Prime riflessioni sulla vittoria elettorale di
Hamas
1. La schiacciante vittoria di Hamas non è che uno dei risultati del sostegno -
fin dagli anni Cinquanta - degli Stati Uniti, nel mondo musulmano,
dell'integralismo islamico come arma ideologica sia contro il
nazionalismo progressista che contro il comunismo, in stretta collaborazione con
il regno saudita - di fatto un protettorato degli Stati Uniti quasi fin dalla
sua fondazione. La promozione dell'interpretazione
più reazionaria della religione islamica - che sfrutta delle credenze religiose
profondamente radicate negli strati popolari - ha fatto si che questa ideologia
rimpiazzasse il vuoto lasciato dall'esaurimento, nel corso degli anni Settanta,
delle due correnti ideologiche contro cui era stata usata.
La strada è stata segnata nell'insieme del mondo musulmano dalla trasformazione
dell'integralismo islamico nella sponda prevalente delle amarezze e disillusioni
delle masse popolari verso gli attacchi [alle aspirazioni] nazionali e sociali.
Questo fenomeno si è prodotto con grande rammarico degli Stati Uniti e del loro
protettorato: l'Arabia Saudita. La storia delle relazioni tra Washington e
l'integralismo islamico è la rappresentazione moderna più coerente
dell'allegoria dell'apprendista stregone.
2. Lo scenario palestinese non ha fatto eccezione a questo fenomeno regionale
d'insieme, benché il processo abbia avuto tempi più lunghi. Inizialmente il
movimento di guerriglia palestinese ha occupato il proscenio dopo l'esaurimento
del nazionalismo arabo più tradizionale, come espressione della radicalizzazione.
Tuttavia questo movimento ha conosciuto una burocratizzazione molto rapida,
stimolata da un'iniezione impressionante di petrodollari. Esso ha raggiunto dei
livelli di corruzione senza paragoni nella storia dei movimenti di liberazione
nazionale. Nonostante ciò per lungo tempo ha continuato a rappresentare, sotto i
tratti dell'Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), -
quello che può essere descritto come un «apparato di Stato senza Stato alla
ricerca di un territorio» - il movimento nazionale che poteva comunque dare
corpo alle aspirazioni della grande maggioranza delle masse palestinesi,
nonostante le numerose svolte, contorsioni e impegni mancati di cui è costellata
la sua storia. Quando una nuova generazione di palestinesi è scesa in campo
nella lotta alla fine degli anni Ottanta, con l'Intifada che inizia nel dicembre
1987, la sua radicalizzazione si diresse via via verso l'integralismo islamico.
Ciò fu facilitato dal fatto che la sinistra palestinese - che era la forza
dirigente dell'Intifada nei primi mesi - sprecò la sua ultima occasione storica,
finendo per allinearsi ancora una volta dietro la direzione dell'Olp,
determinando così la propria sconfitta. Inoltre, in scala minore anche Israele
ha messo in scena la propria versione dell'apprendista stregone appoggiando il
movimento islamico in quanto rivale dell'Olp, prima dell'Intifada.
3. Gli accordi di Oslo del 1993 hanno inaugurato la fase finale della
degenerazione dell'Olp, nel momento in cui la sua direzione - o più esattamente
il gruppo dirigente di questa direzione che travalicava gli organi dirigenti
ufficiali - si è vista offrire una tutela sulla popolazione palestinese di
Cisgiordania e Gaza. Quanto fu raggiunto nell'accordo equivaleva ad una
capitolazione: la direzione dell'Olp abbandonava le condizioni minime che fino
ad allora erano richieste dai negoziatori all'interno dei territori occupati nel
1967 (d'ora in poi, i Territori), ossia innanzitutto un impegno israeliano a
congelare la costruzione di colonie sul loro territorio, per poi aspettare il
loro smantellamento. Le stesse condizioni di questa capitolazione - che hanno
portato gli Accordi di Oslo ad un tragico fallimento, come i critici di questi
accordi avevano previsto correttamente fin dall'inizio - non potevano che
accelerare il cambiamento di orientamento politico della maggioranza popolare
palestinese. Lo Stato sionista ha tratto vantaggio dalla tregua nei Territori e
dall'ordine imposto dall'Autorità Palestinese (Ap) che ha giocato il ruolo di
forza di polizia per procura, assegnatole da Israele. Conseguentemente il
discredito dell'Ap è aumentato inesorabilmente, e Israele ha intensificato
fortemente la colonizzazione e la costruzione di un'infrastruttura che mirava a
facilitare il suo controllo militare sui Territori. La perdita di sostegno
popolare da parte dell’Ap ha limitato sempre più la sua capacità di combattere
il movimento integralista islamico palestinese, cosa che ha tentato di fare dal
1994. L'indebolimento della sua base non poteva che rendere ancora più difficile
il raggiungimento dell'obiettivo di marginalizzare il movimento islamico, sia
sul piano ideologico che politico. Ancora, il trasferimento della burocrazia
dell'Olp dall'esilio all'interno [dei Territori] - in quanto apparato dirigente
incaricato di controllare la popolazione che aveva fatto l'Intifada - ha fatto
si che la sua corruzione raggiungesse l’apice. La popolazione dei Territori ha
potuto, quindi, per la prima volta verificare direttamente questa corruzione.
Nello stesso tempo Hamas, come la gran parte dei movimenti islamici di massa - e
a differenza del “sostitutismo” delle organizzazioni strettamente terroristiche,
di cui al-Qaida è divenuta l'esempio più spettacolare - si preoccupava di dare
delle risposte concrete ai bisogni essenziali degli strati popolari e di
organizzare dei servizi sociali, coltivando in questo modo la sua reputazione di
austerità e incorruttibilità.
4. L'irresistibile ascesa di Ariel Sharon alla guida dello Stato israeliano è
stato il risultato della provocazione che egli fece nel settembre del 2000, e
che diede inizio alla “Seconda Intifada”. A causa della sua militarizzazione,
questa seconda rivolta non ha riprodotto i tratti più positivi della dinamica
popolare della prima Intifada. Data la sua stessa natura, l'Ap non poteva
appoggiarsi all'autorganizzazione delle masse, e dunque non poteva che
intraprendere la via ad essa più congeniale rafforzando la militarizzazione
della rivolta. L'ascesa di Sharon è stata il risultato anche dell'impasse cui
era giunto il “processo di Oslo”: l'incompatibilità dell'interpretazione del
quadro di Oslo - una versione aggiornata del “piano Allon” del 1967, secondo cui
lo Stato israeliano avrebbe lasciato le zone popolate dei Territori ad
un'amministrazione araba, mantenendo la colonizzazione e il controllo militare
di porzioni strategiche dei Territori - con quella dell'Ap, che mirava a
ricoprire l'insieme, o quasi, degli stessi Territori, sapendo che in mancanza di
ciò avrebbe perso quello che le restava dell'influenza presso la popolazione
palestinese. La vittoria elettorale del criminale di guerra Sharon, nel febbraio
2001 - un evento “scioccante” quanto la vittoria di Hamas, se non di più - ha
inevitabilmente rafforzato il movimento integralista islamico, di fronte ad una
radicalizzazione delle posizioni che viveva sullo sfondo di un compromesso
storico nato morto. Tutto questo è stato ovviamente molto accentuato dall'arrivo
alla presidenza degli Stati Uniti di George W. Bush, seguita dall'esplosione
delle ambizioni imperiali più feroci dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001.
5. Ariel Sharon ha giocato abilmente con la
dialettica tra se stesso ed il suo vero omologo palestinese, Hamas. Il suo
calcolo è stato semplice: per condurre a buon fine, in modo unilaterale, la
versione più dura dell'interpretazione sionista di un regolamento con i
palestinesi, aveva bisogno di coniugare due condizioni: - ridurre al minimo la
pressione internazionale che poteva essere esercitata su di lui - in particolare
quella degli Stati Uniti, la sola che abbia importanza in Israele; - dimostrare
che non esiste alcuna direzione palestinese con la quale Israele possa trattare.
Per questo scopo doveva mettere in evidenza la debolezza dell'Ap e screditarla
come interlocutrice, favorendo l'espansione del movimento integralista islamico
colpito dall'anatema degli Stati occidentali. Così ogni volta che l'Ap negoziava
una qualche forma di tregua con le organizzazioni integraliste, il governo
Sharon compiva una “esecuzione extragiudiziaria” - parlando più chiaramente, un
assassinio - per provocare le rappresaglie di queste organizzazioni con i mezzi
di cui sono diventate specialiste: gli attacchi suicidi, i loro “F-16”, come li
definiscono. Questa strategia aveva il doppio vantaggio di sottolineare
l'incapacità dell'Ap di controllare la popolazione palestinese, e di accrescere
la popolarità di Sharon in Israele. In ultima analisi dunque, la vittoria
elettorale di Hamas è il risultato che la strategia di Sharon mirava ad
ottenere, come molti osservatori perspicaci non hanno mancato di sottolineare.
6. Fino alla fine dei suoi giorni Yasser Arafat ha potuto utilizzare ciò che gli
restava del suo prestigio storico. Contrariamente a ciò che molti commentatori
hanno sottolineato, la reclusione forzata di Arafat messa in atto da Sharon nel
corso degli ultimi mesi della sua vita non ha “screditato” il dirigente
palestinese. In realtà, la popolarità di Arafat era arrivata al suo minimo
storico prima della sua reclusione, ed ha ripreso quota grazie a questa. La
leadership di Arafat si è sempre nutrita, in realtà, della demonizzazione di cui
era oggetto da parte di Israele e di conseguenza aumentò di nuovo dopo essere
diventato prigioniero di Sharon. Per questo motivo il candidato di Israele e
degli Stati Uniti alla direzione palestinese, Mahmud Abbas, non è stato in grado
di prendere in mano le redini finché Arafat era in vita. Questa è anche la
ragione per cui sia l'amministrazione Bush che Sharon non hanno permesso ai
palestinesi di organizzare le nuove elezioni che Arafat non cessava di
reclamare, in modo da mettere ipocritamente in dubbio la sua rappresentatività,
invocando la necessità di una “riforma democratica” dell'Ap. La natura stessa
dei “democratici” sostenuti da Washington e Israele - “democratici” solo perchè
definiti tali - è impersonata in modo esemplare da Mohammad Dahlan, il dirigente
smisuratamente corrotto di uno degli apparati di “sicurezza” rivali che comunque
Arafat aveva sotto il suo controllo, secondo il modello tradizionale dei regimi
autocratici arabi.
7. La vittoria elettorale di Hamas è uno
schiaffo sonoro per l'amministrazione Bush. Ultima rappresentazione della
politica dell'apprendista stregone condotta in modo spettacolare dagli Stati
Uniti
in Medio Oriente, è l'ultima stoccata data alla retorica demagogica e
menzognera, d'ispirazione neo-conservatrice, riguardo la “democratizzazione” del
“Grande Medio Oriente”. È certamente ancora troppo presto per prevedere con una
certa sicurezza ciò che succederà sul campo. Ma è possibile formulare qualche
osservazione e avanzare qualche pronostico.
a) Hamas non ha motivi materiali per
collaborare con l'occupazione
israeliana - o almeno nulla di paragonabile a quelle dell'apparato dell'Ap
che trae origine nell'Olp. D'altra parte però la vittoria ha gettato il
movimento integralista in una sorta di smarrimento: avrebbe certamente
preferito essere nella posizione più confortevole di principale forza
d'opposizione parlamentare all'Ap. Partendo da questo assunto, sarebbe una
vera illusione e un credere in desideri irrealizzabili se qualcuno pensasse
che Hamas si adatterà alle condizioni dettate da Stati Uniti ed Israele.
Una collaborazione è tanto più improbabile dato che il governo israeliano,
diretto dal nuovo partito Kadima fondato da Sharon, continuerà la politica
di quest'ultimo sfruttando fino in fondo il risultato delle elezioni -
molto utili a questo scopo - rendendo impossibile un compromesso con Hamas.
Inoltre, Hamas deve fare i conti con un rivale che ha già alzato il tiro:
il “Jihad islamico” che ha boicottato le elezioni.
b) L'amministrazione Bush, per tentare di salvare la situazione palestinese
- cosa di importanza fondamentale per l’insieme della politica
mediorientale degli Stati Uniti - che con la propria politica ha messo in
una situazione disastrosa, molto probabilmente pensa tre scenari possibili:
- Il primo potrebbe essere una svolta moderata ancora più accentuata di
Hamas, svolta da realizzare con arrivo di finanziamenti e grazie
all'intromissione dei sauditi. Ma questo scenario è poco verosimile per le
ragioni esposte sopra, ed il processo sarebbe lungo e incerto.
- Il secondo potrebbe consistere nello stimolare tensioni ed opposizioni
contro Hamas per giungere in un futuro prossimo a nuove elezioni. Questo
scenario potrebbe realizzarsi sfruttando i vasti poteri presidenziali che
Arafat si era attribuito e che Mahmud Abbas ha ereditato, o anche
attraverso le dimissioni di quest'ultimo che renderebbero necessarie delle
nuove elezioni presidenziali. Perché un'operazione simile sia coronata da
successo, o anche solo degna da essere tentata, ci sarebbe però bisogno di
una personalità credibile, in grado di riguadagnare una maggioranza a
favore della direzione palestinese tradizionale. Ma l'unica personalità che
ha un minimo di prestigio necessario per un ruolo del genere è, oggi,
Marwan Barghouti che - dalla sua cella nelle carceri israeliane - ha
sostenuto un'alleanza con Mohammed Dahlan in vista delle elezioni. Quindi è
probabile che Washington possa presto far pressioni su Israele perché venga
liberato.
- Una terza opzione è lo “scenario algerino”, nel senso dell'interruzione
del processo elettorale che nel 1992 è stata attuata dalla giunta militare.
Questo scenario, secondo alcuni articoli comparsi nella stampa araba, è già
in progetto. Scenario secondo cui gli apparati repressivi dell'Ap
potrebbero attaccare Hamas imponendo lo stato d'assedio e stabilendo una
dittatura miltar-poliziesca. Ben inteso, è anche possibile una combinazione
fra gli ultimi due scenari, reprimendo Hamas finché le condizioni politiche
non diventino ottimali.
In ogni caso ogni tentativo degli Stati Uniti e dell'Unione Europea di
costringere i palestinesi a sottomettersi con il ricatto della fame,
interrompendo il sostegno economico fin qui accordato loro, porterebbe ad
un disastro tanto sul piano umanitario che sul piano politico. Bisogna
opporvisi nel modo più energico.
La catastrofica gestione da parte dell'amministrazione Bush della politica
statunitense in medioriente - coronamento di decenni di scelte imperiali
segnate da miopia e incompetenza - non ha ancora finito di produrre tutti
suoi amari frutti.
Traduzione di Cinzia Nachira dalla versione francese a cura della redazione
del sito web A l'Encontre <www.alencontre.org>
APPELLO EUROPEO PER IL 18 MARZO
18-19 MARZO 2006
GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA GUERRA E LE OCCUPAZIONI
MAI PIU' GUERRA
LA PACE E' L'UNICA SICUREZZA
Tre anni fa, una coalizione guidata dal Governo USA diede avvio alla guerra
contro l'Iraq.
Oggi, le ragioni per mobilitarsi contro la guerra sono sempre più evidenti.
Il 18 e il 19 marzo 2006 manifesteremo in tutta Europa, insieme ai movimenti
statunitensi e globali
- per l'immediato e incondizionato ritiro di tutte le truppe
straniere dall'Iraq
- contro la guerra preventiva, la sua estensione alla Siria, all'Iran
e al Medio Oriente, per una soluzione pacifica della questione kurda
- per la fine dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi e
di Gerusalemme Est, per l'attuazione di tutte le risoluzioni internazionali,
per una pace giusta fra Israele e Palestina, per la creazione di uno stato
palestinese indipendente
- per il disarmo, la riduzione delle spese militari, l'eliminazione
delle basi militari straniere e delle armi di distruzione di massa
- per politiche estere alternative, che rifiutino le logiche
neoliberiste e costruiscano relazioni eque fra i popoli
- per il rispetto dei diritti umani, la difesa delle libertà
democratiche e civili contro la repressione, la fine delle torture, delle
detenzioni illegali, delle prigioni segrete.