Ciao a tutti, compagne e compagni.

Prima di tutto ringrazio di aver fatto partecipare a questa discussione tutti coloro che si sentono investiti dal problema che attanaglia le aziende del Mezzogiorno. Però non è  stato abbastanza perché il sottoscritto solo per puro caso e solo qualche giorno fa ha saputo di questa assemblea. Quindi se ne deduce che non si è propagandato abbastanza per rendere, appunto, l’assemblea la più partecipata possibile. Ma bando alle sciocchezze, perché ormai oggi queste sono stupidaggini in confronto a ciò che ci succede attorno. Ebbene, vogliamo parlare del problema dell’Avio? Per me va bene, ma vorrei prima sapere dove eravate tutti voi quando questa situazione la si denunciava già in tempi non sospetti? Dove eravate quando il sottoscritto in fabbrica aveva bisogno di tutti coloro che, come voi, si dimostrano propensi ad affrontare le problematiche del lavoro? Forse la situazione dell’Avio era ancora una bolla di sapone qualche mese fa e qualche delegato è stato buttato fuori dalla sua organizzazione perché vaneggiava e perché era stato antidemocratico, nei confronti dei lavoratori o nei confronti della propria organizzazione? Sta di fatto che quel delegato ha avuto ragione dagli eventi che si sono poi manifestati proprio all’Avio. Ma quello stesso delegato che prima era confuso sul ruolo della democrazia nel nostro paese, ora ha le idee chiare: la democrazia serve ad annebbiare la vista dei lavoratori, ed è uno strumento nelle mani delle burocrazie sindacali e partitiche. Ho capito che l’unica democrazia che può pagare nel nostro paese è quella partecipata, sancita anche dalla nostra Costituzione, ma che più volte viene calpestata, ma dove ognuno è artefice del proprio futuro. Altrimenti siamo, secondo il mio modesto parere, in una dittatura della maggioranza e dove le posizioni di dissenso vengono, uso non a caso il termine, epurate, per non rischiare di turbare gli equilibri di sistema e smuovere soggetti che, in questi anni, hanno campato sulla rassegnazione della classe operaia.

Quindi se questa riunione deve essere una passerella di politici e sindacalisti, io già ne ho visto altre, partecipando attivamente alla discussione, ma constatando la totale mancanza di volontà dei presenti a essere risolutori dei problemi che si presentano e che a loro vengono affidati. Non ho ancora intenzione di sentire: <<abbiamo fatto il possibile per risolvere la situazione ma situazioni commerciali non ce lo hanno permesso>>. Non permetterò a voi e ad altri di speculare sulla situazione della nostra azienda, solo perché dovete dimostrare a qualche lavoratore ed elettore, ovviamente, di esservi impegnati. Non ci basta il vostro impegno perché vogliamo qualcosa di più: la nostra dignità di essere lavoratori. Non vi permetterò di speculare sui posti di lavoro a rischio e vogliamo solamente il vecchio ruolo della politica: quello di essere protagonista del bene comune. E se questo non è inteso come bene comune, forse esso è rappresentato dal vostro interesse ad avere un ruolo in queste situazioni?

Qualche compagno che mi ha preceduto nell'intervento ha detto che non si è un comunista se non si è ribelli, se non si lotta caparbiamente contro qualcosa che si ritiene ingiusto per la collettività, ebbene questo è quello che io ho ho fatto all'interno di Avio in riferimento all'accordo sui 17 turni. Ma per tale posizione, sono stato buttato, letteralmente, fuori dalla Rsu, di cui ero parte integrante perchè non rispettavo una certa linea. Mi hanno emarginato e isolato dal punto di vista sindacale ma vi posso garantire che non sono riusciti ad isolarmi dal contesto che mi appartiene e cioè dai lavoratori. Ho detto, scritto in vari documenti e più volte ripetuto che questa mia battaglia di principio può essere vista come una battaglia personale, ma non lo è affatto. Non lo è perchè tanti compagni prima di me hanno subito un provvedimento del genere, non potendo manifestare le proprie opinioni, e sono rimasti in silenzio, e, secondo, tanti altri compagni dopo di me potranno e dovranno usare il mio caso come precedente per dimostrare che quando si ritiene che determinate cose sono ingiuste, bisogna mettersi in discussione e lottare affinchè il proprio messaggio sia gridato ad alta voce. E inoltre bisogna far capire che solo aprendo gli occhi ai lavoratori tutti è possibile farli acquisire una coscienza critica che li porti a giudicare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato senza delegare altri i propri bisogni.

Ormai è da tempo che noi lavoratori non abbiamo una sponda politica su cui veicolare le nostre mobilitazioni. Infatti ciò che necessita e che manca nel nostro paese è il mettersi in discussione. E’ solo questo che per me significa essere un politico o un rappresentante dei lavoratori, perché l’essere coerente fino in fondo con le proprie idee sta diventando un bene assai prezioso, e invece di tutelarlo, in questo paese tali soggetti vengono sempre più emarginati. Ormai succede dappertutto, basti pensare all’informazione, dove non c’è neanche più una sostanziale libertà di pensiero sancita dai nostri padri, nel mio caso nonni, fondatori della nostra Costituzione. Ma basta guardarsi attorno per capire che persone coerenti, volenterose, capaci, ci sono nella nostra società, e se si volesse pescarli non ce ne sarebbe neanche bisogno perché fuoriescono da sole dal momento che essi stessi vogliono determinare un reale cambiamento della società. Ricordiamo, ed è la storia che ce l’ho insegna, che le minoranze non sono una brutta cosa, certo lo sono quando sono strumentali per il raggiungimento di obiettivi personali e quindi lottizzazione di posti che contano, ma sono invece le fautrici dei reali cambiamenti. Ma esse stesse non sono nulla se non sono  parte integrante di un movimento che cresce sempre più.

Giuseppe Iannaccone