NICOLA DE CARO

" Spesso sono proprio le piante meno promettenti a darci le più grandi soddisfazioni"

Quella che sto per raccontarvi è la storia di uno dei miei Olivastri preferiti, da me raccolto in natura nel marzo 1991 e coltivato sul balcone di casa per nove anni. Al momento della raccolta la pianticella era alta circa 20 cm e il tronco aveva uno spessore di 4 mm (disegno 1). Collocai la pianta, con tutta la zolla, in un vaso capiente e ne cominciai la coltivazione con la grande fiducia che i novelli bonsaisti mostrano verso qualunque soggetto vegetale capiti nelle loro mani. Con mio stupore, la pianta comincio a crescere ed a produrre nuovi rami molto velocemente. Modellai poi i rametti dopo averli avvolti con del filo elettrico poiché allora non riuscivo a trovare facilmente il filo di alluminio. Finalmente, nel 1993, decisi di rinvasare la pianta e mi occupai per la prima volta delle sue radici. Con grande delusione scoprii che al posto delle tanto bramate radici superficiali disposte a raggiera intorno al tronco, la pianta presentava un'unica lunga
radice fittonante che non mi avrebbe mai dato la possibilità di collocare la pianta in un vaso basso; decisi pertanto di accorciare il fittone di qualche centimetro. Ridussi poi l'altezza della pianta sostituendo l'apice con un ramo più basso 

  disegno 1

Nel marzo 1995 l'alberello mostrava di aver reagito generosamente alle mie cure avendo sviluppato una bella chioma che ricordava quella dei suoi "fratelli maggiori" che vivono in piena terra. Presentava però un nebari veramente brutto in quanto era costituito da un'unica radichetta sulla sinistra, come si può già notare nella foto del 1993. Cominciai a pensare che il mio alberello non sarebbe mai stato degno di essere mostrato e che avevo commesso un grosso errore nell'impostare la pianta senza aver prima valutato la disposizione delle radici. Mi trovavo a quattro anni dalla raccolta con un albero che sembrava un paletto infisso nel terreno. Decisi allora di praticare una margotta al di sotto dell'unica radichetta superficiale presente.

foto 2

Operai in questo modo: 1. Tolsi un anello di corteccia dello spessore di circa 2 cm e collocai, nel solco prodotto dalla scortecciatura, del filo di alluminio per evitare che l'albero cicatrizzasse in quella zona senza produrre radici. 2. Posi un cilindro di reticella metallica intorno alla zona scortecciata e riempii tale zona con terriccio torboso  3. Collocai l'alberello in un luogo riparato dal sole e dal vento e vaporizzai la chioma per una ventina di giorni nelle ore in cui la traspirazione era massima. Nei due anni che seguirono concimai molto moderatamente e mi dedicai solo a migliorare la chioma con potature, applicazione di filo e pulizia delle foglie dal calcio che vi si era depositato con le vaporizzazioni del 1995. Finalmente, nel marzo 1996, decisi di rinvasare l'alberello e, con grande gioia scoprii che aveva prodotto
ben cinque nuove radici che avevano fatto ingrossare notevolmente il nebari anche se purtroppo solo quattro si trovavano allo stesso livello di quella già esistente.

foto 3

 A questo punto pensai che la pianta 'fosse pronta per essere posta in un vaso bonsai; scelsi un vaso rettangolare marrone, piuttosto profondo per non, rallentare troppo lo sviluppo della pianta. Effettuai poi la potatura della chioma per equilibrare la parte verde traspirante all'apparato radicale che era stato ridotto al momento del rinvaso. Tale operazione servì anche a migliorare la densità degli impalchi. L'alberello presentava però ancora molti difetti:  una radice sulla destra posta troppo in alto, il primo ramo a sinistra troppo sottile rispetto agli altri, la corteccia troppo liscia. Iniziai subito a correggere quest'ultimo difetto praticando dei piccoli graffietti longitudinali con la punta di uno spillo; per correggere gli altri due occorreva invece più tempo. Nella primavera del 1997 rinvasai l'alberello su una lastra artificiale e così lo esposi alla mostra del Napoli Bonsai Club svoltasi presso il Monastero di Santa Chiara (foto 4).

foto 4

Ma non ero ancora soddisfatto del mio bonsai per cui lo posi, con tutta la lastra, in un vaso capiente; potai ed avvolsi molti rami e lasciai crescere indisturbato il primo ramo a sinistra per farlo ingrossare (foto 3). Nella primavera del 1999 l'albero ha assunto un aspetto molto vigoroso con un primo ramo notevolmente ingrossato e lungo circa un metro (foto 2). Nell'autunno ho poi potato i lunghi rami serviti a far ingrossare il tronco ed ho applicato filo e tiranti ad alcuni di essi. Nel gennaio 2000 si può notare un ulteriore miglioramento: tre dei difetti iniziali sono quasi del tutto spariti (differenza di spessore tra primo e secondo ramo, corteccia troppo liscia, secondo ramo eccessivamente dritto), dovrò però ancora migliorare il nebari e cercherò di ridurre in futuro la dimensione delle foglie. Da questa mia esperienza si possono trarre alcune conclusioni:  Si parla spesso di piena terra e mai di "piena luce": il mio Olivastro ha ricevuto infatti la luce sempre da un solo lato; se invece lo avessi coltivato in un posto ben illuminato, avrei avuto risultati migliori e in molto minor tempo.  È fondamentale verificare lo stato e la disposizione delle radici prima di effettuare qualsiasi operazione sulla chioma; a volte basta ruotare o inclinare leggermente l'albero per avere un nebari migliore.  È importante lasciar crescere senza potare i rami che si devono ispessire.  Credo che sia più bello un albero dalla chioma modesta ma dal nebari interessante piuttosto che il contrario poiché, per quanto sofferto e vissuto sia, un albero deve sempre mostrare di essere fortemente legato al suolo in una sorta di "abbraccio" con la terra. Deve quindi esprimere la sua tenacia e fermezza nell'ancorarsi al suolo, quasi a sfidare il vento, la pioggia, la neve.