Care compagne e cari compagni, in data 4–5/maggio/2006, si è svolto un referendum in merito all’organizzazione dell’orario di lavoro, che ha dato i seguenti risultati:

in Pomigliano si sono avuti 505 SI e 188 NO;

in Acerra si sono avuti 96 SI e 197 NO.

Tale referendum si è svolto, dopo una serie di tentativi andati a vuoto, dal momento in cui la mia stessa organizzazione (la FIOM) si trovava in disaccordo. Le motivazioni erano essenzialmente quattro, ovvero la prima in merito alla verifica semestrale, dove si metteva in discussione il ruolo della RSU, il cui scopo si riduceva così solamente ad un placido assenso rispetto alla volontà dei dirigenti aziendali, la seconda fa riferimento alla concessione dei P.A.R., terzo l’irrisorio contributo di 16 euro dal 2007, utilizzato macchinosamente come indennità di disagio per il sabato lavorativo ed infine la regolarizzazione di un esiguo numero di contratti interinali (25 su 170).

Nel corso del tempo, nonostante non sia mutata la sostanza dell’accordo, sostenuto da Fim, Uilm, Fismic e Cisal, la Fiom non ha lottato abbastanza per l’abrogazione totale o parziale di alcune clausole inserite nell’accordo, ma anzi ha lasciato che le altre organizzazioni sindacali decidessero, certamente non per tutelare gli interessi dei lavoratori.

Io non ho ritenuto firmare l’accordo, perché in netta opposizione con quelle che sono le mie ideologie sia etiche che morali, in quanto l’accordo, secondo me, ha un unico scopo ovvero: la frantumazione del contratto a tempo indeterminato e conseguente peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita di tutti i lavoratori. Inoltre ho assunto tale posizione assecondando la posizione di tutta la FIOM, cioè sostenere il no all’accordo. Tanto è vero che l’ho fatto fino alla fine. Onde evitare dicerie e maldicenze su quelli che nella realtà dei fatti sono stati i veri motivi che mi hanno condotto a tale presa di posizione, scrivo tale lettera, non per mettermi in luce, ma per zittire tutti coloro che nella mia coerenza avrebbero visto un atto antidemocratico, sviando così il problema su un’altra prospettiva.

Da quei fatidici giorni del 4 e 5 maggio, la Fiom gradualmente è passata da un invito ufficiale alla rinuncia del mio ruolo di portavoce dei lavoratori fino ad arrivare alla più totale incapacità di comunicare pacificamente nel rispetto di quelle che erano le mie idee. Non c’è nessuna ombra di dubbio che si tratti di un caso di isolamento, infatti loro si riuniscono, discutono, aggiornano assemblee e tutto senza la mia partecipazione, emarginandomi dal contesto sindacale. Hanno la presunzione di darmi lezioni di democrazia, dicendomi che il consenso dei lavoratori c’è stato, infatti secondo loro non si può venir meno ad una manifestazione della volontà dei lavoratori. Qui il punto è un altro, cioè non si tratta di accettare o meno l’esito referendario, ma il dito deve essere puntato sul fatto che la democrazia va utilizzata come arma per svilire i lavoratori, per portare ad una quasi totale rassegnazione. Il referendum non può e non deve essere uno strumento che va utilizzato per tante volte fino a quando non produce gli effetti desiderati. Così parliamo di una democrazia viziata e non, come vogliono tanti di noi, di una democrazia partecipata dove il lavoratore è al centro di tutti i processi che lo investono, e dove diviene il protagonista di una società che evolve. In tutta l’azienda si parla di una mia destituzione dall’incarico di delegato che circa tre anni fa mi è stato assegnato dalla segreteria perché eletto in quota del 33%. Mi hanno fatto delle proposte di reintegro solo se però sarò propenso a firmare il famigerato accordo di cui stiamo parlando. Io per l’ennesima volta ho rifiutato ma la musica non cambia perché ribadiscono la loro ferma decisione a delegittimarmi. Ma sono forse un camorrista, un delinquente o cos’altro per volere questo da me? Ma il problema è che non possono permettersi un dissenso all’interno di un gruppo. Comunque queste, seppur paventate minacce, non sono comunque sostenute dalla base, che comincia, anche se in piccole entità, a muoversi e dire la propria. Ma se questa è la situazione significa che si è arrivati ad una degenerazione. Infatti di quale democrazia stiamo parlando, se non viene garantita neanche quella che c’è alla base di ogni uomo? Esiste ancora, oppure no, il diritto di dissentire, anche solo da parte di una sola persona? Per quanto mi riguarda, sono proprio persone come queste che spaccano il sindacato, dimenticando un elemento fondamentale, cioè che il dissenso è il sale della democrazia. Comunque io ho deciso di stare con quei lavoratori che, pensandola come me, hanno votato NO, anche se questo può generare invidie. In proposito a questa mia posizione, se bisogna aprire una pratica di destituzione, vuol dire allora che non c’è e non ci sarà più spazio per le minoranze, e dunque chi si farà portavoce di tali minoranze se gli stessi portavoce dovranno omologarsi al resto del gruppo?In ogni caso, si arriva a fare in modo che avere il confronto stia diventando non più un valore fondamentale della società civile ma una semplice minaccia. Inoltre filosofi del passato dicevano che una società giusta è quella che non umilia gli uomini che ne fanno parte, perché umiliare è sinonimo di privazione della dignità. Per finire, penso che il dissenso non debba essere considerato il nemico della democrazia sindacale perché a breve ci sarà l’avvento dell’integrativo Fiat, che per l’approvazione, dovrà essere vagliato dai lavoratori stessi. Quindi ci saranno i dovuti referendum, è facile comprendere come per Fiat, ma soprattutto per i sindacati, il dissenso possa rappresentare un serio problema. Infatti esso rappresenterebbe un rischio, se eventuali bocciature da parte dei lavoratori divenissero considerevoli. Mi viene da pensare che numerose debbano essere le persone che si trovano, in ambito sindacale, nella mia stessa condizione, ma che purtroppo non hanno la possibilità di parlare della loro posizione, come sto facendo io. Quindi per tutti quelli come me, bisogna lottare per la libertà di parola e di pensiero e la FIOM deve collaborare a tal senso. E come fare per salvaguardare il nostro dissenso dall’arbitrio di chi non conosce nemmeno le ragioni delle nostre più immediate necessità: quello di costruire un sindacato di classe? Bisogna unirsi nella lotta insieme a chi nella lotta ha già speso una parte considerevole della propria vita. Bisogna dimostrare che a questo gioco al massacro non intendiamo partecipare, che non siamo alla mercè di nessuno, ma soggetti dotati di un proprio cervello e di un proprio modo di pensare, che hanno intenzione di volere un reale cambiamento della società.

Infine invito tutti voi a riflettere sull’accordo, perché questo, a differenza di quanto ci è stato promesso, indebolirà sempre di più la nostra posizione e i nostri diritti. Tutto ciò che scrivo e che ho sempre sostenuto è stato confermato dalla critica situazione aziendale che il gruppo Avio sta attraversando.

Infatti, secondo me, se una piattaforma deve essere rilanciata, essa non può che prevedere l’abolizione dei contratti precari, un forte aumento salariale, la riduzione dei turni di lavoro e l’abolizione dello straordinario, anche perché, altrimenti, saranno gli industriali ad abolirlo ma con un sostanziale aumento dell’orario di lavoro settimanale.

 

12/06/2006