Conflitto di interessi Le riviste scientifiche sono strumenti di marketing utilizzati dalle industrie farmaceutiche, e i medici i loro agenti? 04-12-2003 - Fonte: galileonet.it "Forse
le riviste scientifiche non sono nient'altro che strumenti di marketing
utilizzati dalle industrie farmaceutiche per i propri interessi, e i
medici e i ricercatori sono i loro agenti". Così scriveva Richard
Smith, direttore del prestigioso "British Medical Journal", in
un articolo apparso lo scorso 25 ottobre sul quotidiano londinese "The
Times". La conclusione un po' pessimista è il frutto di una
ricerca sui conflitti di interesse esistenti tra aziende farmaceutiche,
medici e giornalisti scientifici, durata quasi 20 anni. La stessa
che Smith ha presentato lo scorso 3 novembre all'Istituto superiore di
sanità (Iss) durante il seminario sul tema "La necessità di una
ricerca biomedica indipendente". "Charles Nemeroff, della
Emory University School of Medicine di Atlanta", ha ricordato Smith,
"pubblicò la recensione di uno studio sui disturbi dell'umore
apparso lo scorso febbraio sulla rivista 'Nature Neuroscience',
dichiarando di non aver alcun conflitto d'interesse". Tuttavia, va
avanti il giornalista anglosassone, "egli era detentore del
brevetto di un cerotto al litio che l'articolo menzionava
favorevolmente. Era, inoltre, azionista della Corcept Therapeutics,
l'azienda che aveva condotto trial con il mefipristone; direttore e
presidente, inoltre, dell'advisory board della Cypress Bioscence,
produttrice del milnacipran: entrambi i farmaci venivano citati
benevolmente nella recensione".
In Italia le cose non vanno certo meglio. Se nella letteratura
scientifica non abbiamo traccia di un caso eclatante quanto quello
americano è solo perché "nel nostro paese c'è molta omertà e
qualora le società scientifiche 'combinino qualche pasticcio' si
preferisce non dare rilievo all'evento", afferma Alessandro
Liberati, dell'Università di Modena e Reggio Emilia.
Proprio allo scopo di testare quanto venga sacrificata l'indipendenza
della ricerca nel nostro paese, il Coordinamento per la Integrità della
Ricerca Biomedica (Cirb) ha inviato a 99 società medico-scientifiche un
questionario per conoscere l'esistenza o meno di regole auto-imposte
concernenti l'obbligo di dichiarare, in caso di partecipazione a
progetti di ricerca, i possibili conflitti di interessi. Delle 42 società
che hanno compilato il questionario, solo otto hanno ammesso di aver
obbligato i propri relatori a dichiarare l'esistenza di un conflitto di
interesse all'atto di partecipare a un congresso.
"Le industrie farmaceutiche", dichiara Marco Bobbio,
dell'Azienda ospedaliera San Giovanni Battista di Torino, "finanziano
più dei 2/3 di tutti i progetti di ricerca realizzati in Italia e
alimentano con le loro donazioni il 50 per cento del budget complessivo
delle società scientifiche. Quest'ultime, pur di avere i
finanziamenti, sono disposte ad accettare le condizioni, i protocolli, i
contratti forniti dalle industrie. Con questo sistema le società
perdono terreno sul fronte di una ricerca indipendente e libera da
condizionamenti: molto spesso, prima di pubblicare uno studio, sono
obbligate per contratto a presentare preventivamente i risultati allo
sponsor. Che in alcuni casi ha perfino il potere di bloccare la
pubblicazione".
Dal problema del busness conflict non sono immuni altre categorie.
Soprattutto chi ha il compito di comunicare e divulgare la ricerca. Dei
121 giornalisti scientifici contattati dal Cirb, solo 39 (il 32 per
cento del campione totale) ha aderito all'iniziativa, nonostante i
ripetuti solleciti. Il 95 per cento di chi ha risposto è convinto che
il problema investa la divulgazione scientifica in generale ma non il
proprio operato. Tuttavia, il 38 per cento di chi ha partecipato
negli ultimi cinque anni a un congresso organizzato a totale carico di
un'azienda farmaceutica ha riconosciuto di essersi sentito condizionato
nella redazione dell'articolo di ritorno a casa. "Il
problema", afferma Liberati, "è che il giornalista fa danni
materiali non perché metta in tasca chissà quali cifre ma perché
viene usato dalle industrie per diffondere certe informazioni. A
differenza della società scientifica, che nei rapporti con lo sponsor
probabilmente guadagna migliaia di euro".
Come risolvere il problema? "La nuova direttiva europea, in
vigore in Italia dal gennaio 2004", risponde Liberati,
"dovrebbe garantire una maggiore incisività dei comitati etici,
gli organismi che per legge hanno il compito di verificare con spirito
critico i progetti di ricerca in corso presso aziende e unità
ospedaliere". Per il resto il problema è etico:
"possono essere stabilite regole o leggi", conclude Bobbio,
"ma, fino a quando non ci sarà una disapprovazione sociale da
parte della comunità scientifiche e non, il problema non potrà trovare
soluzione. Potranno essere stabilite regole e approvate leggi per
evitare i conflitti d'interesse. Ma solo quando i soggetti coinvolti, più
che dichiarare l'esistenza di un conflitto, si porranno totalmente fuori
dal vorticoso circolo del business conflict, questo sarà finalmente
spezzato".
Testo di Raffaella Marino
Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2003 all’interno
del Magazine di Galileo,
giornale di scienza e problemi globali, fondato a Roma nel gennaio 1996
da un gruppo di scienziati e giornalisti scientifici. |