posizione sindacale unitaria, che contenga anche le regole condivise di democrazia da adottare per la pratica contrattuale, in modo da garantire la validazione certificata delle piattaforme e degli accordi, il cui valore sia riconosciuto e valido per l’intero mondo del lavoro. Per questo la Cgil proporrà a Cisl e Uil la ripresa del confronto al fine di costruire una proposta complessiva unitaria, da sottoporre alla verifica dei lavoratori e delle lavoratrici.

 

La Cgil ribadisce inoltre la validità della contrattualizzazione del rapporto di lavoro per tutti i lavoratori pubblici, del sistema di relazioni basato sull’Aran il cui ruolo va rilanciato. In questo quadro la Cgil ritiene necessario battersi per l’ estensione della contrattazione.

 

La Cgil ritiene fondamentale, infine, la contrattazione confederale territoriale, investendo nella capacità di essere soggetto attivo nella contrattazione di quote di salario sociale e nella contrattazione dell’allocazione delle risorse pubbliche, dei programmi territoriali e degli investimenti per lo sviluppo e la crescita; anche attraverso un sistema di tutele e promozioni locali in grado di alimentare una democrazia e una partecipazione sostanziale alla vita delle comunità. Promuovere politiche di inclusione significa infatti agire sul ruolo dei territori e delle città, sulle priorità negli investimenti, sulle politiche di inclusione sociale, sulla tutela dei diritti, sulle possibilità che gli stessi cittadini hanno di promuovere benessere per loro stessi e per la collettività. In questo contesto appare fondamentale il ruolo della Cgil e delle sue categorie e associazioni, ognuno con il suo ruolo e le sue competenze.

 

 

Una diversa politica per il futuro del paese

 

In ogni occasione istituzionale le idee e le proposte della Cgil sono state avanzate al governo in carica, che però ha lasciato cadere qualsiasi volontà di dialogo, di confronto, di risposta.  Gli stessi accordi stipulati fra le parti sociali sul Mezzogiorno, sulla formazione, ecc. sono rimasti lettera morta.  Il governo non ha sentito neanche il dovere di rispondere alle richieste unitarie di incontro, quand’anche per esplicitare la propria contrarietà.

Per questo e per le responsabilità che il governo porta per la situazione del paese, oggi le nostre proposte vengono avanzate innanzitutto al centrosinistra, chiedendo prima di tutto un metodo di confronto rispettoso del nostro ruolo e di chi i sindacati confederali rappresentano.

 

Oggi che il programma dell’Unione è stato varato, la Cgil vi trova una sintonia di analisi: una valutazione comune dello stato del paese; una volontà di radicale cambiamento, per non rassegnarsi al declino; una disponibilità ad un rapporto positivo con le organizzazioni sindacali.

Il paese ha bisogno di discontinuità e cambiamenti concreti: pesa sull’Unione la grande responsabilità di far prevalere nel consenso democratico la necessità di una svolta radicale a favore del lavoro, dei redditi più bassi, delle imprese che vogliono competere sulla qualità.

 

La Cgil dice chiaramente a chi si candida a governare il paese che occorre unire quello che è stato diviso, ampliare le reti di coesione e solidarietà, contrastare la precarietà, dare qualità, efficienza e terzietà alla macchina amministrativa, fare della conoscenza lo strumento di un diverso modello sociale e di sviluppo, combattere la criminalità organizzata e il lavoro nero. Con la consapevolezza che riprogettare il paese non sarà impegno facile, né di breve durata; e questo richiede unità, costanza, determinazione, coraggio.

 

E’ in questo quadro che la Cgil indica la necessità di un nuovo patto fiscale e di una valorizzazione piena della funzione sociale del lavoro e della buona, stabile e piena occupazione, come basi di una rinnovata coesione sociale e di una nuova etica pubblica. Nell’ottica di un auspicabile accordo di legislatura, teso a consolidare un nuovo patto di cittadinanza e di uguaglianza tra cittadini.

Solo così si potrà riconnettere, nella distinzione dei ruoli, rappresentanza sociale e rappresentanza istituzionale, affinché la politica ritorni ad essere una funzione di servizio verso i lavoratori e cittadini.

Se questo avverrà, per la Cgil sarà un motivo di grande soddisfazione. Nel merito delle singole scelte, nel quadro delineato,  e più in generale della politica economica, sociale ed internazionale che il futuro Governo porterà avanti la Cgil ribadisce la propria autonomia programmatica e sosterrà le proprie proposte con quella serietà e serenità che ci ha sempre contraddistinto.

 

La riforma della Cgil  e i rapporti unitari

 

Per riportare ad unità il vasto mondo del lavoro sempre più frammentato; per riannodare i diritti tra i tanti diversi; per responsabilizzare nuovamente l’impresa italiana definendo un nuovo patto comune per il bene del paese è necessaria una Cgil rinnovata.

La Cgil deve affrontare la sfida quantitativa e qualitativa di  “una nuova rappresentanza” attraverso un profondo rinnovamento, anche dei gruppi dirigenti. Per questo la Cgil investe sulle donne, sulle giovani generazioni, sulla rappresentanza del multiculturalismo.

 

La Cgil ha realizzato con questo congresso la dimensione quantitativa prevista dalle norme andiscriminatorie, ma questo ancora non basta: la Cgil si da l’obiettivo di aprire ulteriormente l’organizzazione alle donne, alle giovani generazioni e agli immigrati, a tutti i livelli della Confederazione e delle categorie, estendendone le esperienze di direzione.

 

La Cgil si dà con questo congresso l’obbiettivo di divenire il primo grande sindacato multietnico del paese e l’organizzazione sociale con il maggior numero di giovani dirigenti, in Italia ed in Europa; anche con la promozione di specifici momenti di formazione e con la valorizzazione in incarichi di massima direzione delle diverse strutture.

 

La Cgil riconosce poi nella funzione centrale delle Camere del Lavoro, delle strutture regionali e delle categorie il punto di massimo protagonismo sociale, culturale e politico, della nostra azione di tutela collettiva ed individuale (anche grazie al rafforzamento del sistemi servizi e del patronato), investendo nella capacità di essere interlocutore a tutti i livelli istituzionali, con particolare attenzione alle specificità delle diverse aree metropolitane. Il reinsediamento della Cgil nel territorio  come fattore di riorganizzazione della stessa democrazia e della saldatura tra diritti del lavoro e diritti di cittadinanza deve allora trovare risposte organizzative conseguenti.

 

Per tutti questi motivi, il Congresso dà quindi mandato al Comitato Direttivo di convocare la conferenza di organizzazione (in preparazione della quale sarà realizzata la conferenza nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori dell’artigianato, con l’impegno di farne un appuntamento annuale di riflessione).

 

Dopo che molte delle posizioni in campo sono mutate e  superati i tempi degli accordi separati e del Patto per l’Italia, si è ritrovata su molti punti una forte intesa tra la Cgil, la Cisl e la Uil. Occorre allora investire in percorsi per rendere tale unità di intenti più forte e sistematica, senza nascondere differenze che tra noi ancora persistono, ma che possono essere superate proprio in nome e per conto di chi, tutti i giorni, cerchiamo di rappresentare.

 

Da soli non si può dare gambe fino in fondo ai propositi di sviluppo e di redistribuzione che ci promettiamo; così come è ormai evidente che non si possa rilanciare nessun patto sulle regole e sul contributo del mondo del lavoro per l’uscita dalla crisi, senza il contributo della più grande organizzazione dei lavoratori.Per questo la Cgil è chiamata ad un di più di responsabilità, proseguendo, con coraggio, sulla strada intrapresa, forte di milioni di persone che guardano a noi con fiducia.

 

La Cgil intende promuovere da subito un percorso di confronto con  CISL e UIL, forti di esperienze unitarie tra diverse categorie, per definire una “comune carta dei valori e degli intenti” del movimento sindacale confederale unitario.