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disegno 1
foto 2
Operai in questo modo: 1. Tolsi un anello di corteccia dello spessore di circa 2 cm e collocai, nel solco prodotto dalla scortecciatura, del filo di alluminio per evitare che l'albero cicatrizzasse in quella zona senza produrre radici. 2. Posi un cilindro di reticella metallica intorno alla zona scortecciata e riempii tale zona con terriccio torboso 3. Collocai l'alberello in un luogo riparato dal sole e dal vento e vaporizzai la chioma per una ventina di giorni nelle ore in cui la traspirazione era massima. Nei due anni che seguirono concimai molto moderatamente e mi dedicai solo a migliorare la chioma con potature, applicazione di filo e pulizia delle foglie dal calcio che vi si era depositato con le vaporizzazioni del 1995. Finalmente, nel marzo 1996, decisi di rinvasare l'alberello e, con grande gioia scoprii che aveva prodotto
foto 3
A questo punto pensai che la pianta 'fosse pronta per essere posta in un vaso bonsai; scelsi un vaso rettangolare marrone, piuttosto profondo per non, rallentare troppo lo sviluppo della pianta. Effettuai poi la potatura della chioma per equilibrare la parte verde traspirante all'apparato radicale che era stato ridotto al momento del rinvaso. Tale operazione servì anche a migliorare la densità degli impalchi. L'alberello presentava però ancora molti difetti: una radice sulla destra posta troppo in alto, il primo ramo a sinistra troppo sottile rispetto agli altri, la corteccia troppo liscia. Iniziai subito a correggere quest'ultimo difetto praticando dei piccoli graffietti longitudinali con la punta di uno spillo; per correggere gli altri due occorreva invece più tempo. Nella primavera del 1997 rinvasai l'alberello su una lastra artificiale e così lo esposi alla mostra del Napoli Bonsai Club svoltasi presso il Monastero di Santa Chiara (foto 4).
foto 4
Ma non ero ancora soddisfatto del mio bonsai per cui lo posi, con tutta la lastra, in un vaso capiente; potai ed avvolsi molti rami e lasciai crescere indisturbato il primo ramo a sinistra per farlo ingrossare (foto 3). Nella primavera del 1999 l'albero ha assunto un aspetto molto vigoroso con un primo ramo notevolmente ingrossato e lungo circa un metro (foto 2). Nell'autunno ho poi potato i lunghi rami serviti a far ingrossare il tronco ed ho applicato filo e tiranti ad alcuni di essi. Nel gennaio 2000 si può notare un ulteriore miglioramento: tre dei difetti iniziali sono quasi del tutto spariti (differenza di spessore tra primo e secondo ramo, corteccia troppo liscia, secondo ramo eccessivamente dritto), dovrò però ancora migliorare il nebari e cercherò di ridurre in futuro la dimensione delle foglie. Da questa mia esperienza si possono trarre alcune conclusioni: Si parla spesso di piena terra e mai di "piena luce": il mio Olivastro ha ricevuto infatti la luce sempre da un solo lato; se invece lo avessi coltivato in un posto ben illuminato, avrei avuto risultati migliori e in molto minor tempo. È fondamentale verificare lo stato e la disposizione delle radici prima di effettuare qualsiasi operazione sulla chioma; a volte basta ruotare o inclinare leggermente l'albero per avere un nebari migliore. È importante lasciar crescere senza potare i rami che si devono ispessire. Credo che sia più bello un albero dalla chioma modesta ma dal nebari interessante piuttosto che il contrario poiché, per quanto sofferto e vissuto sia, un albero deve sempre mostrare di essere fortemente legato al suolo in una sorta di "abbraccio" con la terra. Deve quindi esprimere la sua tenacia e fermezza nell'ancorarsi al suolo, quasi a sfidare il vento, la pioggia, la neve.