Le Simone e Garibaldi

 

 

So di attirarmi, con queste mie riflessioni, gli strali del migliore benpensantismo, più o meno (dis)interesato e/o legato a paraocchi di colore politico, dei quali, fortunatamente, sono scevro.
Tant' è in quest' Italia dove è additato alla pubblica esecrazione chi parla male di Garibaldi (quello vero) o dei piccoli garibaldi dei giorni nostri, comete che durano il tempo di una puntata di Porta a Porta, M. Costanzo Show, Ballarò, 8 e 1/2 (legittimo e reale).
Ho letto un articolo che mi è sembrato scritto da qualcuno che mi ha scrutato nel pensiero. Non riesco, in coscienza, a pensarla diversamente. Vi sottopongo l' articolo in questione, piuttosto che esprimere il concetto con parole mie, visto che, come detto, vi aderisco in pieno e mi trovo già la fatica fatta e, sicuramente, non avrei saputo scriverlo così!

Un caro saluto a tutti

Indossando la corazza
Vostro
Alessio


IL MESSAGGERO  Sabato 2 Ottobre 2004

                  

         IL COMMENTO

         Frastornati da quei sorrisi a senso unico

        

         di DANIELA BRANCATI

 

 PRIMA del loro rapimento il grande pubblico non conosceva le due Simone. Dopo, di loro sapevamo soltanto che sorridendo curavano i bambini iracheni. Perciò, generosamente, al buio, non ci siamo limitati alla ovvia solidarietà, abbiamo offerto anche la nostra emotività, tanto era paradossale la loro vicenda: andate in Iraq per aiutare, e catturate come spie. Di più, dobbiamo avere il coraggio di confessarlo: abbiamo discriminato fra rapito e rapito. Le due donne le sentivamo più vicine, la loro pena ci apparteneva in pieno, senza se e senza ma. Sulla loro vicenda abbiamo riversato il bisogno di partecipare a questa guerra così lontana e così vicina, di cui fino in fondo non abbiamo capito il perché. Di cui non condividiamo le immagini dell’orrore quotidiano. Questo raccontavano l’emotività delle piazze, le fiaccolate, le margherite e i drappi appesi dagli stessi sindaci delle città di provenienza. Ecco perché oggi, a liberazione avvenuta, ci dichiariamo apertamente frastornati. Un rapimento con ricevuta di ritorno e restituzione della pistola ormai inutile: le ragazze non dovevano più essere uccise. Un rapimento con tanto di nastri audio e un video, nel quale le rapite escono sorridenti dai loro cappucci, che sembra di essere a Cinecittà, ma il regista non si trova. Un rapimento in cui le rapite a botta calda ringraziano con affetto il popolo al quale i rapitori appartengono, e molto più tiepidamente e tardivamente quello che le ha liberate, che comunque ne ha sostenuto per intero il peso politico ed economico, sia di un riscatto probabile ancorché negato, sia anche solo del lavoro delle diplomazie e dell’intelligence. A vicenda appena conclusa entrambe le rapite dichiarano che sono liete di essere a casa, ma l’Iraq è lì che le aspetta, e non vedono l’ora di riabbracciare i bambini iracheni. È vero che l’ingiustizia della guerra è tale che chi l’ha vista da vicino cambia per sempre il proprio modo di essere. È vero che le bombe non guardano in faccia donne e bambini, come le cronache ci ricordano. È anche vero che per due donne in ostaggio che vengono liberate altre due indonesiane vengono acchiappate. Ed è anche vero che l’esperienza del rapimento turberebbe chiunque. Ma proprio per questo, ci saremmo aspettati un po’ di turbamento, di prudenza e un’altra risposta alla nostra emotività. Invece le ragazze hanno ideologie incrollabili e un sangue freddo invidiabile, che ha consentito loro di fare un discorso pubblico pienamente e totalmente politico, perfino quando una delle due, toccando la mano della madre che le stava accanto, ha accennato al suo dolore e alla sua preoccupazione per lei, allargando subito il discorso al dolore di tutte le madri irachene, che vedono i figli morire. È vero, non abbiamo l’esclusiva del dolore, e forse hanno fatto bene a ricordarcelo. Abbiamo la pancia piena e l’arroganza di tutti gli occidentali. Ma forse avrebbero potuto scegliere un altro momento per ricordarcelo. Prima potevano dedicare anche a noi un po’ del sorriso che, evidentemente, riservano solo ai bambini iracheni.






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Commenti

 

Caro Alessio non è per liquidare il discorso con 2 parole ma soltanto per
carenza di tempo che ti dico alcune cose in maniera telegrafica.
Il contenuto dell'articolo non solo non lo condivido ma lo ritengo più
subdolo degli altri che dicono apertamente: "noi siamo la civiltà
superiore e la nostra vita conta molto di più di quella di un irakeno".
Aver ribadito come prima cosa che è necessario il ritito delle truppe
occupanti e che il loro pensiero andava al popolo ed alle madri irakene
non è stato un atto ideologico ma un atto di estrema onestà che ha ribadito
chi sta veramente soffrendo in questo momento. Ritengo che dire come ha fatto
il giornalista io sono d' accordo con tutto però...... noi poveri italiani
siamo stati dimenticati, è un vero e proprio atto di ipocrisia, che nasconde il
pensiero della civiltà superiore che considera la vita di un irakeno (o di
un altro popolo che subisce le "delizie" che gli riserva quotidianamente
l'occidente), meno di un qualsiasi animale domestico che viene sfamato
nelle nostre case.
Questo a prescindere da chi siano le due Simona e se siano meritevoli o
meno della nostra stima per quello che hanno fatto in Irak.
Quello che sta avvenendo in Irak è un crimine contro l'umanità e come tale
va denunciato con tutte le nostre forze.
Dopo l'Afganistan, l'Irak, dopo l'Irak la Siria e cosi via la propaganda
colonialista nasconde le sue mire egemoniche ammantandole di democrazia e
benessere da elargire a tutti. Nulla di nuovo rispetto al vecchio
colonialismo la pappa è sempre la stessa.
Quanto si è speso questo giornalista nella denuncia delle criminali
ingiustizie di cui tutti i giorni si macchia l'occidente ed i nostri governi
italiani? Ho paura caro Alessio che troveresti ben poco a tale riguardo.
Chi ha scritto ha saputo dosare le parole dando ragione alle considerazioni
delle 2 Simona per poi annullarle completamente in nome del popolo
italiano.
Scusa ancora per la brevità
Ti abbraccio Daniele

Chiosa di Alessio:

Rispondo in ritardo e mi scuso.
Non ho capito il "pistolotto" sulla considerazione razziale animale-irakeno:
nulla di tutto questo, parlavo d' altro. Il discorso potrebbe rovesciarsi,
diventando un razzismo all' incontrario: occidentale capitalista e
schiavista a prescindere e resto del mondo povero, sfruttato, buono e
bastonato. Se dobbiamo fare dei "distinguo" sui musulmani buoni e su quelli
birboncelli, dobbiamo farli per tutti. Per onestà intellettuale.

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Ciao alessio,
maurizio ti segnala questo articolo pubblicato sul sito http://www.unita.it
e aggiunge il seguente commento:

 Caro Alessio, ti mando anch'io un articolo sulle due Simona che
ristabilisce la verità, che l'altro articolo di tipo fallaciano ha
trascurato.
Un abbraccio
Maurizio

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Hanno liberato la Pace
di Lidia Ravera

Lo stesso nome: Simona. La stessa età: ventinove anni. La stessa
professione: operatrice umanitaria. La stessa passione: aiutare gli altri.
Lo stesso bisogno primario, che poi, per la maggior parte della gente,
diventa secondario oppure, più spesso, scompare: che la vita abbia un senso,
che ci sia un motivo, una necessità, per alzarsi dal letto al mattino, per
camminare, mangiare, parlare, tornare a dormire, e poi alzarsi di nuovo.
Loro l'hanno trovato, questo senso. Basta guardarle, nelle molte immagini
filmate che ci hanno mostrato in questi lunghissimi ventun giorni di attesa.
Una Simona scarta pacchi di libri illustrati, l'altra organizza un girotondo
(di quelli veri, con i bambini piccoli), una parla con le donne, l'altra si
china su un letto d'ospedale. Basta guardarle: belle come sono belle le
ragazze a cui non importa un fico secco di essere belle. Diverse: una con il
viso pieno e occhi verdi grandissimi, carichi di stupore.
L'altra con il viso più sottile e i capelli lunghi e uno sguardo nero,
intenso, che potrebbe essere di una donna araba. Simile il sorriso:
fiducioso e sereno come è soltanto il sorriso di chi crede che sia ancora
possibile mettere ordine in questo porcile insanguinato. Non lo è. Non è
possibile dedicarsi agli esseri umani uno per uno, non si può tendere la
mano a un orfano, alleviare una solitudine, accogliere chi è senza casa,
dare ascolto a una disperazione, salvare una biblioteca mentre piovono
bombe. Non si può. Non è possibile. E il necessario, precipitoso ritirarsi
degli operatori di tante organizzazioni umanitarie l'ha confermato.
Anche per questo, non soltanto per il terrore indecifrabile di questi tempi
e di quei luoghi, anche per questo abbiamo avuto, in certi momenti, quasi la
certezza di perderle, le due Simone. E abbiamo provato un'angoscia diversa,
più intima, più personale di quella con cui abbiamo seguito le vicende di
tutti gli altri ostaggi.
Uccidere Simona Pari e Simona Torretta, sarebbe stato simbolicamente
insopportabile perché, immediatamente, le abbiamo caricate del peso del loro
progetto: la consapevole, volontaria, ingenuità di mettere in pratica una
vita da buoni. Un impulso che Vittorio Feltri, come ha scritto, avrebbe
represso a schiaffoni, fossero state, per loro disgrazia, figlie sue. Simona
Pari, Simona Torretta. Una laurea in filosofia, una scuola d'arte: martiri
laiche di un fanatismo ammantato di formule religiose. L'assenza di notizie
sulla loro sorte è stata compensata, in questi giorni terribili, da un
fluire ininterrotto e stranamente copioso di immagini della loro vita e del
loro lavoro. Ci incalzavano, sorridenti, dai teleschermi. Ormai le
conosciamo bene: una Simona parla, seria a un interlocutore invisibile,
l'altra risponde al telefono. Le abbiamo guardate con apprensione, con
tenerezza, sedute ciascuna alla sua scrivania, il computer portatile aperto
sul tavolino laterale: due bambine intente a qualcosa di grande e di
infantile insieme. Lavorare sul suolo imbrattato da una guerra infame, come
se fosse terra neutra, luogo praticabile, strada pubblica, sgombra, da
percorrere a piedi, disarmate, camminando in fretta sotto il peso della
propria buona volontà, del proprio desiderio di fare. Le immagini passano e
ripassano, passano e ripassano le loro corte biografie, ci vengono mostrati
infinite volte i loro cognomi sul citofono dei palazzi dove, giustamente,
tacciono i loro genitori. Ci vengono mostrati i loro visi familiari
fotografati, incollati sui cartelli nelle manifestazioni di solidarietà, di
protesta, tenuti stretti dalle mani di qualche anonimo addolorato che
implora la pace. Passano e ripassano, ossessivamente, i video girati nei
cortili delle scuole, i giochi, i sorrisi dei bambini. Un clima da merenda
sull'orlo del baratro.
Di giorno in giorno, la nostra sofferenza cresce. Ci si scopre a pregare, a
contrattare con un Dio in cui non crediamo, ci si scopre a desiderare
d'essere al posto di Silvio Berlusconi, e non ci era mai successo, a
invidiarlo perché lui poteva, effettivamente, fare qualcosa. Lui potrebbe
ritirare le truppe italiane dall'Iraq. Lui potrebbe, lui poteva, lui può.
«Non si deve darla vinta ai terroristi». D'accordo: ma anche consentendo ai
terroristi di uccidere ancora, li si fa vincere. Non esce vittorioso Blair
che non tratta, Berlusconi che non si piega, Bush che non molla. Perdono
tutti e tre, perdono, stanno perdendo, hanno già perso. Anche se, per una
volta, è bastato il danaro, anche se è stata evitata la tragedia. Forse per
un contorto, atavico, rispetto per le donne che il Corano impone e a cui i
musulmani obbediscono (fatta eccezione per le adultere, in certi Stati
religiosamente lapidate). Forse per l'intercessione dell'ala moderata degli
islamici. Forse perché, o almeno ci piace pensare anche a questa ipotesi, le
due Simone erano contrarie alla guerra, amavano e aiutavano il popolo
iracheno, e allora avrebbe meritato la stessa clemenza anche Enzo Baldoni.
Baldoni, Pari, Torretta lavoravano per aiutare le vittime di una guerra che
detestavano e disapprovavano. Due ce l'hanno fatta, l'altro no. Guardiamole,
le due Simone. Guardiamole mentre si liberano dal cappuccio nero. Guardiamo
queste due donne materne che hanno rischiato di non diventare mai madri.
Guardiamole in posa i capelli coperti fra altre donne coi capelli coperti,
che, anche per la loro umiltà di uniformarsi, si fidano e parlano. Guardiamo
queste immagini che raccontano un altro modo di affrontare i problemi del
mondo. Imbelle, direbbe Gianfranco Fini. Imbelle, infatti. Ma per noi è un
complimento. Guardiamole, ora che possiamo guardarle senza angoscia: vive,
belle, allegre e animate da una testarda determinazione a sottrarsi alle
regole del rassegnarsi. Guardiamole. E cerchiamo di non dimenticare, che
erano lì nonostante la guerra e contro la guerra, contro il mito
dell'Occidente sovrano, la sua tracotanza neoliberista, le sue finzioni
pedagogiche. Abbracciamole e lottiamo perché l'orrore non colpisca altri
uomini, altre donne, altre ragazze, mentre il Grande Esportatore di
Democrazia, circondato da cadaveri decapitati, ancora si rifiuta di gettare
la spugna.

Chiosa di Alessio:

Caro Maurizio, bensentito!
Tutto vero, ok, bene, brave, bis.
Comunque continuo a sostenere che due parole buone per i loro compatrioti
che aveveano trepidato per la loro sorte, potevano sprecarle.
E la pagliacciata del cappuccio e della pistola-souvenir?
Ma dai, sembravano uscite dal Grande Fratello.
Purtroppo se si continua a giudicare il bene e il male secondo le direttive
di partito (qualsiasi partito!), non faremo mai un passo avanti.