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Lunedì 31 Gennaio 2005 


Tolleranza: concime di una democrazia



Egregio Dottor Gervaso, sono un appassionato lettore dei suoi libri e dei suoi articoli perché, "mi consenta", ritengo che madre natura l’abbia privilegiata come scrittore...
Supponiamo che un inviato speciale mongolo o tahitiano venisse per la prima volta in Italia, leggesse i nostri giornali più autorevoli (o presunti tali), assistesse all'attivismo dei leader del centrosinistra e recepisse il clima di solidarietà che sostiene i personaggi militanti, o simpatizzanti, delle forze attualmente all'opposizione. Ebbene, non ritiene che il nostro ipotetico ospite potrebbe convincersi di trovarsi in un Paese essenzialmente di sinistra, governato arbitrariamente dalla destra? Eppure non mi sembra che Berlusconi abbia varcato la soglia di Palazzo Chigi protetto dai carri armati.
Bruno F . - Roma

Caro Amico, grazie del "privilegiato come scrittore", visto che altre doti o altre virtù non ne posseggo. Io (me lo lasci ripetere) scrivo così, come mi viene, con semplicità e disinvoltura perché questa è stata la lezione dei miei maestri. Tutti, purtroppo, scomparsi: quelli remoti - Giulio Cesare, Tacito, Machiavelli, Voltaire - che non ho mai conosciuto, e quelli di cui sono stato allievo e amico: Montanelli, Prezzolini, Buzzati, Panfilo Gentile, Augusto Guerriero (il Ricciardetto di Epoca ), e pochi, pochissimi altri. Io, quando prendo in mano la penna (la vecchia stilografica) o mi metto davanti alla Lettera 22, non penso al mio editore né al mio direttore, cui tanto devo, ma a chi mi legge. E' a lui che mi rivolgo, è lui il mio vero interlocutore, è lui che mi giudica, e solo il suo giudizio, per me, conta.
E veniamo all'inviato speciale mongolo o tahitiano, ma anche, per restare in Europa, francese, tedesco, inglese, olandese. Gran parte dei nostri giornali, o almeno i più autorevoli, sono antigovernativi. Il centrodestra non gli piace, il Cavaliere non lo sopportano e, quando non lo irridono, lo criticano. Io, di Berlusconi, sono amico e conosco bene le sue virtù e i suoi difetti. Intelligenza ne ha da vendere e la grinta non gli manca. Ma è un accentratore, con un debole, umanissimo, per i cortigiani. Ne ha tanti, specialmente fra i voltagabbana.
Il suo partito ne è pieno, come Alleanza Nazionale, e i più "yesmen" sono gli ex comunisti, quelli che, in tempi non così lontani, lo scorbacchiavano, dicendo peste e corna di lui, lanciandogli accuse atroci o, in piena malafede, avallandole. Non mi chieda i nomi. Per due ragioni. La prima: non sono un delatore. La seconda: li conosce benissimo, li conoscono tutti.
Il cavalier Silvio può piacere o non piacere. Le sue scelte, tattiche o strategiche, si possono, o no, condividere, così come le sue alleanze internazionali, ma ciò non autorizza nessuno, e sottolineo nessuno, neanche i grandi poeti (ma Luzi lo è davvero?) a paragonarlo al cavalier Benito. In comune non hanno niente e la loro conquista del potere non è in alcun modo comparabile. Mussolini divenne primo ministro nell'ottobre del 1922, dopo quella scampagnata folcloristica che fu la Marcia su Roma e il viatico dei poteri forti, in primis la monarchia. Leader carismatico e gladiatorio s'aggiudicò la partita con trentacinque deputati. Il guaio (per la democrazia, o quello che ne restava, dopo una guerra vinta solo sulla carta) era la divisione degli avversari. I quali, se fossero rimasti uniti, ci avrebbero risparmiato vent'anni di regime e un conflitto disastroso. Ma erano divisi e il prezzo delle loro liti gli fu, e ci fu, fatale.
Berlusconi a Palazzo Chigi è andato con una maggioranza schiacciante di voti, tutti democratici, espressi, cioè, da liberi cittadini, in un clima ben diverso da quello che propiziò l'ascesa del maestro romagnolo. Hanno fatto bene gli italiani a schierarsi con il dominus arcoriano e i suoi sodali? Hanno fatto male? Poco importa. Ma le elezioni, nella primavera del 2001, le ha vinte il Polo, e tanto basta.
Il Polo le ha vinte e l'Ulivo, oggi Gad (si chiama così?), non si è mai rassegnato alla sconfitta. Né si è rassegnata una parte della grande stampa, quella che allora sostenne Rutelli e oggi tifa (o finge di tifare) per Romano Prodi, vecchio democristiano di sinistra, che dubito porterà la sua coalizione al riscatto elettorale. Posso sbagliarmi (mi sbaglio spesso), ma non mi stupirei se, dopo le regionali, il "Professore" dovesse, suo malgrado, passare la mano all'astuto, sornione Veltroni o all'abile e freddo D'Alema o allo sdutto e prudente Fassino. Il che sarebbe anche giusto, visto che i diesse, nella sinistra, sono maggioranza. In attesa di rioccupare le "stanze dei bottoni", se vuole davvero rivarcarne la soglia, il Gad (si chiama così?) la pianti di sfottere e demonizzare il premier, rischiando di farne un martire.
atupertu@ilmessaggero.it




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