antico egitto

 

STORIA DELL'ANTICO EGITTO

Per

l'antico Regno

manca del tutto una documentazione ufficiale delle imprese faraoniche; i re erano divinità; troppo in alto e troppo potenti perché si curassero di comunicare ai sudditi le proprie gesta; le piramidi erano testimoni sufficienti della loro grandezza. La stessa cosa si verifica, solo in misura minore, durante la XII dinastia, che ci ha lasciato, come unici documenti di stato, solo il resoconto del dell'erezione di un tempio a Eliopoli per opera di Senwostre I e la stele confinaria presso la seconda cateratta. I monarchi della XVIII dinastia e delle due successive non sdegnavano un certo autoincensamento senza dubbio perché nati da piccoli signori locali, ai quali, come vedremo, già da prima non spiaceva veder eternati nel marmo i fatti più salienti della propria carriera. Stele commemorative erette nei templi per ordine del si fanno frequenti solo a partire dalla XVII dinastia per scomparire verso Ia fine della XX. La varietà degli argomenti trattati è assai limitata prendendo per lo più l'occasione dalla costruzione di un santuario a qualche divinità prediletta o da una rivolta soffocata in territorio vicino. Ciò che non convince è la forma convenzionale in cui si suole svolgere il racconto: il faraone riunisce i cortigiani a consiglio, essi rispondono con basse adulazioni o con suggerimenti che il sovrano non approva; a questo punto egli espone il saggio piano da lui divisato.
Raramente si può dubitare della relativa veridicità dell'avvenimento, ma il modo di presentarlo finisce per travisarla. E questo l'esempio di uno del tratti più caratteristici della mentalità egizia: lo straordinario attaccamento alla tradizione contrapposto alla realtà, una rigidità formale senza paragoni in nessun altro paese del mondo.

Nessun popolo in nessuna epoca ha mai mostrato tanta reverenza per il passato quanto gli egizi, "il tempo degli avi" o "del dio" o "della prima volta", come gli Egizi lo chiamavano. In alcuni casi questo amore per il tradizionale, per ciò che il tempo ha reso sacro, portava ad autentiche falsificazioni. Tutti i re erano rappresentati in veste di conquistatori sia nelle antiche iscrizioni che nei rilievi sulle pareti dei templi. Il modello risale spesso ai tempi più remoti; Il faraone che afferra per i capelli un gruppo di nemici e alza l'altro braccio armato di mazza per colpirli ha il suo prototipo nella famosa tavoletta di Narmer appartenente agli inizi della I dinastia, nella quale il prigioniero e però uno solo. Questo disprezzo della realtà era talvolta spinto fino all'assurdo; come credere, infatti, che il diciottenne Tutankhamon abbia mai guidato il suo cocchio nel bel mezzo delle schiere avversarie uccidendo con l'arco una ventina di nemici, o che abbia da solo fatto strage di un intero branco di leoni? Eppure sono queste le scene dipinte sullo splendido cofano trovato nella celebre tomba.

Ciò che rende ancor più difficile stabilire la verità è il fatto che alla suddetta caratteristica si univa un'assoluta mancanza di scrupoli verso i monumenti degli antenati. Certi re non solo ricavavano pietre da costruzione dagli edifici dei loro predecessori, per cui molte preziose iscrizioni e scene dipinte sono rimaste nascoste all'interno delle pareti del nuovi templi vantati come cosa propria, ma non esitavano neppure ad attribuirsi gesta eroiche o opere di pietà altrui. II tempio funerario del re Sahure della V dinastia rappresenta un gruppo di capi tribù libici condotti prigionieri in Egitto e specifica il numero dei capi di bestiame presi come bottino; Ia stessa scena si trova nel tempio della piramide di Piopi II della VI dinastia dove i principi libici recano proprio gli stessi nomi; e si ritrova per la terza volta, in un lontano tempio della Nubia, attribuita al re etiope Taharka" (690 a.C. circa).
Venendo a tempi relativamente più vicini è stato dimostrato che certe scene guerresche attribuite a Ramesses III e trovate a Karnak sono l'esatta copia di altre assai più antiche dovute a Ramesses II, così come il lungo elenco di offerte di Medinet Habu non è che una replica di quello del Ramesseum".

Ne questo tipo di "prestiti" si limitava ai monumenti regali.
A Tebe le tombe di tre visir diversi contengono lo stesso identico discorso esortativo rivolto dal sovrano in occasione della loro nomina; non occorre far notare quanto sia poco probabile che faraoni diversi, sia pure a breve intervallo di tempo, abbiano usato proprio le medesime parole.

In certo modo gli scritti trovati nelle tombe dei nobili e di personaggi minori promossi a qualche speciale ufficio sono meno convenzionali e più illuminanti di quelli che si riferiscono alle attività regali del sovrano. Ma testi simili sono piuttosto rari; neppure una su venti delle mastabe dell'Antico Regno scoperte a Giza e Saqqara e delle tombe ad ipogeo di Tebe (XVIII dinastia) narra qualche evento della carriera del defunto. Pressoché invariata invece e la lunga serie di titoli onorifici; non è mai esistita una razza di mortali più bramosa del riconoscimento altrui e più facile a cedere alle lusinghe degli epiteti pomposi.

Con questo non intendiamo negare naturalmente che la maggior parte di questi titoli non si riferisca a reali funzioni amministrative. Le iscrizioni autobiografiche trattano generalmente dell'esecuzione di ordini regali o delle onorificenze conferite dai vari monarchi; nelle più antiche ricorre sempre la medesima frase: Agii in modo che la Sua Maestà potesse compiacersi meco del mio operato. Più frequenti, tuttavia, sono le frasi convenzionali in cui si esaltano le virtù del defunto:
Diedi pane agli affamati e vesti agli ignudi.
oppure: Fui amato da mio padre, lodato da mia madre, e gentile verso i miei fratelli. Più tardi tali dichiarazioni assumono forme più elaborate da cui spirano ideali di generosità e bontà non dissimili, in sostanza, da quelli del cristianesimo... Se mi si domandasse dove si trova il miglior materiale storico, la risposta potrebbe sembrare una contraddizione in termini, perché è nei racconti di fantasia che gli scrittori egizi descrivono con maggior verità le condizioni di vita del tempo e danno sfogo ai propri sentimenti con una libertà impossibile in documenti il cui scopo principale è encomiastico".

Alan Gardiner (La civiltà egizia)



Dopo aver ricevuto le acque del lago Tana, il fiume Nilo scorre in direzione nord per 4.800 chilometri prima di suddividersi in una miriade di bracci, che formano il Delta, e poi sfociare nel mar Mediterraneo. Quando dista circa un migliaio di chilometri dal termine del suo lungo viaggio, il grande fiume passa attraverso una serie di cateratte ed entra nell'Antico Regno d'Egitto, portando le sue acque preziose a un territorio che altrimenti sarebbe del tutto arido e desolato, e depositando lungo le rive il fertile limo. Così, nei tremila anni del Periodo Dinastico (dal 3100 a.C. circa al 332 a.C.), il Nilo costituì non soltanto la riserva d'acqua dell'intero paese, ma il principale canale di scarico e la "superstrada" più importante, l'arteria vitale che univa le città e i villaggi di questa striscia di terra sottile e lunghissima.
La fortunata combinazione di un fiume che scorre verso nord e di brezze che soffiano verso sud, rendendo il trasporto fluviale quanto mai semplice e agevole, fece si che gli antichi egizi non avessero alcun bisogno di investire risorse nella costruzione di una rete di strade che coprisse il territorio dell'intero paese. Non solo, ma il limo depositato dal fiume oltre a consentire lo sviluppo dell'agricoltura offriva anche materiale da costruzione abbondante e facilmente accessibile: per migliaia di anni gli architetti egiziani usarono dunque mattoni di fango essiccati al sole, riservando la pietra, costosa e poco maneggevole, quasi esclusivamente per la costruzione di templi e tombe monumentali.
Quando, verso la fine del Periodo Dinastico, ebbe modo di visitare l'Egitto, lo storico greco Erodoto comprese appieno questa realtà: «L'Egitto – scrisse – è il dono del Nilo». Ed è una frase che viene citata assai spesso.
In effetti, lungo la valle del Nilo, la civiltà si era sviluppata lentamente ma stabilmente. Fin da epoche remote il fiume, unica fonte idrica su cui fare affidamento per centinaia di chilometri, aveva attratto sia i primi cacciatori pescatori raccoglitori che le loro prede, e gli archeologi hanno trovato le tracce della loro lontana presenza sotto forma di utensili di pietra che risalgono a parecchie centinaia di migliaia di anni fa.
Infine, nel corso del sesto millennio prima della nascita di Cristo, arrivarono i primi gruppi di agricoltori stanziali. Sfruttando appieno la sottile striscia di terreno fertile stretto tra le acque del fiume e le sabbie del deserto, i nuovi agricoltori poterono integrare la loro dieta con grano e orzo, e impararono a fabbricare vasi di argilla e cestini di vimini in cui conservare le eccedenze.
Sorsero così i primi villaggi, poi si svilupparono paesi e città: i loro abitanti vivevano in case ben costruite, fatte con strutture di canne e mattoni di fango, ma collegate da strade tortuose, certamente non frutto di pianificazione.
Ogni città o villaggio adorava la propria divinità: un dio o una dea che forniva una spiegazione convincente per gli altrimenti inesplicabili traumi della vita di ogni giorno. In questo periodo abitualmente, anche se non sempre, i morti venivano sepolti in cimiteri appositamente predisposti, situati lontano dalle abitazioni dei vivi.

Ed è proprio in queste necropoli che, essendosi ormai diffusa l'usanza di dotare i defunti di beni materiali, gli archeologi hanno trovato le testimonianze di un'epoca di maggior benessere: i morti erano ora avvolti in stuoie o in pelli di animali, ed erano muniti di gioielli e di ornamenti vari, di aghi e di pettini. Si direbbe dunque che anche gli egiziani del periodo arcaico sentissero il bisogno di entrare nell'altra vita ben equipaggiati e con i generi di lusso di cui avevano potuto disporre in questa vita. A rigore, la storia dell'Egitto inizia con l'unificazione, avvenuta nel 3100 a.C. circa, quando le numerose città-stato e le comunità agricole che gravitavano nella loro orbita si unirono formando un unico regno, lungo e stretto, che andava dalla regione del Delta, a nord, fino ad Aswan, a sud. Questo nuovo stato era governato da un unico, ed onnipotente, re o faraone.
Sfortunatamente, la storia del prode Menes che alla testa del suo esercito marcia inesorabile e vittorioso verso nord fino a conquistarsi la corona ha ben poche probabilità di essere vera. L'unificazione fu certamente un processo lungo e complesso, durante il quale le comunità indipendenti soltanto gradualmente si resero conto dei vantaggi della reciproca unione, finché a un certo punto si formarono due distinti centri di potere: il nord, o Basso Egitto, che comprendeva anche la regione del Delta, e il sud, o Alto Egitto. Questa divisione tra il nord e il sud era comunque destinata ad avere un ruolo importante nella storia successiva, quella dell'Egitto dinastico.

Al contrario, l'irrigazione, spesso citata come forza unificante, forse ebbe un ruolo assai meno significativo di quanto potremmo aspettarci. E indubbio che il controllo efficiente del territorio e delle risorse idriche fu sempre ritenuto importante, e infatti la costruzione di canali, dighe e argini era considerata un'opera la cui realizzazione spettava allo stato. Tuttavia, l'Egitto, grazie alle sue abbondanti risorse naturali, non dovette mai affrontare pressioni demografiche analoghe a quelle di altri stati emergenti che fin dall'inizio della loro esistenza furono costretti a regolare strettamente le proprie risorse idriche.
L'unica, ma abbondante, inondazione annuale rendeva di fatto inutile programmare a livello nazionale qualsiasi piano di irrigazione artificiale. Ogni anno, nella lontana Etiopia e nelle foreste dell'Africa nera le piogge estive ingrossavano il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro, dalla cui confluenza nasce il Nilo vero e proprio. Ma in Egitto, tutta quella massa d'acqua faceva sì che il fiume straripasse e allagasse la vallata. Se è vero che í cimiteri, al sicuro tra le sabbie del deserto, e le case di mattoni di fango, costruite prudentemente più in alto rispetto alla valle, rimanevano fortunatamente all'asciutto, i campi venivano però inondati dalle acque del fiume e gli agricoltori, non potendo compiere i consueti lavori agricoli, erano liberi di dedicarsi ad altre occupazioni. Dopo qualche tempo le acque finalmente si ritiravano, lasciando dietro di sé un terreno fertilissimo, ricco di acqua e di sostanze minerali, una serie di laghi da sfruttare nei mesi seguenti e, per di più, migliaia e migliaia di pesci arenatisi lungo tutto il corso del fiume che potevano facilmente essere raccolti, essiccati e salati, una scorta preziosa per far fronte a momenti meno favorevoli. Allora i contadini si mettevano al lavoro: in ottobre/novembre seminavano e in marzo raccoglievano un abbondante raccolto. A quel punto i campi potevano essere abbandonati e lasciati in balia dei cocenti, ma sterilizzanti, raggi solari; un periodo di riposo che assicurava l'eliminazione di parassiti e malattie. Se tutto andava bene, soltanto i campi più lontani dal fiume e i lussureggianti giardini che circondavano le ville dei ricchi avrebbero dovuto essere irrigati con lo shadoof, un secchio montato su di una leva con cui l'acqua dei canali artificiali veniva sollevata al livello dei campi. Se invece il Nilo non si comportava nel modo previsto – se cioè la piena era troppo abbondante o troppo scarsa – allora potevano esserci dei problemi.
Non per nulla il livello del fiume era costantemente monitorato per mezzo di speciali "nilometri" e i faraoni, prudentemente, immagazzinavano le eccedenze in grandi depositi, appositamente costruiti, per far fronte a eventuali carestie. Oggi, dopo la costruzione della grande diga di Aswan, il Nilo non straripa più. L'insolita geografia dell'Egitto contribuiva indubbiamente a focalizzare l'attenzione verso l'interno, verso il grande fiume e la sottile striscia di terreno fertile. Oltre la "Terra Nera" si estendeva la "Terra Rossa": chilometri e chilometri di deserto rovente, arido, inospitale, dove soltanto i morti e i rari e occasionali nomadi potevano trovare la propria dimora. E aldilà delle sabbie si innalzavano le alture che proteggevano l'Egitto da indesiderati visitatori. La successione che vedeva il passaggio dall'acqua, al terreno fertile, alla sabbia – dal divino, al vivente, a un paesaggio senza vita – costituiva pertanto una simmetria ovvia e immediata, che avrebbe avuto un ruolo importante nello sviluppo della teologia e della tradizione funeraria. Ma l'Egitto non era soltanto un paese fertile, era anche ricco di pietre, di metalli preziosi, di fango e di papiro; solo la scarsità di legname poteva costituire un problema per la creazione di uno stato potente. Stando così le cose, per la maggior parte degli egiziani non c'era proprio alcuna necessità di avventurarsi oltre í confini sicuri e ordinati della loro valle. Era dunque inevitabile che per gli abitanti di quella valle, isolata e protetta, il mondo sconosciuto e incontrollato che si estendeva al di fuori dei suoi confini non potesse che apparire un luogo pericoloso e temibile. Persino nella meno isolata regione del Delta, che si affaccia sul Mediterraneo e che costituisce una sorta di ponte naturale verso il Vicino Oriente, si aveva una naturale tendenza a guardar verso l'interno piuttosto che verso l'esterno. E comunque importante non sopravvalutare questo isolamento geografico e culturale: è indubbio infatti che gli scambi commerciali con il Vicino Oriente siano stati molto importanti fin dagli inizi della storia egiziana. Eppure, per tutto il Periodo Dinastico, i forestieri — coloro che non ubbidivano al faraone — erano considerati inferiori, e le loro usanze, ovviamente diverse da quelle egiziane, erano oggetto di ben radicati sospetti. Questo atteggiamento ebbe poi un notevole influsso sull'arte e sull'artigianato egiziano, facendo sì che mantenessero un carattere profondamente conservatore, a tal punto che ancora oggi persino l'osservatore più sprovveduto riconosce a prima vista una pittura rinvenuta in una tomba egizia.
Il Nilo favorì non soltanto lo sviluppo della civiltà egiziana, ma anche la peculiare conservazione di ciò che è sopravvissuto ai millenni e che, come anche il più distratto visitatore di un qualsiasi museo ha modo di notare, è pesantemente influenzato dalla religione e dalla morte. Case e campi dovevano essere situati vicino al fiume dispensatore di vita; al contrario, tutte le altre costruzioni, di qualunque genere fossero, venivano innalzate sugli argini o sulle alture naturali che le avrebbero protette dall'inondazione annuale. Oggi quasi tutti questi siti in cui si dipanava la vita quotidiana dell'Egitto dinastico sono andati perduti, sepolti da fattorie e villaggi più recenti, mentre i mattoni di fango con cui erano stati innalzati si sono in gran parte dissolti nell'umidità del Nilo, cosicché rimangono soltanto le costruzioni in pietra — statue e templi.
Tebe, un tempo potente capitale del sud, è in gran parte scomparsa sotto la moderna Luxor e il passato splendore è oggi testimoniato quasi esclusivamente dai templi di Karnak e Luxor. Menfi, l'analoga capitale settentrionale, attualmente è costituita da una serie di villaggi moderni costruiti su antichi cumuli di modesta altezza, mentre soltanto il tempio in rovina di Ptah e una statua colossale di Ramses II, ormai a terra, lasciano intuire l'antica grandezza. La stessa capitale che Ramses si fece costruire nella regione del Delta, la magnifica Pi-Ramses, e che un tempo faceva sfoggio di uno splendido palazzo, di quattro o più templi, di caserme per l'esercito e di un fiorente porto, è scomparsa, tanto che dopo decenni di dotte discussioni gli archeologi sono riusciti a mala pena a mettersi d'accordo circa la sua posizione. In stridente contrasto, gran parte delle costruzioni dedicate ai defunti sopravvive tuttora tra le sabbie del deserto, la cui arida sterilità protegge manufatti e tessuti umani dall'umidità, dalla decomposizione e dalle conseguenze del moderno sviluppo.

Comunque siano andate esattamente le cose, sembra proprio che per imporre un unico monarca sul trono d'Egitto sia stato sparso del sangue.
Il primo faraone – quanto meno il primo la cui esistenza sia storicamente documentata – che regnò sul paese unificato è Narmer, un guerriero che veniva dal sud, forse colui che avrebbe ispirato la figura del leggendario Menes. Una tavoletta cerimoniale di pietra, oggi custodita nel Museo del Cairo, mostra Narmer nel preciso istante del suo trionfo. Seguito dal suo porta sandali e con l'inconfondibile corona bianca dell'Alto Egitto sul capo, Narmer è ritratto nell'atto dell'uccisione rituale.
Nella mano destra brandisce una mazza, mentre con la sinistra afferra i capelli di un nemico ignobile prostrato ai suoi piedi. Il nemico, che rappresenta tutti gli avversari dell'Egitto, comprende di non potersi aspettare alcuna pietà; è noto che il faraone è spietato nell'eliminare i nemici.
La parte posteriore della tavoletta mostra invece una scena solo relativamente più pacifica. Narmer, che qui sfoggia la corona rossa del Basso Egitto ed è come sempre accompagnato dal suo leale porta sandali, marcia alla testa di uno squadrone di soldati i cui elaborati stendardi potrebbero rappresentare i simboli delle province appena unificate. Davanti a loro giacciono le vittime della guerra: sono decapitate e le teste sono ordinatamente sistemate tra le loro ginocchia.
Insieme all'unificazione dell'Egitto compaiono i primi scritti e da questo momento in poi assistiamo all'abitudine tipicamente egiziana di usare gli anni di regno dei vari faraoni per datare gli avvenimenti importanti. Così, tanto per fare un esempio, una delle più famose battaglie dell'Età del Bronzo, la battaglia di Kadesh, sia per gli antichi egizi che per i moderni egittologi viene collocata nel "quinto anno del regno di Ramses II", e tutti capiscono esattamente che cosa si intende con questa data. Quando però si cerca di trasferire il "quinto anno del regno di Ramses II" nell'attuale sistema di datazione ecco che immediatamente ci si trova di fronte a interminabili discussioni accademiche: Ramses II è vissuto dal 1279 al 1213 a.C., o dal 1290 al 1224?
Nei templi e nelle tombe di Saqqara e di Abydos troviamo elenchi di faraoni che coprono un arco di tempo vastissimo: dal Nuovo Regno fino ai primi anni del Periodo Protodinastico. Gli storici sono poi riusciti a estendere ulteriormente queste tabelle, cosicché attualmente possiamo disporre di un elenco di monarchi egiziani, che abbraccia circa tremila anni, e della cui esattezza siamo ragionevolmente sicuri.
Per convenzione, questo elenco è suddiviso in gruppi, o dinastie, di faraoni imparentati tra di loro. Si va dalla I Dinastia, al momento dell'unificazione dell'Alto e Basso Egitto, per arrivare alla XXXI Dinastia, che coincide con l'arrivo di Alessandro Magno. Le Dinastie vengono poi raggruppate in Regni (periodi in cui il governo centrale controllava saldamente il paese), Periodi Intermedi (epoche in cui il governo centrale era debole) e la confusa e sotto certi aspetti persino ignominiosa Età Tarda, che vede la fine del Periodo Dinastico.

Quello che viene comunemente chiamato Periodo Arcaico dell'unificazione fu seguito dall'Antico Regno, un'epoca caratterizzata da un rigido regime feudale. Il re era ormai considerato l'unico e legittimo padrone del territorio e dei suoi abitanti, il che gli conferiva il diritto di disporre del lavoro dei suoi sudditi come e quando voleva.
Essendo considerato un essere semidivino, il faraone costituiva l'unica possibilità di collegamento tra i mortali e il panteon statale, l'insieme di divinità il cui culto, iniziato su base locale nel periodo predinastico, aveva finito con l'imporsi a livello nazionale.
Il faraone era così diventato il sommo sacerdote di ogni singola divinità e, sebbene avesse la possibilità di servirsi di una casta di sacerdoti che lo assistessero nell'adempimento dei propri compiti, tecnicamente era il solo che potesse far sì che le offerte fossero gradite agli dei. Il suo ruolo era quello di rappresentante del suo popolo davanti agli dei, e di rappresentante degli dei davanti al suo popolo.
Dopo la morte, il suo spirito poteva lasciare la tomba per continuare a vivere in cielo come una stella o per navigare sulla barca solare di Ra. C'era però qualcosa di ancora più importante: al faraone spettava la terribile necessità di mantenere maat, la condizione di diritto o status quo, il segno che in Egitto tutto funzionava correttamente e tutti agivano nel modo dovuto. Questo concetto di maat, vale a dire la necessità, universalmente percepita, di mantenere le cose in un'immutabile condizione di ordine al fine di evitare il temuto stato di caos, era destinato a durare per tutto il Periodo Dinastico, rafforzando ulteriormente l'autorità. Tutti sapevano che un Egitto senza faraone avrebbe rappresentato un pericoloso affronto a maat: il re era dunque essenziale per la vita e la prosperità dell'Egitto.
In questo periodo l'intero Egitto era governato da nord: Menfi ne era la capitale amministrativa, mentre Saqqara e Giza erano le necropoli reali. Un gruppo scelto di funzionari di corte, composto da membri dell'élite egiziana per altro tutti imparentati tra di loro, affiancava il faraone nell'esercizio del potere, mentre nelle province i governatori locali o nomarchi mantenevano la responsabilità di un'efficiente amministrazione del proprio territorio, responsabilità che veniva loro per diritto ereditario. E questa l'epoca delle piramidi (comprese quelle della piana di Giza), quella in cui i seguaci di Ra, divinità solare del Basso Egitto, vollero costruire tombe regali che creassero un ponte materiale tra la terra e il cielo.
Le tombe, e la loro sicurezza, erano diventate estremamente importanti; infatti la teologia aveva ormai stabilito che la conservazione materiale del corpo del defunto era essenziale per la sopravvivenza dell'anima dopo la morte e già si stava sperimentando la mummificazione come mezzo per conservare i cadaveri. Quelle prime mummie, però, si decomponevano facilmente e ne rimangono ben poche a testimoniare le tappe di una tecnica ancora agli inizi. Fortunatamente, alcune mummie particolarmente robuste e di un Periodo Dinastico più recente sono riuscite a sfuggire all'attenzione di chi le avrebbe spogliate dei loro gioielli, avrebbe tolto loro le bende in una sorta di intrattenimento pubblico, le avrebbe bruciate come combustibile, ridotte in polvere per farne medicamenti, o addirittura spappolate per utilizzarle nella lavorazione di pitture o di carta da pacchi. Oggi si ritiene che queste mummie costituiscano un inestimabile patrimonio di dati biologici.
Comunque, se è vero che un re defunto aveva la possibilità di lasciare la propria tomba, i suoi sudditi erano invece condannati a passare tutta l'eternità nello spazio angusto delle loro tombe. E dunque del tutto comprensibile che chi se lo poteva permettere cercasse di rendere quella permanenza la più confortevole possibile, dotandola di tutti i lussi, compreso uno spazio più ampio, che potessero fargli comodo.
Il corredo funerario era considerato indispensabile e sarebbe stato usato dall'anima del defunto dopo la morte. Sfortunatamente però tutti sapevano che le tombe dei nobili contenevano tesori inestimabili e ben presto il furto nelle tombe sarebbe diventata una vera e propria arte, sempre più perfezionata.
Soltanto le sepolture dei poveri, che venivano inumati con un corredo limitato, sfuggivano all'attenzione dei ladri.
Non sappiamo con esattezza che cosa abbia provocato la fine dell'Antico Regno e del suo sistema di potere altamente centralizzato, anche se una serie di piene poco abbondanti, causa di raccolti scarsi che finirono inevitabilmente con il provocare carestie, contribuirono ben poco ad aiutare un faraone in difficoltà a imporre con successo un'autorità sempre più debole su di paese sempre più insoddisfatto.
Il Primo Periodo Intermedio vide le diverse province rialzare la testa e i nomarchi, cui il potere spettava per diritto ereditario, acquistare via via più potere a mano amano che il crollo del governo centrale faceva sì che nessuno fosse più in grado di controllare l'intero paese. Sotto un certo punto di vista era come se le lotte per la supremazia, che avevano caratterizzato il periodo che precedette l'unificazione, fossero riprese un po' dovunque ora che le città-stato indipendenti tendevano a raggrupparsi nuovamente in vantaggiose alleanze politiche. Alla fine i centri di potere più importanti furono due e due furono anche le corti rivali: una dinastia tebana a sud e un'altra che controllava il nord dalla sua capitale di Herakleopolis.
Ancora una volta a trionfare fu la dinastia meridionale. A lungo andare i re tebani riuscirono a imporre la loro autorità su tutto il paese, spostandosi verso nord per fondare una nuova capitale a Ittaui, non lontano da Menfi, l'antica capitale, e creando una necropoli di piramidi nella vicina el-Lisht.
Gradualmente, poi, i nuovi faraoni, politici abili e astuti, presero una serie di misure volte a ridurre l'influenza dei nomarchi, il cui potere a livello provinciale costituiva una minaccia permanente all'autorità del sovrano.
Infine sotto Sesostri III una completa riorganizzazione del governo locale garantì che a partire da quel momento l'Egitto sarebbe stato amministrato da funzionari civili reclutati tra i membri della classe medio-alta, di fatto gli unici a disporre di un certo grado di istruzione, mentre il faraone avrebbe detenuto il potere supremo. Il Medio Regno ebbe anche la capacità di riprendersi dall'assassinio del suo fondatore, Amenemhat I, e poté godere di un periodo di stabilità interna e di espansione verso l'esterno. Fiorirono le arti e le lettere, si ebbe un aumento del commercio estero e si assistette a una serie di vittoriose campagne militari che gettarono le fondamenta dell'impero egiziano in Nubia.
In questo periodo gli scultori reali modificarono il loro approccio e l'immagine ufficiale del faraone subì – quanto meno ai nostri occhi – una sottile modifica: l'imperioso, autocratico semidio dell'Antico Regno si trasforma ora in un monarca più umano, oberato dalla responsabilità di prendersi cura del suo popolo.
Il Delta del Nilo era ricco e politicamente stabile: una meta sempre più allettante per i popoli semitici le cui terre, assai meno fertili, erano in quel momento minacciate da migrazioni di popolazioni provenienti ancora più da oriente.
Per tutto il Medio Regno giunsero dunque "asiatici" in misura via via maggiore e si stabilirono pacificamente nel nord dell'Egitto. Inizialmente assorbiti totalmente dagli abitanti dei villaggi e delle città, questi gruppi cominciarono poi a formare le loro comunità semi-indipendenti.
Contemporaneamente i governatori provinciali, non più disposti a tollerare la non ereditarietà della loro carica, iniziarono a ribellarsi. E questa instabilità politica, unita a una serie di piene abnormi e a litigi all'interno della famiglia reale, segnò l'inizio della fine. Il Medio Regno crollò, mentre l'Egitto si frammentava nuovamente.
Ebbe così inizio il Secondo Periodo Intermedio, durante il quale il regno nubiano di Kerma dominava nell'estremo sud, a Tebe regnava una dinastia egiziana e gli Hyksos, gli invasori palestinesi che si erano insediati nella regione del Delta, comandavano su tutto il nord da Avaris, la loro nuova capitale.
Gli Hyksos avrebbero regnato sull'Egitto settentrionale per più di un secolo, adottando i titoli tradizionali dei faraoni di origine egiziana. Si dimostrarono buoni sovrani. Durante il loro regno, il Delta prosperò, aumentarono gli scambi con l'estero, e numerose importazioni esotiche, tra cui nuove tecniche per la lavorazione della ceramica e del bronzo, furono di stimolo per gli artigiani egiziani.
Anche il semiprofessionale esercito egiziano trasse enormi benefici dal nuovo regime: la fabbricazione di armature, pugnali e spade subì un rapido miglioramento, e l'introduzione della bardatura per i cavalli, del carro da guerra a due ruote trainato da cavalli e dell'efficientissimo arco composito svecchiò la struttura militare, trasformandola in una temibile macchina da guerra.
Ciò nondimeno, l'ignominia della presenza di re stranieri sul trono dei faraoni era difficile da sopportare per lo spirito fortemente patriottico degli egiziani, e la dominazione essenzialmente pacifica e tollerante degli Hyksos era destinata a essere descritta dalla storiografia egizia ufficiale come un'epoca terribile caratterizzata da anarchia, confusione e spargimento di sangue. Inoltre, la locale dinastia tebana era restia ad accettare quel ruolo notevolmente ridotto. Così, se inizialmente con i vicini Hyksos ci furono buoni rapporti, ben presto le relazioni diplomatiche cominciarono a deteriorarsi, finché si giunse alla guerra.
Dopo una serie di aspre battaglie, che videro anche la morte di suo padre e del fratello maggiore, alla fine il re Ahmosi I riuscì a cacciare gli Hyksos e a riacquistare il controllo dei territori del nord. Dopodiché volse la propria attenzione verso sud, sconfiggendo i ribelli della Nubia e imponendo nuovamente la dominazione egiziana.

Ahmosi, fondatore del Nuovo Regno e primo faraone della XVIII Dinastia, fu seguito da una serie di re guerrieri che passarono di vittoria in vittoria, a tal punto che l'Egitto, un tempo famoso per la sua volontà di isolamento e per la sua intolleranza verso tutto ciò che non fosse egiziano, acquisì rapidamente un impero che andava dalla Nubia alla Siria, più una sfera di influenza che si spingeva ancora notevolmente oltre.
Tributi e tasse arrivavano da ogni parte e, a mano a mano che le casse reali si riempivano fino a traboccare, venivano finanziati progetti ambiziosi grazie ai quali molti templi di mattoni di fango furono trasformati in magnifici monumenti di pietra. Tutta questa ricchezza finiva con il filtrare anche verso il basso e i membri delle classi medie, molto richiesti come scribi e amministratori, prosperavano.
Ma anche gli artigiani beneficiarono notevolmente dell'aumentata richiesta di beni materiali; in pratica, soltanto i contadini e i servi, coloro cioè che si trovavano all'estremità inferiore della piramide sociale, non videro alcuna modifica sostanziale delle loro condizioni di vita.
Il boom economico era inevitabilmente destinato ad avere effetto anche sull'industria della morte, con i nuovi ricchi delle classi medie che pretendevano di godere degli stessi privilegi dei loro superiori. La mummificazione divenne accessibile a tutti coloro che potevano pagarsela, e le vendite di papiri funerari, sarcofagi e gioielli salirono alle stelle.
A questo punto anche l'aldilà, un tempo dimora esclusiva dei faraoni defunti, era diventato assai più "democratico". Chiunque, purché il suo corpo non si decomponesse, poteva ora aspirare a lasciare la tomba e abitareper sempre in compagnia di Osiride nel suo tranquillo e lussureggiante Campo di Canne.
I nuovi sovrani rimasero fedeli alle loro tradizioni religiose meridionali. Al dio tebano Amon, "Colui che è nascosto", venne dunque attribuito il merito della vittoria sugli Hyksos, cosa che costrinse la divinità settentrionale Ra a occupare una posizione di secondo piano; e intanto Tebe assumeva il ruolo di capitale religiosa d'Egitto. Qui, sulla riva orientale del Nilo, il tempio di Karnak, sede di Amon e di tutta la sua famiglia, godette di un imponente programma di ristrutturazione, espansione e abbellimento, un programma destinato a durare per secoli, dal momento che anche tutti i successivi faraoni vollero testimoniare e immortalare nella pietra la propria pietà religiosa.
E intanto, in una valle remota e nascosta della riva occidentale schiere di operai iniziavano a scavare un nuovo tipo di tombe per i faraoni: tombe rupestri che si spingevano in profondità nella roccia. In queste tombe fuori mano si sperava che i faraoni avrebbero riposato in pace per l'eternità; qui le loro preziose mummie sarebbero state al sicuro dai ladri che saccheggiavano senza alcun rimorso le necropoli egiziane. La tradizione di seppellire accanto al defunto oggetti preziosi si stava rilevando terribilmente costosa.
Ci fu però un faraone del Nuovo Regno che non era disposto ad accettare la supremazia di Amon e il crescente potere dei suoi sacerdoti. Quando Akhenaton salì sul trono, verso il 1353 a.C., l'Egitto non era mai stato tanto ricco e potente. La sua corte era considerata il centro, brillante e sofisticato, del mondo cosmopolita che gravitava attorno al Mediterraneo orientale e il suo re era invidiato dagli altri sovrani dell'epoca.

Akhenaton, tuttavia, non aveva la minima intenzione di interpretare il ruolo convenzionale che era stato dei precedenti monarchi egiziani, e il suo regno vide un cambiamento radicale delle sorti dell'Egitto. Completamente assorbito nel suo esperimento religioso, Akhenaton sfidò maat e voltò le spalle agli dei del panteon di stato. Tebe e Menfi vennero abbandonate e nel Medio Egitto sorse una nuova capitale, Akhetaton o Amarna.
Qui Akhenaton venerava una sola divinità, il disco solare o Aton. Isolato nella capitale da lui stesso creata, Akhenaton si interessava assai poco di ciò che accadeva al di fuori della sua ristretta cerchia. Così, dopo diciassette anni di regno, il "faraone eretico" morì lasciando l'Egitto debole e vulnerabile: gran parte del suo impero era andata perduta e la sua economia interna era in piena crisi.
Ad Akhenaton succedette una serie di faraoni il cui regno fu di breve durata; uno di questi fu Tutankhamon, e con lui la XVIII Dinastia lentamente si avviò verso la fine.
In assenza di un erede certo, il trono passò dapprima a un generale molto competente, Horemheb, e poi a una famiglia proveniente dalla regione settentrionale del Delta. I faraoni Ramessidi, prendendo a modello i potenti sovrani guerrieri dei tempi d'oro, riuscirono non solo fermare il declino del loro paese ma a invertire la tendenza, e furono i protagonisti dell'ultima fase del Nuovo Regno. Così, quando salì sul trono Ramses II i tradizionali dei del panteon egiziano erano di nuovo venerati nei templi che spettavano loro di diritto e l'impero era stato riportato sostanzialmente ai confini di un tempo. Pertanto, era evidente agli occhi di tutti che maat era stata finalmente ristabilita.
C'era tuttavia un'importante differenza. Essendo originari della regione del Delta, i faraoni della XIX Dinastia non si sentivano personalmente legati ad Amon e, anche se Tebe mantenne il suo ruolo di necropoli reale, l'epoca ramesside vide un aumento dell'attività politica e religiosa nel nord. Qui, nel Delta orientale, non lontano dall'antica capitale degli Hyksos, Avaris, fu costruita una nuova capitale, Pi-Ramses, e qui morì il vecchio Ramses II, dopo aver regnato per quasi settant'anni.
Ramses era stato un padre decisamente prolifico: l'immediata successione era chiara, ma la pletora di discendenti reali avrebbe ben preso causato problemi, dal momento che coloro che erano più vicini al trono cominciarono a sgomitare per mettersi in luce. Contemporaneamente, pressioni esterne sempre più pesanti rischiavano di compromettere la pace e la tranquillità dell'Egitto. Infatti, proprio durante gli ultimi decenni del Nuovo Regno, nel Mediterraneo orientale si assistette a un vasto movimento di popoli, e l'Egitto, fertile e stabile, costituiva l'obiettivo ideale per gruppi di nomadi in cerca di una sistemazione. Cinquant'anni dopo la morte di Ramses II, Ramses III riuscì a respingere gli invasori, arrivati via mare, che minacciavano il Delta, ma le sue vittorie militari si rivelarono molto costose e i forzieri reali, non più riempiti dai tributi provenienti da oriente, erano tristemente e pericolosamente vuoti.
Fecero la loro comparsa l'inflazione e la disobbedienza civile, e parallelamente cresceva il potere dei sacerdoti di Amon; così, mentre altri otto faraoni che portavano il nome di Ramses si succedevano sul trono, la crisi economica non fece che aggravarsi, lentamente ma inesorabilmente; come se non bastasse, si assistette anche a un susseguirsi di piene del Nilo troppo scarse.

Gradualmente il faraone si rivelava sempre più impotente e la sua burocrazia irrimediabilmente corrotta. Dapprima andò perduto l'impero orientale, poi fu la volta della Nubia, e sebbene la necropoli tebana, tanto spesso saccheggiata dai ladri, fosse ancora in uso, i territori meridionali di fatto erano ora controllati dal Gran Sacerdote di Amon. La fine del Nuovo Regno, videro l'Egitto nuovamente diviso, con una dinastia locale che regnava sul nord dalla sua capitale di Tanis e il Gran Sacerdote di Amon che assunse il titolo di re per regnare sul sud dalla sua sede di Tebe.
Ebbe inizio il cosiddetto Terzo Periodo Intermedio, che in un primo momento vide rapporti incredibilmente cordiali tra i re di Tanis e i sacerdoti di Tebe.
I matrimoni reali erano da sempre un mezzo pratico per cementare alleanze diplomatiche e anche in questo caso ci furono numerose principesse che, una dopo l'altra, partirono per il sud del paese. Inizialmente destinate a sposare il Gran Sacerdote regnante, queste principesse sarebbero in seguito diventate la "Sposa Divina di Amon", assumendo un antico titolo che fu appositamente riportato in auge per consentire alla figlia del faraone di Tanis di diventare la figura sacerdotale più ricca e potente di tutto l'Egitto. Forse inevitabilmente, dopo un certo periodo le buone relazioni tra il sud e il nord vennero meno e per di più i sovrani taniti si trovarono in difficoltà anche nella regione del Delta. Iniziò così un periodo confuso che vide numerosi capi locali, molti di origine libica, proclamarsi contemporaneamente faraoni.
La Nubia, che per tanto tempo era stata la provincia più meridionale dell'impero egiziano, era ora completamente indipendente, con una propria dinastia regnante. Kashta, re della Nubia, pensò di sfruttare appieno l'evidente debolezza dell'Egitto e nel 770 a.C. marciò verso nord arrivando fino a Tebe. Qui riuscì a far proclamare la propria sorella Sposa Divina di Amon, una mossa politica che di fatto confermava il suo pieno diritto di regnare sull'Egitto.
Kashta fu proclamato faraone dell'Alto e Basso Egitto, ma fu il suo successore, Piye, che raggiunse il Delta del Nilo riunificando così l'intero paese.
Ne seguì un secolo di stabilità politica e sociale, mentre la nuova dinastia si vantava di aver pienamente restaurato maat. Come già gli Hyksos prima di loro, i faraoni nubiani adottarono tutte le insegne della regalità proprie della tradizione e rispettarono gli antichi dei dell'Egitto, anche se preferirono evitare le necropoli reali e da morti scelsero di tornare nella loro terra per esservi sepolti in piramidi dall'aspetto tipicamente egiziano, che, non appena furono scoperte, crearono non poca confusione tra gli egittologi.
Nella valle del Nilo regnava ora la pace, ma al di fuori dei suoi confini la situazione internazionale si stava deteriorando rapidamente e l'Egitto non poteva più sperare di tenersi completamente al di fuori degli eventi esterni. Nel 671 a.C. un esercito assiro riuscì a invadere il Delta del Nilo e a conquistarlo, costringendo il re Tantamani a fuggire verso sud e a riparare in Nubia. La Nubia sarebbe comunque rimasta sotto il controllo della sua dinastia per altri trecentocinquanta anni. Nel frattempo la resistenza egiziana scatenò un altro assalto da parte degli assiri e nel 663 le armate assire arrivarono fino a Tebe. L'Egitto, un tempo tanto potente e superbo, era ora ignominiosamente ridotto allo status di semplice provincia, mentre sul suo Delta regnavano dei re fantocci, dei signorotti di Sais che gli assiri avevano messo sul trono.
Gli inizi dell'Età Tarda videro la cacciata degli assiri e il paese nuovamente unificato sotto la dinastia saitica, ormai autonoma. Per l'Egitto fu l'ultimo periodo di indipendenza, un'epoca di prosperità durante la quale i re di Sais cercarono di far rivivere i fasti di un tempo e si sforzarono di riconquistare la gloria dell'Antico Regno replicando i successi artistici e architettonici degli antichi faraoni. La dinastia saitica venerava i costruttori delle tre piramidi della piana di Giza ed essere sepolti vicino a queste tombe regali fu nuovamente considerato fonte di benefici. La storia, tuttavia, non poteva ripetersi e l'Antico Regno era ormai un mondo lontano.
Nel 525 a.C., l'esercito persiano conquistava l'Egitto e metteva sul trono dinastie proprie, che avrebbero dominato per un paio di secoli, durante i quali ci fu soltanto una breve parentesi di potere locale. Infine, nel 332 a.C., giunse in Egitto Alessandro Magno.
L'epoca dinastica era definitivamente finita.