Nella Anfuso:
la scoperta del Canto Umanistico
di Serena Quercioli
Continuo il discorso con Nella Anfuso approfondendo, dopo gli
“Strumenti Monteverdiani”, lo strumento “vocale” rinascimentale
e barocco di cui la Anfuso è la maggiore conoscitrice in campo
mondiale.
Mi sembra di avere capito che, se il recupero storico risulta
così problematico per gli strumenti “artificiali”, sicuramente
per la vocalità sarà doppiamente più complicato.
Sì e no. Il fatto è che la costruzione dello “strumento vocale”
, quello dell’eccellenza per antonomasia, cioè il Canto
Italiano, è rimasta invariata fino al XX secolo praticamente,
anche se è stata messa in crisi con l’affermarsi di estetiche
come il romanticismo (in parte) e soprattutto il verismo.
Come è possibile allora far ascoltare oggi questo
repertorio antico?
Il canto italiano (legato alla fonazione della lingua italiana)
costituisce il patrimonio “invisibile” più prezioso della
nostra Italia. Perderlo significa non poter più “conoscere” una
parte fondamentale della civiltà italiana e quindi non poter
gustare l’immenso patrimonio che giace nelle nostre biblioteche.
A quando risale tale patrimonio?
Già è ben caratterizzato a partire dagli inizi della nostra
storia poetica, penso alle Laudi iniziali legate al movimento
francescano. Abbiamo già in queste il miracolo della intonazione
vocale che sgorga dalla parola; ciò costituirà una costante
della storia estetica e tecnica del canto italiano, per un
lunghissimo periodo.
Penso che esista a proposito una documentazione,
di che tipo?
Naturalmente, e molto importante anzi fondamentale ed esauriente
per alcuni periodi storici. Per il primo periodo a cui ho
accennato abbiamo cenni ben chiari riguardanti le
caratteristiche principali dello strumento vocale che si trovano
sparsi in testi e documenti di vario genere. Ma è con
l’Umanesimo che la documentazione diventa altamente
specializzata fino alla comparsa agli inizi del Cinquecento di
testi professionali veri e propri che continueranno fino al
Romanticismo.
Cosa può dire in proposito?
Ciò che è straordinario è il fatto che, dal punto di vista
tecnico, la concezione dello strumento vocale, dal Quattrocento
ai primi anni del XIX secolo, è e rimane “identica”. Esistono
le differenze degli stili che influenzano, naturalmente,
l’aspetto espressivo e virtuosistico.
Quale è il periodo storicamente più interessante?
Il periodo più particolare ed anche maggiormente sconosciuto
ancora oggi è il “Canto umanistico” che dal Quattrocento giunge
ai primi decenni del XVII secolo.
Che cosa ha di particolare?
La produzione vocale di qualsiasi tipo ed in qualsiasi epoca
implica la presenza di un testo (parole) e di una intonazione
musicale (linguaggio musicale). Questi due elementi possono
combinarsi in molteplici modi che di conseguenza determinano la
preminenza di uno dei due elementi sull’altro. C’è stato un solo
periodo nella storia della musica, non soltanto della produzione
occidentale, in cui i due elementi agiscono in simbiosi
perfetta. Ciò avviene in Italia, in un periodo storico che vede
la riscoperta di Platone, nel sec. XV, platonismo che influenza
anche le arti visive, ad esempio il Botticelli delle “Primavera”
e della “Nascita di Venere” (esistono studi esaurienti in
proposito). Come dimenticare Cosimo de’ Medici che invita
Marsilio Ficino a recarsi a Careggi con l’ultima traduzione di
Platone e “con la lira”? Ficino era solito improvvisare versi
sulla sua lira (da braccio).
Platone impregna tutta la storia della vocalità italiana fino
alla ultima generazione degli ultimi decenni del Cinquecento,
nelle varie riunioni che avvengono a Firenze in varie sedi, dal
Rinuccini, dal Corsi, dal Bardi etc. Firenze in campo vocale e
musicale è la capitale per antonomasia anche rispetto ad altri
centri italiani pur importanti. A Firenze agisce Giulio Caccini,
il maestro indiscusso in campo europeo, maestro di un Canto
umanistico raffinato ed espressivo al più alto grado. Le più
importanti corti italiane, e quindi a livello internazionale,
seguono ed invitano artisti fiorentini.
In che cosa consiste questo “canto umanistico”?
In maniera la più comprensibile possibile è, in prima fase, la
preminenza del significato del testo sul linguaggio musicale,
nella fase totalizzante è il raggiungimento del Platone della
“Repubblica” cioè la perfetta unione fra la musicalità della
parola ed il linguaggio musicale. È il momento più alto
raggiunto da Claudio Monteverdi che alla corte di Mantova cercò
di utilizzare soprattutto per i ruoli più importanti cantori
formati da Giulio Caccini.
Dunque bisogna ricostituire una formazione vocale
cacciniana per eseguire le musiche di questo periodo storico?
Naturalmente, senza una ricostruzione della vocalità Cacciniana,
non potremo mai ascoltare le musiche vocali, sia sacre che
profane, sia polifoniche che monodiche, che dal sec. XV giungono
ai primi decenni del Seicento. Ma non solo: la scuola cacciniana
(ammirata dai contemporanei europei, dai musicisti inglesi al
francese Père Mersenne etc.) viene continuata dalle grandi
scuole italiane dei secoli XVII-XVIII e resta intatta fino alla
invasione di cui ho detto precedentemente.
Cosa avviene in Italia nell’Ottocento?
L’Italia non domina più, culturalmente e creativamente sul piano
artistico ed in particolare in quello musicale, l’Europa. Viene
sostituita dalla Francia anche se sarà chiamato un italiano,
Luigi Cherubini, a dirigere a Parigi il primo Conservatorio di
musica francese nei primi anni dell’Ottocento. Il disastro
vocale però avviene in tutta Europa con uno spagnolo –
francesizzato: Manuel Garcia che alla metà del secolo inizia la
lunga serie di farneticazioni intorno alla fonazione sia cantata
che parlata. Solo in Italia, la quale aveva insegnato a tutta
l’Europa la buona, ed in quanto tale unica scuola, non
solo dal punto di vista artistico, ma anche soprattutto da
quello della salvaguardia dello strumento vocale, c’è una
minoranza che resiste tant’è che un maestro napoletano della
grande tradizione italiana, Luigi Leonesi, rivolge una
petizione nel gennaio del 1914 al responsabile politico del
governo di allora: “Ora che il pubblico è stanco di sentir
gridare … il Ministro della Istruzione Pubblica che deve
tutelare le arti in Italia, provveda subito”. Naturalmente
il Leonesi non fu preso in considerazione.
Pensa anche Lei di inviare una petizione al
ministro attuale competente?
Non so se avrei più successo del Leonesi. Certo che la
situazione dell’insegnamento del Canto nei conservatori italiani
è in stato comatoso (ma ciò non riguarda soltanto questa
disciplina, la situazione è catastrofica ormai in tutti i
conservatori, nei grossi centri come nei piccoli). La demagogia
si paga in tutti i sensi, è ciò che ripeto da trent’anni: la
scuola pubblica tutta, non soltanto quella artistica, va chiusa
per ricominciare da capo.
Parlo come semplice cittadina: è inammissibile che si spenda
denaro pubblico per delle classi di canto affidate a pseudo
docenti totalmente incompetenti che non solo non insegnano
perché “non sanno”, ma procurano delle gravi “lesioni” (noduli
etc.) alle corde vocali degli allievi che sono costretti a
troncare lo studio ed affrontare cure e spese per riuscire a
parlare…! Come si fa ad affidare uno strumento delicato come
l’organo della fonazione a chi ha insegnato solfeggio per anni e
dopo, per giochi di punteggio, decide di insegnare canto? Non
parliamo poi delle classi che vogliono essere specializzate:
penso alle classi dello pseudo “Canto barocco”. Quanto denaro ci
sarebbe da risparmiare per investirlo diversamente….
Forse i teatri più importanti potrebbero investire in
formazione: qual’è il Suo parere?
Potrebbero, ma i teatri, che dovrebbero avere una finalità
veramente artistica, cioè culturale; sono il territorio di
caccia di agenzie nazionali ed internazionali…e poi, parliamoci
chiaro, anche per il repertorio del primo romanticismo non
abbiamo sul mercato competenze né vocaliche né stilistiche, si
figuri per Monteverdi ed affini.
Ma Lei li ha contattati questi teatri?
No, sono stata in contatto con la Scala per la presentazione del
mio libro e CD dedicato alla figlia di Giulio, Francesca Caccini,
esimia cantatrice e compositrice.
Il Dr. Cella, in tale occasione, disse ufficialmente che la
nuova gestione della Scala aveva intenzione di realizzare
Monteverdi e mi avrebbe chiesto di preparare i giovani
interpreti. In effetti abbiamo fatto un piano di lavoro in tal
senso, ma poi per vari motivi tutto è saltato in aria. Così la
Scala farà il solito pseudo - Monteverdi, visto che non esiste
oggi sul pianeta una voce maschile in grado di eseguire ad
esempio “Possente Spirto”, senza parlare poi della
realizzazione del “Parlar Cantando” da parte di tutti gli altri
personaggi.
Invece la Scala avrebbe avuto
il merito, en première, di far conoscere un Monteverdi
finalmente platonico ed umanistico, un Monteverdi
finalmente nuovo e “giusto” secondo il termine del divino
Claudio.