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De Senectute
Passi SCELTI
LI
Venio nunc ad voluptates agricolarum, quibus ego
incredibiliter delector, quae nec ulla impediuntur senectute et mihi ad
sapientis vitam proxime videntur accedere. Habent enim rationem cum
terra, quae numquam recusat imperium nec umquam sine usura reddit quod
accepit, sed alias minore, plerumque maiore cum faenore; quamquam me
quidem non fructus modo, sed etiam ipsius terrae vis ac natura delectat.
Quae cum gremio mollito ac subacto sparsum semen excepit, primum id
occaecatum cohibet, ex quo occatio quae hoc efficit nominata est; deinde
tepefactum vapore et compressu suo diffundit et elicit herbescentem ex
eo viriditatem, quae nixa fibris stirpium sensim adolescit culmoque
erecta geniculato vaginis iam quasi pubescens includitur; e quibus cum
emersit, fundit frugem spici ordine structam et contra avium minorum
morsus munitur vallo aristarum. |
Vengo ora ai piaceri degli agricoltori, dei quali
mi compiaccio incredibilmente, né queste gioie sono rese inaccessibili
dalla vecchiaia e mi sembrano avvicinare molto alla vita del saggio.
Infatti hanno a che fare con la terra, che giammai rifiuta un ordine e
rstituisce sempre ad usura ciò che le si è affidato, ma alle volte
minore, e per lo più con interesse maggiore; nondimeno senza dubbio mi
piace non solo il frutto ma anche la forza della terra stessa e la
natura. Terra che quando accoglie nel grembo, reso morbido e lavorato,
il seme sparso, da principio lo racchiude nascosto e, da questo che fa
ciò, l'erpicare ha preso il nome, poi intiepidito dal calore e con la
sua pressione si dilata e da questo viene fuori una verde fogliolina
che, consolidata con le fibre delle radici, a poco a poco emana profumo
e dritta con il fusto nodoso crescendo è già quasi avvolta dalle guaine;
dalle quali quando ne è venuta fuori produce il frutto della spiga
disposto con ordine ed è protetto contro il morso degli uccelli più
piccoli da una palizzata di reste. |
LII
Quid ego vitium ortus satus incrementa commemorem?
Satiari delectatione non possum, ut meae senectutis requietem
oblectamentumque noscatis. Omitto enim vim ipsam omnium quae generantur
e terra, quae ex fici tantulo grano aut ex acini vinaceo aut ex
ceterarum frugum aut stirpium minutissimis seminibus tantos truncos
ramosque procreet; malleoli plantae sarmenta viviradices propagines
nonne efficiunt ut quemvis cum admiratione delectent? Vitis quidem, quae
natura caduca est et, nisi fulta est, fertur ad terram, eadem, ut se
erigat claviculis suis quasi manibus quicquid est nacta, complectitur;
quam serpentem multiplici lapsu et erratico ferro amputans coercet ars
agricolarum, ne silvescat sarmentis et in omnis partis nimia fundatur. |
Quali vantaggi potrei io menzionare dello sviluppo
della semina delle viti? Non posso essere appagato dal piacere affinché
impariate a conoscere la quiete e il diletto della mia vecchiaia. Non
cito infatti la forza stessa di tutte quelle cose che sono generate
dalla terra, che procrea dal così piccolo granello del fico o dal
vinacciolo dell’acino dell’uva o dai piccolissimi semi degli altri
frutti e piante; forse che i magliuoli della pianta non producono i rami
propagini barbatelle così che dilettano chiunque con ammirazione. Quanto
alla vite, che per sua natura cade e, se non è sostenuta, se ne va per
terra, essa medesima, per reggersi, coi suoi viticci, quasi con mani,
s'attacca a tutto ciò che trova. E mentre va serpeggiando in un cader
molteplice ed erratico, l'agricoltore la frena amputandola, affinché non
faccia selva di sarmenti e non si diffonda smodata in ogni parte. |
LXXXIII
Quid? Quod sapientissimus quisque aequissimo animo
moritur, stultissimus iniquissimo, nonne vobis videtur is animus qui
plus cernat et longius videre se ad meliora proficisci, ille autem cuius
obtusior sit acies, non videre? Equidem efferor studio patres vestros,
quos colui et delexi, videndi, neque vero eos solum convenire aveo quos
ipse cognovi, sed illos etiam de quibus audivi et legi et ipsi
conscripsi; quo quidem me proficiscentem haud sane quid facile
retraxerit, nec tamquam Peliam recoxerit. Et si quis deus mihi largiatur
ut ex hac aetate repuerascam et in cunis vagiam, valde recusem, nec vero
velim, quasi decurso spatio, ad carceres a calce revocari. |
E poi: più uno è saggio e più serenamente muore;
più uno è stolto e più si ribella al pensiero della morte. Non vi sembra
dunque che l'anima pronta a veder meglio e più lontano veda com'ella
parte per miglior destino, e l'altra, di meno acuta vista, non lo veda?
Oh come io mi dolgo per il desiderio di rivedere i padri vostri, che ho
venerati e amati! Né desidero soltanto di ritrovarmi con quelli che io
ho conosciuto, ma desidero vedere anche quelli di cui ho sentito
parlare, ho letto, ho io stesso scritto; e quando starò andando là,
nessuno certo potrà chiamarmi indietro né ricuocermi come Pelia. Se un
qualche dio mi offrisse a me vecchio qual sono, di tornare bambino e di
vagire ancora nella culla, rifiuterei decisamente, e non vorrei davvero
essere richiamato indietro dal traguardo al punto di partenza dopo aver
concluso la corsa. |
LXXXIV
Quid habet enim vita commodi? Quid non potius
labori? Sed habeat sane; habet certe tamen aut satietatem aut modum. Non
lubet enim mihi deplorare vitam, quod multi, et ii docti saepe fecerunt;
neque me vixisse paenitet quoniam ita vixi ut non frustra me natum
existimem, et ex vita ita discedo tamquam ex hospitio, non tamquam e
domo. Commorandi enim natura devorsorium nobis non habitandi locum dedit.
[...] |
Che vi è infatti di gioia nella vita? Che non vi è
invece di dolore? Ma abbia pure letizie; ha tuttavia senza dubbio
sazietà e limite. Non io vorrò disprezzare la vita, come hanno fatto
tanti, anche sapienti; né mi duole di essere vissuto, giacché sono
vissuto in modo da poter ritenere di non essere nato invano, e me ne
parto dalla vita come da un albergo, non da una dimora. Per sostarvi,
non per restarvi la natura ci ha dato la vita. [...] |
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