RISORGIMENTO E
BRIGANTAGGIO: ALCUNE PRECISAZIONI.
Definito il
brigantaggio <vero fenomeno di ribellione popolare> e i suoi
protagonisti come uomini che difesero le proprie radici e la propria storia,
il Presidente Formigoni ha riconosciuto il ruolo fondamentale del Risorgimento
nella storia d’Italia, ma ha aggiunto che non può non notare che nella
seconda metà dell’Ottocento tutti i tentativi di costruire uno Stato unitario
più rispettoso delle varie differenze e delle varie identità, quindi uno Stato
federalista e sussidiario, sono stati cancellati dalla linea dominante e
ispirata ad un modello giacobino (Corriere della Sera, 26 Agosto 2000, p.8)
Accostare i
governi di Cavour, della destra, ma anche della sinistra storica almeno finoa
Crispi, al modello giacobino di Robespierre è quanto meno ardito, anche per i
più audaci revisionisti, considerato il fatto che tra le varie correnti del
Risorgimento prevalse proprio la linea liberale e monarchico-costituzionale,
avversaria e spesso nemica delle idee giacobine. Idee che In Italia, ad
eccezione di pochi casi, non attecchirono mai nella forma del giacobinismo del
Terrore e di Robespierre.Non sono certo assimilabili ai teorici e agli
esecutori della ghigliottina non solo i liberali ma anche le correnti
democratiche e federaliste del Risorgimento impersonate dauomini comeMazzini,
Ferrari, Pisacane, Cattaneo.
E’ un dato
storico, certamente, il centralismo amministrativo imposto dalla Destra
Storica, e di poco modificato dai successivi governi, una volta accantonate le
proposte autonomistiche di Minghetti.
Scelta da
considerare con riguardo alle condizioni storiche di allora: i modelli
autonomistici e federalisti furono considerati potenzialmente pericolosi per
l’unità appena raggiunta, garanzia di libertà per l’Italia. Dico garanzia
perché uno Stato diviso al suo interno avrebbe potuto indebolirsi talmente da
diventare una sorta di protettorato di qualche potenza straniera, come la
Francia. Del resto l’Italia fino al Risorgimento era stata territorio di
protettorati stranieri, soprattutto austriaco, ma anche la Francia con
Napoleone I poi e con Napoleone III in seguito aveva coltivato disegni
espansionistici o di controllo verso L’Italia. In tale contesto va anche
considerata la famosa questione dell’odiosa tassa sul macinato e della politica
fiscale di Quintino Sella. In una situazione di grave dissesto finanziario, il
pareggio del bilancio fu una delle esigenze prioritarie per la sopravvivenza
nazionale, per non essere governati direttamente o indirettamente da capitali
stranieri.
Credo anche si
debba considerare che i processi di accentramento amministrativo, di uniformità
di leggi, pesi, misure, di abolizione dei dazi interni, di costruzione delle
ferrovie per facilitare un mercato interno, di istituzione di un sistema
scolastico, sono i meccanismi che hanno caratterizzato i processi di nascita
delle grandi Nazioni. Si tratta di un’interpretazione, certo, ma poteva, nel
contesto dell’Europa di fine ‘800, un’Italia federalizzata reggere al confronto
con le altre nazioni europee?
Quanto detto
non significa chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie, agli estremismi
nella realizzazione dell’unità italiana: l’inopportunità dell’estensione del
servizio militare obbligatorio a tutto il regno d’Italia,
il feudalesimo
nel meridione italiano abolito di diritto ma non di fatto, la vendita all’asta
di beni demaniali ed ecclesiastici che favorì i latifondisti, la frattura tra
Stato liberale e cattolici, anche se libera Chiesa in Libero Stato non
significava anticlericalismo, ma solo fine del potere temporale della Chiesa
cattolica.
E’ stata anche
criticata la politica scolastica della destra storica, che non avrebbe tenuto
conto delle diverse identità; certamente l’estensione-imposizione della lingua
italiana non è stata esente da colpe, ma l’unificazione linguistica degli
italiani, il fatto di poter comunicare e intendersi dall’Alpi all’Etna è una
ricchezza, non un regresso. In sintesi rispetto al periodo prerisorgimentale
era più progredita l’Italia di fine ‘800, pur con tutti i suoi limiti, o anche
l’Italia del 1870, con i suoi 6208 km di ferrovie, rispetto ai 2725 km del
1861, che resero possibile la creazione di un mercato nazionale? (Qualcuno dirà
più società, meno mercato, ma il mercato non è un mostro a due teste calato
sulla società, è parte della società.)
Il
brigantaggio è e resterà uno dei periodi più neri della storia italiana, fenomeno
le cui componenti furono svariate: un tentativo di riscossadi borbonici e dei
settori più reazionari della Chiesa appoggiandosi sul malcontento delle
campagne, ma anche un misto di reazione sociale, in parte giustificabile o
comprensibile,allo Stato unitario, che fu odiato da molti contadini meridionali
perché aveva deluso le aspettative di redistribuzione delle terre e perché
appariva anticlericale, ma da altri perché era efficiente . (
Christopher Seton-Watson, L’Italia dal liberalismo al fascismo,
tr.it.,Bari, Laterza, 1973)
La lotta fu
senza esclusioni di colpi da una parte e dell’altra e la repressione militare
di tale fenomeno non fu certo esercitata nel segno del garantismo.
Individuare
luci ed ombre nella costruzione di una Nazione, meriti, demeriti e limiti delle
classi dirigenti di allora fa parte di un corretto uso della memoria storica;
mi auguro, tuttavia, che le dichiarazioni del Presidente Formigoni non
nascondano un’incoffessata ostilità verso il Risorgimento e lo Stato unitario e
liberale di fine ‘ 800, tipica dei certi settori del cattolicesimo ultra
tradizionalista,(assai diversi il cattolicesimo liberale e il cattolicesimo
democratico che hanno dato un contributo essenziale alle istituzioni e alla
democrazia italiana) e temo che gli eccessi di colpevolizzazione del
Risorgimento possano divenire strumento per richieste estreme di devolution o
federalismo; i mini-Stati a volte sono più centralisti degli Stati
centralizzatori.
Sul tema del
brigantaggio ricordo infine le sagge parole di Salvatore Scarpino nella
prefazione al suo libro Indietro Savoia (Milano, Leonardo, 1991)