Bolivia
La chiave della rivoluzione andina

Di Alan Woods e Jorge Martin

L'essenza di una rivoluzione è l'intervento diretto delle masse nella vita politica di una nazione. Rappresenta una rottura radicale con la routine quotidiana, dove le masse lasciano le decisioni chiave che determinano la loro vita nelle mani dei poteri costituiti. Questa rottura si verifica solo nei momenti in cui la maggioranza giunge alla conclusione che l'ordine esistente è incompatibile con la propria esistenza. Una rivoluzione è una situazione dove le masse prendono il loro destino nelle proprie mani.

Questo è quanto abbiamo visto in Bolivia. Venerdì 17 ottobre, dopo diversi giorni di scontri violenti in cui sono morte oltre 70 persone e con La Paz , la capitale, in mano a decine di migliaia di manifestanti – lavoratori, minatori, contadini -, il presidente, Sanchez de Lozada, ha dovuto abbandonare il potere. I manifestanti hanno bloccato La Paz e altre città. Si sono formati soviet ad El Alto. La Bolivia , il paese più povero e instabile dell'America Latina, è stata paralizzata dalla metà di settembre per le proteste antigovernative.

Lozada, scontrandosi con questo impressionante movimento di massa, ha cercato di guadagnare tempo facendo concessioni, incluso un referendum sul conteso progetto del gas e una nuova legge che abolisse l'odiata legge energetica. Ma la feroce repressione da parte delle forze armate ha avuto il solo effetto che la richiesta di dimissioni fosse ancor più decisa da parte dei manifestanti e dei loro dirigenti. Marx ha spiegato che in certi casi la rivoluzione per avanzare ha bisogno della frusta della controrivoluzione.

Il massacro di El Alto il 12 ottobre ha trasformato tutta la situazione. Nel momento della verità, Gonzalo Sanchez de Lozada si è trovato sospeso in aria. Quello che apparentemente era un formidabile apparato dello stato è stato incapace di salvarlo.

Lozada ha protestato affermando che il suo rovesciamento rappresenta un colpo alla democrazia in Bolivia e in America Latina. Suona molto ironico se si considera che è stato eletto con solo il 22% dei voti. Il quotidiano britannico The Guardian (21/10/03) ha pubblicato un articolo con un titolo interessante: “Giustizia nelle strade: il rovesciamento del presidente boliviano è un avvertimento che non si possono ignorare le domande dei poveri dell'America Latina”. L'articolo commentava: “La scorsa settimana poteva contare sulla lealtà di meno della metà della già piccola minoranza che realmente lo aveva votato. E' alla testa di un governo che ha sparato sulla folla uccidendo 50 manifestanti nei giorni che hanno preceduto le sue dimissioni”.

La democrazia in Bolivia è sempre stata una foglia di fico che occulta una dittatura dell'oligarchia arricchita, che a sua volta è solo un'agenzia locale del dominio imperialista Usa. Dolo la rivoluzione del 1952, quando i lavoratori avevano realmente il potere nelle loro mani ma mancavano di una direzione, ci fu un colpo di stato militare (con l'appoggio statunitense). Vent'anni di dittatura militare alla fine spinsero le masse a una nuova insurrezione rivoluzionaria negli anni ottanta, quando in un solo giorno ci furono cinque presidenti. Un paese potenzialmente ricco è stato ridotto alla povertà più abietta a causa del saccheggio imperialista tramite l'agenzia locale dell'oligarchia boliviana, nota come La rosca.

Nello scorso periodo gli Usa sono giunti alla conclusione tardiva che la dittatura militare non era un alleato affidabile. Washington aveva avuto una serie di brutte esperienze, come nel caso di Noriega a Panama, ed è giunta alla conclusione che era meglio basarsi su un regime “democratico” debole. Ciò nonostante l'accordo dell'imperialismo Usa con la democrazia è solo un movimento tattico che può volgersi nel suo contrario se la situazione lo richiede.
Ad ascoltare le notizie sembra che le masse abbiano festeggiato nelle strade il proprio successo nel rovesciare il presidente. Ma il successore si imbatterà negli stessi problemi di Lozada, si scontrerà con una crescente opposizione delle masse perché i loro problemi non si possono risolvere su basi capitaliste. Le masse pazienteranno un po' ma questa non è infinita. Il rovesciamento di Lozada è stato il primo grande successo della rivoluzione boliviana. Ma è troppo presto per gridare vittoria. I compiti più importanti della rivoluzione non si sono ottenuti. Le battaglie più importanti si produrranno in futuro.

Il corso di una rivoluzione è segnato dall'ascesa e dal declino di tutta una serie di partiti e dirigenti. La caduta di Lozada è solo l'inizio. Ma non sarà l'ultimo atto. Una rivoluzione si caratterizza anche per le divisioni che si producono nella classe dominante. Un settore dice: dobbiamo fare concessioni o ci sarà una rivoluzione. Un altro dice: non dobbiamo fare concessioni o ci sarà una rivoluzione. Entrambi hanno ragione.

Nel fondo, questa è una rivoluzione contro generazioni di povertà, oppressione e sfruttamento che risalgono all'epoca dei conquistadores. Sotto il dominio spagnolo, decine di migliaia di indigeni quechua e aymara sono morti lavorando nella grande montagna d'argento a Potosì per finanziare l'impero spagnolo. Questo saccheggio brutale è continuato sotto le dittature militari e ora anche sotto i governi eletti. Sanchez de Lozada è proprietario di uno dei principali giacimenti minerari della Bolivia. E' un rappresentante tipico dell'oligarchia boliviana, un minuscolo pugno di super-ricchi che ha fatto una fortuna dissanguando senza pietà la popolazione. I minatori boliviani dello stagno lavorano in condizioni disumane. Per decine di migliaia di loro lo stagno significa povertà e morte prematura.

Il Guardian dice le seguenti cose:
“Vivendo in uno dei paesaggi più spettacolari del mondo, a una elavata altitudine e nella maggioranza dei casi in una triste povertà, i boliviani impararono a sopravvivere attraverso la solidarietà e la militanza. Due terzi della popolazione vive sotto la soglia di povertà e un terzo nella povertà assoluta. Quando negli anni '80 affondò il mercato dello stagno, decine di migliaia di minatori licenziati ricorsero alla coltivazione di uno dei principali prodotti di esportazione boliviana: la foglia di coca. Adesso il governo sta introducendo un programma, finanziato dagli Usa, di sradicamento della coca criminalizzando le coltivazioni senza offrire un'alternativa in cambio.

I metodi non sono gradevoli: violenza e carcere sono le pene per la non cooperazione; la miseria è la ricompensa per chi si adegua. L'elemento scatenante delle recenti proteste è stato il piano di consorzio sostenuto dalla Gran Bretagna per vendere gas naturale (di cui la Bolivia possiede grandi riserve) agli Usa e al Messico attraverso un vecchio nemico della Bolivia: il Cile. Superficialmente la protesta sembrerebbe irrazionale. Perché i poveri di un paese povero fanno obiezioni su una fonte di guadagno ottenuta con lo sfruttamento delle risorse naturali del paese? La risposta va trovata tanto nella memoria di Potosì come nei quindici anni di riforme di libero mercato promosse da Sanchez Lozada nel primo periodo del suo mandato nel corso degli anni '90.”

Mesa chiede tempo

Sabato 18 ottobre il vicepresidente di Lozada, Carlos Mesa, si è insediato promettendo elezioni anticipate. Si tratta di un trucco abituale della classe dominante quando teme di essere rovesciata. Quando la repressione si rivela inutile si passa alle concessioni e alle manovre. Si fanno le promesse più stravaganti. Però le promesse costano poco. Il problema è come far uscire il paese dalla sua schiacciante povertà. A questa domanda Mesa non ha risposte.

In questo momento il paese è calmo. Ma questo non riflette un appoggio di massa al nuovo presidente, come qualcuno ha affermato. L'ambiente generale tra le masse è di vigilanza e sospetto. Sperano che la nuova amministrazione faccia qualcosa, ma l'esperienza passata li rende sospettosi. Si tratta di una calma temporale prima della prossima tormenta. Mesa finirà con l'essere detestato da tutti. Per ora si bilancia nervosamente tra le classi, come un equilibrista sulla corda in un circo, che tenta di non cadere nel vuoto.

Dopo il giuramento Mesa ha supplicato di concedergli tempo: “Dateci uno spazio, un po' di tempo per lavorare”. Durante il discorso Mesa ha riproposto varie concessioni che Lozada aveva già offerto quando tentava di sparare la sua ultima cartuccia per mantenersi al potere. Ma gli esperti legali affermavano immediatamente, anche se con cautela, che le misure proposte non erano costituzionali, come nel caso della proclamazione di un referendum sulle esportazioni del gas naturale o che le direttive non erano appropriate, come nel caso dell'assemblea costituente. Ci sono mille e un argomento simili e trucchi che la classe dominante può utilizzare per ritardare e sabotare, frustrando la volontà popolare. Però le masse in generale non si lasciano impressionare dai sofismi legali e dalle conversazioni intelligenti. Le masse esigono azioni e non parole!

Non contestiamo che ci siano illusioni nel nuovo presidente. Queste sono più forti nella classe media benestante e i professionisti di La Paz. Marcelo Callo, un assessore alle esportazioni delle piccole imprese, diceva il seguente: “Sanchez de Lozada non ascoltava nessuno tranne un piccolo gruppo di aiutanti e ministri. Mesa sembra essere un uomo del popolo”. Secondo Gonzalo Chàvez, un economista di La Paz , i boliviani vogliono un'amministrazione onesta e aperta, con più partecipazione della società civile. “(Mesa) dovrà ricercare la governabilità sociale, che comporta patti con i lavoratori, gruppi di azione locale e imprenditori perché il governo smetta di essere contestato nelle piazze”.

Anche certi dirigenti dell'insurrezione sono disposti a dare credito al nuovo presidente. Sembrerebbe che Mesa, sarebbe stato ricevuto affettuosamente in una riunione ad El Alto, uno degli epicentri del movimento rivoluzionario, dove le truppe e la polizia avevano sparato e assassinato almeno trenta persone solo una settimana prima, un episodio che comportò le definitive dimissioni di Lozada. Però tra i poveri le speranze verso Mesa sono moderate dalla vigilanza. Sanno che per loro è pronto un coltello affilato, sono disposti per un po' a vedere, ma non aspetteranno per sempre.
Queste illusioni vengono stimolate accuratamente dai partiti di sinistra dell'opposizione. Evo Morales, dirigente del Movimiento hacia el Socialismo (Mas), arrivato secondo nell'elezioni dell'anno scorso, si è dato da fare per tendere una mano al nuovo presidente. Morales ha detto in un canale tv: “Credo che è importante concedergli un periodo di grazia”.

Nel suo primo discorso “ha espresso il pensiero del popolo boliviano, dobbiamo aspettare che organizzi il suo gabinetto con i suoi rappresentanti”.
Morales non ha fretta di buttare giù Mesa. Però i produttori di coca, che nominalmente rappresenta, che nominalmente rappresenta, hanno giurato che continueranno a bloccare le strade, mentre l'altro dirigente contadino del paese, Felipe Quispe, ha dichiarato che lui non offrirà alcuna tregua. Come dirigente della federazione dei contadini ha giocato un ruolo chiave nel blocco delle strade del paese contribuendo alla caduta di Sanchez de Lozada.
Quispe continua ad esigere che il governo applichi le 72 richieste del suo gruppo e a queste ne ha aggiunta una nuova: che Mesa non concluda quanto resta dei cinque anni di mandato e convochi nuove elezioni non appena sarà possibile.

Mesa si è mostrato d'accordo con questa rivendicazione nel suo discorso inaugurale, ma Quispe ha comunque detto che: “in qualsiasi caso continueremo con i blocchi”. Aggiungendo: “Non staremo mai con il governo, staremo sempre con l'opposizione”. Questo dimostra che esiste una profonda corrente sotterranea di sfiducia e furia tra le masse che si riflette nella intransigenza dei dirigenti naturali. Carlos Toranzo, dell'Istituto Latinoamericano, ha dichiarato sul Financial Times: “Tuttora esiste molta rabbia tra i boliviani che può provocare altri morti”. L'esperienza dell'ultimo mese “ha prodotto una radicalizzazione di alcune persone che chiedono vendetta”.

L'economia e l'imperialismo

Per ora la borghesia boliviana si è vista obbligata a ritirarsi e ad abbandonare la repressione a favore delle manovre e degli intrighi. Nonostante questa svolta cosmetica, non ci sono differenze reali tra Mesa e Lozada. E' simile a una ritirata tattica in guerra. Nella misura in cui è stata sconfitta la prima linea di difesa, Mesa si è ritirato nella seconda linea, dirigendosi alle masse e promettendo – solo di promesse si tratta – il sole, la luna e le stelle, a una condizione: che le masse abbandonino le piazze e tornino a casa, che ritorni la “normalità”, che tornino a regnare la “legge e l'ordine”. Quando il movimento rientrerà, allora l'oligarchia passerà nuovamente all'offensiva e tornerà indietro su tutte le concessioni.

Questo messaggio, nonostante tutto, non sarà accettato facilmente dalle masse, che si sono risvegliate all'azione e hanno avuto modo di vedere il potere che risiede nelle mani della classe operaia quando questa si mobilita ed è unita. I minatori hanno visto il potere della dinamite. Però molto più poderoso del potere della dinamite è l'unità della classe operaia. Pertanto a Mesa non resta altra alternativa che cavalcare la tigre. Disgraziatamente, come dice un vecchio proverbio indigeno: un uomo che cavalca una tigre ha molti problemi per tornare con i piedi per terra. I lavoratori e i contadini non si accontenteranno facilmente di parole e promesse roboanti. Già hanno avuto molto di questo! Adesso vogliono risultati concreti.

Mesa si manterrà o cadrà secondo l'andamento dell'economia. Nonostante la bassa inflazione e diversi anni di crescita del Pil, le esportazioni del paese sono stagnanti e la domanda interna è debole. Più del 60% della popolazione, principalmente indigena, vive con due dollari o meno al giorno. Però otterranno aiuti dagli Usa solo lasciando libero accesso alle ricche riserve minerarie della Bolivia. Diversamente è poco probabile che gli investitori stranieri ritornino nel paese. Ma le masse si oppongono ferocemente ai piani del settore privato che prevedono l'eportazione di abbondanti riserve di gas naturale verso gli Usa e il Messico. Il nuovo governo è schiacciato tra due forze irrimediabilmente antagoniste.

Il nuovo governo è tra l'incudine e il martello. Le masse esigeranno un miglioramento immediato delle proprie condizioni di vita, mentre il Fmi richiede più liberalizzazione, per dirlo con altre parole, esigono che il nuovo governo porti avanti la stessa politica di quello precedente. La popolazione boliviana è cosciente del vero significato di questa “liberalizzazione”.

“Come i poveri dell'Honduras, Argentina, Perù, Ecuador, i boliviani hanno compreso che sono loro a pagare la fattura delle privatizzazioni, che la crescita promessa si è bloccata, che le esportazioni del paese valgono meno di quando la Bolivia si apprestava ad entrare nella globalizzazione e che si è approfondito l'abisso tra il loro miserabile livello di vita e quello di una minuscola élite. Hanno compreso che la privatizzazione significa prezzi più alti dei beni essenziali, che difficilmente possono lavorare, che i loro figli restano senza istruzione e che vivono e muoiono nella povertà più assoluta. Hanno appreso inoltre che quando protestano, il governo democraticamente eletto gli spara contro, come accadeva nelle dittature”. (The Guardian, 21/10/2003).

Il problema della direzione

La rivoluzione boliviana sembra avere un carattere totalmente spontaneo. Ma questo non corrisponde alla realtà. In primo luogo, non è caduta come un fulmine a cielo sereno, ha le sue premesse nel periodo anteriore. In secondo luogo, era diretta dai dirigenti naturali della classe operaia, i militanti con più coscienza di classe della Cob.

In terzo luogo, questi militanti non sono caduti dalle nuvole, erano educati sulle idee che circolavano nel movimento operaio e sindacale boliviano per decenni, le idee del trotskismo.

In Russia prima del 1917, decine di migliaia di attivisti operai erano stati formati per decenni dalla propaganda bolscevica. In Bolivia queste idee e programmi del trotskismo sono familiari da molto tempo agli attivisti del movimento operaio. Le Tesi di Pulacayo del 1946, adottate dalla federazione dei minatori, non sono altra cosa che il Programma di Transizione di Trotskij applicato alle condizioni concrete della Bolivia. Il punto fondamentale è la necessità che hanno i lavoratori di prendere il potere in alleanza con i contadini per poi incamminarsi verso il socialismo. Sono la base su cui il movimento può avanzare ora verso il suo obiettivo naturale: l'obiettivo del potere operaio.

L'aspetto più importante del movimento in Bolivia è il suo carattere nettamente proletario. L'esperienza rivoluzionaria della classe operaia boliviana, particolarmente dei minatori, è probabilmente la più grande di qualsiasi altro paese dell'America Latina, non solo per la rivoluzione del 1952, ci furono opportunità rivoluzionarie anche nel 1971 e con l'insurrezione del 1982-'85, e più recentemente, la vittoria dell'insurrezione di Cochabamba nell'aprile del 2000 contro la privatizzazione dell'acqua, le proteste contadine in tutto il paese nel gennaio di quest'anno e anche il movimento insurrezionale di febbraio. Per promuovere questo meraviglioso movimento della settimana scorsa che si è sbarazzato del regime di Lozada, così facilmente come un uomo schiaccia una mosca, i lavoratori si sono basati sull'esperienza e le tradizioni del passato.

La tradizione della classe operaia boliviana comprende la formazione di milizie armate come nel '52, quando quasi 100mila uomini erano organizzati in milizie dirette dal sindacato. Anche in questa occasione c'è stato un appello da parte dei dirigenti del Cob per formare comitati di autodifesa e i minatori sono arrivati a La Paz con cartucce di dinamite.

L'apparato dello Stato è stato sull'orlo del collasso con un ambiente di insubordinazione aperta tra i poliziotti, che già si erano ammutinati nell'insurrezione di febbraio, molti soldati si sono rifiutati di sparare sulla popolazione e abbassarono le loro armi (un sintomo di ammutinamento). Nella città di El Alto si sono ritrovati i corpi di otto soldati giustiziati dai loro ufficiali perché si erano rifiutati di sparare.

La magnifica classe operaia boliviana si è posta alla testa della nazione come leader e portavoce dei contadini, degli indigeni e altri settori sfruttati e oppressi della popolazione. Questo è il fatto più importante ed è fondamentale per l'esito della rivoluzione boliviana!

I mezzi di comunicazione capitalisti di tutto il mondo hanno insistito sul fatto che si trattava di un movimento indigeno. E fino a un certo punto era vero, perché i differenti gruppi nazionali indigeni rappresentano l'80% della popolazione e la maggior parte della classe operaia e dei contadini sono indigeni. Per secoli gli indigeni hanno sofferto l'oppressione per mano dell'oligarchia locale, formata principalmente da bianchi legati alla Spagna e agli Usa. Ciò nonostante, l'oppressione nazionale e di classe è intimamente unita e l'oppressione nazionale non si può risolvere in nessun modo se non lottando per il socialismo. La storia del movimento rivoluzionario in Bolivia dimostra come la nazione nel suo insieme si riunisce attorno alla bandiera della classe operaia e delle sue organizzazioni. Quando i media capitalisti parlano di un movimento indigeno tentano di nascondere il suo carattere profondamente proletario.
La direzione della Cob ha mostrato un gran coraggio e determinazione nello sciopero generale. Però c'è bisogno di un piano, una strategia e una politica chiara. Era necessario avere una prospettiva di presa del potere. Questo a quanto pare è quello che manca, e l'assenza di questo può far naufragare la rivoluzione. Il segretario generale della Cob, Solares, ha visitato il nuovo presidente. Apparentemente, ha adottato la posizione dell'appoggio condizionale, che significa, l'appoggeremo nella misura in cui lotterà contro la corruzione, creerà lavoro, darà salari decenti, ecc. Questo è un errore. Il governo borghese di Mesa sarà corrotto come quello di Lozada. Non può dare lavoro e salari decenti perché le sue mani sono legate al Fmi e alla Banca Mondiale. Questo è il governo dell'oligarchia e rappresenta i suoi interessi. Chiedere a questo governo di difendere gli interessi dei lavoratori e dei contadini è come voler mungere latte da un toro.

Dicono che il nuovo presidente ha mostrato interesse per i punti illustrati da Solares e che le porte del palazzo presidenziale sono aperte per i dirigenti della Cob. Ma è come se “il ragno invitasse la mosca a entrare nella sua casa”. Oggi il presidente mostra interesse (come può non essere interessato a chi ha appena rovesciato il suo predecessore?) ma domani mostrerà i denti. L'idea per cui tutto dipende dalla “buona volontà” è completamente sbagliata. Quello che conta non è la buona o cattiva volontà degli individui, ma gli interessi di classe. E gli interessi dei lavoratori e dei contadini boliviani non sono compatibili con gli interessi dell'oligarchia e dell'imperialismo. Quanto prima si comprenda questo tanto meglio sarà.

Il motivo della “razionalità” di Mesa non è difficile da comprendere. La borghesia ha appena subito una sconfitta seria. Non può utilizzare la forza ed è obbligata a una ritirata tattica, è obbligata ad assumere sembianze conciliatorie, fare promesse, con la speranza di pacificare le masse, fino al momento in cui arriva il momento di lanciare la controffensiva.

Nel corso di una rivoluzione la gente apprende rapidamente. A volte c'è il tempo per apprednere dagli errori e correggerli. In realtà i dirigenti sindacali hanno già fatto un'autocritica giungendo a conclusioni corrette:

“Dopo aver guidato una grande esplosione sociale, che ha avuto il tragico esito di 70 morti e più di 500 feriti, i lavoratori del paese, nell'ultimo Attivo Nazionale della Centrale Operaia Boliviana (Cob), sono giunti a una conclusione fondamentale: gli operai, i contadini, le nazioni oppresse e la classe media impoverita non hanno tolto il potere alla ‘classe dominante' perché non hanno ancora un ‘partito rivoluzionario'”. (Econoticiasbolivia.com, 19/10/2003).
Questo è il punto principale! I lavoratori hanno risposto magnificamente alla chiamata all'azione. Sono riusciti a rovesciare il presidente, ma poi gli è scappato il potere tra le dita. Quante volte abbiamo visto questo? E ogni volta tutto si è ridotto alla questione della direzione. Il problema è che, nella misura in cui gli avvenimenti si susseguono così rapidamente in una rivoluzione, non c'è tempo di apprendere a forza di errori. Per questo è necessario un partito marxista rivoluzionario. Se il Por avesse mantenuto una vera posizione trotskista, allora adesso sarebbe nella stessa posizione che giocò il Partito bolscevico nel 1917. Ma la politica sbagliata del Por durante decenni lo ha condannato all'impotenza. Le forze del nuovo partito rivoluzionario possono giungere solo dalle file dei lavoratori, contadini, giovani che si sono risvegliati alla lotta e che cercano una alternativa rivoluzionaria.

Sotto i dirigenti della Cob c'è un settore numeroso di cosiddetti leader naturali della classe operaia. Sono dirigenti locali che si sono conquistati la fiducia dei lavoratori e dei loro compagni per la loro onestà, coraggio e militanza. Hanno giocato un ruolo cruciale nella rivoluzione. Sono vicini alle masse e pertanto ne riflettono lo spirito rivoluzionario. Se fossero organizzati in un partito rivoluzionario il futuro della rivoluzione sarebbe garantito.

Roberto de la Cruz , il dirigente del Sindacato dei Lavoratori di El Alto, è alla sinistra di Solares. Ma i lavoratori e i contadini a loro volta sono più a sinistra di qualsiasi dirigente. Istintivamente comprendono che il nuovo governo è come il precedente anche se con una nuova facciata. Non si fidano della borghesia. Chissà, forse non sanno esattamente cosa vogliono, ma sanno perfettamente cosa non vogliono. Non vogliono la continuazione del governo dei ricchi, fatto dai ricchi per i ricchi. Non vogliono che il loro paese sia saccheggiato dall'imperialismo. Non vogliono povertà e disoccupazione.

I dirigenti della Cob hanno revocato lo sciopero generale. Per adesso, temporaneamente, hanno fermato le ostilità. Ma l'esercito del proletariato non deve ritirarsi. La guerra non è terminata. E' solo cominciata! Per garantire il raggiungimento delle richieste delle masse è necessario preparare un altro sciopero generale, uno sciopero che metta all'ordine del giorno, non il rovesciamento del presidentee, ma il rovesciamento della corrotta e reazionaria oligarchia boliviana che sta fermando il cammino al progresso.

Al di sopra di tutto, bisogna diffidare dei cosiddetti settori “progressisti” e “liberali” della borghesia boliviana. Senza dubbio adesso questi settori sono al centro dell'attenzione, stanno tentando di ingannare la popolazione con false promesse. Sono lo stivale sinistro dell'oligarchia e dell'imperialismo, come Lozada era lo stivale destro.

I lavoratori e i contadini sono scettici verso la borghesia. E hanno ragione! I contadini di La Paz hanno deciso di mantenere le loro proteste. E' una tattica corretta! Se non si è vinta una battaglia perché sciogliere l'esercito?

Dopo i drammatici eventi della settimana scorsa probabilmente siamo entrati in una fase di calma nel movimento, i lavoratori devono analizzare la situazione e pensare al prossimo passo. Gli elementi più coscienti e militanti giungeranno a conclusioni rivoluzionarie. Altri necessiteranno di più tempo e esperienza per arrivare alle stesse conclusioni. Ma alla fine i lavoratori dovranno riprendere la via della lotta perché non esiste alternativa. L'importanza di una buona direzione nella prossima battaglia sarà ancora più importante che in questa. Pertanto è un compito urgente creare un partito e una direzione rivoluzionaria.

La rivoluzione russa

Oggi la situazione in Bolivia ricorda molto la situazione della Russia nel febbraio del 1917. I lavoratori e i contadini rovesciarono l'antico regime e crearono soviet (consigli di operai e soldati). Difatto, in febbraio, il potere stava nelle mani della classe operaia russa. Avevano il potere ma non sapevano di averlo.

Più tardi nella conferenza di aprile, Lenin attaccò duramente quei bolscevichi che sostenevano che la classe operaia non poteva prendere il potere a causa delle condizioni oggettive. “Perchè non possono prendere il potere? Il compagno Steklov dice per questa o quella ragione. La verità è che i lavoratori non hanno preso il potere perché non erano coscienti e non erano sufficientemente organizzati!”

I lavoratori della Bolivia potevano e dovevano prendere il potere lo scorso venerdì. Non averlo preso in quel momento creerà nuove complicazioni e problemi in futuro. La borghesia avrà tempo per recuperare le proprie forze ed erigerà nuovi ostacoli sul cammino dei lavoratori e dei contadini.
In Russia l'insuccesso dei lavoratori nell'ottenere la vittoria e prendere il potere nelle proprie mani in febbraio condusse direttamente all'aborto del dialismo di potere. La borghesia si riaggruppò attorno al Governo Provvisorio “democratico” mentre i lavoratori e i contadini si riorganizzarono nei soviet. Fu un periodo dove le due parti lottavano per ottenere una situazione vantaggiosa, fino a quando finalmente, sotto la direzione del Partito bolscevico, i soviet rovesciarono il governo provvisorio e presero il potere in ottobre (novembre secondo il nuovo calendario).

Il fattore decisivo fu la direzione del Partito bolscevico con Lenin e Trotskij. Questo è quello che manca in Bolivia. I dirigenti della Cob hanno giocato un ruolo molto positivo. Hanno dimostrato una grande integrità personale e coraggio nella direzione della lotta contro Lozada. Ma adesso si richiede qualcosa di più che integrità e coraggio: manca una prospettiva chiara per prendere il potere, oltre che un programma e una tattica adeguata per questa prospettiva. Su questa base la vittoria della rivoluzione sarebbe assicurata.

La rivoluzione ha enormi riserve nella popolazione, tanto nelle città come nelle campagne. Il proletariato boliviano ha una grande tradizione rivoluzionaria, nelle sue azioni ha dimostrato che non ha dimenticato questa tradizione. Inoltre, i quadri del movimento hanno assimilato alcuni degli elementi più importanti del marxismo e del leninismo e cioè del trotskismo, a partire dalle Tesi di Pulacayo. L'idea del potere operaio non è estranea per loro. Bisogna costruire su questa base! Bisogna porre la questione chiaramente e senza ambiguità: per cominciare a risolvere il problema della società il potere deve passare alla classe operaia, alla Cob, alle juntas vecinales (organi di contropotere che si sono formati nelle città. NdR) e agli altri organi del potere operaio.

La necessità più urgente è stabilire le juntas ovunque, eleggere lavoratori e contadini responsabili, unire le juntas a livello locale, regionale e nazionale, mettere radici nelle fabbriche, miniere, officine, fattorie e quartieri. La Cob deve convocare un congresso nazionale delle juntas per discutere la strada da intraprendere. Le juntas di lavoratori e contadini dovrebbero farsi carico della gestione delle zone che controllano, distribuire cibo, combustibile e altri generi di prima necessità. Dovrebbero controllare i prezzi e farsi carico della sicurezza, formare una milizia con questo obiettivo, armandosi contro il pericolo della reazione e la minaccia di elementi criminali. La borghesia vuole ordine. Diamole ordine: l'ordine rivoluzionario della classe operaia e dei soviet!

La “opposizione” di Morales

I lavoratori e i contadini hanno mostrato un enorme valore e iniziativa. Che cosa gli si può chiedere di più? Ma i dirigenti dell'opposizione parlamentare non riflettono lo stesso coraggio delle masse. Evo Morales sta aspettando che il potere gli cada nelle mani come un frutto maturo.

The Guardian sta già speculando sulla possibile alternativa a Mesa: “A solo un punto percentuale da Sanchez de Lozada nelle ultime elezioni di quindici mesi fa c'era Evo Morales, il dirigente del sindacato nazionale dei produttori di coca. Dato l'ambiente esistente nel paese, probabilmente vincerebbe le elezioni se si facessero domani, un risultato che farebbe precipitare le relazioni con gli Usa”.

Proprio per questo Morales non ha fretta di arrivare al potere. Sa che una volta che assumerà l'incarico, sarà sottoposto alle pressioni delle masse perché avanzi misure decisive a loro favore. Per questo preferisce la relativa comodità dei seggi dell'opposizione. Per questo sta chiedendo alla popolazione che dia tempo a Mesa. Per questo ha abbracciato la richiesta dell'Assemblea Costituente, che qualche ingenuo considera erroneamente una domanda “rivoluzionaria”. In realtà, non è affatto rivoluzionaria, semplicemente rappresenta un tentativo di tergiversare, evitando di porre la questione del potere.
Esiste ovviamente una divisione del lavoro anche tra i politici borghesi. Lozada è in esilio a Miami, mentre Mesa forma un governo “tecnico” senza i partiti politici. Ma si tratta di un governo troppo debole per disciplinare e controllare le masse. E' necessaria un'alternativa.

Tutti sanno che il nuovo governo non durerà molto, così Morales aspetta il suo turno. Per rassicurare l'oligarchia e l'imperialismo che non hanno nulla da temere da lui, fa appello alle masse perché lascino la piazza, perché rinuncino alle proprie azioni e lascino le cose nelle mani della “gente che ne sa di più”.

La richiesta dell'assemblea costituente

Il vecchio potere statale, dissotterrato, scosso e rifatto a nuovo con un'azione di maquillage detiene ancora il controllo della situazione. La rivoluzione può avere successo solo abbattendolo e sostituendolo con un nuovo potere proletario. Dopo la caduta di Lozada seguirà, in un futuro non troppo lontano, la caduta di Mesa. La borghesia sta già cercando un candidato alternativo, che non venga da destra bensì da sinistra. La classe dominante, per trattare con le masse, ha solo due possibilità: la violenza o l'inganno. Ma la violenza ha già mostrato di essere un'arma inadeguata per fermare un movimento di tali dimensioni. L'uso dell'esercito, invece di intimidire la popolazione, ha avuto l'effetto contrario, ha provocato nelle masse ancora più determinazione e energia.

Pertanto si prepara l'altro scenario, quello dell'inganno. Ma per ingannare la popolazione devono fare in modo che questa abbandoni le piazze, le miniere e le fabbriche e lasci l'iniziativa nelle mani dei politici professionisti, è necessario offrirgli qualcosa in cui credere. I vecchi e screditati politici borghesi non servono a questo scopo. Ci vogliono facce nuove, serve un nuovo piano. Per assicurare che le masse non abbiano nelle proprie mani il potere reale, bisogna offrirgli qualcosa che assomigli al potere senza esserlo.

Cosciente della propria debolezza, la borghesia tenterà di basarsi sui dirigenti della classe operaia per riprendere il controllo della situazione e pacificare la classe lavoratrice. Mesa non è il più stupido dei politici borghesi, ha assistito a riunioni di contadini assieme ai loro dirigenti e alla Cob. Questo fatto di per sé è un riconoscimento tacito del vero rapporto di forza tra le classi. I lavoratori devono trarre le conclusioni e prendere il potere. Data la situazione attuale, esiste la possibilità di prendere pacificamente il potere, o quanto meno con il minimo di violenza. Ma le vacillazioni servono solo a dare tempo alla reazione perché possa riorganizzarsi, rendendo inevitabile un futuro spargimento di sangue.

In questo contesto, la richiesta della “assemblea costituente”, difesa da alcuni gruppi di sinistra, sta giocando un ruolo negativo e controrivoluzionario. La borghesia rappresentata dalla sua ala più “liberale” e “democratica” cercherà di sviare l'attenzione delle masse verso una discussione su artifizi costituzionali, piuttosto che sulle questioni realmente importanti come lavoro, pane e terra, questioni che verranno rinviate a un futuro imprecisato.

Invece di concentrarsi sull'aspetto centrale del potere, svieranno l'attenzione dei lavoratori e dei contadini su trucchi legali e demagogici. Le risorse della rivoluzione si dissiperanno in maniera infruttuosa. Non è strano che i partiti borghesi abbiano appoggiato entusiasticamente questa richiesta! Si tratta di un gigantesco imbroglio. Che oltretutto è anche pericoloso. Dietro la facciata della “assemblea costituente” si mobiliteranno le forze della reazione. Dietro lo specchietto per le allodole, gli imperialisti Usa continueranno a intrigare come fanno abitualmente.

E' necessario educare le masse a credere in sé stesse, nel proprio potere di autoorganizzazione. Si deve insistere sul fatto che il parlamento è solo una copertura senza potere reale. L'unico potere che esiste è da un lato quello dei banchieri, latifondisti e capitalisti (il vecchio potere reazionario che deve essere rovesciato) e dall'altro, il potere delle masse lavoratrici.

La lotta per il potere in ultima istanza si deciderà fuori dal parlamento. Gli antagonismi nella società boliviana sono troppo profondi, le contraddizioni troppo grandi per essere risolte dall'aritmetica parlamentare. Se perdiamo l'iniziativa, se permettiamo che le nostre forze vacillino, se ci smobilitiamo, le forze della reazione si riaggrupperanno dietro la facciata della “democrazia parlamentare” aspettando il momento giusto per colpire e schiacciare i lavoratori e i contadini.

La cosa peggiore che si possa fare in una rivoluzione è perdere tempo. Nel corso della storia molte rivoluzioni si sono perse a causa dei dibattiti e di discorsi interminabili, alla ricerca di fantasmi e ombre piuttosto che cercare l'essenza stessa del potere. Marx ha lasciato chiaro questo nel 1848-49 e Lenin ha ripetuto frequentemente questo avvertimento nel 1917.

Non ripeteremo qui gli argomenti che già sono stati spiegati rispetto alla rivendicazione dell'assemblea costituente in Argentina. Basti dire che questa rivendicazione è stata presa in prestito dalla storia della rivoluzione russa senza comprenderne minimamente il vero contenuto. L'assembela costituente non è una richiesta socialista ma piuttosto democratica-borghese che è utile nella lotta contro un regime autocratico o dittatoriale (come lo zarismo russo). Ma in Bolivia (o in Argentina) c'è un regime parlamentare borghese di cui le masse hanno già una grande esperienza. Pertanto la rivendicazione non ha alcuna rilevanza nella Bolivia di oggi.

Coloro che difendono l'assemblea costituente nella situazione attuale in Bolivia hanno abbandonato il punto di vista proletario e adottano il volgare cretinismo parlamentare piccolo-borghese.

Il cretinismo parlamentare è una malattia mortale della rivoluzione, giocare con il parlamentarismo e le costituzioni, questo è quanto i sostenitori dell'assemblea costituente stanno invitando a fare ai lavoratori boliviani. Questa non è una politica seria, ma una deviazione vergognosa, un intento frivolo di eludere la questione centrale: non si lotta per una nuova forma di democrazia borghese, si lotta per il potere operaio!
La prima condizione è l'assoluta indipendenza delle organizzazioni operaie dalla borghesia. Nessun patto, alleanza, coalizione o convergenza con la cosiddetta ala progressista della borghesia boliviana.

In Bolivia già esistono elementi di potere operaio: nei sindacati, nelle juntas vecinales, nei cabildos e altri organismi di lotta. E' necessario estendere e sviluppare questi organismi e unirli. Solo in questo modo si può creare un'alternativa di potere che guidi la nazione.

Internazionalismo: l'unica via

Ci sono rapporti che dicono che i dirigenti locali stanno formando delle frazioni armate per sfidare il governo e le sue forze armate, esprimendo la lamentela dei poveri in un ”messaggio fortemente nazionalista e antistraniero” (The Guardian). Il nazionalismo del lavoratore e del contadino boliviano è in realtà un sentimento antiimperialista, il guscio esterno di un bolscevismo immaturo. Ciò nonostante, l'aspirazione delle masse di abolire il dominio straniero guadagnando il controllo del proprio destino si può ottenere solo espropriando l'oligarchia. Ma una misura del genere condurrebbe immediatamente la Bolivia in un conflitto con l'imperialismo Usa, che tenterebbe di utilizzare gli stati confinanti per intervenire. Il destino della rivoluzione boliviana sarà determinato dalla capacità di appellarsi, chiedendo l'aiuto dei lavoratori e dei contadini del Venezuela, Brasile, Perù, Colombia, Argentina, Ecuador e Cile.

La rivoluzione può, probabilmente sarà così, iniziare in Bolivia, ma se resta isolata in un piccolo paese dell'America Latina, a lungo termine non ha futuro. La vittoria della rivoluzione boliviana deve essere il primo passo verso la rivoluzione andina e latinamericana, le condizioni sono completamente mature.
La rivoluzione boliviana trionferà sotto la bandiera dell'internazionalismo proletario, diversamente non trionferà in nessun modo.

L'Economist ha dovuto ammettere che: “La lotta continua lungo tutta la regione andina e sarà difficile per i dirigenti far accettare il messaggio che con qualche sacrificio si avranno poi benefici in futuro”. E aggiunge: “Ma le cose possono andare peggio, specialmente se la scalata della violenza conduce a una rottura democratica in Bolivia o Venezuela. Come avvertiva Sanchez de Lozada nella sua lettera di dimissioni: i pericoli che minacciano il paese restano intatti”.

Il principale “pericolo” a cui pensano Lozada e la sua classe è il pericolo della classe operaia. Ovunque il programma della borghesia è sempre lo stesso: un programma di tagli e attacchi selvaggi alle condizioni di vita. Considerando i terribili livelli di povertà in Bolivia e negli altri paesi andini, le masse non accetteranno questo senza lottare. Questo è il significato dei recenti sviluppi in Bolivia. La rivoluzione boliviana, assieme al Venezuela, è la chiave della rivoluzione andina, nel senso che ora esistono le condizioni più favorevoli per la presa del potere da patrte della classe operaia. Ciononostante, considerando le condizioni esplosive che esistono in Perù e altri paesi, la rivoluzione può incominciare in qualsiasi altro paese nel futuro più immediato.

La rivoluzione boliviana può cominciare prima che in altri paesi. Ma può consolidarsi solo se va oltre gli stretti limiti dello stato nazionale e si estende ai paesi vicini. Questa prospettiva non è utopica. E' assolutamente possibile, specialmente se la rivoluzione è guidata da una direzione audace e lungimirante.
Nei paesi confinanti le condizioni sono anche mature. Le contraddizioni del movimento di Chàvez in Venezuela hanno aperto la strada alla messa in discussione da parte dei lavoratori della proprietà privata e nei fatti quello che si sta esigendo è la gestione operaia dell'impresa petrolifera nazionalizzata. In Perù ci sono stati movimenti di massa contro il governo Toledo che in certi casi hanno assunto un carattere insurrezionale. Il presidente dell'Ecuador, Lucio Gutierrez, si sta scontrando con scioperi e proteste, dopo aver perso il sostegno del gruppo indigeno che lo aiutò ad arrivare al potere. La settimana scorsa è stato dichiarato lo stato d'emergenza quando i produttori di banane (l'Ecuador è il principale esportatore di banane nel mondo) hanno bloccato le strade e i porti, esigendo prezzi più alti e più sussidi dallo stato. Lo sciopero è stato sospeso il sabato dopo che il governo ha accettato le loro rivendicazioni. In un paese dietro l'altro ci sono stati scioperi generali, movimenti di massa di lavoratori e contadini contro i tagli e le privatizzazioni: in Argentina, Colombia, Honduras, Paraguay, Cile, Panamà, Uruguay, ecc.

La tremenda povertà delle masse è la principale forza motrice del fermento rivoluzionario che sta attraversando tutta la regione. Questa è la ragione fondamentale dell'attuale ondata di lotta politica e sociale. Questo non si può eliminare fin quando l'economia resterà nelle mani di oligarchi parassitari totalmente subordinati all'imperialismo Usa.

I cinque membri del blocco commerciale della Comunità Andina sono in profonda crisi. L'economia venezuelana è in una crisi profonda con una diffusione della povertà assoluta, nonostante le enormi riserve petrolifere possedute (anche se gran parte del crollo economico si deve alla serrata padronale di dicembre-gennaio e al sabotaggio economico della classe dominante). Il reddito procapite è caduto dello 0,3% in Bolivia e in Ecuador, mentre in Colombia c'è una modesta crescita dello 0,8% però dopo due anni di declino economico. Il Perù potrebbe essere uno dei pochi punti luminosi della zona, con una crescita del reddito procapite del 2%.

Il precedente presidente voleva stimolare la crescita economica esportando il gas boliviano attraverso un nuovo gasdotto, costruito dalle imprese britanniche e spagnole verso un porto cileno del nord, probabilmente Patillos. Ma la popolazione della Bolivia si è resa conto che la maggioranza dei profitti sarebbero finiti nelle tasche del capitale straniero. Questo è servito da catalizzatore per l'insurrezione stimolando l'avanzamento di altre rivendicazioni tra cui il tradimento della promessa elettorale di creare nuovo lavoro.

La borghesia cilena nel secolo XIX è stata impegnata in una guerra sulla costa del nord con la Bolivia. Questo è uno dei problemi tipici creati in America Latina come effetto della balcanizzazione successiva all'indipendenza dall'impero spagnolo.

Ogno governo della regione, eccetto il Venezuela, ha tentato di applicare misure di austerità e attacchi alle condizioni di vita delle masse. L'argomento della borghesia è che queste misure porteranno crescita e lavoro “a lungo termine”, ma come disse Keynes, a lungo termine saremo tutti morti. Queste misure neoliberali inspirate dagli Usa servono solo ad accrescere le sofferenze della popolazione nella zona, senza risolvere nessuno dei problemi fondamentali.
Questo è il punto fondamentale della protesta di massa.

In Ecuador i lavoratori sono stati protagonisti di scioperi contro i piani di Gutierrez di privatizzare imprese abolendo il monopolio statale sull'azienda petrolifera. In Colombia i piani di austerità stanno provocando una reazione. Il presidente Alvaro Uribe sta cercando l'appoggio popolare con un referendum (si celebrerà il 25 ottobre) sul “pacchetto di riforme” che include la riduzione delle pensioni pubbliche e il congelamento del salario ai funzionari.

Ovunque vediamo che la rivoluzione è all'ordine del giorno. Tutta la regione andina è come un pagliaio. Una scintilla può provocare un incendio. Tutto quello di cui c'è bisogno è un esempio valido da seguire. Se i lavoratori della Bolivia o del Venezuela prenderanno il potere, tutta la situazione ne sarà trasformata completamente. Ci vuole un punto di inizio!

Lunga vita alla rivoluzione boliviana!
Nessuna fiducia nella borghesia e nei suoi partiti!
Per un governo dei lavoratori e dei contadini!
Per una Bolivia socialista negli Stati Uniti Socialisti dell'America Latina!

22 ottobre 2003

Rivoluzione e controrivoluzione in Bolivia

di Peppe Letizia

Con una mossa tattica a sorpresa, e con un discorso dai toni durissimi rivolto alle parti sociali in lotta, il presidente ad interim Carlos Mesa annunciava domenica scorsa (6 marzo) le proprie dimissioni rifiutate il giorno dopo, unanimemente dal congresso. Scopo di Mesa, cui il MAS di Evo Morales aveva appena ritirato l'appoggio, salvo poi votare contro le sue dimissioni, era quello di ricostruirsi una maggioranza parlamentare per reggere all'ondata dilagante di scioperi nel paese, ma il suo discorso ha gettato di fatto la Bolivia sull'orlo della guerra civile. Per la prima volta in cinque anni di "guerra permanente all'imperialismo" le masse lavoratrici boliviane si trovano ad affrontare un nemico interno mai tanto agguerrito, al quale la fiducia del MAS nella democrazia borghese ha colpevolmente lasciato il modo di riorganizzarsi e colpire. Nei paese coloniali come la Bolivia la borghesia nazionale e l'imperialismo non possono permettersi, lo hanno dimostrato, la benché minima concessione: la questione della presa del potere si impone come necessità concreta per il riscatto delle masse di quel paese condannate ad uno sfruttamento millenario. Il flusso continuo di eventi spesso tumultuosi deve impegnarci ancora di più a capire e apprendere da questa esperienza rivoluzionaria straordinaria che avanza sotto i nostri occhi. La "madre di tutte le battaglie" come gli stessi dirigenti riformisti hanno definito la nuova fase della rivoluzione boliviana è appena iniziata, e lascerà sul campo un solo vincitore, o nessuno.

La seconda guerra dell'acqua

Agli inizi dell'anno la popolazione esasperata de El Alto proclama un paro civico indefinido (sciopero cittadino indefinito) per la nazionalizzazione dell'acqua. Il servizio era stato privatizzato nel 1997 su imposizione della Banca Mondiale, quest'ente etico che poi aveva acquisito l'8% delle azioni nella società privata nata per gestirlo, la Aguas de Illimani , il cui maggiore azionista è la Lyonnaise des Aux Group Suez, multinazionale francese leader nel mercato mondiale dell'acqua. La copertura a tutta l'operazione è data dalla concessione di quote partecipative ad alcuni potentati economici locali, secondo uno schema tipico del colonialismo. La promessa di miglioramento nella gestione della rete idrica e ribasso delle tariffe è tanto falsa che solo tre anni dopo nel 2000 a Cochabamba analogo tentativo di privatizzazione è salutato dalla popolazione con 90 giorni di scioperi e stato d'assedio, ed una lotta tanto aspra da mettere in fuga la californiana Aguas de Tunari società già pronta ad accaparrarsi l'acqua della città giardino boliviana. A El Alto solo nell'anno scorso le tariffe sono aumentate del 35%, ed i costi proibitivi (450 dollari americani su stipendi medi - per chi ce l'ha - di 50) tengono senza allacciamento alla rete idrica circa 200.000 famiglie, ma è una stima per difetto, considerando che il popoloso sobborgo che domina la valle e l'unica via di accesso alla capitale amministrativa La Paz è oggetto di una continua urbanizzazione che ne allarga i confini della cinta urbana, aumentando la popolazione oltre il milione circa di abitanti ufficialmente censito.La gente è costretta a prendere acqua piovana da pozzi, nonostante le risorse idriche loro offerte storicamente dall'Illimani, e dai ghiacciai che dominano il panorama paceño.

Davanti alla proclamazione dello sciopero indefinito l'attuale presidente Carlos Mesa dichiara pubblicamente in un messaggio televisivo alla nazione di essere incapace di tenere testa alla situazione. Mesa non aveva infatti neppure una maggioranza parlamentare vera e propria, dei partiti di governo sui quali scaricare, o con i quali condividere il peso di una contrapposizione violenta agli scioperi. Eletto nel 2002 come vice di Gonzalo Sanchez de Lozada, meglio noto come Goni - il presidente capace in neppure un anno prima di ordinare il fuoco sulle marce contro l' impuestazo , l'aumento cioè, ordinato dal FMI, della pressione fiscale sugli stipendi di operai, impiegati e persino poliziotti, i quali diedero vita alla guerriglia urbana del febbraio 2003, poi macchiatasi del sangue degli oltre 70 morti dell'ottobre nero della guerra del gas, la guerra contro la svendita delle risorse naturali di Bolivia alle multinazionali. Mesa divenne presidente per successione costituzionale, sotto la tutela fin dall'inizio della piazza, mai completamente smobilitata dalle organizzazioni dei lavoratori. Per due anni, scanditi da scioperi generali, da un durissimo scontro con il sindacato degli insegnanti, gli studenti ed i settori sociali più radicali, Mesa ha provato non solo a galleggiare, ma anche a tentare una via d'uscita alla crisi che non mettesse in discussione i privilegi e gli interessi di multinazionali e della borghesia boliviana. In questo senso non solo il tentativo di legittimare la svendita di fatto del gas con un referendum sommerso di astensioni e voti nulli (in Bolivia chi non vota paga multe salatissime), ma anche la legge che regolamenta l'uso della forza contro le lotte, subordinando al semplice ordine presidenziale l'intervento dell'esercito, i cui comandi vengono così sollevati da qualsiasi responsabilità: come dire prepariamoci al peggio!

Non stupisce allora che la gente lo chiami apertamente vendepatria , servidor, qualifica confermata nei giorni che hanno preceduto l'inizio dello sciopero dalla stessa Suez, la quale per parte sua, con una lettera minatoria ed arrogante, chiamava pubblicamente al rispetto dei patti le autorità boliviane, declassate al ruolo di kapò per l'imperialismo. Meno di 10 giorni sono stati sufficienti alla lotta per imporre al governo la revisione del contratto, ma non ai manifestanti i quali rivendicavano la nazionalizzazione dell'acqua e la creazione di una impresa pubblica che la gestisse con la presenza prevalente delle juntas vecinales , i consigli di quartiere presenti in tutta la Bolivia e divenuti le autentiche strutture del contropotere, assieme alle confederazioni nazionali e regionali di lavoratori e contadini. Per avere il senso di quanto l'organizzazione delle masse e le “istituzioni” si contendano il concreto esercizio del potere oggi in Bolivia basti pensare che il decreto che impegnava il governo nella direzione imposta dalla lotta è stato rimesso dal presidente non al parlamento ma alle assemblee pubbliche, tenute per strada, della FEJUVE ( Federacion juntas vecinales di El Alto ) e della COR, il sindacato regionale!

Sindacati e partito

Proprio la FEJUVE, le COR ( Central obrera regional ), specie quelle de El Alto, le COD (Central obrera departamental ) e soprattutto la Central Obrera Boliviana (COB), la Confederacion sindical unitaria de los trabajadores campesinos de Bolivia (CSUTCB), il Movimiento sin tierra de Bolivia (MST-B) e la Federacion sindical de trabajadores mineros de Bolivia (FSTMB), a dispetto di radici territoriali, settoriali e qualunque altro vincolo, sono divenuti i veri depositari della cosiddetta agenda de octubre , l'insieme delle rivendicazioni nate nelle cruente e gloriose giornate della guerra del gas, sintetizzabile nella parola d'ordine che oramai risuona martellante dalle altissime ande fino alla pianura amazzonica orientale: que se vayan las transnacionales de Bolivia (fuori le multinazionali dalla Bolivia) . Tutte queste organizzazioni hanno giocato un ruolo fondamentale negli ultimi moti popolari, dai campesinos che diedero vita alla prima guerra contro la privatizzazione dell'acqua a Cochabamaba nel 2000, alla FEJUVE ed alla COR di El Alto, dove maggiore è stato il tributo di sangue nell'ottobre nero del 2003, alla COB ed ai minatori, ancora avanguardia del movimento operaio, il cui arrivo a La Paz nelle stesse giornate della guerra del gas, arrivo anticipato dalla esplosione dei candelotti di dinamite della quale vanno armati, diede la spallata decisiva al governo di Goni. Ognuna di loro però, incontratesi sul terreno comune della lotta all'imperialismo, ha anche rivendicazioni sue proprie, circostanza che il governo Mesa aveva cercato, non senza profitto, di trarre a proprio vantaggio.

Emblematico in tal senso dei limiti misurati in una direzione puramente “sindacale” di una lotta così radicale è il caso delle miniere di Pacuni, nella località del Caracoles, provincia di Oruro. Privatizzate e consegnate alle cosiddette cooperative - società private servite negli anni '80 e '90 a cancellare i diritti conquistati nella rivoluzione del 1952 dai minatori, obbligandoli nuovamente a doblar , entrare in miniera ed uscirvi 36/48 ore dopo passate masticando coca ed estraendo la quantità di materiale necessaria a soddisfare i cottimisti di turno - le miniere del Caracoles furono riconsegnate nel maggio del 2004 dopo una lunga lotta all'ente pubblico formalmente ancora proprietario, la COMIBOL, senza però risolvere il problema dei minatori alle dipendenze dei privati, i quali si trovarono dalla sera alla mattina senza neppure quell'infame lavoro. Minatori della COMIBOL e cooperativistas hanno dato vita per tutta l'estate scorsa a una guerra tra poveri con arbitro il governo, riuscito a dividere lavoratori che fino al giorno prima marciavano insieme per la nazionalizzazione del gas! Non è l'unico esempio: prima di mettere sotto l'albero di natale l'aumento del carburante, il dieselazo , Mesa era riuscito ad assicurarsi l'appoggio di trasportatori, autorizzati all'aumento generalizzato delle tariffe, e distributori di carburante, ai quali fu garantito lo stesso livello di profitti. Ci è sembrato pertanto quanto meno fuori luogo il vecchio dibattito che ha seguito ad appassionare, particolarmente fuori dalla Bolivia, gruppi più o meno grandi della variegata sinistra latino americana, specie in Argentina, sulla necessità o meno di promuovere la parola d'ordine tutto il potere alla COB . La realtà è che tutte queste contraddizioni interne al movimento operaio e proletario potevano essere risolte unicamente dentro una visione più vasta dei compiti della rivoluzione boliviana e delle sue prospettive, in altre parole semplicemente una visione politica: a questo serve il partito rivoluzionario, questo il suo ruolo nel caso concreto della Bolivia di oggi, di una rivoluzione contro globalizzazione e imperialismo condotta e combattuta direttamente da un intero popolo. La costruzione del partito rivoluzionario si dimostra ancora una volta essere il compito storico fondamentale in questa fase storica per il movimento operaio.

L'unico partito in grado di giocare questo ruolo però, il Movimiento al Socialismo - MAS , ed il suo leader Evo Morales Ayma, dalla caduta di Goni è stato la stampella parlamentare del governo Mesa. La scommessa, persa, dalla direzione del MAS era quella di riuscire a condizionare il governo, combinando la pressione della piazza alla iniziativa parlamentare, rafforzando così il proprio ruolo e la propria posizione, per poi, soddisfatte o apparentemente tali le rivendicazioni popolari, giocarsi tutto il prestigio conquistato nelle elezioni per l'Assemblea Costituente ed in quelle presidenziali. L'idea però che la scommessa sulla democrazia borghese e sulla propria capacità di prolungare all'infinito una situazione eccezionale come quella rivoluzionaria valesse il prezzo da pagare alla collaborazione con la borghesia, ancora una volta si è dimostrata nefasta, con ripercussioni che potrebbero rivelarsi drammatiche per la Bolivia intera. Frattanto Morales è stato espulso dalla COB per il sostegno dato al governo di Mesa ed al referendum da quest'ultimo realizzato, o meglio il tramperendum (referendum truffa) come venne chiamato per l'ambiguità dei quesiti, formulati in modo tale da giustificare qualsiasi legge sul gas si fosse fatta, meno quella sulla nazionalizzazione, l'unica che interessasse seriamente. Se Mesa può ancora oggi dire di aver agito secondo il mandato referendario, è grazie alla decisione del MAS di non appoggiare l'astensione promossa da COB e CSUTCB, astensione che sommata ai voti deliberatamente annullati aveva comunque fatto fallire la consultazione popolare La brigata parlamentare del MAS ha perso alcuni pezzi importanti, come Filemòn Escobar, dirigente nazionale del partito, ed alcuni altri “onorevoli” passati nelle fila della bancada oficialista , il gruppo misto che sosteneva direttamente il presidente.

Indigenismo o socialismo?

La parabola del MAS rappresenta l'ultimo capitolo della affannosa ricerca delle masse boliviane del proprio strumento di rappresentazione politica, ed anche l'ennesimo tradimento. Più di una volta infatti la classe lavoratrice boliviana è stata prossima alla definitiva emancipazione. Nel 1952 in particolare, guidata dai minatori e dal proletariato urbano - elemento non di poco conto se si considera il carattere prevalentemente rurale e guerrigliero di molti processi rivoluzionari latino americani - sconfisse e disarmò l'esercito infiammando le più importanti città del paese. Si batteva per le Tesi di Pulacayo, né più né meno che il programma di transizione di Trotsky, approvate nel congresso fondativo della COB - tenutosi nella omonima città della regione di Potosì - grazie alla straordinaria influenza del POR (Partido obrero revolucionario) allora una delle sezioni più grandi e radicate della IVª Internazionale. Ma proprio il POR, diretto dall'esecutivo della Quarta internazionale, prima consegnò il governo del paese ed il sindacato nelle mani del Movimiento Nacionalista Revolucionario (MNR) e di personaggi come Juan Lechìn ( dirigente filo padronale della COB fino alla morte negli anni '80 ), poi, sconfitto ed emarginato dallo stesso governo frutto della collaborazione di classe che aveva contribuito a creare, abbandonò l'ipotesi rivoluzionaria, arretrando sul terreno del radicamento e divenendo oggetto di una serie di scissioni che lo hanno indebolito ulteriormente. Il MNR, nel quale era già confluito il partito comunista stalinista di Bolivia, è stato poi, con le dittature militari, lo strumento politico fondamentale della svendita delle conquiste della prima rivoluzione del 1952, fino alla caduta del suo ultimo leader, Goni. Basti pensare che lo stesso presidente, Victor Paz Estenssoro, nel 1952 nazionalizzò le miniere, e tornato presidente nel 1985 ne cominciò la svendita, scontrandosi nuovamente con la COB e la FSTMB.

Il MAS al contrario è un partito nuovo, non compromesso con i tradimenti e le sconfitte, o effimere vittorie, del 1952, del 1969 o del 1985. In origine nasce addirittura da una serie di scissioni dell'unico partito di dichiarata ispirazione fascista della Bolivia, la Falange Socialista Boliviana (FSB). Quando agli inizi degli anni '90 gli USA intensificano l'invio di marines e la pressione sul paese per la eradicazione della coltivazione di coca, pretesto per cominciare l'appropriazione delle risorse energetiche, minerarie e idriche di Bolivia, della sigla MAS si impossessano i dirigenti cocaleros raggruppati nella Asamblea por la soberania del pueblo. Per chi non lo sapesse la masticazione delle foglie di coca in Bolivia non ha nulla a che vedere né con la produzione né con il consumo di cocaina dell'occidente, ma appartiene alla millenaria tradizione incaica, intensificata dagli spagnoli all'epoca delle colonie e dell'olocausto di 8 milioni di indios morti come mosche nelle miniere d'argento boliviane. La foglia di coca non è né la mariujana né l'oppio afghano, la cui produzione come tutti sanno è aumentata con la guerra. Morales e tutte le figure di rilievo del MAS si sono formati nelle lotte di quegli anni per la difesa dell'economia rurale e per il libero accesso di lavoratori, villaggi e popoli originari alla salute e all'istruzione garantite alle minoranze di origine europea, e soprattutto al controllo delle risorse naturali del paese.

Ed è stata proprio la capacità di allargare l'orizzonte e porre la lotta su un terreno generale e marcatamente progressista a far emergere il MAS tra le forze dell'antagonismo sociale. Qualche numero per chiarire il concetto: alle elezioni amministrative del 1999 su 3.573.851 iscritti nelle liste elettorali, il nuovo MAS alla sua prima apparizione riceve 65.425 suffragi pari al 3,2%. Solo tre anni dopo alle elezioni presidenziali del 2002, su 4.155.055 aventi diritto il MAS arriva a 581.884 voti, pari al 20,9%, attestandosi come secondo partito del paese, dopo il MNR della coppia Goni - Mesa. In mezzo c'è l'inizio della rivoluzione boliviana a Cochabamba contro la privatizzazione dell'acqua. Ma a quella lotta aveva dato un contributo fondamentale anche e soprattutto la meglio organizzata e più radicata CSUTCB, il cui leader era allora Felipe Quispe detto “El Mallku” come il mitico condor della tradizione religiosa quechua e aymara, ex guerrigliero dell' Ejercito de Liberacion Tupaj Katari , leader nazionale del Movimiento Indigena Pachakuti (MIP). Con queste credenziali Quispe si candida a presidente per il MIP ed espone analisi e programma ( reperibili in una intervista tradotta in italiano e pubblicata in rete nel circuito ecn.org) fondati sugli ennesimi requiem alla classe operaia, e caratterizzabili con questa sua affermazione: “vogliamo autogovernarci, vogliamo ricostruire il Quollasuyu, la società socialista comunitaria degli ayllus” . Ayllus sono le comunità contadine di base e Quollasuyu è la regione andina tra Bolivia e Perù patria del popolo aymarà. È il riscatto dei popoli originari dal colonialismo, la tradizione mossa a difesa dalla globalizzazione, un esito neoindigenista comune a molte esperienze latinoamericane degli anni novanta. Eppure nonostante il peso, il ruolo ed il riconoscimento politico, Quispe ed il MIP si fermano al 6%, proprio quando esplode il MAS di Morales. Il dato significativo è che nel paese più indio di tutto il centro e sudamerica, l'unico dove i discendenti dei popoli precolombiani sono grande maggioranza della popolazione, prevalga la più definita promessa di modernizzazione e progresso alla affermazione etnica e identitaria, anche se entrambe accompagnate dalle stesse rivendicazioni sociali. Di fronte alla possibilità di alternativa, anche solo ideale, l'alleanza operai contadini costruita dal MAS si afferma sulla conservazione dell'economia di sussistenza per certi versi implicita nelle prospettiva del MIP: una lente che ci dovrebbe far vedere quanto meno in modo diverso esperienze come quella zapatista.

Tanto impetuosa è stata l'ascesa del MAS, quanto le sue scelte politiche dall'ottobre 2003 in poi ne hanno messo in pericolo il ruolo. Alle ultime elezioni amministrative, convocate nel mese di dicembre del 2004, il MAS è sceso a 494.422 voti, il 18,4% e 100.000 voti in meno su un aumento della popolazione votante di circa 400.000 unità. In queste elezioni però il dato più significativo è stata la scomparsa dei principali partiti della Bolivia, quelli che sostennero Goni e Mesa, e che tutt'ora permangono maggioranza in Parlamento. Il MNR, il MIR (Movimiento de izquierda revolucionaria - affiliato alla internazionale socialista, complice del MNR), la ADN (Accion democratica nacionalista - il partito dell'ex dittatore Banzér) e la NFR (Nueva fuerza republicana), con la sola eccezione di quest'ultimo, sono partiti che hanno fatto la storia della Bolivia più o meno ininterrottamente per 40 anni, ma escono dalle elezioni ridotti a percentuali ad una cifra, e solo nel migliore dei casi. Che l'ondata di rabbia che li ha sommersi lambisca anche il MAS è cosa che non si può nascondere dietro il primato elettorale che fa del partito di Morales il primo del paese. Inutile ribadire che il MAS non è un partito rivoluzionario, ma ciò non toglie che in esso militino molti dirigenti contadini e tantissimi operai e quadri sindacali della COB, come dimostrano i risultati di Santa Cruz, La Paz e Cochabamaba, grandi città dove è l'unico partito a contendere il primato alle oligarchie di turno, riciclatesi in vergini liste civiche. Questo settore non ancora organizzato all'interno del partito e legato ai settori sociali più radicali, prende fiato dal risultato elettorale e comincia in più occasioni ad esprimersi per ritorno del partito alla piazza.

Dalle elezioni al separatismo

Le elezioni amministrative, in sé un fatto apparentemente irrilevante nel convulso contesto sociale boliviano, privano d'un colpo la borghesia nazionale di tutti i suoi punti di riferimento politici. Fallisce anche il tentativo di spezzare il fronte sociale, permettendo per la prima volta la presentazione alle elezioni di Agrupaciones de pueblos originarios , liste indigene i cui risultati sono tutt'altro che lusinghieri. D'altra parte né le forze armate proletarizzate nei quadri intermedi di comando dall'impoverimento del minuscolo ceto medio boliviano, né la polizia in più di una occasione al fianco delle lotte, possono rappresentare, almeno per ora, una via di uscita reazionaria alla crisi: nei momenti topici il comando militare ha espresso la sua fedeltà alla costituzione , anche in considerazione del fatto che la rivoluzione boliviana è si operaia ma per la prima volta con una grande partecipazione campesina, è proletaria e indigena, come la stragrande maggioranza dei battaglioni dell'esercito, tranne quelli speciali utilizzati a La Paz e El Alto nella guerra del gas. La borghesia di Bolivia decide di cimentarsi direttamente e frontalmente nello scontro, avendo avuto colpevolmente dal MAS il tempo e lo spazio per riorganizzarsi e legittimare, mascherandolo, il proprio conservatorismo dietro il risultato del referendum sul gas. Il terreno, il pretesto è la rivendicazione autonomistica del dipartimento orientale e semi amazzonico di Santa Cruz de La Sierra.

Tre sono i campi di scontro aperto che fanno della borghesia cruceña la testa d'ariete della controrivoluzione. In primo luogo la questione degli idrocarburi: il dipartimento di Santa Cruz è quello con la più alta concentrazione di gas, alla cui svendita sono direttamente interessati gli imprenditori locali ai quali le multinazionali, secondo lo schema colonialista già visto nel caso della Aguas de Illimani , sono pronte a concedere quote partecipative nelle società create ad hoc per sfruttare questa ingente risorsa. In secondo luogo l'adesione al Tratato de Libre Commercio con gli USA, per il quale tanto si è speso il governo Mesa e apertamente osteggiato dai sindacati, è una occasione imperdibile per vendere la soia transgenica offerta ai latifondisti cruceni, noncuranti degli effetti disastrosi che la dollarizzazione avrebbe sulla fragile economia del paese, e sulle economie familiari. In terzo luogo la annosa questione della terra. Santa Cruz è il dipartimento più grande del paese, quello più pianeggiante insieme a Tarija, e dove maggiore è la coltivazione di prodotti commerciabili, più alta è la concentrazione del latifondo, più intensi gli scontri con l'agguerrito Movimiento Sin Tierra boliviano. Dalla guerra del gas in poi le occupazioni di terra non si sono mai arrestate, anche nel periodo di relativa pace, solo politica, decretato dal MAS. La prima hacienda a farne le spese fu proprio quella della moglie del deposto presidente Goni, all'interno della quale alcuni fra gli oltre 200.000 militanti del MST hanno fondato comuni, Ayllus, e distribuito terreni incolti, difendendoli spesso con le armi di fronte ai tentativi di "ripristino della legalità" come eufemisticamente si definiscono le operazioni militari di sgombero. La questione dell'autonomia, dietro la quale si nasconde la resa dei conti con il movimento, era stata più volte sollevata ed intensificata nel corso del 2004, alimentando il razzismo latente che vede contrapposte la stragrande maggioranza india (Quollas come vengono definiti) e la minoranza creola e di origini europea (definiti altrettanto spregiativamente K'aras), che ricopre i ruoli chiave della politica e dell'economia. L'obiettivo della rivendicazione autonomica, separatista di Santa Cruz de La Sierra è evidente: sottrarre alle organizzazioni sociali il tema del contendere, gli idrocarburi, riportato sotto il serrato controllo da un governo autonomo, far arretrare la discussione su contrapposizioni razziali per cancellare le aspirazioni sociali di classe, segnare i contenuti della Assemblea Costituente che il governo si era impegnato a convocare ed infine offrire un ordine possibile contro i disordini. Se esiste un ceto medio, professionale, in Bolivia, questo è concentrato prevalentemente a Santa Cruz, ma neppure l'alleanza con questo settore avrebbe dato alla borghesia la forza necessaria per lanciarsi all'attacco, serviva qualcosa di maggiore presa anche tra i lavoratori per dimostrare la capacità di mobilitazione di un progetto così reazionario.

La Nacion Camba

Questo pretesto è offerto dal già citato aumento del carburante, contro il quale scende in campo in tutto il paese un ampio movimento di lavoratori e studenti dei principali centri urbani, maggiormente colpiti dall'aumento delle tariffe dei trasporti mercanteggiate da Mesa con il relativo sindacato. Il Comitato civico pro Santa Cruz convoca immediatamente una serie di manifestazioni chiamando a raccolta tutta la città sulle parole d'ordine dell'abolizione del dieselazo e dell'autonomia. Santa Cruz è una città molto estesa, brulicante di attività dove frotte di piccoli bus (i micros ), sono l'unico mezzo di trasporto per le centinaia di migliaia di persone che vi lavorano e vi studiano, per le quali le tariffe erano già più alte che nel resto del paese. Di fronte all'impasse politica generata dai tentennamenti del MAS e dalle centinaia di rivendicazioni settoriali, lasciate dal MAS prive di un progetto unitario, il Comite Civico sembra essere anche agli occhi di molti lavoratori l'unica forza ad avere una prospettiva generale, l'autonomia, e a puntare con decisione alla risoluzione di un problema immediato, il carovita. Le prime manifestazioni sono un incoraggiante successo, grazie anche all'adesione della COB, garantita dalla burocrazia sindacale più venduta e compromessa del paese. Alla borghesia però non basta essere forza in campo: la contemporaneità della sollevazione cruceña con la mobilitazione in atto a El Alto, dove pure si chiede l'abolizione del dieselazo , la obbliga a battere il ferro finché caldo, e premere sull'acceleratore finché l'inganno venga scoperto. In una delle ultime manifestazioni Ruben Costa, che ne è il portavoce, annuncia che di lì a una settimana, e precisamente per il 28 gennaio, il Comite Civico organizza una manifestazione, un cabildo una specie di consiglio comunale aperto, per eleggere il primo governo autonomo del dipartimento di Santa Cruz. Analoga convocazione è fatta dal più debole, ma non meno pericoloso, neonato Comite Civico pro Tarija. Il guanto di sfida è lanciato!

Probabilmente la data non è casuale: il 28 gennaio ricorre infatti il 113° anniversario del Masacre de Kuruyuki quando, era il 1892, la oligarchia al potere nella neonata Bolivia promosse la propria " solucion final " contro i Guaranì, il popolo originario che abita l'Amazzonia boliviana e brasiliana le cui sollevazioni avevano inferto i colpi più duri alla cadente dominazione spagnola. Questo tentativo di inscenare radici storiche alla nuova spinta autonomista si ritorce immediatamente contro i suoi promotori, usciti allo scoperto e smascherati nel loro intento di canalizzare ad altri fini il malcontento provocato dagli aumenti di carburanti e trasporti. Fin dall'indomani della convocazione tutto intorno alla città di Santa Cruz cresce l'assedio congiunto di organizzazioni contadine, dell' Asamblea del Pueblo Guaranì , delle comuni del MST, dei settori non collusi del sindacato. In città l'inganno operato dal Comite è apertamente denunciato da organizzazioni di universitari, e dal settore più combattivo ed indipendente della COB, quello dei lavoratori della sanità, la cui dirigente

Delicia Mendoza si scaglia pubblicamente contro i dirigenti delle FEJUVE locali e della COB, accusandoli di tradire e mentire al popolo.

Si giunge in questo contesto alla fatidica data. A Tarija la mobilitazione popolare ha trasformato il cabildo in una innocua fiaccolata. A Santa Cruz è invece un apparente successo da analizzare però al di là del balletto di numeri (oscillanti tra i 50.000 e i 300.000) che i vari punti di vista testimoniano. Secondo El Deber , il quotidiano organo della borghesia cruceña, sono stati mobilitati circa 8.000 piccoli proprietari terrieri e le loro famiglie dalla confederazione che li organizza; il dirigente campesino Benigno Vargas denunzia che alcune migliaia di braccianti sono a forza portati in piazza dai rispettivi datori di lavoro; istituti finanziari e piccole imprese hanno lavorato ad orario continuo per permettere la partecipazione al cabildo di operatori ed impiegati; è presente in massa la classe media e professionale. I lavoratori, venduti dalla COB, sono stati minacciati dalla serrata padronale e caricati su un centinaio di camion come bestie da fiera. Per dare un tono multietnico alla manifestazione veniva gratuitamente offerto cibo ai partecipanti, specie quelli più poveri, ai quali sono state peraltro distribuite le 10.000 bandiere verdi con la scritta Somos Bolivia che si vedevano sventolare. In tutto il cabildo è costato 100.000 dollari, una cifra enorme per una sola manifestazione, soprattutto considerando la caratterizzazione popolare che se ne voleva dare, una cifra spesa fino all'ultimo centesimo come ammesso dal responsabile logistico del Comite Juan Judelka, manager di Aceite Rico la più grande impresa agroalimentare del paese. Ma il ricatto non crea entusiasmo. Nel comizio dal palco - questo è stato il famoso consiglio comunale aperto - Ruben Costa deve fare i conti con la rabbia che brucia le periferie della città e della regione, il cui fumo, metaforicamente parlando, impregna il discorso solidario e conciliante pronunciato dal dirigente civico. Alla fine la mobilitazione serve per rivendicare la convocazione di un referendum per decidere se eleggere o meno direttamente il Prefetto dipartamentale, e questo è il tortuoso obiettivo ufficiale raggiunto, e soprattutto la presenza di due uomini del Comite in alcuni ministeri chiave nel rimpasto di governo, risultato più solido per la borghesia cruceña. In particolare, ma non solo, interessava il controllo dell'agricoltura, visto che da lì si lancia l'ultimo attacco a quello che rimane delle conquiste formali della rivoluzione del '52, in particolare con la promozione della controriforma agraria (la Ley 2493 ) che consolida il latifondo eliminando anche l'obbligo dell'uso della terra per giustificarne l'esistenza.

Il comando Camba

Nei giorni immediatamente successivi è tutto un susseguirsi di assemblee, riunioni pubbliche tra le varie organizzazioni contadine, operaie e popoli originari per dibattere il tema dell'autonomia, definita qui come libertà di parlare la propria lingua, sia il quechua o l'aymarà, ma priva di significato se non accompagnata dall'elenco delle rivendicazioni sociali che si vanno allargando: nazionalizzazione di acqua e gas, abolizione del dieselazo , riforma agraria. Per l'ennesima volta anche gli stessi indios dimostrano di non credere ad una autonomia che lasci inalterati i rapporti sociali.

Nello stesso comando del Comite Civico le reazioni al cabildo aprono alla discussione e al cambio della guardia. La faccia pulita di Ruben Costa - ex militante del Movimiento Bolivia Libre (MBL) una scissione di sinistra del MIR con rapporti internazionali con il PT brasiliano - non serve più a nascondere il gruppo dirigente camba, come indistintamente sono chiamati gli abitanti dell'oriente del paese. Viene scelto a dirigere il comitato Germàn Antelo, ricco proprietario terriero, ma soprattutto figura di spicco della Nacion Camba - il braccio ideologico impegnato a giustificare le pretese autonomiste su base razziale, sulla inferiorità degli indios altiplanici - e della Juventud Cruceñista , gruppo organizzato di squadrismo fascista utilizzato prima del 28 gennaio per costringere alla partecipazione alla manifestazione, punire nelle università quanti hanno manifestato dissenso, scontrarsi nel campo, a San Julian e in tutta la Chiquitania, contro quanti con blocchi e marce provavano a far fallire il cabildo, e nei giorni successivi allo stesso per lanciare l'offensiva al MST. La elezione di un personaggio così compromesso allontana dal Comite anche i burocrati sindacali più collaborazionisti i quali lo definiscono ora apertamente come un covo di petrolatifundistas fino all'ammissione di Edwin Fernández, dirigente della Federacion de Fabriles (gli operai di fabbrica), che afferma “ las elites nos han mamao ” (le elite ci hanno preso per i fondelli).

Alla fine il re come si dice è nudo. Vale a dire emerge chiaramente da chi è composto il cosiddetto comando camba, gente come la famiglia Antelo proprietaria, da sola, di 117.000 ettari di terreno, Svonko Matkovic e Branco Marinkovic, due grandi industriali di origine croati ex uomini di punta del dittatore Banzèr, e via discorrendo.

La frusta della controrivoluzione risveglia la rivoluzione

I fatti di Santa Cruz de La Sierra sono una scossa elettrica per tutti i settori sociali ed anche per il MAS. D'improvviso ci si rende conto che fino ad allora scioperi, blocchi e morti sono serviti solo a stringere in mano un pugno di mosche. Langue in parlamento la legge per il gas proposta dal MAS, già di per sé un arretramento dalla iniziale richiesta di nazionalizzazione, concentrata nella richiesta di costituzione di società miste pubblico - private alle quali applicare un prelievo fiscale (regalias) del 50%. Mesa dichiara che non potrà prendere a calci la Suez da El Alto, vale a dire non permetterà la creazione della impresa pubblica come le FEJUVE lì chiedono, ma studia una soluzione che permetta alla multinazionale francese di restare con una maggioranza relativa azionaria nella nuova società. L'Assemblea Costituente è definitivamente segnata dalla iniziativa cruceña. Su quest'ultimo punto, senza voler riaprire la polemica, ci permettiamo di citare il marxista inglese Alan Woods il quale, nell'articolo Bolivia la chiave della rivoluzione andina , pubblicato nel 2003, scriveva: <in questo contesto, la richiesta della “assemblea costituente”, difesa da alcuni gruppi di sinistra, sta giocando un ruolo negativo e controrivoluzionario. La borghesia rappresentata dalla sua ala più “liberale” e “democratica” cercherà di sviare l'attenzione delle masse verso una discussione su artifizi costituzionali (cos'altro è l'autonomia? NDR) , piuttosto che sulle questioni realmente importanti come lavoro, pane e terra, questioni che verranno rinviate a un futuro imprecisato> . Ci pare di poter dire che questa profezia, facile senza nulla togliere al compagno inglese, non debba attendere altro per essere avverata.

La FEJUVE de El Alto richiama alla guerra delle pietre, scioperi e blocchi stradali realizzati appunto con pietre, e si dichiara nuovamente in paro civico indefinido. Mentre scriviamo, giovedì 9 marzo, questa forma estrema di pressione è arrivata già a 10 giorni: sono state elaborate proposte dai tecnici mobilitati al fianco della FEJUVE, ma il dato incontrovertibile e irrinunciabile è la richiesta di nazionalizzare l'acqua. Il MAS prova ad accelerare sulla sua legge per gli idrocarburi, nel momento peggiore però, quando i partiti maggioritari in parlamento, ultraminoritari nel paese, ritrovano riferimenti nel paese: l'articolo che prevedeva la fissazione del prelievo fiscale da applicare alle società petrolifere viene bocciato in una seduta infuocata del parlamento. La situazione dentro il MAS diventa insostenibile, Morales annuncia che il partito si sommerà ai blocchi stradali ed agli scioperi già in atto, abbandonando l'esperienza parlamentare.

Il “golpe mediatico” di Carlos Mesa

Mesa perde il suo più importante appoggio, già più volte sarebbe caduto senza l'appoggio del MAS. Piuttosto che lasciarsi cadere Mesa attua un vero è proprio “golpe mediatico”. Con un discorso alla nazione annuncia le proprie dimissioni e attacca, chiamandoli per nome Evo Morales, Jayme Solares (segretario della COB) e Abel Mamani (presidente della FEJUVE de El Alto), accusati di irresponsabilità. Il discorso di Mesa andrebbe studiato a scuola per la chiarezza con la quale si espongono i temi dell'imperialismo, cioè il colonialismo moderno. Secondo il Presidente la legge proposta dal MAS non è praticabile perché non soddisfa le richieste dei “grandi”, USA e Unione Europea il cui aiuto è indispensabile alla vita del paese: un modo per dire, da altro punto di vista, che il saccheggio deve continuare e chi protesta deve civilmente tornare alla sua condizione di sopravvivenza. Non era mai successo che un Presidente ammettesse così apertamente che il proprio paese non ha la sovranità su sé stesso, una delle ammissioni più importanti e chiare dell'imperialismo. Ovviamente Mesa non vuole né ammettere questo, né tanto meno rivolgersi a chi sciopera, suo obiettivo è la chiamata alle armi alla classe media. “Funzionario pubblico, medico, insegnante, vuoi ricevere lo stipendio a fine mese, allora converrai con me che se non ci danno i soldi gli USA e la UE il nostro governo non potrà permettersi di pagartelo, e gli USA e la UE non ci danno soldi se approviamo leggi ostili sul gas e sull'acqua”, questo in sintesi il discorso. Quelli cui Mesa si rivolge rispondono immediatamente all'appello, un gruppo, poche centinaia di persone dal Prado e Obrajes, i quartieri ricchi di La Paz, si fionda sotto il balcone del palazzo presidenziale sventolando pañuelos blancos (fazzoletti bianchi) come simbolo di pace in una mano e chiedendo polso duro contro gli scioperanti con l'altra!

La tensione sale altissima in tutto il paese. Mesa pone condizioni per restare al governo, un patto nazionale che includa l'approvazione di una legge per il gas accomodante con le multinazionali. Il patto, inutile, è siglato da tutti i partiti del parlamento meno il MAS e il MIP, che per due intensissimi giorni sembrano a più di un osservatore oramai in mano alle componenti interne più radicali. La messinscena di Mesa non è bastata, ed è lo stesso Presidente allora a rischiare la convocazione di una manifestazione in tutte le più grandi città per la pace e la democrazia , una conta che ridia respiro alla classe media ed ai settori più reazionari. Il MAS, il MIP, la COB, la FEJUVE de El Alto e la CSUTCB ricostruiscono sottoscrivendo un patto di lotta il fronte sociale della guerra del gas: il primo risultato è il moltiplicarsi dei blocchi stradali lungo le arterie del paese, dai 24 di poche ore prima, diventano oltre 60, e in più nei pressi di Yapacanì, nella regione di Santa Cruz, si occupano due pozzi di gas. Alla vigilia delle manifestazioni contrapposte, e degli scontri annunciati, Morales ancora una volta tende una mano a Mesa, dichiarando, a fronte di scuse ufficiali, la propria disponibilità a riannodare il dialogo. Alla fine nella capitale La Paz meno di 4000 persone partecipano alla manifestazione promossa dal presidente della repubblica, ed è il posto dove sono di più! Ciononostante scontri duri e alcuni feriti sono segnalati nei pressi di Santa Cruz, in città. A Cochabamba l'interposizione delle forze dell'ordine ed una più saggia ritirata dei pañuelos blancos limiti i danni di scontri comunque duri. La situazione si raffredda solo con l'annuncio dell'incontro tra Morales e i dirigenti del Estado Mayor del Pueblo e Mesa, convocato per il pomeriggio.

Prospettive

Il MAS dimostra ancora una volta di essere incapace del ruolo che ha e gli è riconosciuto in Bolivia. La sue è una direzione riformista, illusa nella possibilità di soluzione dei problemi del proletariato boliviano con misure compatibili con il capitalismo. Al contrario i fatti dimostrano che in un paese coloniale come la Bolivia la borghesia è disposta a giocarsi e perdere il potere politico piuttosto che fare concessioni rilevanti sul terreno economico. In ogni occasione il proletariato ha dimostrato di surclassare nella determinazione e nella capacità mobilitativa sia la borghesia che il residuo ceto medio, ma la tattica di lento logoramento dell'avversario che le forze della controrivoluzione hanno adottato, non lascerà le cose intatte. La borghesia non ha forza né capacità per confrontarsi per così dire militarmente con le lotte, anche se alcuni parlamentari denunciano che la Juventud Cruceñista sia stata armata con 5000 fucili, allora ne mette continuamente alla prova la resistenza, per consumarne la determinazione. Il MAS si è prestato a questo gioco per troppo tempo nel rifiuto di porre fin dall'inizio la questione del potere, ed alla fine non solo questo partito ma tutto il movimento di emancipazione del popolo boliviano potrebbe risentirne. È inutile dire che se durante la guerra del gas, alla cacciata di Goni, Morales non avesse proposto la successione costituzionale a favore di Mesa, ma al contrario avesse immediatamente richiesto le elezioni del congresso fondate sui delegati democraticamente eletti delle FEJUVE, della COB, dei popoli originari e della CSUCTB, e con questi attori sociali protagonisti nella guerra del gas, formato l'unico vero governo in grado di risolvere i problemi del paese, la situazione sarebbe oggi completamente diversa. Questa dovrebbe continuare ad essere la rivendicazione dell' Estado Mayor del Pueblo , come si è auto proclamato il patto sociale tra MAS e sindacati.

Mentre scriviamo si è appena concluso con un nulla di fatto l'incontro che questo Estado Mayor del Pueblo , rappresentato da Morales, Solares e Ramon Loyaza, attuale dirigente della CSUCTB, ha tenuto con l'esecutivo. Evo dichiara alla stampa che i blocchi si intensificheranno a fronte dell'intransigenza del governo e delle multinazionali, non disposte a rinunciare ai 500 milioni di dollari annui che la legge proposta dal MAS gli sottrarrebbe. Da parte sua il ministro degli interni dichiara che la richiesta di mano dura contro gli scioperi avanzata dai pañuelos blancos autorizza formalmente il governo ad utilizzare ogni mezzo necessario per rimuovere i blocchi, anche se questo, così come denunciato dall' Asamblea Permanente para los Derechos Umanos dovesse significare commettere gli stessi errori di Goni. Significativa la risposta di Moises Torres dirigente dei sin tierra il quale afferma “ Mesa deve sapere che non è tempo per dittature questo....... se vuole incarcerarci lo faccia.... non abbiamo paura!” Nelle giornate immediatamente precedenti gli scioperi Jayme Solares dichiarava pubblicamente “è tempo per un governo operaio e contadino in Bolivia”. Durante le 4 ore del vertice al palazzo presidenziale Red Erbol, la radio boliviana divenuta famosa nel mondo durante le giornate di ottobre 2003, lanciava un sondaggio: chi sta facendo più male alla Bolivia, Mesa, Morales o le multinazionali? Sull'etere si è sviluppato un dibattito. Telefonate di dirigenti locali del MAS,. della COB dichiaravano apertamente che non si dovrà più permettere alle forze della destra di riorganizzarsi. L'attuale silenzio è solo pace armata, la nuova fase della rivoluzione boliviana è appena cominciata.

Perché è importante quello che accade in Bolivia?

La domanda in conclusione non è affatto scontata. L'esperienza boliviana, dalla rivoluzione del 1952 in poi, ci insegna che nessuna conquista può dirsi decisiva senza che passi il potere dalle mani degli sfruttatori a quelle degli sfruttati, i fatti di questi ultimi giorni mostrano in modo chiaro quanto pericoloso sia permettere in un momento rivoluzionario che l'avversario di classe si riorganizzi. La rivoluzione è anche tempestività. Quando si dice, e siamo tutti d'accordo, che il riformismo è finito, bisognerebbe con la Bolivia ammettere che non esistono però possibilità per una riduzione di margini del profitto, semplicemente non la consentono neppure di fronte ad una mobilitazione così generalizzate, e che alternativamente alla regola del profitto esiste solo la pianificazione dell'economia sotto il controllo diretto dei lavoratori, ai cui bisogni come a quelli di tutto il genere umano, vanno rivolti gli sforzi produttivi, e che ancora, tutto ciò non si ottiene scegliendosi, come il MAS aveva fatto con Mesa, alleati tra i nemici di classe. Da internazionalisti sappiamo che una vittoria autentica in un qualsiasi angolo del mondo è quello di cui il movimento operaio ha bisogno per rilanciare l'offensiva.

Definimmo la Bolivia la chiave della rivoluzione andina, ma in realtà, lungi dall'essere fenomeno circoscritto, quello che accade lì ha ripercussioni in tutto il continente latino americano, già segnato dal solco tracciato da Chavez. Denunce mai smentite affermano che dietro il secessionismo crucegno ci sarebbe il famigerato Plan Alpaca una operazione del governo cileno interessato alla balcanizzazione della Bolivia. Senza il gas boliviano, arrivato via Argentina, il governo del Cile avrebbe affrontato in modo molto meno deciso le mobilitazioni dell'anno passato in quel paese. Senza il gas boliviano, svenduto sotto costo, né l'Argentina né Kirchner avrebbero passato indenni l'inverno. Gli indios si passano esperienze e motivazioni lungo le coste del lago Tititicaca, dalla Bolivia al Perù e viceversa. Il loro protagonismo, la capacità sperimentata di mettere in relazione le loro rivendicazioni con il complesso delle rivendicazioni del movimento operaio, è il fatto assolutamente più nuovo a rendere questa occasione irripetibile. Non dimentichiamo che stiamo parlando della stessa gente che, priva allora di organizzazioni come la CSUCTB e di speranze, tradì il Che. E non dubitiamo che presto, come già accadde durante le giornate della guerra del gas, anche le strade di Quito in Ecuador si riempiranno nuovamente in solidarietà con i fratelli boliviani. Cosa che dovremmo essere pronti a fare anche noi, e tutto il cosiddetto movimento anti globalizzazione, silente proprio verso una lotta che ne scandisce gli slogan principali, nazionalizzazione dell'acqua, del gas ecc.. La Bolivia infine conferma in modo chiaro il concetto che più ci sta a cuore: la rivoluzione mondiale non è una prospettiva più o meno futura alla quale rinviare mentre si perseguono politiche riformiste nei propri paesi. La rivoluzione mondiale è all'ordine del giorno, lavoriamo per esserne all'altezza.

Viva la Rivoluzione boliviana
Per il governo operaio e contadino di Bolivia
Per la Federazione Socialista Latino Americana

Su questo argomento vedi anche:

•  Bolivia: le masse boicottano il referendum farsa (22 luglio 2004)

•  Un nuovo sciopero generale fa vacillare Mesa (27 maggio 2004)

 

Torna alla pagina principale