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LA CIRCOLARE DELLE DUE ORE

 

"Addì 9 agosto 1954 A tutti i corrispondenti di stampa Sulmona. Prego le SS.LL. favorire nel mio ufficio giovedì prossimo 12 c.m., alle ore 19 precise, per importanti comunicazioni. Ringrazio ed ossequio. Il vice sindaco ingegner C. Giorgi".

La genericità di questa convocazione, concisa e suggestiva al punto da sollecitare il senso professionale di qualsiasi giornalista, avvia quella parte della storia di Sulmona sfociata nei moti popolari denominati "Jamm' mò". I fatti del 2 e 3 febbraio del '57 trovano la loro origine proprio nelle quattro righe di questa convocazione ad una conferenza stampa. Le importanti comunicazioni cui si riferisce il vice sindaco riguardano alcune voci sulla sorte del, Distretto Militare che dovrebbe essere soppresso.

Purtroppo, alla data della spedizione di questa convocazione, è ormai tutto deciso. Il ministro Paolo Emilio Taviani, titolare del Dicastero della Difesa, in applicazione di alcune, direttive adottate dai comandi militari della NATO, tese a ristrutturare la rete degli eserciti alleati in Europa, deve sopprimere 48 dei Distretti Militari dislocati sul territorio nazionale. Tra questi è compreso quello di Sulmona. Corre voce, ma non vi è alcuna documentazione al riguardo, che ad un primo esame del Ministero della Difesa, il Distretto da sopprimere sarebbe stato, in Abruzzo, quello di L' Aquila. La circolare ministeriale, però, indica quello di Sulmona tra gli altri. E quando la notizia trapela, il sindaco Ercole Tirone ed il vice sindaco Clelber Giorgi corrono a Roma per vederci più chiaro. I funzionari del sottosegretariato non parlano. "Non ho avuto né conferma né smentita, ma soltanto la comunicazione che, per ora, l'attuazione della soppressione dei 48 distretti è soppressa", dirà alla confeI1enza stampa l'ingegner Giorgi. Anche il sindaco Tirone ha avuto una fitta serie di incontri riservati con 'personalità', ma non ottiene altro se non impassibili 'no comment'.

Questo, più o meno, è quanto riferisce l'ingegner Giorgi ai giornalisti. Fino a quel momento i notabili sulmonesi avevano provato a giocare la carta del corridoio ministeriale per conoscere meglio la situazione ed eventualmente intervenire. Ma non avevano ottenuto nulla. Anzi, "da parte di taluni erano venuti consigli per azioni energiche e addirittura clamorose..." afferma durante la conferenza stampa il vice sindaco, e continua "... ma in mancanza di notizie esatte, ciò sarebbe intempestivo e pregiudizievole agli interessi della Città. Meglio agire con cautela". Queste che riportiamo sono parole testuali riprese da un verbale redatto sull'andamento della conferenza stampa e conservato in un fascicolo dell'archivio del Comune di Sulmona. E abbastanza strano verbalizzare una conferenza stampa; si è inteso forse costituire un documento a futura memoria?

Di fronte ai fatti riferiti dall’ingegner Giorgi, i giornalisti intervenuti rimangono perplessi. Sono presenti il professor Antonio Trinchini per il "Momento Sera" ed il "Roma", l'avvocato Masci per il "Giornale d'Italia", don Antonio D'Ortensio per "L'Amico del Popolo", Montesi per "Il Messaggero", Di Gregorio per il "Secolo d'Italia", Vernacotola per "Il Mattino", Poillucci per "L'Avanti". La notizia della soppressione del Distretto Militare aleggia nell'aria, ma non è ancora data per certa: il sindaco Tirone deve ancora avere un colloquio con il miinistro Taviani. E meglio attendere, ma nel frattempo Masci consiglia di orchestrare una campagna di stampa perché l'avvocato Tirone giunga forte dell'attenzione dell'opinione pubblica all'incontro con il Ministro.

L'incertezza della situazione permane fino al 19 agosto, data nella quale per via indiretta si ottiene la certezza che il Distretto Militare di Sulmona è stato soppresso: una circolare ministeriale, giunta nelle prime ore della mattinata, impone agli impiegati civili del Distretto di scegliere, entro due ore dal ricevimento della circolare, una nuova residenza.

La notizia si diffonde immediatamente in città attraverso un manifesto firmato dal Sindaco Tirone. In una corrispondenza apparsa sull'"Avanti" del giorno successivo, Poillucci racconta l'alto grado di mobilitazione raggiunto in città in quelle ore: nel pomeriggio, in seduta straordinaria fulmineamente convocata, il Consiglio Comunale si dimette all'unanimità; viene contemporaneamente costituito un comitato di agitazione che proclama lo sciopero generale di 24 ore per l'indomani; la corrispondenza termina con le parole:"in città regna vivo fermento", ed è vero.

La seduta del Consiglio Comunale è molto tesa. Il Sindaco Tirone, presenti 21 consiglieri su trenta, racconta le manovre compiute durante i primi giorni di agosto per conoscere la verità sulla soppressione del Distretto. Sono interpellati il Comandante del Distretto, il Generale Comandante di zona, telefonicamente l'onorevole Giammarco, l'onorevole Spataro in vacanza a Scanno, il Capo Gabinetto del Sottosegretario del Ministero della Difesa, tutti invano. Solo nella mattinata il Generale Comandante di zona ha assicurato che il provvedimento di soppressione è stato sospeso anche se il Distretto è stato comunque declassato.

"Si cerchino altrove i distretti da mutilare e declassare; ne troveranno" chiude la sua relazione, polemicamente, il Sindaco. E polemica è la discussione che segue, anche se alla fine prevale la necessità di dare una risposta univoca all'azione di forza tentata dal Ministero della Difesa, con l'imposizione agli impiegati di scegliersi la nuova residenza in due ore. Viene quindi votato il seguente ordine del giorno:

"Il Consiglio Comunale, di fronte ai provvedimenti adottati in danno del Distretto Militare, in segno di viva e sdegnosa protesta, rassegna le proprie dimissioni. Messo ai voti, per appello nominale, esso viene approvato con 21 voti favorevoli su 21 Consiglieri presenti e votanti. Tutti i 21 Consiglieri presentano le loro dimissioni scritte che si conservano in atti di cui qui si allega copia. Il Sindaco invita quindi il Consiglio a recarsi nella Sala della Giunta per dare attuazione a quanto deliberato dal Consiglio. La seduta viene dichiarata chiusa alle ore 19" (2).

Alle ore 8 del giorno 20 scatta lo sciopero generale. La città è tappezzata di manifesti e striscioni che rivendicano la permanenza del Distretto a Sulmona. I direttivi dei partiti politici e tre consiglieri provinciali eletti nel capoluogo peligno minacciano le dimissioni. A Palazzo San Francesco giungono 40 dei 65 sindaci dei comuni compresi nell'ambito territoriale del Distretto e, in solidarietà alla protesta sulmonese, si dichiarano pronti alle dimissioni insieme ai propri consigli comunali. Gli altri sindaci non intervenuti fanno giungere attestati di piena solidarietà. Giunge persino un messaggio dalla Curia Vescovile: Sua Eminenza Luciano Marcante, figura pastorale molto amata dalla popolazione sulmonese, deplora il provvedimento e lo definisce "odioso e inopportuno".

Lo sciopero va avanti compatto: un comizio di 5.000 cittadini si svolge nel pomeriggio a Piazza XX Settembre e sulla tribuna si succedono gli oratori di tutti i partiti politici, accomunati nella difesa appassionata di Sulmona e nella denuncia della costante rapina di uffici, fabbriche (solo una: la Montedison), di reparti ed uffici dell'esercito.

Le iniziative di lotta della giornata, comunque, non si limitano a questo: si decide, tra l'altro, di inviare una delegazione del comitato di agitazione al Prefetto. Questa risulta composta dal Sindaco Ercole Tirone, dal capo gruppo consiliare comunista Claudio Di Girolamo, da Antonio Trinchini, allora segretario del Partito Repubblicano, e dall'avvocato Giovanni Autiero, vice segretario provinciale della Democrazia Cristiana.

Dal Prefetto si ottiene il primo risultato di questa poderosa mobilitazione: il funzionario governativo dichiara che il provvedimento è stato sospeso e che ogni decisione viene rimandata all'incontro, da programmarsi, tra il Ministro Taviani ed una qualificata rappresentanza sulmonese.

È, però, un trionfo di brevissima durata. In serata il sottosegretario alla Difesa, Bosco, telegrafa al Sindaco di Sulmona: "Notizia soppressione Distretto Militare Sulmona est destituita fondamento stop detto ente est stato assegnato quarta classe per motivi ordine tecnico che hanno imposto piano generale riorganizzazione Esercito stop come già disposto con circolare ministro Taviani data 14 agosto trasferimenti personale civile che risultasse esuberante saranno esaminati con gradualità e massima considerazione per legittimi interessi familiari stop". Seppure il personale civile del Distretto non deve più scegliere la nuova residenza, è confermata in pieno la decisione del declassamento dell'organo militare. Il che equivale al suo trasferimento.

Di fronte al nuovo colpo di scena, lo sciopero generale viene prolungato di un giorno. E se il 20 agosto 1954 è stato un giorno di mobilitazione campale, il 21 è il giorno delle analisi critiche e dell'esame riorganizzativo per procedere ad ulteriori azioni di lotta. li Comitato di agitazione si spoglia della sua veste ufficiosa e si costituisce definitivamente in COMITATO DI DIFESA CITTADINA guidato dal dottor Giorgio De Monte e nella seduta a Palazzo San Francesco decide: "... che i consiglieri provinciali di Sulmona rassegnino le proprie dimissioni entro il 23 corrente; che il Consiglio Comunale ratifichi le dimissioni dei consiglieri presentate in data 19 qualora non venga revocato il provvedimento già preso entro il 26; che vengano comunicate alle Amministrazioni dei 65 comuni del Distretto di Sulmona le decisioni adottate dal Comitato di Difesa Cittadino, incitandoli ad agire secondo quanto stabilito in occasione del convegno dei sindaci tenutosi a Sulmona; che i consiglieri provinciali di Sulmona confermino le loro dimissioni qualora non si verifichi la revoca del provvedimento del Ministro della Difesa"! E mentre continua la discussione su quanto sta accadendo, viene confermata la decisione di inviare la delegazione alla trattativa diretta con il ministro Taviani.

Nella discussione, al di là della polemica e dello spirito campanilistico mai sopito nei confronti del capoluogo, viene messo in rilievo come l'atto amministrativo del declassamento del Distretto, oltre ad apparire iniquo e penalizzante in una situazione economico sociale già compromessa, sia lapalissianamente inopportuno e contrario agli stessi interessi della Pubblica Amministrazione che lo ha posto in essere. Sulmona è, infatti, il baricentro di tutti i comuni, ben 65, che rientrano nella competenza territoriale del Distretto. Sottrarre, quindi, allo stesso alcune importanti funzioni, quale quella relativa alla selezione per la leva militare, poteva solo significare che nell'adottare la decisione si seguivano altri criteri di scelta, ma non quello della funzionalità e dello snellimento burocratico.

Questo tipo di analisi è ben presente a tutti i protagonisti della vicenda, sulmonesi e non, tanto che presto viene ripreso dalla stampa che, di proprio, comincia ad aggiungere illazioni che appaiono tutt'altro che infondate. In una corrispondenza del "Tempo", datata 24 agosto, il redattore locale afferma che "a Sulmona circola insistente la voce che il nostro Distretto sarebbe stato colpito non per motivi di ordine tecnico o per ragioni di economia di bilancio, ma per interferenze e pressioni di carattere politico". In cosa consistano queste interferenze e queste pressioni lo deduce argomentando "a contrariis" lo stesso sindaco avvocato Tirone che, rispondendo ad un'intervista del corrispondente sulmonese del "Giornale d'Italia" che gli domanda tra l'altro fosse stato preferibile interessare il senatore o il deputato di Sulmona, afferma sdegnato: "quale senatore, quale deputato!? Sulmona non è rappresentata nè a Palazzo Madama, nè a Montecitorio". La risposta, con ogni evidenza, è allusiva; senza peli sulla lingua è, invece, 1'"Unità" del 9 settembre dello stesso anno, che per la firma di Giuseppe Del Vecchio, afferma: "Immaginate, (è sempre facile rappresentarsi un fatto accaduto), che il provvedimento fosse già stato preso, ma non contro Sulmona, bensì contro un'altra città italiana. In quella città c'erano papaveri dc alti, molto alti, i quali sono andati da S.E. il Ministro e dopo cordiale colloquio, il provvedimento per quella città è stato ritirato (che volete. . ., i voti, la minaccia del mo' parlo)". Sono troppo noti questi meccanismi di manovra clientelare per pensare che non siano stati attivati nel caso che colpisce Sulmona.

Ad ogni buon conto, da Roma vengono segnali secondo i quali, finalmente, il Ministro sembra disponibile alla trattativa. Con la serietà e la rappresentatività che la circostanza richiede, viene messa su una delegazione solennemente capitanata dal Vescovo di Sulmona Luciano Marcante. Insieme al popolare patriarca vengono designati a rappresentare Sulmona presso il Ministro in primo luogo il sindaco, e poi, via via, il dottor Torinto Sciuba e l'avvocato Giovanni Autiero per la Democrazia Cristiana, il dottor Giorgio De Monte per il Partito Socialista del Lavoro Italiano (il PSLI di vecchia memoria), il dottor Claudio Di Girolamo per il Partito Comunista Italiano, il cavalier Serafini per il Partito Socialista, l'avvocato Giuseppe Masci per il Movimento Sociale, la Vedova della Medaglia d'Oro Enrico Giammarco, il professor Antonio Trinchini per il Partito Repubblicano e, 'last but not least', il commendator Paolo Di Bartolomeo per l'Associazione Commercianti. Si decide che a Roma tale delegazione debba essere integrata dalle rappresentanze dei partiti presenti nella commissione parlamentare della Difesa.

Il drappello parte munito di un minaccioso viatico: un telegramma inviato al Ministro della Difesa, a quello degli Interni e al Prefetto di L'Aquila, nel quale il Comitato di Difesa Cittadina riporta quanto già stabilito a proposito delle dimissioni dei consiglieri comunali e provinciali di tutta la zona, ma corredato da un "cappello" di tal fatta: "Dopo comunicazione telegrafica Ministero Difesa Comitato respinge provvedimento adottato danni distretto Sulmona et decide..." con quel che segue; inoltre, per il mezzogiorno del 24, data dell'incontro con il Ministro, si decide di attuare uno sciopero generale cittadino di 15 minuti, a ricordare che si vigila.

La notizia dell'incontro è giunta a Sulmona dopo due giorni di sciopero generale, il 21, e l'azione viene sospesa. La città vive due giorni interlocutori, mentre sulla stampa nazionale si propaga l'eco dell'impari braccio di ferro.

La delegazione parte il 24 agosto, di buon mattino, alla volta della capitale, ma è solo a tarda sera che viene ricevuta dal Ministro, e non al completo: ottiene il "passi" solo il Sindaco Tirone, che viene nell'occasione inopinatamente accompagnato dagli onorevoli Enrico Giammarco, democristiano, Luigi Di Paolantonio, comunista, Iorio, socialista, Lorenzo Natali, democristiano eletto in quel di L 'Aquila, ed infine il segretario provinciale della democrazia cristiana aquilana, Fracassi.

Il colloquio con il ministro si protrae fino a pochi minuti oltre la mezzanotte e solo dopo aver parlato con "quelli che contano", Taviani si concede alla vedova della medaglia d'oro, all'anziano pastore ed ai politici di rango... locale.

Quale il risultato dell'incontro? Il "Tempo" del 25 agosto titola in prima pagina: "Il Distretto di Sulmona non verrebbe più abolito" e nel piombo che segue riporta che il Ministro non ha avuto la benchè minima intenzione di offendere una tale e nobilissima città, che il provvedimento "offensivo" formerà oggetto di approfondito e scrupoloso riesame e lascia intendere che per il momento, forse, soprassiederà.

E questa è la novella che la delegazione riporta da Roma. Ma il tutto non convince; si ha il sospetto che il ministro abbia venduto aria fritta ai "delegati" e, in questo clima particolare nel quale si avverte l'inganno nell'aria, pur non avendone le prove dirette, i consiglieri comunali si vedono costretti a non poter rendere esecutive le proprie dimissioni, mentre quelli provinciali, contravvenendo al disposto del Comitato di Difesa, la tirano per le lunghe e solo dopo un'azione di forza in un dibattito lungo e a dir poco vivace, vengono convinti a dimettersi, salvo poi a far votare o meno la ratifica. La doccia fredda giunge, però, quando nei giorni successivi si diffonde la voce che Taviani ha rilasciato dichiarazioni poco rassicuranti sulla esecutività del provvedimento di soppressione che, per calmare i bollenti spiriti, sarebbe stato solo congelato invece che ritirato.

Questa notizia è una bomba in casa democristiana. E' certo che deve essere scoppiata una lite furibonda della quale all'esterno giungono solo gli echi. Intanto viene fuori il caso del consigliere Incani che testardamente rifiuta di dimettersi dalla sua carica provinciale. Secondo 1'"Unità", l'esponente democristiano si sarebbe reso irreperibile allo scopo meditato di non dimettersi. Inoltre, sempre su "L'Unità" del 31, il corrispondente a sigla a.l.c. afferma che alcuni influenti dirigenti si sono dimessi dalle cariche di partito per i contrasti sorti tra loro, non soltanto per la questione del Distretto, "ma per una altra serie di motivi che riguardano il sistema demagogico, di parte, di cricca, di dirigere le sorti del comune, di affrontare i problemi locali". Una conferma di quanto accaduto trova inoltre riscontro in un giornale vicino alle posizioni democristiane, il "Momento Sera", in una corrispondenza dello stesso giorno; vi si afferma che "... le già note dimissioni dei consiglieri provinciali, ed alcune voci, sia pure incontrollate che riguardano il partito di maggioranza ed i suoi uomini, servono a far comprendere come il fuoco seguiti a covare sotto la cenere...". Quello che conta, però, è il segnale, non in tutto nitido, che possiamo ricavare da alcune lettere che si incrociano tra i segretari locale e provinciale della DC ed il Sindaco Tirone. Quest'ultimo deve aver debordato dalla linea fissatagli dalla direzione democristiana sulmonese; non solo, ma per ragioni sulle quali non è stato possibile far luce, deve avere accuratamente evitato di far parte di determinate sue attività i dirigenti locali. Tanto si può desumere da due lettere, una del segretario sulmonese della DC dottor Torinto Sciuba, ed un'altra del vicesegretario provinciale, avvocato Giovanni Autiero, tutte e due indirizzate al Sindaco Tirone nella stessa giornata, nelle quali abbondano severissimi richiami all'ordine. Queste lettere precedono l'improvviso esplodere della crisi del Distretto. Il Sindaco viene accusato di non aver agito secondo le direttive discusse ed approvate in precedenti riunioni. Tirone, quindi, caratterizza con iniziative personali la linea di condotta adottata da]la Democrazia Cristiana; e ciò accade, forse, per la sua duplice veste di amministratore e dirigente politico.

Una terza lettera, invece, illustra al di là di ogni dubbio il clima dei rapporti interni alla Democrazia Cristiana. È del segretario provinciale Fracassi ed è indirizzata a tutti i dirigenti locali e, per conoscenza, al segretario nazionale del partito Amintore Fanfani. La lettera contiene un invito agli "amici" a ritirare le dimissioni per disciplina di partito. Siamo al 3 settembre. Dalla stampa si è appreso, come abbiamo già detto, che Taviani ha rilasciato dichiarazioni che non vanno esattamente nel senso della sospensione del provvedimento relativo al declassamento del Distretto. Di qui un ultimo incrudimento della crisi interna della DC Molti, ad esempio il vice segretario provinciale, l'avvocato Giovanni Autiero, si dimettono addirittura dal partito.

La situazione è talmente grave al suo interno che la Democrazia Cristiana commette una gaffe: assicura in prima persona che il Distretto sarebbe rimasto a Sulmona. Questa assicurazione viene fatta attraverso un manifesto alla cittadinanza. È chiaro che la inopinata sortita DC sorprende gli altri partiti ed il Comitato di Difesa Cittadina. La crisi del Distretto, per unanime accordo delle forze politiche, avrebbe dovuto essere gestita in maniera unitaria, tanto che si era fatto ricorso ad un comitato di salute pubblica. L'assicurazione democristiana esce fuori da questo quadro, dagli schemi sui quali è stata costruita l'azione di lotta e sembra, perciò, non avere alcun senso. Invece, lungi dal non avere un senso, il manifesto della Democrazia Cristiana è uno dei pochissimi momenti nei quali traspare con chiarezza che dietro alla strenua difesa del Distretto si nasconde una lotta interna delle correnti democristiane che va ben al di là del dato in sé. Gli altri partiti e l'intjera città se ne rendono conto, ma non possedendo elementi di conoscenza rimangono impotenti di fronte alla crisi democristiana; impotenti e confusi, incerti sul da farsi. È questo lo stato d'animo con il quale il Comitato di Difesa Cittadina risponde al manifesto democristiano: si prende atto di quanto affermato e si lascia alla completa responsabilità di chi ha effettuato quelle dichiarazioni la rispondenza delle stesse al vero.

E dagli scontri interni tra democristiani sulmonesi si passa a quelli tra sulmonesi ed aquilani effettuati al massimo livello di rappresentatività. I due Sindaci di Sulmona e di L'Aquila mettono in piedi una garbata nella forma, ma dura nella sostanza, polemica epistolare. "Caro ed illustre amico, è l'incipit della lettera del Sindaco aquilano il mio Segretario Generale, dr. Carlomagno, mi comunica il tuo disappunto, per essere mancata fino ad oggi la solidarietà della mia Città, nella delicata, spinosa e veramente dolorosa questione del Distretto". Si continua, poi, affermando che sarebbe stato possibilità mostrarsi solidali con la disgrazia di Sulmona se i suoi cittadini non avessero attaccato polemicamente la città capoluogo ed il suo personale politico. La lettera continua ponendo il quesito che qui di seguito riassumiamo: posto che in Abruzzo il Distretto dovesse essere solo uno, dovendo si scegliere tra l'Aquila e Sulmona, i "parlamentari" aquilani avrebbero dovuto non interferire ed addirittura tenere per Sulmona, secondo i desiderata del Comitato di Difesa Cittadina? Anche "L'Aquila ha i titoli per conservare il suo Distretto Militare, istituito qui fin dal 1871". Purtuttavia, si precipita a sostenere il Sindaco aquilano, non è stata messa in cantiere "nessuna azione per togliere ad altri ciò che è sempre stato di altri (e difatti nessun passo, in nessun senso è stato fatto, neppure in nostra difesa) e, anzi, pieno consenso a che Sulmona sia contentata nella sua nobile e legittima aspirazione".

Da questa lettera traspare un misto di arroganza e diplomazia che alla fine sembra dire: ognuno usi i mezzi che ha, e chi più ne ha, più ne metta. Tirone non perde tempo nel rispondere; la sua lettera è pacata e forse, al di là della retorica, lungimirante. In essa si afferma che non si è fatto campanilismo nel reagire al provvedimento di declassamento. Se qualche punta polemica c'è stata, non è certo venuta della maggioranza della popolazione che, anche in questa occasione, ha invece lottato, come sempre, per far avanzare tutta la Regione "in colleganza con codesta Città e con la volontà di non indietreggiare o di segnare il passo nel dinamico ritmo della vita moderna (...). Appunto attraverso questa colleganza del Capoluogo con gli altri paesi della provincia, di questa con le altri Provincie consorelle, si può arrivare a costituire, come un blocco monolitico, quella saldezza di propositi, premessa indispensabile per la elevazione spirituale e materiale dell'Abruzzo".

A prima vista, quindi, intuizione regionalistica ed eventuale composizione, in quest'ottica, dei campanilismi che vengono così sublimati in una visione di cooperazione e solidarietà "materiale e spirituale". In realtà le due lettere si prestano ad un'altra lettura. Mentre quella del Sindaco Colagrande, liberata dai fronzoli delle frasi di circostanza, afferma: non prendertela, siamo i più forti ed i nostri rappresentanti al Palazzo ci proteggono; quella del Sindaco Tirone risponde: guarda che gli interessi del Partito non si fermano a L'Aquila ma riguardano tutta la Regione e non è escluso che facendo anche gli interessi di Sulmona possa trarne giovamento tutto il partito.

In ogni caso questo scambio di lettere chiude questa prima fase della rivolta borghese di "Jamm' mò", o meglio il primo atto della parte borghese della rivolta. La maretta in casa democristiana viene ricomposta, nonostante le dolorose perdite; il Distretto di Sulmona viene declassato, nonostante il can can imbastito sulla questione; i consiglieri comunali e provinciali ritirano le dimissioni ed il Comitato di Difesa Cittadina entra in letargo, sebbene non disarmi, pronto a mobilitarsi di fronte ad un nuovo pericolo. La situazione si blocca e per il momento la questione del Distretto sembra addormentarsi.

 Note:

(2) E la costituzione del Comitato di Difesa Cittadina?

 

CAPITOLO 1

JAMM' MÒ

CAPITOLO 3