La guerra irachena? Errore clossale. Prima l'Iraq era un mattatoio per gli oppositori, ma in esso finivano anche gli islamisti radicali. Oggi è diventata la seconda università del terrorismo, dopo l'Afganistan, in nome del dovere di contrastare l'invasore infedele.

Il terrorismo ha radice autonome ma Bush lo ha potenziato alla grande.Perciò cura sbagliata da cima a fondo, allontanandoci dalla vera terapia: una politica globale diversa. Con la capacità di far maturare un altro Islam, partendo da quello che c'è, incluso il neoislamismo non terrorista.

L'Islam certamente è compatibile con la democrazia, ma assecondandone l'evoluzione, e non mortificandolo. E in particolare usando l'Islam occidentale, quello più esposto all'innovazione, spingendolo a condividere gli elementi base della cittadinanza democratica, pungolandolo di continuo.

L'odio è innegabile. E' un sentimento prepolitico che adeguatamente canalizzato genera effetti micidiali. Viene da molto lontano e ha a che fare con una forte crisi d'identità del mondo islamico, benchè la crisi non sfoci necessariamente nel terrorismo. Ciò che viene imputato all'Occidente sono i due pesi e due misure su Israele. E poi l'aver sempre appogiato regimi reazionari amici. Il tutto ha favorito l'emergere di movimenti islamici radicali votati alla violenza come unica strada.

Una precisa componente teologica nel martirio è attivata da una rivisitazione della tradizione religiosa da parte di movimenti islamisti che hanno una lunga storia alle spalle. Figura di rilievo è Sayb Al Qutb, ideologo dei fratelli Musulmani, impiccato nel 1966, che a partire dagli anni 60 proclama da un lato l'impossibilità di convivere con i governi apostati, e dall'altra l'inseparabilità del nemico esterno occidentale. E a tale lotta congiunta che si rifanno Al Zawahiri e i reduci di Al Jihad, che arriveranno a teorizzare la Jihad globale.

Oggi c'è anche un sogno espansivo. Ma inizialmente si mira alla rigenerazione delle società islamiche e all'espulsione dell'Occidente. Il che avviene in base a un'esegesi teologica che contesta non gli ultimi decenni di storia islamica, ma gli ultimi quattordici secoli. E' un ripristino integrale delle origini coraniche, che depreca l'avvenuta divisione tra politica e religione. Noi siamo abituati a pensare che l'Islam non abbia mai separato le due sfere. Ebbene, gli jihadisti affermano esattamente il contrario, propugnando la ricomposizione della leadership politica con quella religiosa. Ciò riguarda essenzialmente il mondo sunnita, da cui proviene il progetto jihadista.

Umma significa comunità. Designa legami di fede che si ricostituiscono nell'adesione ad una particolare interpretazione dell'Islam: l'Islam radicale. E' un modello di nuovo Califfato. Il Califfo è colui che riunifica la Umma politicamente, istituzionalmente e religiosamente. Un messaggio transnazionale rivolto a tutti i Musulmani, come dimostra la varietà etnica dei sodali dei sodali di Bin Laden, sebbene in Al Qaeda la componente araba sia centrale. Dal punto di vista geopolitico, l'idea è quella di partire dall'Arabia, che Bin Laden non chiama saudita per non legittimare semanticamente la dinastia Saud. E di ripartirvi per l'evidente rilevanza simbolica dei luoghi e delle città sante. Strategicamente l'ambizione è quella di controllare il petrolio per fare della zona un centro gravitazionale, in grado di attrarre altre forze e fungere da massa critica. C'è una profezia antimperialista che non rinuncia ad un suo imperialismo a convertire il mondo sviluppato. Il Califfato aspira ad egemonizzare proprio questo.

La questione israelo-palestinese, vissuta come prova d'insensibilitàdell'Occidente verso le ragioni degli Arabi. Del resto Israele stesso è vissuto come un corpo estraneo nella realtà islamica. E oltre alla lunga storia di colonialismo e del post-colonialismo, quel che viene deprecato dalle grandi masse e dagli intellettuali, è l'appoggio a regimi apostati, che appaiono come il paravento degli interessi occidentali.

L'avanguardia intellettuale jihadista e terrorista non ha chances. Il movimento terrorista ha imposto la sua agenda, attraverso il martirio e la guerra asimmetrica. Ma non ha alcuna possibilità d'imporsi nelle zone d'origine. Quando sono andati al potere i fondamentalisti estremisti sono stati incapaci di governare. Il loro progetto è troppo ideologico per imporsi e durare, e la galassia estremista, di cui Al Qaeda è parte rilevante, è la spia di un disagio sociale molto profondo.

Il terrorismo risulta inafferrabile perchè vi sono gruppi di potere e apparati di stato nel mondo islamico impegnati in un grande doppio gioco. Per sopravvivere non possono far altro che appoggiarsi all'Occidente. Ma al contempo non intendono rendere conto ad esso, nè in termini economici nè in termini politici. Parliamo di ceti interni agli stati, che si autoriproducono all'ombra del grande protettore occidentale, e che coltivano una forte doppiezza. Lo vediamo in Pakistan. Lo si è visto in Afganistan, e il discorso tocca anche l'Arabia Saudita se si pone mente alla nascita di Al Qaeda.

Le nazioni arabe alleate usate non si augurano una disfatta USA, una riedizione del Vietnam con fuga precipitosa. Tifano per la dèbacle. Ma si augurano che gli americaniscontino gravi difficoltà, e che perciò risultino indeboliti in quel territorio. Per questo non collaborano alla soluzione della crisi. Ciò consente ad esse di rafforzarsi e di evitare le riforme interne, giocando su due tavoli. E' un principio di realpolitik, evidente nel caso dell'Arabia Saudita, che non va più in là dal concedere elezioni comunali, confermandosi, in tal modo, alleato indispensabile, e insieme come grande calmieratore del prezzo del petrolio. Specie in vista della prossima crisi iraniana sul nucleare.

L'allargamento della democrazia potrebbe, però, premiare il fondamentalismo, come è accaduto in Algeria con il Fis e come potrebbe accadere con Hamas in Palestina. Il peso politico dell'Occidente nello sviluppo del fondamentalismo è stato enorme, anche se i movimenti radicali hanno avuto una genesi autonoma. L'appoggio ai regimi autoritari, e quello ai gruppi radicali in funzione antisovietica, è stata una condizione dirimente per la crescita del mostro.

C'è negli Usa un disegno di controllo strategico di tutta l'area mediorientale. Dallo scenario attuale potrebbero uscire rafforzati i movimenti neotradizionalisti. Quelli della filiera Fratelli musulmani per intenderci, che tendono a reislamizzare dal basso la società. E che rifiutano la Jihad terrorista basata sulla logica amico-nemico. Non sono una setta minoritaria, ma una forza islamista che controlla in Egitto tutti gli ordini professionali, con largo seguito tra le masse e molte competenze accumulate. Al momento non hanno canali politici, ma lavorando in modo capillare nella società, prima o poi troveranno uno sbocco istituzionale.

Il fallimento delle forze laiche c'è già stato. Il neoislamismo non radicale inece non si è ancora misurato con le cose. E se fallisse, verrebbe tagliato fuori per un lungo ciclo storico. Occorre una diversa modalità di relazione con la realtà islamica. Prima di tutto l'accettazione piena della sua autodeterminazione. Non dimentichiamo che il contenzioso è incandescente, e che il mondo islamico soffre di un grande handicap. E' seduto sul petrolio.......

Bisogna obbligare gli uomini secondo la loro maniera e non secondo la nostra.