Schede a cura del Centro Studi per l'Educazione all'Immagine, Milano

 

Spirit cavallo selvaggio

 Titolo originale: Spirit Stallion of the Cimarron i Regia: Kelly Asbury e Lorna Cook i Origine: Usa, 2002 | Durata: 80' | Distribuzione: Universal

Ilfilm narra la storia di Spirit, uno stallone mustang cresciuto allo stato selvaggio nel vecchio West. Catturato dai soldati statunitensi, Spirit deve lottare per riguadagnare la sua libertà e difendere la sua terra dal pressante assalto della nazione sorgente. L'amicizia con l'indiano Piccolo Fiume gli insegnerà il valore della solidarietà fra le specie. 

Pur ponendosi nel solco della tradizione codificata dalla Walt Disney Pictures in decenni d'attività, Spirit è un lungome­traggio anomalo, attento a veicolare temi universali, rinunciando all'approccio infantile tipico di queste produzioni e spe­rando, anzi, di coinvolgere un pubblico più variegato. La storia si svolge nel West, agli albori della storia americana: in quest'ambito lo stallone Spirit è inizialmente libero e sel~ vaggio, e trascorre una vita in perfetto accordo con una natura incontaminata della quale egli è il Re. 1 suoi poderosi zoccoli calcano la terra, lo vediamo nuo­tare e giocare con l'aquila calva che di quei luoghi è ancora oggi il simbolo: Spirit è dunque l'emblema stesso di quella terra che lo ha partorito e lo ha innalzato a gloria di leader (del suo branco e di tutto il territorio vergine). Con altrettanta veemenza, comunque, la storia lo precipita nella polvere, mediante l'incontro con l'uomo bianco deciso a domarlo e a "educarlo" alle logiche di una civiltà basata su rigide gerarchie. Questa connotazione verticistica della società occidentale, dove il cavallo riveste per condizione naturale un posto inferiore,trova una efficace rappresentazione nella figura del Colonnello, l'uomo che per primo si ritrova a confrontarsi con lo stal­lone cercando di domarlo. 1 due antagoni­sti hanno caratteristiche comuni: entrambi sono dei leader (l'uno del proprio branco, l'altro di un esercito) e si presentano decisi e ostinati nel raggiungimento del proprio scopo, per nulla intenzionati a lasciarsi sopraffare. Diverso è ovviamente il dise­gno che ciascuno dei due ha relativamente al territorio americano: per Spirit la libertà è il simbolo di una vita in simbiosi con la natura, basata sul rispetto dei luoghi e sulla comunione con le altre creature ani­mali; viceversa per il Colonnello l'America è un grande campo di battaglia da con­quistare e sottomettere, seguendo la legge del più forte. Il parallelismo esistente fra i due è sancito a perfezione dal rispetto che, nel finale, il Colonnello tributa allo stallo­ne rivale, lasciandolo andare e dichiaran­do, in tal modo, di accettare la propria sconfitta. L'incontro con un rivale di eguale valore, rappresenta comunque per Spirit una grande occasione di crescita: il suo ruolo di leader, infatti, sembra sancito unica­mente dal suo vigore fisico, non da una reale consapevolezza delle responsabilità connesse al suo compito. Se, infatti, Spirit viene catturato dagli umani la colpa è anche della sua ingenuità, che lo porta ad avvicinarsi ai "due zampe" (come lui li chiama) con imprudenza. Una volta resosi conto dell'errore, però, Spirit giunge alla conclusione che tutti gli umani siano peri­colosi: con altrettanta superficialità, dun­que, la sua capacità di giudizio si appiatti­sce istintivamente sul modello offertogli dall'inflessibile e spietato Colonnello.

La "terza via" è così rappresentata dall'in­diano Piccolo Fiume e dalla giumenta Pioggia, esempi di come sia possibile una vita comune fra l'uomo e le creature natu­rali, nel rispetto degli equilibri della vita, seguendo la regola del reciproco aiuto. In linea con i principi progressisti del cinema western realizzato negli ultimi anni, anche un film come Spirit rovescia insomma il presupposto del "selvaggio cattivo" impe­rante nel cinema classico e pone i nativi d'America nella condizione dei saggi che avevano compreso il linguaggio della Terra ed erano poi rimasti vittime dell'i­gnoranza e della prepotenza dei coloniz~ zatori bianchi. Giustamente l'avventura vede presto uniti Spirit e Piccolo Fiume, entrambi costretti a rifuggire la violenza del Colonnello e a difendere la vita di quei luoghi minacciati da un progresso porta­tore di morte. La ferrovia diventa così il simbolo dell'avanzata massiccia e prepo­tente dell'uomo bianco che sostituisce alle creature naturali il metallo arido e porta­tore di dolore. La complicità che vede Spirit e Piccolo Fiume uniti nella loro battaglia, si concre­ta infine con il "permesso" di farsi caval­care che il cavallo concede all'indiano: alla fine della storia, dunque, Spirit ha compreso in maniera ancora più piena il concetto di complicità (più complesso del rapporto semplicemente ludico che aveva, per esempio, con l'aquila all'inizio della storia) e di essere finalmente diventato spirito che vive in comunione piena con le altre creature della sua terra, meritan­dosi in tal modo il proprio nome e la propria libertà.

 

Davide Di Giorgio

 

Spuinfi di riflessione

 

*   Il rapporto fra la natura e il progresso si traduce spesso in una violenza dei secondo ai danni dei primo: è possibile trovare una convivenza tra questi due elementi, entrambi indispensabili per la vita sulla Terra?

 

*   Il rapporto fra l'uomo e gli animali diviene nel film un pretesto per parlare della necessità di convivenza fra le razze. Il problema dei razzismo.

 

* La conquista dei West: le tappe di una colonizzazione difficile.


lo non ho paura

 

Regia: Gabriele[ Salvatores | Origine: Italia 2002 | Durata: 108' | Distribuzione: Medusa

 

Siamo nel 1978: un mondo rurale e primordiale, lontanissimo dalla modernità; dove le spighe di grano sono più bionde che mai, dove sono più fitte e quasi impenetrabili, c'è una casa abbandonata e, accanto a essa, un buco nero nel terreno, nero e profondo come la paura. Michele, un bambino di 10 anni, bruno di capelli e di carnagione, dal profilo fiero come il popolo del Sud, scopre il buco, mentre gioca con gli amici; quel buco diventa per lui un campo magnetico: lo attrae e lo intimorisce, gli fa paura e lo incuriosisce. Il protagonista del film scopre nel pozzo un altro bambino come lui, Filippo, biondo, denutrito, spaventato, incatenato a una caviglia e cieco dalla paura e per la luce alla quale non è più abituato. Michele è altruista, fiducioso e con un innato senso di giustizia: Filippo ha sete e Michele provvede a farlo bere; ha fame e l'altro gli porta il pane; crede di essere morto e il suo angelo custode gli dimostra che è vivo, facendolo uscire dal pozzo e giocando con lui a rotolarsi nel grano. La storia procede e Michele capisce che a gettare Filippo nella prigione di fango sono stati i "grandi" del paese che lo hanno rapito a una ricca famiglia del nord per ottenerne un riscatto. Sono dei suoi vicini di casa che hanno agito con la regia di Sergio, un minaccioso, laido e mascalzone basista, ma anche il padre del protagonista, camionista codardo e la madre, tipica mamma del sud, commovente e rassegnata. Michele cercherà di far scappare Filippo, ma i due bambini saranno raggiunti dalla banda dei balordi fino al momento in cui  sarà proprio Michele al centro del mirino, al posto della piccola preda bionda. Ferito, Michele riabbraccerà suo padre, in una notte di paure e di pentimento.

 

Il cinema ha bisogno di storie forti.Io non ho paura l'avrei potuto dirigere anche solo con il libro in mano, senza sceneggiatura, perchè c'erano già le parole, i colori, la storia era molto semplice,archetipica. Che non vuol dire Facile', ma 'profonda'..." (Gabriele Salvatores).    

Un angolo meridionale dell'Italia anni '70          (le Fiat 127, le canzoni di Ivan Graziani,          Emilio Fede al TG1) è un'ambientazione congeniale per questa storia misteriosa e onirica.

Come il romanzo da cui è tratto, il film di Salvatores rivela tutti gli elementi propri della tragedia greca: il buco nero (a cui si possono attribuire tante simbologie), la scoperta che il padre può essere cattivo, la pìetas di Michele verso Filippo e nei confronti anche dei propri genitori, nonostante si renda conto che non sono "perfetti i punti di forza del racconto, (cinematogrfico e letterario) stanno nell'irruzione della brutalità, della violenza in una quotidianità amorfa e inconsapevole della propria mostruosità; nel progressivo disgelarsi dello squallore degli adulti, della loro miseria e fragilità; nel fascino del misterioso e nella paura, nelle emozioni attraverso le quali il piccolo protagonista scopre la possibilità di non soccombere a un mondo gretto e crudele.

Salvatores si fa forte di una fotografia poetica e cristallina, dì luci accecanti e colori vivi, di campi totali e steady cam fra le spighe dorate, per raccontare l'orrore. Si affida alla suggestione di una musica che sembra imitare il fruscio del vento per descrivere le sensazioni dei due bambini. Gli elementi della commedia "all'italiana" (il "colpo" mal congegnato ricorda I soliti ignoti) sono utilizzati per parlare di infan­zia violata, di difficili rapporti familiari, di illegalità 

Tutto questo indagato dagli occhi di Michele, con una cinepresa alla sua altezza; se, infatti, il protagonista non alza gli occhi, gli adulti restano in fuoricampo e le loro azioni e parole sono come spiate. Salvatores ha avuto occasione di dire in proposito: 1o non ho paura comincia e finisce in prima persona, e questa perso­na è un bambino di nove anni, alto un metro e mezzo: questo è il suo punto di vista...". Così il regista alterna la lingua e la buffa saggezza dei bambini al dramma e alla tendenza al tradimento dei grandi. Michele affronta l'ignoto attraverso un racconto che all'inizio sembra una favola‑, un racconto lastricato, invece, di ostacoli, in cui si mescolano disperazione e voglia di crescere. t il racconto della perdita dell'innocenza con un gioco di luci e ombre, di esterni e di interni per marcare il divario tra il mondo dei bambini e quello degli adulti. Michele e Filippo sono uguali e diversi nello stesso tempo, ci ricordano l'impor­tanza del coraggio di affrontare ciò che non si conosce e la necessità di disubbidire, per onestà e per coerenza.

 

Alessandra Montesanto

 

Spunfi di riflessione

 

-   Ti ricordi, in maniera particolare, di un'estate ricca di giochi, avventure, scoperte ... ?

-   Di che cosa hai paura? Se puoi, racconta

    un'esperienza.

-   A chi ti rivolgi quando hai paura?

-   Sei una persona curiosa? Racconta la tua

    ultima scoperta.

-   Elenca le caratteristiche della personalità

    di Michele e di Filippo.

- Cosa avresti fatto tu al posto di Michele?

- Come si comportano, secondo te, gli adulti    dei film?