Il mondo poetico di Orazio
investí anche ed elevò il sentimento della virtus romana in
rievocazioni epico-liriche di gesta memorabili che gli valsero la fama
di poeta civile e, propriamente, di vate; ne offre l'esempio più alto il
carme su Attilio Regolo: «Caelo tonantem credidimus Iovem / regnare
etc.» (III, 5). Un aspetto in cui la virtus si manifesta è la
pietas, l'osservanza religiosa. A tale riguardo si deve notare
che la lirica oraziana ricevé un nuovo impulso e un nuovo orientamento
con la consacrazione ufficiale derivata dall'incarico affidato al poeta
di comporre il Carmen saeculare per i ludi celebrati da Augusto
nel 17 a.C.: inno di alta idealità maestosamente commosso e implorante,
ieratica esaltazione della potenza romana come riflesso del cosmo. La
fantasia oltrepassa il mito d'Ilio e di Roma e la contingenza del tempo
umano:
«Alme Sol, curru
nitido diem qui
promis et celas aliusque
et idem
nasceris, possis nihil urbe Roma
visere maius»
(Quintus Horatius Flaccus,
Carmen saeculare, 9-12).
Il mito divino della luce,
che splende e si oscura sui mortali, eterna innovatrice del vivere e
guida misteriosa ai passi della morte, pervade e sostiene l'intero
componimento. Il tono eloquente e trionfale, e tuttavia segretamente
malinconico, accresce la commozione del vaticinio: versi di una altezza
senza confronti nella poesia civile di ogni epoca.