*I nuovi
schiavi della New Economy non intendono accettare un futuro fatto di incertezza,
bassi salari, ricatti e frustrazioni. Il risultato delle assemblee di questi
giorni nel più grande call center d'Italia ne è la controprova: il 21 aprile, i
circa 400 lavoratori presenti hanno detto a chiare lettere che la distanza tra
la piattaforma rivendicativa e l'accordo raggiunto non è in alcun modo colmabile
e che non intendono proseguire la propria vita all'insegna della precarietà.
Se analizziamo l'accordo che prevede 426 contratti di inserimento (18 mesi) 1100
contratti di apprendistato professionalizzante (36 mesi) e 294 assunzioni a
tempo determinato rispetto alla situazione preesistente che vedeva quasi tutti i
lavoratori con contratto Co.Co.Pro potrebbe sembrare un passo avanti. Il punto è
che i lavoratori, in questi anni, hanno sopportato condizioni pesantissime, con
la legittima aspettativa di modificarle radicalmente. Proprio ciò che non è
avvenuto con questo accordo, che lascia la stragrande maggioranza dei lavoratori
in una condizione di fortissima ricattabilità e con salari risibili (650 euro
lordi con part time di 5 ore su tre turni lavorativi). Non è data alcuna
certezza di assunzione al termine dei contratti di inserimento e di
apprendistato per lavoratori che già da anni lavorano per la medesima azienda.
L'azienda potrà continuare ad assumere con i contratti Co.Co.Pro, andando così a
ricreare un esercito di lavoratori senza diritti e dando uno schiaffo a quei
lavoratori del gruppo Cos, di cui fa parte l'Atesia, che a tutt'oggi sono in
cassa integrazione o sono stati addirittura licenziati. Viene peggiorata la
Legge 30 che prevede, al massimo, il rapporto di un dipendente in apprendistato
a fronte di un dipendente a tempo indeterminato. Inoltre lo sfruttamento dei
lavoratori Atesia trae origine, in parte, anche da commesse pubbliche,
configurando una sorta di corresponsabilità degli Enti e delle Amministrazioni
coinvolte in forme di vero e proprio sfruttamento.
Per tutti i motivi su esposti abbiamo condiviso la volontà del Segretario
Generale della Cgil di Roma e del Lazio di riaprire immediatamente le
trattative, per trovare un nuovo accordo che sia rispettoso dei diritti più
elementari dei lavoratori. Abbiamo chiesto, prima che si svolgessero le
assemblee dei lavoratori, che si utilizzasse l'unica forma possibile di
validazione dell'accordo e cioè il referendum. Risulta infatti evidente che le
condizioni di ricattabilità non permetterebbero ai lavoratori di partecipare
liberamente alle assemblee (che hanno visto la presenza di appena il 10% degli
aventi diritto). Ma se è vero che i lavoratori in assemblea hanno chiesto e
ottenuto il referendum, in perfetta sintonia con la nostra proposta avanzata al
Direttivo, questo non basta.
Occorre dare certezza che tutti i lavoratori possano partecipare al referendum
del 15 maggio, senza il rischio di incorrere in sanzioni di qualsiasi genere e
se come sembra, non si terrà in circoscrizione, occorrerà garantire comunque che
tutti i lavoratori possano esprimere liberamente la loro opinione, trovando i
modi più opportuni per impedire che possano essere oggetto di rivalse da parte
aziendale. La letteratura sull'argomento ci dice che i call center italiani sono
più di 2000 ed impiegano circa 400.000 lavoratori, compresi quelli non
denunciati. La recente splendida lotta degli studenti e dei lavoratori francesi
ci insegna che se il sindacato non saprà dare efficaci risposte alla crescente
precarizzazione del lavoro che colpisce le giovani generazioni, queste ultime
troveranno altri canali per affermarsi. Il risultato del congresso Cgil in
Atesia che ha visto su 200 iscritti solo 7 lavoratori presenti dovrebbe indurre
tutta la Cgil a una profonda riflessione.