Il mondo
della donna
Leggende
Leggenda indiana
Un giorno, sul far della sera, come
faceva tutti i giorni, il Signore Dio lasciò Adamo con l’impressione che fosse
un po’ triste.
Dio passò la notte pensando. All’alba si affacciò
sul mondo, opera delle sue mani. Ammirò la bellezza di tutto e
di alcune creature in particolare: i colori smaglianti dell’alba,
quelli dell’orizzonte infuocato al sorgere del sole, lo splendore
del cielo a mezzogiorno…
Ammirando tutto ripensava all’uomo: Che strano! Come fa ad essere
triste se ha tutto il creato per lui? Possibile che questo non lo soddisfi?
La brezza della sera scendeva di nuovo facendo tremolare le
foglie degli alberi della foresta e Dio scese per incontrarsi con l’uomo, deciso
a chiedergli se si sentisse triste e perché.
Sì, Signore, si spiegò l’uomo, come tramonta il
sole io mi sento triste. Capisco che tu mi hai dato potere su tutto quello che
hai creato, ma io trovo che tutte le creature sono lontane da me Gli alberi
sono belli, ma sono muti. Parlano solo quando infuria il vento o quando crollano
a terra. Gli animali emettono suoni, ma non ne capisco il senso. Mi spaventa il
fragore del tuono, la violenza dell’uragano mi obbliga a rinchiudermi nella
grotta dove entrano serpenti, scorpioni e pipistrelli… Vedo che tutti gli
animali comunicano tra loro, ma io mi sento estraneo. Io mi sento
solo.
Il Signore Iddio lo ascoltò e capì che l’uomo aveva
ragione. Nell’immenso creato era proprio solo. Non
c’era nessuno come lui, che gli assomigliasse, in grado di
parlare con lui. Allora cominciò a pensare come risolvere questo
primo problema della sua creazione. Bisogna che facciamo
qualcosa di simile all’uomo, dice Dio a se stesso.
Ripensò a tutte le cose belle della creazione e decise di mettere insieme
un po’ di tutto per fare un regalo all’uomo. Drizzò uno stampo e cominciò a
dargli forma umana. Poi prese un po’ di bianco dell’aurora, di rosso del sole,
sinuosità del serpente, veleno dell’aspide, agilità della gazzella, del canto
dell’usignolo, morbilità della sabbia del deserto, azzurro smeraldo e
trasparenza delle acque cristalline dei mari, freschezza dei ruscelli di
montagna, freddo dei ghiacciai e il calore del sole, un po’ di ciascun colore
dell’Iride, gioia, risa, dolore, pianto, desiderio, invidia… Quando ebbe finito
soffiò il suo alito di vita nell’opera e apparve la donna, tanto bella che lui
stesso ne restò ammirato.
Vedendola così straordinaria, continuò nel suo proposito
di offrirla all’uomo come regalo perché gli facesse
compagnia e non vivesse più nella triste derivante dalla
solitudine.
Verso mezzogiorno gliela portò perché l’uomo la potesse ammirare durante
tutto il pomeriggio.
Adamo la guardò, ringraziò, salutò Dio e
partì con la donna a fare il solito giro che era solito fare da
solo nei sentieri della foresta. L’uomo notò che tutto gli
sembrava diverso: camminare, guardare e ammirare il creato in compagnia
e parlando con qualcuno per comunicare quello che provava. Dio li
guardò con tenerezza mentre si allontanavano presi per mano poi
li lasciò soli. Durante otto giorni, rimase nel suo Regno. La
sera dell’ottavo giorno, ecco apparire in paradiso i due: la
donna davanti e l’uomo dietro, silenziosi e tristi
ambedue… Pur sapendo già cosa stava succedendo, Dio
lasciò che l’uomo e la donna si avvicinassero e che
l’uomo gli spiegasse:
Signore, io ti sono molto grato per questo regalo. Parla
come me, canta, danza, mi guarda riempie le mie giornate, ma… non ho più la
tranquillità che avevo prima. Specialmente di notte, lei continua a parlare e a
muoversi vicino a me e non mi lascia dormire. Ti prego di perdonarmi, ma
riprendi pure il tuo dono perché voglio ritrovare me stesso.
Senza obiettare e con la comprensione di un padre Dio riprese la donna
e l’uomo se ne tornò nel suo giardino a vivere solo con
gli alberi della foresta, gli uccelli e gli animali. Come prima.
I giorni, per l’uomo, ripresero a passare, ma, dopo che aveva
riportato la donna da Dio, aveva l’impressione che tra
l’alba e il tramonto ci fosse più distanza di quando c’era la donna. Con la mancanza di lei stava
entrando di nuovo nella tristezza di prima.
L’ottava notte in solitudine, sempre più lunga, lo
convinse a tornare da Dio per dirgli:
Ti prego di scusarmi, Signore, ma ho capito che i giorni e le notti
senza la donna sono troppo lunghi…
“Ho capito, lo interruppe il Signore per niente sorpreso, sei
venuto a riprenderla!”
E l’uomo e la donna, presi per mano, contenti e felici, tornarono
di nuovo nel loro grande giardino. L’uomo, sempre in compagnia
della donna, riprese le sue attività di pesca, di caccia e i
giorni e le notti scorrevano veloci e senza tristezza. Il canto degli
uccelli si mischiava con quello della donna che incantava l’uomo
esibendosi con canti e danze, flessioni, salti, nuotate nel mare o nel
fiume. Sei giorni e sei notti piene della gioiosa presenza della
compagna gli avevano fatto dimenticare tutto il resto del creato.
Sembrava che neppure ci fosse. La sua vita, tutto il suo tempo era
preso dalla donna. Cominciò a preoccuparsi e a pensare che
questo, quando era solo, non gli succedeva mai. Era troppo!
Arrivò la sera del settimo giorno. Per la prima volta, entrarono
nella grotta in silenzio, senza guardarsi negli occhi e neppure in
faccia. Andarono a letto ma l’uomo non riuscì a dormire.
Passò la notte pensando e si convinse che così non poteva
andare avanti. La vita sarebbe diventata penosa. Meglio riportare la
donna al Signore. E così fece.
La donna davanti e l’uomo dietro arrivarono davanti a Dio.
Sono di nuovo qui, Signore, con la compagna che mi hai
dato. Nonostante i miei sforzi, non riesco proprio a tenerla. Mi rende la vita
impossibile: canta, ride e piange allo stesso tempo e io non capisco perché.
Quando io voglio dormire, lei vuol mangiare, cantare, ballare al chiaro di
luna... Non si accontenta mai di quello che faccio per lei…Mi rende nervoso e
più triste di quando ero solo. Ti prego riprendila, tienila con te che sai come
prenderla…
Il Signore, sempre paziente e comprensivo, lo ascoltò,
guardandolo in viso. Capì che era convinto di quello che diceva.
La donna, a testa bassa come una colpevole, non aggiunse una parola e
si avvicinò al Signore che la prese per mano e la portò
con sé nel paradiso.
L’uomo, si sentì liberato da un peso insopportabile,
riprese la strada del ritorno e si ritirò direttamente nella sua
grotta. Voleva dormire tranquillo, da solo. Al mattino, si alzò
fresco e riposato. Riprese a camminare osservando e ammirando il
creato. E’ un’altra cosa, pensò
soddisfatto.
Che era un’altra cosa, senza la donna però, se ne rese
conto nei giorni che seguirono. Man mano che passava il tempo aumentava
la monotonia di tutto quello che lo circondava: l’alba e il
tramonto gli sembravano uguali. Non si meravigliava più di
nulla. Anzi, gli davano fastidio il canto degli uccelli, i salti delle
scimmie, la corsa delle gazzelle, la snellezza delle giraffe. Tutto gli
ricordava la donna, quello che lei faceva, il suo canto melodioso, i
suoi occhi teneri da cerbiatto, il suo corpo snello e agile…
Tutto! Ma lei non era più a suo fianco. E non c’era,
perché l’aveva riportata da Dio! Ma perché? si chiedeva spesso. Non trovando una ragione plausibile si
animò a tornare da Dio per spiegargli lo sbaglio che aveva fatto e per
riprendersela.
Il Signore Dio lo vide arrivare quando era ancora lontano.
Deciso a non perdere la pazienza, si preparò a riceverlo come si meritava.
Conoscendo bene i suoi sentimenti, più che altro, voleva convincerlo a
riprendersi per sempre la sua donna.
A testa bassa, l’uomo saluta il Signore con grande rispetto e
comincia:
Signore, devo essere sincero, è vero che la donna, a volte, mi
infastidisce con la sua maniera di essere e di fare, ma è anche vero che tanto
le mie giornate come le mie notti sono insopportabili senza di lei! Perciò, ti
prego, ridamela! Anche se a volte mi riesce difficile vivere con lei, ho capito
bene che non posso vivere neppure senza di lei.
Il Signore lo guardò negli occhi. Lo trovò sincero,
pentito e deciso. Prese la donna per mano e gliela condusse dicendo:
Visto che tu non puoi vivere senza di lei e che neppure lei
può vivere senza di te, riprendi la tua donna, torna dove ti ho messo e vivete
insieme per sempre come signori del creato, amandovi e sopportandovi a
vicenda.
Le Sirene sarde
Le Sirene erano nei lontani tempi
mitologici,le affascinanti figlie dell'Oceano. Abitavano presso l'isola di
Sardegna e, posate sugli scogli o fra le onde, attendevano i naviganti per
incantarli. Avevano volti bellissimi di donna e corpo terminante in coda di
pesce, e il loro canto era così armonioso che nessuno poteva ascoltarlo senza
esserne ammaliato inesorabilmente. I marinai, per udire le loro voci melodiose,
dimenticavano di mangiare e si gettavano sulla tolda, lasciandosi consumare
d'inedia,o, attratti dall'irresistibile canto e dai volti delle ammaliatrici, si
gettavano a capofitto nel mare. Giasone e i suoi compagni, dopo essere fuggiti
rapidamente dalla Colchide col Vello d'Oro che avevano conquistato, si erano
diretti verso la Grecia. Avevano attraversato il Mar Nero,risalendo il Danubio
e, attraverso il Po e il Rodano erano arrivati all'isola di Sardegna ove stavano
in agguato le figlie del mare. Esse, appena videro la bella nave costeggiare le
rive, le si avvicinarono e cercarono con i canti dolcissimi accompagnati dal
suono della lira, di fermarne il rapido viaggio. Ma Orfeo, il musico divino che
faceva parte della spedizione, comprese il pericolo che li circondava e,
affinché i marinai non udissero le insidiose canzoni, prese a suonare la sua
lira.E la melodia di Orfeo era così deliziosa che tutti gli uccelli accorsero
intorno alla nave per ascoltarla, i delfini circondarono la carena incantati, e
perfino le Sirene cessarono di modulare le loro canzoni maliarde, sedotte dalla
musica del divino Orfeo. Così, nel silenzio religioso degli uomini e degli
animali, entro le calme acque del Mar di Sardegna, passò incolume la bella nave.
Cantò a lungo, instancabile, modulando dolcissimi accordi, finché la nave non
ebbe superato i sinistri paraggi della Sardegna.Le Sirene attesero silenziose e
tristi che il canto soave si allontanasse, poi indispettite e umiliate di essere
state vinte da Orfeo, si gettarono dalle rocce in mare con i loro strumenti.
Giove, pietoso, le mutò in alte scogliere dominanti le acque della Sardegna.
Leggenda danese
Una notte di Epifania un uomo di Mikladalur si nascose in una caverna vicino la
spiaggia per vedere le foche togliersi la pelle e danzare. Fra queste c'era una
donna molto bella e l'uomo se ne invaghì. Così si intrufolò in mezzo a loro e
rubò la pelle di foca della donna in modo che non potesse tornare in mare.
All'alba la donna cercò invano la sua pelle di foca. L'uomo uscii dalla grotta e
le disse che ce l'aveva lui. Lei lo supplicò di restituirgliela per poter
tornare in mare dal suo marito foca e dai suoi figli foca; ma lui rifiutò e la
costrinse a seguirlo a casa sua. I due vissero insieme per diversi anni ed
ebbero anche un bambino. L'uomo custodiva la pelle di foca in una cassa chiusa
con un lucchetto, e portava sempre con sé la chiave, un giorno però mentre era
in mare a pescare si rese conto di averla dimenticata e al ritorno non trovò più
la donna che era tornata in mare con la sua pelle di foca.
La donna foca
comparve in sogno all'uomo la notte prima della tradizionale mattanza delle
foche che si tiene a Mikladalur pregandolo di non uccidere il suo marito-foca e
i suoi figli-foca, ma l'uomo non l'ascoltò e marito e figli della donna foca
perirono nella mattanza. La vendetta fu terribile. La donna tornò a Mikladalur
come troll e maledì l'intero villaggio dicendo che tanti uomini sarebbero morti
a mare o caduti dalle montagne quanti ce ne sarebbero voluti per abbracciare
l'intera isola di Kallsoy in cui si trova il villaggio di Mikladalur.
La
leggenda è ancora oggi presa piuttosto seriamente da tutti gli abitanti delle
Isole Faroe, e sembra che i discendenti della donna foca siano tuttora
riconoscibili per alcune caratteristiche fisiche, come ad esempio le dita corte.
La leggenda della bocca della verità
Si narra che nel medioevo la bocca della verità (Roma) venisse usata per dissuadere i
bugiardi, ai quali veniva realmente tranciata la mano da un boia nascosto dietro
la parete.
Secondo una leggenda, una nobildonna accusata di adulterio fu
affidata al giudizio della bocca della verità. Mentre ella, circondata da una
gran folla, si avvicinava al mascherone di pietra, un ragazzo le si lanciò
contro baciandola. Il ragazzo si giustificò dicendo che si trattava di un
cristiano tributo per l'innocente fanciulla; la donna, infilata la mano nella
fessura della roccia, dichiarò: "Giuro che nessun uomo, tranne mio marito ed il
giovane che or ora mi ha baciato, mi ha mai toccato!". La scaltra donna fu
riconosciuta innocente: il ragazzo che davanti a tutti l'aveva baciata era il
suo amante.
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