Nivolet
L'asfalto levigato della provinciale è una trama sconosciuta che dalla pianura Padana si svolge, interminabile, verso Il Gran Paradiso. Numerosi villaggetti si susseguono sin alle porte di Noasca. Un lunghissimo tunnel affoga il mio lento procedere in una sauna imprevista. La galleria e' un'umida bolla di smog che ghermisce i polmoni. Il buio cunicolo s'inerpica nel ventre della montagna con viva pendenza per poi accendersi improvvisamente d'un grandioso panorama. Le possenti contrafforti d'un ampio acrocoro attraggono il mio sguardo sofferente. La brezza vivace dell'alta quota va e viene in maniera capricciosa prima di appalesarsi definitivamente in prossimita' del primo lago artificiale. Windsurf multicolori dipingono lo specchio d'acqua con le proprie lente evoluzioni. La strada scompare dietro gli ultimi altifusti per poi ricomparire in un deserto scrosciante di sorgenti ruscelli. Il lontano rintocco delle campane di Ceresole e' un festoso saluto che si perde verso valle. Ora la strada e' una serpe velenosa che s'attorciglia su se stessa per soffocare gli incauti avventurieri che osino sfidarla. La serpe ha la voce del vento e fischia un sinistro messaggio di naturale ostilita'. Sui prati circostanti precipitano improvvisi i freddi aliti di caparbi nevai. Sulla strada, invece, un sole feroce si accoppia con l'asfalto rovente ed essica l'aria. L'astro si approssima allo zenith precipitando una luce viva, violenta, cattiva, mentre la mia ombra, ormai esausta, corre a ripararsi al di sotto della bicicletta. Una lingua di neve sporca sembra fare uno sberleffo all'arso dirupo circostante. L'aria rarefatta incattivisce l'umore della strada. Svolte e tornanti si ritorcono sui muscoli indolenziti. Accumuli acidolattici iniziano ad avvelenare lo sforzo. Un fragore di rocce franate si precisa in un contrappunto di silenzi e scrosci di cascate. Altra svolta. Altro laghetto. Serrù. Verde smeraldo precipitato da un vertiginoso ghiacciaio che si assopisce nell'acqua gelida del proprio disfacimento. Un languido lamento di pedivelle cigola una faticosa melodia che si moltiplica in un gioco di eco indisciplinate. Altra svolta. Altro laghetto. Agnel. La strada, coricata s'un breve piano, deraglia nell'acqua increspata. Una diga impazzita si piega sul bacino artificiale disegnando un arco innaturale che risucchia anche la carreggiabile. La tenue risacca del laghetto batte un tempo antico, dimenticato, fatto di pazienza e sacrificio. L'acqua, fresco miraggio, riflette le sconclusionate peripezie del tracciato asfaltato che, ebbro di curve, si contorce lungo una possente parete verticale. Il veleno degli ultimi tornanti s'insinua nell'organismo e strappa mute bestemmie di fatica. Un semplice gergo di deragliatore risuona lungo gli erti strappi che si ripetono al termine d'ogni svolta. Profonde ansimazioni rimbalzano da un tornante all'altro sommergendo in un messaggio d'incipienti fatiche i sottostanti compagni di viaggio. La radice d'asfalto sta per spuntare alla superficie del colle. Un paesaggio lunare irradia il proprio fascino verso i due laghetti precedenti che ora appaiono incastonati su azzardati terrapieni. Altra svolta. L'ultima. Un bianco cartello, ex abrupto, annuncia la fine della salita. Colle del Nivolet. Duemilaseicentododici metri. Pochi metri di discesa ed ecco aprirsi l'altopiano omonimo. La fatica e' finita. Una marmotta lontana fischia un involontario saluto. La montagna domata si fa improvvisamente tenera e fresca. La stanchezza scompare. Ora lo scorrere del tempo s'e' cristallizzato in una crescente sensazione di soddisfazione…. Dura poco. Al di là delle creste occidentali immagino l’Iseran ad attendermi coi suoi duemilasettecentosettanta metri di fatica. Inevitabilmente sono già partito, con l’immaginazione, per un'altra salita. |
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