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LA LOTTA PER NASCERE
La Democrazia Cristiana di
Sulmona conosceva bene le condizioni della società civile della zona: disoccupazione,
emigrazione, agricoltura povera, livelli di reddito tra i più bassi del Mezzogiorno. Le
prospettive, inoltre, erano incerte. Il Governo aveva adottato una politica economica che
di fatto penalizzava il Sud, puntando sulla crescita produttiva del Nord cui era stato
demandato il compito di rappresentare l'Italia nella competizione economica con gli altri
stati europei. Alle popolazioni del Meridione a prescindere dall'emigrazione, non veniva
offerta altra prospettiva oltre quella di poter lavorare nei cantieri edili per la
realizzazione delle opere pubbliche finanziate dalla Cassa per il Mezzogiorno, o l'altra
di poter ottenere il classico "posto statale" o, in alternativa, il posto nelle
industrie del Nord. Il tutto però attraverso il filtro delle raccomandazioni
paternalistiche e clientelari del parroco del paese o dell'avvocato o del medico
democristiano. La ricostruzione del dopoguerra, che pure avrebbe potuto svolgere un'azione
trainante per l'economia del paese, alla fine risultò, come è stato già rilevato, più
che una manovra di politica economica, un intervento unitario che andava dotando il paese
di scuole, ospedali, strade, acquedotti, ponti e reti fognanti, strappandolo così ad un
degrado proprio dei paesi del terzo mondo. |
La Democrazia Cristiana,
aspirante borghesia di stato nella Valle Peligna, alla ricerca di un ruolo che non fosse
quello della dipendenza dal più potente gruppo aquilano del proprio partito, risolse di
armare la protesta popolare e di gestirla contro i vertici politici che nella gestione
dell'intervento finanziario della Cassa per il Mezzogiorno l'avevano esclusa. |
Questo meccanismo di
pressione nei confronti dei potentati maggiori del proprio partito messo a punto dalla
Democrazia Cristiana in occasione della crisi di "Jamm' mò", venne ripescato in
altri momenti critici per la storia della politica economica della Valle Peligna, quali ad
esempio quello coincidente con le decisioni relative al tracciato per l'autostrada Roma
Pescara, l'altro per l'insediamento dell'impianto industriale FIAT nel territorio
sulmonese ed infine quello per il casello autostradale di uscita della A 25. Sempre lo
stesso meccanismo è utilizzato anche in occasione della scelta dei capoluoghi regionali
in Abruzzo ed in Calabria, agli inizi degli anni '70, con le rivolte di L'Aquila e Reggio
Calabria. |
In tutte le situazioni
appena ricordate, è dato riscontrare come si è riprodotto lo schema classico della crisi
sulmonese: mancanza di una leadership all'interno del partito di maggioranza relativa che
tenesse sotto controllo tutto il territorio regionale; esistenza di più gruppi di potere
in lotta tra loro per la conquista di una supremazia; assenza di una efficace risposta
delle forze della sinistra agli scontri interni al partito di maggioranza relativa (le
forze della sinistra, partiti e sindacati, nelle occasioni citate hanno mostrato sino in
fondo la propria incapacità di risolvere a proprio favore le contraddizioni interne al
sistema di potere, non tanto nella loro opera di attacco e denuncia di queste
contraddizioni, quanto nella loro sostanziale mancanza di idee relativa ad una politica
economica alternativa a quella della Democrazia Cristiana); ed infine uno stato di
malcontento diffuso nella popolazione per il tenore di vita esistente e per la mancanza
assoluta di prospettive in relazione alla crescita civile ed economica della società. |
Un altro dato
caratterizzante lo schema strutturale delle vicende di "Jamm' mò", ed anche di
molti degli altri fatti citati, lo si riscontra nel fatto che l'uso della protesta
popolare a fini propri da parte della Democrazia Cristiana ha trovato un momento nel quale
l'architettura del disegno è saltata: lo strumento è andato via per proprio conto,
sopravanzando le intenzioni di chi lo stava usando; in fin dei conti si trattava di uno
strumento pensante. Il dato in questione è quello proprio della collera popolare nel
momento in cui diviene padrona di se stessa e spazza via le intenzioni di chi va a
stuzzicarla. |
Le giornate del 2 e 3
febbraio del '57 furono, quindi, un fatto interamente popolare e non una rivolta pilotata
dai borghesi. Il tentativo di linciaggio del Prefetto, la bastonatura del vice questore
aquilano, le barricate, gli scontri con le forze dell'ordine non furono certamente guidate
da coloro che per tre anni avevano chiamato alla mobilitazione la città con scioperi
generali e con le delegazioni al palazzo romano e che di fronte alla sconfitta si erano
dimessi da tutte le cariche pubbliche. Ma se non fu pilotata dai borghesi, la rivolta di
Sulmona non venne nemmeno guidata dalle sinistre; semplicemente non fu un fatto politico
cosciente, un fatto politico in senso stretto. La sinistra sulmonese, sebbene generosa e
molto attiva nell'attaccare la Democrazia Cristiana sia dal punto di vista politico che
amministrativo, non era capace di contrastarne il disegno di conquista delle leve di
comando della politica economica del territorio, perché non conosceva da un punto di
vista operativo il disegno della Democrazia Cristiana, né ne possedeva uno proprio sia a
livello teorico che a livello pratico di gestione di una qualsiasi politica economica. |
Solo con il passare del
tempo, prima nel Partito Comunista, ed in seguito nel Partito Socialista, emersero la
coscienza e la conoscenza pratica di quanto la Democrazia Cristiana andava facendo per
costituire e consolidare una vera e propria area di potere mediante i flussi finanziari
dei capitali di Stato manovrati dalla politica economica del Governo. |
Tale coscienza venne resa
esplicita dal Partito Comunista di Sulmona in occasione di un altro periodo di forte
tensione politica cittadina causata da vicende di politica economica: l'insediamento dello
stabilimento FIAT nel territorio del Consorzio per il Nucleo Industriale di Sulmona. Fu
quello un periodo caratterizzato da scioperi generali, cortei e, per la prima volta nella
storia di Sulmona, dall'occupazione di Palazzo San Francesco, sede del Municipio. Venne
ricreato il clima degli anni '54-'55-'56: quello della mobilitazione generale in difesa
del Distretto. Si registrò però una deviazione rilevante dallo schema di azione messo in
atto in quegli anni: i partiti politici non erano unanimi nel richiedere l'insediamento
FIAT. I comunisti in consiglio comunale, pure in presenza di una grave frattura interna
che avrebbe determinato l'uscita del partito di uno dei suoi membri più autorevoli, il
professor Claudio Di Girolamo, votarono contro l'insediamento, denunciando il disegno
della Democrazia Cristiana. Le motivazioni addotte per quel no, infatti, furono oltre
quelle di natura politico-economica (che indicavano nel legame con le risorse disponibili
nella zona il fondamento di un solido decollo economico della stessa), anche le altre
relative all'accrescimento della dipendenza della società civile peligna dal gruppo di
potere democristiano che nel frattempo si era andato concretando nel controllo diretto
dell'ente locale e di tutte le sue articolazioni, del Consorzio per il Nucleo di Sviluppo
Industriale e del credito locale. |
Il Partito Socialista
sulmonese, dal suo canto, verificò l'esistenza del complessivo disegno della Democrazia
Cristiana frequentandola nei governi amministrativi cittadini del centro sinistra che
durarono fino al 75. Terminato il quinquennio amministrativo in un clima di forte polemica
tra i partiti, ed in presenza di un'ulteriore profonda lacerazione all'interno della
Democrazia Cristiana, il partito Socialista, insieme al partito Comunista, prese
l'amministrazione ed in collegamento alle tematiche della linea politica nazionale cercò
di sostituirsi alla Democrazia Cristiana, arricchendo però l'azione
politico-amministrativa dei caratteri dell'imprenditorialità e dell'efficienza, e
collegandosi ai cosiddetti ceti impreditoriali emergenti della industria e dell'edilizia,
contro il parassitismo e la gestione burocratica ed improduttiva della cosa pubblica. |
Tuttavia la carenza di fondo
della politica delle sinistre in alternativa a quella della Democrazia Cristiana è
riscontrabile sia oggi, sia, e a maggior ragione, durante le crisi di "Jamm'
mò" e nelle successive, è necessario ribadirlo nella incapacità di proporre un
governo del territorio e della sua economia che, senza fermarsi alle sole enunci azioni
politiche generali, scenda nella prassi a misurarsi con i problemi e le esigenze della
società civile; di tutta la società civile e non di qualche suo settore soltanto. |
In questa situazione la
Democrazia Cristiana ha sempre avuto buon gioco. In mancanza di termini di raffronto
diretti, il partito di maggioranza relativa a Sulmona ha sempre potuto proporre il proprio
disegno di gestione della società civile come il risultato dell'impegno dei suoi uomini
verso una crescita economica e sociale della zona. Se, quindi, la Democrazia Cristiana
protesta per la sottrazione notturna del distretto, lo fa solo ed esclusivamente per la
dignità offesa della città e della zona; se la OC riesce ad ottenere il consorzio per il
nucleo industriale e ne mena vanto, ciò accade perché i suoi uomini sono convinti e si
mobilitano in vista della necessità di procurare un lavoro agli uomini e alle donne di
Sulmona e della Valle Peligna; se si proclama l'agitazione della città sulla questione
dell'Autostrada, è perché "la dorsale appenninica, in fatto di rete viaria e di
sistema di comunicazioni, intersecherà la direttiva adriatica" favorendo lo sviluppo
dei rapporti commerciali e del turismo del comprensorio sulmonese e dell'Altopiano del
Sangro. |
Si potrebbe continuare
"ironizzando" ulteriormente su molti aspetti dello sviluppo economico e sociale
di Sulmona e della sua regione, così come voluto dal partito di maggioranza relativa. Ma,
per chiudere su questo argomento e guardando allo sviluppo così come è andato
articolandosi in questi ultimi venti anni in tutta la regione, non si può non rilevare
come abbia avuto un andamento schizoide, dovuto, in concomitanza con altre cause, ad una
forza centrifuga operante negli interventi dello Stato per effetto della divisione della
Pubblica Amministrazione in due o più centri di potere: l'autostrada A 24, poi
ramificatasi nella A 25, le facoltà universitarie distribuite a manciate tra i capoluoghi
di provincia, il capoluogo regionale insediato a L'Aquila, ma con molte dependances a
Pescara, sono gli esempi più eloquenti di quanto appena affermato. |
E alla luce dell'analisi
appena compiuta, si comprende come il gruppo democristiano sulmonese non avesse avuto, in
occasione della manovra realizzata con la crisi di "Jamm' mò", la benché
minima possibilità di strappare una fetta di potere agli agguerriti ed affamati clan di
borghesi di stato che andavano formandosi a L 'Aquila e a Pescara. E di fatto vennero
sonoramente battuti. Era il 30 gennaio del 1957. Ma dovevano ancora venire le giornate del
2 e 3 febbraio. |
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